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I filosofi precursori della psicologia

psicologia



I filosofi precursori della psicologia

Il concetto di Psicologia si basa sul paradosso secondo cui l'uomo è oggetto di una

scienza che deve studiare. L'uomo è contemporaneamente oggetto e soggetto. La mente

umana, oggetto dello studio, è quella che deve studiarsi. La psicologia non vuole essere solo una

scienza che studia la mente, la parte fenomenica, ma vuole capire anche i perché del

funzionamento della mente. La psicologia greca aveva in sé tutti i presupposti concettuali perché

si identificasse con la filosofia (De anima - Aristotele): in particolare la filosofia mira a capire la



natura generale di molti aspetti del mondo, principalmente attraverso l'introspezione (esame delle

idee e delle esperienze interne).

I filosofi greci Platone (428-348 a.C., circa) e il suo allievo Aristotele (384-322 a.C.), hanno

influenzato profondamente il pensiero moderno in psicologia e in molti altri ambiti.

La teoria delle forme di Platone asseriva che la realtà non è data dagli oggetti concreti (come ad

esempio tavoli o sedie) dei quali siamo consapevoli mediante i sensi, ma piuttosto dalla forma - o

eidos - dall'idea astratta degli oggetti stessi. Eidos ( ) può essere tradotto con il termine

forma, figura, modello che è visibile

Secondo Platone le idee, o forme delle cose, esistono in una

dimensione atemporale di pensiero puramente astratto. In questa

prospettiva, quindi, la realtà non è inerente a ciascun oggetto

particolare (ad es., questa sedia) che vediamo o tocchiamo, ma alle

idee astratte degli oggetti che esistono nelle nostre menti. Gli

oggetti percepiti dai nostri corpi sarebbero quindi solo copie

imperfette e passeggere delle idee vere, pure e astratte. Nella

Repubblica, Platone fa spiegare a Socrate come l'artigiano possa

fabbricare un tavolo o un letto, "guardando" con gli occhi della

mente alle loro idee, cioè basandosi su queste come modelli o

paradigmi.

Visibilità e conoscibilità sono connesse etimologicamente nel

termine eidos; ciò consente a Platone di parlare di eidos come forme

di conoscenza intelligibili, cioè di modelli che possono essere «visti

con la mente» e di uomini della techné che rendono visibili - e

dunque conoscibili - i modelli in base ai quali lavorano. «Secondo Platone, arriviamo alla verità

attraverso i pensieri e non attraverso i sensi» (Sternberg, 2000). Il progresso verso la conoscenza

viene presentato da Platone attraverso il Mito della Caverna, nel libro VIII de La Repubblica

Platone paragona la situazione di coloro che vivono nell'ignoranza a prigionieri che vivono in una

grotta da sempre, legati ad una parete col viso rivolto contro questa. La parete è animata da uno

spettacolo di ombre cinesi proiettate (all'insaputa dei prigionieri) da personaggi che sfilano,

davanti a un fuoco, con statue raffiguranti oggetti, all'entrata dei sotterranei.

Per questi uomini, la visione del mondo è limitata a quelle immagini familiari che traducono in

modo deformato la realtà. Essi credono che gli oggetti proiettati alle loro spalle siano reali, e non

soltanto delle proiezioni della realtà e ignorano l'esterno della caverna così come il sole (che

simboleggia il Vero, il Bene) che brilla.

Figura 1 - Platone,

particolare della Scuola di

Atene di Raffaello Sanzio


Questa è, per Platone, la condizione degli esseri umani che ignorano la Verità. Platone ipotizza

quindi che uno di questi uomini si liberi, riesca ad osservare le ombre e poi ad uscire dalla grotta.

Dopo lo stupore provocato da tale scoperta e solo dopo che i suoi occhi si saranno abituati alla

luce, allora potrà riconoscere gli oggetti reali e gli stessi uomini passanti dietro il muro, fino a

guardare il sole.

La missione del filosofo, di colui che ha conosciuto la Verità e che si è liberato dalle catene

dell'ignoranza è quella di risvegliare gli uomini dal sonno delle opinioni e portarli allo stesso

processo di conoscenza, portarli a «vedere con gli occhi della mente» (Platone, La Repubblica,

libro VIII, 514A-518B

«Gli aristotelici tendono quindi a indurre principi o tendenze generali sulla base

dell'osservazione di molti esempi specifici di un fenomeno. Ad esempio, gli empiristi potrebbero

indurre principi relativi a come percepiamo le parole osservando le persone impegnate nella

lettura o in altri compiti che coinvolgono la percezione di parole » (Sternberg, 2000).

Al contrario, per Platone la realtà vera consiste nelle forme astratte, non nelle copie

imperfette della realtà osservabili nel mondo al di fuori delle nostre menti, quindi non è possibile

utilizzare i metodi empirici. L'osservazione, metodo privilegiato dell'empirista, allontana dalla

verità, perché gli oggetti e le azioni osservate sono imperfette e transeunti.

[L'approccio di Platone era invece razionalista perché utilizzava] «l'analisi logica per capire il

mondo e le relazioni delle persone con esso. Per Platone, il razionalismo era coerente con il suo

punto di vista dualistico sulla natura del corpo e della mente: la conoscenza trae origine solo per

mezzo della mente, della ragione e della speculazione sul mondo delle idee astratte, piuttosto che

sul mondo materiale del corpo. I razionalisti tendono quindi in generale a dedurre esempi specifici

di un fenomeno a partire da principi generali. Ad esempio, i razionalisti potrebbero dedurre da un

insieme di principi generali relativi alla percezione che specifici lettori percepiscono le parole nei

modi descritti dai principi generali sulla percezione.

La concezione aristotelica, quindi, implica direttamente un approccio empirico alla cognizione,

mentre la teoria platonica mette in primo piano i diversi usi del ragionamento nello sviluppo delle

teorie.

Le teorie razionaliste senza alcuna connessione con le osservazioni rischiano di non essere

valide, ma viceversa cumuli di dati (osservazioni) privi di un contesto teorico che li organizzi

potrebbero non essere utili affatto. E possibile considerare la visione razionalista del mondo di

Figura 2 - Aristotele, particolare della



Scuola di Atene di Raffaello Sanzio

Aristotele, al contrario, riteneva che la realtà consiste soltanto

nel mondo concreto degli oggetti che i nostri corpi avvertono,

essendo quindi le forme astratte (ad es., l'idea di una sedia)

soltanto derivazioni di oggetti concreti.

Platone e Aristotele divergevano anche sul metodo, sul come

procedere nell'indagine relativa alle proprie idee. Aristotele

(naturalista e biologo, oltre che filosofo) era un empirista, la

conoscenza quindi può essere acquisita solo mediante le evidenze

empiriche, ottenute attraverso l'esperienza e l'osservazione.

La prospettiva aristotelica è collegata ai «metodi empirici

utilizzati nella ricerca - nei laboratori e sul campo - su come le

persone pensano e si comportano. Secondo gli empiristi, la realtà

consiste negli oggetti e nelle nostre azioni su di essi; allo scopo di

comprendere questi oggetti e le nostre azioni su essi, dobbiamo

quindi osservarli» (Sternberg, 2000).


Platone come tesi, e la teoria empirista di Aristotele come la sua antitesi. La maggioranza degli

psicologi cognitivi odierni è alla ricerca di una sintesi delle due posizioni. Essi basano le

osservazioni empiriche sulla teoria, ma usano di converso queste osservazioni per rivedere le loro

teorie» (Sternberg, 2000).

Un altro punto di divergenza tra Platone e Aristotele è rappresentato dall'origine delle idee

Da dove provengono le idee secondo i due filosofi? La risposta consegue logicamente da

quanto detto fin qui. Infatti, secondo Platone le idee sono innate ed è necessario però "tirarle

fuori" dalla mente, mentre secondo Aristotele le idee sono acquisite attraverso l'esperienza

Anche oggi gli psicologi discutono sull'ereditarietà o sull'acquisizione dall'esperienza di

capacità e attitudini, come ad esempio le abilità linguistiche o l'intelligenza. Altri psicologi

contemporanei sono invece alla ricerca di una sintesi che consenta di combinare la concezione

platonica delle idee innate e la tesi aristotelica delle idee acquisite.

Nel diciassettesimo secolo, il filosofo razionalista, Renè Descartes (Cartesio) (1596-1650),

concordando con Platone, considerava i metodi introspettivi e riflessivi superiori rispetto ai

metodi empirici nella ricerca della verità.

Sono due gli aspetti del pensiero cartesiano che occorre sottolineare ai fini del nostro discorso.

In primo luogo, la distinzione tra res cogitans e res extensa, cioè tra anima pensante e corpo,

considerato, secondo la concezione meccanicista (propriamente illuminista), come una macchina.

Cartesio si riferiva anche agli studi del fisiologo Harvey, che aveva scoperto nel 1628 la circolazione

del sangue e ne aveva dato una perfetta interpretazione meccanicista del

funzionamento corporeo.

In secondo luogo, la dottrina delle idee innate.

Distinzione tra res cogitans e res extensa

Cartesio, distingue il corpo, la materia che ha un'estensione, dallo spirito che pensa. Egli

intenzionalmente non parla di anima, per evitare di incorrere negli equivoci della filosofia

precedente. Res cogitans e res extensa interagiscono in un punto privilegiato: la ghiandola pineale o

epifisi. Il corpo può essere considerato come un meccanismo perfetto, come ad es. l'orologio, e

se si esclude il pensiero, la res extensa è in grado di funzionare autonomamente.

L'affermazione della liceità di studiare l'uomo come meccanismo, accettata a partire dalla

seconda metà del XVII secolo, da un lato consente di dare un enorme impulso alle ricerche

anatomiche e fisiologiche e costituisce una "rottura epistemologica" - secondo la definizione di

Bachelard - di dimensioni considerevoli, mentre dall'altro lato i problemi religiosi connessi che

possono porsi sono relativi non più alla res extensa ma alla res cogitans.

La dottrina delle idee innate:

Cartesio distingueva tra tre tipi di idee: derivanti dai sensi, derivanti dalla memoria o

dall'immaginazione, innate. Il primo tipo permette di costituire un legame tra mente e oggetti reali.

Con il secondo tipo non si vede con gli occhi, ma con la mente, non è detto quindi che queste

idee si conformino alla realtà. Le idee innate sorgono invece direttamente dalla mente come

principi basilari, come, ad esempio, quelle di Dio, di sé, gli assiomi matematici, e così via. Anche

se tali idee sono innate, non significa che esse siano "chiare e distinte" alla coscienza dell'uomo,

ma che egli debba scoprirle in sé stesso.

Secondo Cartesio, l'esperienza sensoriale ha un ruolo fondamentale nella scoperta delle idee

innate sia in positivo che in negativo. Nel primo caso, l'osservazione della natura ci consente di

scoprire delle proprietà in essa, che in realtà possedevamo già a livello implicito: ad esempio,

scoprire delle relazioni matematiche tra gli oggetti che ci circondano.

In negativo, l'esperienza sensoriale può indurci sempre in errore mascherando alcune idee

innate.


Il concetto di idea innata, tuttavia, soffre di una certa ambiguità negli ultimi scritti di Cartesio,

in cui queste appaiono più una sorta di predisposizione innata che consente di formare le idee sulla



base dell'esperienza. È, inoltre, sempre la res cogitans a formare idee, anche quando queste sono

attivate dall'esperienza sensoriale.

Ma l'aspetto della speculazione filosofica cartesiana che qui si vuole sottolineare è che

attraverso la teoria delle idee innate si postula una totale indipendenza tra corpo e mente e un

dualismo mente/corpo che si ritroverà anche nelle teorie psicologiche di fine Ottocento e inizio

Novecento. Alla mente, quindi, non è più necessario il corpo (compresi cervello e organi di

senso) per esplicare la sua azione, perché in essa sono compresi, innati, i principi che le

consentono di funzionare.

A differenza di Cartesio, il filosofo John Locke (1632-1704) e gli altri empiristi inglesi

condividevano la posizione di Aristotele per l'osservazione empirica. L'attribuzione di valore

all'osservazione empirica di Locke, era associata alla sua concezione secondo la quale gli esseri

umani sono una "tabula rasa" nascono privi di conoscenza - devono quindi cercare la

conoscenza attraverso l'osservazione empirica. In tal senso, la vita e l'esperienza "scrivono" tale

conoscenza su di noi. Secondo Locke lo studio dell'apprendimento è la chiave per capire la mente

umana. Come rileva egli stesso nel suo Saggio sull'intelletto umano (1690) «la mente non ha nulla da

pensare se prima l'esperienza non le ha fornito le idee su cui riflettere». Queste idee si ricevono

con l'esperienza e non esistono quindi idee innate.

Inoltre, l'apporto di Locke si inserisce in uno degli aspetti fondamentali che concorrono alla

nascita della psicologia sperimentale: la differenza tra essenza e funzioni dell'anima

Il filosofo inglese separa, all'interno dell'anima, il concetto di funzione da quello di essenza e

supera le speculazioni dualistiche di Cartesio, che ancoravano irriducibilmente il cogitare ad una

res, ad una sostanza. Con Locke lo studio della psiche diventa possibile, in quanto la psiche è una

parte, sì separata dal corpo, ma che ha soprattutto delle funzioni che possono diventare oggetto

di scienza.

La psicologia come disciplina scientifica nasce perché parte da una nuova mentalità,

staccandosi dalla filosofia e dalla fede, per collocarsi come scienza autonoma, prima ancora di

chiamarsi tale con l'apertura a Lipsia nel 1879 del primo laboratorio sperimentale.

La disputa tra empirismo e razionalismo raggiunse un picco nel diciottesimo secolo, quando il

filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804) iniziò un processo di sintesi di queste posizioni.

Nella sua discussione inerente la contrapposizione tra empirismo e razionalismo e l'origine della

conoscenza - innata o acquisita tramite esperienza -, Kant dichiarò decisamente che sia il

razionalismo che l'empirismo hanno ragione di essere e che queste due impostazioni devono

procedere insieme nella ricerca della verità.

Se «da una parte, è impossibile negare che l'esperienza fornisce conoscenza indispensabile; Kant

ha definito conoscenza a posteriori la conoscenza basata sull'esperienza; questo tipo di conoscenza

ha luogo dopo l'esperienza. Ad esempio, la maggior parte di noi ha appreso dopo pochi esami che

prepararsi all'ultimo minuto per un esame non è il modo più efficace e redditizio di studiare.

Dall'altra, una parte della conoscenza (a cui Kant si è riferito nei termini di "verità generale") esiste

indipendentemente dall'esperienza individuale. Questa "verità generale" è una conoscenza a priori;

tale conoscenza esiste indipendentemente dal fatto che siamo consapevoli o meno di essa attraverso

la nostra esperienza. A questo riguardo, la conoscenza matematica è un esempio di conoscenza a

priori. È infatti difficile immaginare che l'esperienza futura possa violare fatti matematici a priori

come: 2 x 3 = 6 » (Sternberg, 2000).


Minima variazione dello stimolo

percepibile, ovvero quanto

riusciamo a percepire

Intensità dello

stimolo

Costante

Secondo Kant, i dati senza concetti sono ciechi, i concetti senza dati sono vuoti: le conoscenze

hanno bisogno del materiale empirico, ma il materiale empirico necessita delle categorie per

essere elaborato.

«Non sembra quindi che i due assunti secondo i quali la conoscenza è innata (nature) o acquisita

(nurture) mediante l'esperienza si escludano a vicenda.

Ci si può chiedere a questo proposito se Kant ha posto fine alle discussioni precedenti una volta

per tutte. La risposta è certamente negativa. Al contrario, gli studiosi dovranno sempre affrontare

aspetti di queste problematiche relative alla natura dell'indagine sulla mente. Tuttavia Kant ha

efficacemente ridefinito molte delle questioni con cui diversi filosofi anteriori erano stati alle prese.

L'enorme impatto del pensiero kantiano sulla filosofia è venuto ad interagire con l'esplorazione

scientifica del corpo e delle sue funzioni del XIX secolo, determinando una profonda influenza

sulle possibilità di emergere come disciplina autonoma della psicologia nella seconda metà del XIX

secolo» (Sternberg, 2000).

La psicologia si staccò dalla fede e dalla filosofia, ma si aprì una dicotomia tra studio

dell'uomo, strutturato come un qualsiasi studio scientifico, e studio della funzione, della

percezione della mente. Tendenze opposte, queste, alla precedente concezione dell'anima vista

attraverso la fede e la filosofia. I filoni in cui si articolarono queste nuove tendenze furono tre:

fisiologia, psicofisica ed evoluzionismo.






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