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Tesina di Pedagogia - Uguaglianza e diversità - Pestalozzi e l'educazione popolare

pedagogia



Tesina di Pedagogia






Uguaglianza e diversità




Pestalozzi e l'educazione popolare





Uguaglianza e diversità


L'uguaglianza è uno dei valori fondamentali della società democratica e un diritto altrettanto fondamentale per gli individui che ne fanno parte. Allo stesso tempo è importantissimo riconoscere, nell'uguaglianza, il diritto "alla diversità", per cui ciascuno, pur avendo già gli stessi diritti fondamentali rispetto agli altri, deve anche ottenere nella società le condizioni adeguate per poter godere pienamente dei suoi diritti secondo le caratteristiche che lo contraddistinguono. Nella società vi sono infatti molte persone che, a causa delle loro caratteristiche, non possono fruire appieno dei propri diritti. Bambini, anziani, donne, persone disabili, persone svantaggiate, emarginati sono altrettanti esempi di gruppi sociali che vivono spesso in condizione di "disagio" o di "disadattamento" proprio a causa del mancato riconoscimento del diritto della propria "diversità" come necessità di un percorso educativo e sociale adeguato per l'effettiva uguaglianza rispetto agli altri.


La definizione del concetto di disadattamento nel quadro di un'analisi delle diverse condizioni di disagio risulta complessa.

Innanzitutto il concetto di disadattamento non può essere considerato come un giudizio di valore assoluto, in quanto, poiché una persona vive in diversi ambienti, il suo adattamento può essere più o meno elevato a seconda di ciascuno di essi; inoltre non può essere considerato un giudizio definitivo, poiché sia l'individuo che l'ambiente mutano in una interazione dinamica.

Una situazione di disadattamento porta, conseguentemente, ad una situazione di disagio. Esso concerne l'esistenza di un contesto ambientale patologico e patologizzante. Da questo punto di vista, dunque, le cause del disagio nell'età evolutiva e nell'età adulta vanno cercata in contesti di vita come una famiglia disturbata, una scuola indifferente ai bisogni fondamentali degli studenti, un gruppo dei pari persecutorio, tutti accomunati ne produrre una situazuione disadattante e fonte di disagio. All'educatore spetta non solo il compito di prevenire l'insorgenza del disagio, ma anche di evitare il suo esito negativo, favorendo l' "integrazione creatrice" nel mondo dei valori. Diviene così fondamentale la capacità degli educatori di assicurare un ambiente sereno e una disponibilità al dialogo autentico, basato sulla capacità di non giudicare e di voler comprendere, anche di fronte a quelli che sembrano soltanto "piccoli" problemi.


Se la scuola è in grado di attuare il riconoscimento delle condizioni di condizionamento negativo prescolastico, può anche diventare consapevole delle situazioni di svantaggio. Un ragazzo è "svantaggiato" se, per caratteristiche sociali o culturali, entra nel sistema scolastico con conoscenze ed abilità che gli ostacolano l'apprendimento e contribuiscono a creare un deficit accademico cumulativo. Lo svantaggio può persistere per tutta la vita scolastica, e contribuire a restringere le future opportunità economiche e sociali.

Occorre però notare come sia possibile interpretare il disadattamento che conduce alla condizione di svantaggio in senso solo relazionale. La ragione è la stessa a preferire al termine "disadattato" l'espressione "persona in situazione di disadattamento", volendo indicare con essa che 646g62g il disadattamento non costituisce una "essenza" personale, ma l'esito di una relazione svantaggiosa tra le caratteristiche del soggetto e quelle dell'ambiente.

Un'altra lettura dello svantaggio riconosce in esso, a determinate condizioni, la presenza di deficit generalizzati. In questo senso lo svantaggio nascerebbe da condizioni ambientali che hanno prodotto, ad esempio per scarsità di stimolazioni intellettuali, ritardi o blocchi in alcune aree dello sviluppo. Così un individuo svantaggiato, sebbene neurologicamente normale, presenta difficoltà di adattamento tipiche in molteplici ambienti di socializzazione, ed è portatore di una condizione "interna" particolare di riduzione di capacità rispetto agli altri.

Correlata allo svantaggio è la frequenza dell'insuccesso scolastico. Esso non è solo abbandono degli studi, ma anche fallimento nelle forme di scolarizzazione posteriori all'obbligo. Nonostante l'aumento dei tassi di scolarizzazione a partire dagli anni Sessanta, infatti, quello dell'insuccesso continua a essere un problema persistente in tutti i Paesi industrializzati. I soggetti che presentano problemi di apprendimento, e quindi scarso rendimento scolastico, maturano di conseguenza un senso di sfiducia nei confronti sia dell'istituzione scolastica sia delle proprie capacità, riducendo ulteriormente le loro possibilità di successo.

Viene del resto rilevato che il superamento degli insuccessi scolastici passa anche attraverso un cambiamento complessivo della mentalità scolastica, che dovrebbe elaborare una "pedagogia del successo" anzicchè il suo contrario, valorizzando il versante positivo delle prestazioni piuttosto che sanzionando gli errori, promuovendo la motivazione intrinseca e le attività di gruppo al posto della competitività individualistica.


Per danno si intende un evento congenito, od insorgente in un qualsiasi momento della vita, a causa di malattia o trauma, che consiste in una perdita od anomalia di una struttura o di una funzione anatomica, fisiologica o psicologica.

La disabilità è la conseguenza del danno sul piano funzionale, cioè la riduzione di capacità funzionali rispetto a quelle considerate normali. Disabilità e danno non sono dunque la stessa cosa: due persone possono avere la stessa disabilità, ad esempio non poter salire le scale, ma per ciascuno ciò può derivare da danni diversi, come ad esempio frattura o mancanza di arti inferiori.

L'handicap, infine, è lo svantaggio sul piano sociale, derivante all'individuo dalla disabilità. Si tratta, quindi, di un divario relativo alle richieste dell'ambiente rispetto al livello di abilità posseduto da una determinata persona. Ciò che dunque differenzia l'handicap rispetto alle altre forme di difficoltà è una disabilità derivata da un danno oggettivo. Ma l'oggettività dell'handicap può essere annullata quando le condizioni dell'ambiente sociale fanno si che le prestazioni del disabile siano uguali a quelle dei cosidetti normodotati: un disabile non-vedente, che può leggere attraverso una tecnologia informatica, non è, dunque, un handicappato. L'espressione portatore di handicap indica perciò una persona qualsiasi che, per ragioni di disabilità, è impossibilitata a raggiungere obiettivi socialmente considerati "normalmente" accessibili.

La valutazione sociale della normalità dipende soprattutto dalle aspettative e dai giudizi di valore socialmente percepiti. Di fronte a questo scenario l'applicazione pedagogica di valori come l'uguaglianza e il rispetto della diversità può realizzarsi in modi diversi. Il primo di essi riguarda l'attivazione di percorsi di riabilitazione, indirizzati a eliminare la disabilità che sta alla radice dell'handicap. Si procede perciò a una serie di strategie finalizzate anzitutto all'inserimento del disabile, con l'obiettivo di promuovere al massimo livello possibile la sua autonomia. Sul piano educativo ciò implica, nei confronti della società, un'educazione all'allargamento dell'idea di "normalità" e all'accoglienza della diversità come normale modo di essere di tutti gli individui umani; nei confronti del disabile,invece, il fornire una serie di conoscenze e competenze per ridurre il più possibile il potenziale disadattante della disabilità.

Il raggiungimento di questi obiettivi è possibile solo attraverso il superamento di "barriere" di grande peso sociale, che concernono tanto il versante fisico quanto quello culturale.

Una coordinata integrazione dei disabili passa naturalmente anche attraverso la cooperazione con la famiglia. Con gli opportuni sostegni, la famiglia deve assicurare al disabile una normalità quotidiana, basata sull'accettazione piuttosto che sull'oscillazione fra i due estremi dell'iperprotezione e dell'abbandono.

Il rapporto tra l'istituzione scolastica e i disabili è stato ed è piuttosto complesso e problematico, e molteplici sono ancora le difficoltà a trasformare la realtà negativa dell'handicap in un'esperienza di maturazione e di integrazione graduale nel contesto scolastico. Al fine di realizzare tale scopo, la legge prevede la figura di un insegnante specializzato, noto come docente di sostegno, con il compito di fare in modo che l'attività del portatore di handicap sia integrata nel lavoro della totalità del gruppo-classe.




Poiché ogni individuo è assolutamente unico, ha diritto a un'educazione che, stabilito l'ideale di uguaglianza come pari dignità di ciascun essere umano, rispetti la diversità di ciascuno.

Un caso particolare è quello dei bambini le cui capacità sembrano superare le aspettative medie nei loro confronti. I bambini precoci o superdotati hanno il diritto, esattamente come gli altri, di crescere in modo coerente e armonico con le proprie caratteristiche, senza che la loro presenza diventi penalizzante o squilibrante per gli altri o per le istituzioni educative.

Questi bambini apprendono molto presto di possedere qualcosa che li rende "diversi", anche se non di una diversità in negativo. Si tratta, tuttavia, di una condizione in cui sono presenti numerosi gravi rischi educativi.

Può accadere, ad esempio, che la famiglia voglia credere a tutti i costi a un'eccezionalità che non esiste nei fatti, lottando strenuamente per affermarla attraverso una iperstimolazione nevrotizzante del bambino, che vive continuamente nella tensione di chi sa di dover corrispondere giorno dopo giorno ad aspettative sproporzionate.

Il rischio maggiore che invece può comparire nella scuola è l'indifferenza. Fatta per lo studente "medio", la scuola di massa sembra penalizzare equamente ipodotati e superdotati: talvolta, invece, la scuola stessa si lascia trascinare nello stesso "gioco" che era stato inaugurato dalla famiglia: investe il bambino della responsabilità di un prodigio, causando in lui una difficoltà di socializzazione rispetto ai compagni.

Risulta evidente che solo percorsi educativi attenti ma responsabili da parte degli adulti sono in grado di valorizzare autenticamente i talenti e le potenzialità di questi bambini. Il diritto alla diversità si deve concretizzare qui in una educazione "su misura", in cui tuttavia il bambino non è ostaggio delle ambizioni degli adulti, e viene riconosciuto nell'integrità dei suoi bisogni, anche nelle sfere "normali".


L'emarginazione è il processo mediante il quale una persona viene allontanata, spinta ai margini del gruppo o dei gruppi sociali di cui fa parte. Ma perché un bambino viene emarginato? La risposta a questa domanda possono essere molteplici: per cause situazionali (familiari, di salute, di abitazione.), per cause legate alla personalità, per cause sociali (appartenenza di ceto, di religione, di gruppo etnico.). Alla base di queste diverse situazioni c'è spesso una difficoltà di identità e di relazione dell'emarginato che viene ulteriormente accentuata dai comportamenti emarginanti degli altri.

Quando un bambino inizia una sorta di isolamento, comincia a perdere le occasioni per sviluppare le competenze sociali necessarie ad uscirne.

Dal punto di vista educativo occorre anzitutto non considerare tutte le forme di isolamento come esprimenti una condizione di emarginazione. Ci sono persone che nei frequenti momenti di solitudine riescono a trovare forme di equilibrio interiore, oppure che preferiscono intrattenere rapporti sociali strettamente limitati ad alcune persone perché troppo timide per una maggiore apertura. Il percorso educativo contro l'emarginazione deve perciò essere consapevolmente graduato a seconda di una analisi approfondita dei casi. I bambini emarginati per timidezza possono migliorare il loro senso di sicurezza sociale nell'incoraggiamento dell'adulto e nell'interazione con i più piccoli. Lo sviluppo di competenze e abilità in grado di riscuotere successo sociale permette a sua volta di aumentare il proprio apprezzamento all'interno del gruppo e di incentivare l'autostima. L'attività e il dialogo di gruppo, poi, sono uno degli aspetti più importanti di un percorso educativo contro l'emarginazione. Da questo punto di vista la scuola e le altre forme di associazionismo extrascolastico giocano un ruolo fondamentale per mantenere quei ponti comunicativi che sono il miglior antidoto contro l'emarginazione.

Fra i bambini soggetti a emarginazione troviamo soprattutto il gruppo di coloro che nella scuola vengono spesso definiti come portatori di uno "svantaggio relazionale", ovvero come bambini-problema. Si tratta di bambini caratterizzati da comportamenti problematici che causano difficoltà di relazione e integrazione. I comportamenti-problema richiedono adeguate strategie educative, anzitutto basate su un'attenta osservazione dei modi in cui si producono. L'interpretazione successiva all'osservazione permette percorsi educativi adeguati per il raggiungimento di una soluzione della situazione problematica.

L'apostolo dell'educazione popolare: PESTALOZZI.


Johann Heinrich Pestalozzi nasce a Zurigo il 12 gennaio 1746 da una famigli di origine italiana. Orfano di padre è allevato dalla madre e dalla governante.

In gioventù si avvicina al pensiero illuminista. Il suo legame con circoli progressisti fa nascere in lui l'idea di progettare un modo per migliorare le condizioni dei lavoratori e addestrarli alla vita professionale.

Pestalozzi è stato uno dei pochi pedagogisti attenti alla rivoluzione di Jean-Jacques Rousseau e in grado di interpretare la cultura romantica. Il pedagogista svizzero era affascinato dal pensiero di Rousseau: si riconosce infatti nelle sue idee il concetto dell'educazione secondo natura del ginevrino.

Pestalozzi ha come ideale il miglioramento delle condizioni dei lavoratori, da raggiungere attraverso una riforma dell'agricoltura ispirata al naturalismo rousseauiano.

Nel 1768 ha così inizio l'esperimento di Neuhof, la fattoria edificata sui terreni di Pestalozzi allo scopo di tradurre in pratica i suoi ideali. Ma dopo un paio d'anni, egli fu costretto a riconoscere il fallimento dell'iniziativa. Pertanto egli decise di trasformare Neuhof in una colonia agricola per bambini abbandonati, da educare al lavoro e alla vita. Tuttavia l'inesperienza e le scarse capacità organizzative inducono anche il fallimento di questa iniziativa.

Questo è un periodo di grande riflessione pedagogica e sociale, durante il quale egli pubblica il primo romanzo pedagogico "Leonardo e Geltrude".

Successivamente Pestalozzi viene chiamato alla direzione dell'orfanotrofio appena aperto a Stans per i piccoli che hanno perso la loro famiglia a causa degli scontri militari e civili. Ma l'arrivo della guerra porta alla chiusura dell'iniziativa nel 1799.

Dopo questa esperienza Pestalozzi ottiene un posto da insegnante a Burgdorf. Avendo a disposizione il castello della città vi apre una scuola. Burgdorf è l'esperienza in cui Pestalozzi elabora il proprio metodo e grazie al quale ottiene una vasta notorietà a livello europeo. Frutto di questa esperienza saranno opere fondamentali, tra cui "Come Geltrude istruisce i suoi figli".

Pestalozzi, dopo questa esperienza, decide di fondare un nuovo istituto a Yverdon, dando vita alla sua esperienza più famosa e durevole. A Yverdon l'educatore approfondisce la propria metodologia e i presupposti del proprio pensiero pedagogico, in cui riprende ancora una volta il tema dell'educazione dei poveri. La vera e propria crisi di Yverdon inizia con il nascere di contrasti e gelosie fra i collaboratori di Pestalozzi. Le continue polemiche su Yverdon continuano fino a quando Pestalozzi, nell'amarezza da esse provocata, si spegne, il 17 febbraio 1827.


Entusiasta lettore di Rousseau, Pestalozzi deve al pensatore ginevrino l'idea di un'educazione conforme alla natura dell'educando.

L'idea rousseauiana che "la vita educa" assume tuttavia nel pensiero di Pestalozzi un significato differente, dal momento che egli si confronta con problemi educativi concreti, posti da alunni reali; inoltre cadono i temi rousseauiani della contrapposizione tra individuo e società: se per Rousseau ambiente adatto all'educazione è la campagna, lontano dai condizionamenti sociali, in Pestalozzi l'educazione resta ancorata al contesto sociale. Pertanto, l'educazione "naturale" in Pestalozzi consiste in un'educazione fondata sulla conoscenza delle "leggi naturali" che regolano l'individuo, ovvero della conoscenza della naturale gradualità con cui il bambino si va gradualmente sviluppando spiritualmente.

L'educazione può dunque essere realizzata solo attraverso il riconoscimento di alcune "sfere" di vita, interiore ed esteriore, in cui è inserita l'individualità umana.



La sfera interiore è rappresentata da Dio. Da essa e verso di essa muove l'educazione come formazione della personalità, nelle tre dimensioni del cuore, la sfera morale, della mente, la sfera intellettuale, e della mano, ovvero le attività pratiche e manuali. Ma il perfezionamento è infine possibile solo nella sfera esteriore dei rapporti familiari, del lavoro, dello Stato e della nazione.


Per quanto riguarda il legame tra pedagogia e società, Pestalozzi afferma che come la società, allo stesso modo anche gli individui passano attraverso tre fasi. Dallo stato di natura, stato primitivo di vita dominato dal bisogno e dall'egoismo, l'uomo passa allo stato sociale, in cui l'uomo si aggrega e si da delle leggi, ma di fondo la lotta fra gli individui non viene soppressa ma cambia la forma sotto cui si manifesta. Tuttavia è grazie allo stato sociale che l'individuo può accedere allo stato della moralità, che lo spinge ad armonizzare la propria vita con quella degli altri e porta a compimento il cammino formativo.

Un'educazione nuova è tuttavia possibile solo in un ordine sociale nuovo. Pestalozzi ha ben presente che la società è un "sistema formativo complesso" in cui scuola, famiglia, ambiente lavorativo, Chiesa e altre agenzie offrono ciascuna il proprio contributo all'educazione dell'individuo. Questa valutazione porta a escludere le soluzioni rousseauiane di allontanamento dell'allievo dalla comunità, a favore di una responsabilizzazione educativa della società stessa. Pertanto Pestalozzi considererà centrale il ruolo pedagogico della famiglia, seppur affiancando ad essa la scuola e lo Stato.

La scuola deve offrire sia un'educazione si base, sia una valida formazione professionale, ma essa deve essere modellata sull'esempio della casa e dell'attività educativa familiare, in cui il ruolo fondamentale spetta alla madre. Ma la Rivoluzione industriale costringe le donne ad abbandonare il proprio compito di educatrici domestiche, e ciò richiede l'intervento di una scuola che in un certo senso si sostituisca alla famiglia, assicurando la custodia dei bambini e lo svolgimento dell'itinerario formativo precedentemente affidato alla famiglia.

Pestalozzi considererà indispensabile la scuola anche per ciò che concerne la dimensione della formazione dei poveri a un lavoro produttivo e coerente con le trasformazioni sociali, ma resterà fermo nell'idea che questa formazione debba inscriversi in un progetto educativo completo, che fornisca le basi per l'apprendimento di un lavoro quanto di ogni requisito fondamentale a dare vita ad una società giusta.

Tale concezione emerge con chiarezza nell'utopia pedagogica del Leonardo e Geltrude.


Leonardo e Geltrude

Leonardo e Geltrude è uno dei grandi romanzi pedagogici del Romanticismo europeo, oltre ad essere il romanzo che più mette in luce l'impegno sociale di Pestalozzi per l'educazione degli umili.

L'opera è suddivisa in quattro libri, attraverso i quali si ha il passaggio da uno stato di natura, e quindi di egoismo e sopraffazione, ad uno stato sociale, dove vige una vita apparentemente più equa, ad uno stato di crescita al contempo culturale e manuale, fino a giungere ad una educazione morale, che si oppone al male, all'indifferenza e all'egoismo sempre insiti nell'uomo.

I libro.   Il racconto si svolge nell'immaginario villaggio tedesco di Bonnal, in cui vige un

regime a carattere sostanzialmente agricolo e feudale. Il villaggio è alle

dipendenze del feudatario Arner e del podestà-oste Hummel, che domina la

popolazione ingiustamente.

Fra le sue vittime troviamo il muratore Leonardo, che si sta perdendo

nell'ozio e nell'ubriachezza. La sua coraggiosa moglie, Geltrude, implora il

soccorso di Arner, il quale affida a Leonardo il compito di provvedere alla

costruzione della nuova chiesa. Nonostante i tentativi di sabotaggio di

Hummel, il progetto va a buon fine.

II libro. Hummel è sostituito da un altro podestà, più giovane e onesto. Arner decide

di donare il campo comunale ai poveri. Inizia così a cessare nel villaggio il

sistema di sopraffazione e corruzione che per tanto tempo lo aveva

dominato.

III libro. Ci si convince che il miglioramento del villaggio è possibile solo educando il

popolo a migliorare la propria vita materiale e a industriarsi in modo più

razionale nel lavoro manifatturiero.

Entra in scena Glüphi, un ex-tenente, a sostituire il vecchio maestro del

villaggio per realizzare la riforma dell'educazione. Proponendosi di

coordinare lavoro e istruzione, egli istituirà una scuola a tempo pieno,

incentrata sulla tessitura, dove i bambini impareranno a contare lavorando al

telaio, e apprenderanno in modo attivo lettura e scrittura. L'ordine verrà

richiesto all'interno, ma anche all'esterno della scuola, preludio a quellìordine

sociale che si vuole instaurare nel villaggio.

IV libro. Si intende dimostrare che il nuovo ordine di Bonnal può essere esteso a

tutto lo Stato. La sua iniziativa viene infatti estesa prima a un paese vicino,

poi a tutto lo Stato.

Nel frattempo, Arner cade malato, e si teme per la sua vita. Ma la

condivisione di questo evento da parte del villaggio è scarsa. Glüphi

commenta questo comportamento con osservazioni sull'umana tendenza al

male, e sulla necessità di un'educazione che la contrasti.


I primi due libri del romanzo sono destinati al popolo. Mostrano come gli uomini sono buoni e ritornano buoni tanto volentieri, se si riesce a troncare le fila dell'egoismo e del male, dando vita al recupero civile e morale. Tra il I e il II libro, inoltre, si denota il passaggio dallo stato di egoismo e sopraffazione ad uno stato dove non vigono più le stesse regole e si vive meglio, richiamando il passaggio dell'uomo dall stato di natura allo stato sociale.

Il III e il IV libro sono, invece, indirizzati alle classi colte, in quanto dipingono una crescita culturale e contemporaneamente manuale. Infatti, Pestalozzi in questi due libri chiarisce ulteriormente i caratteri della sua pedagogia sociale, affermando che l'ordine nuovo può nascere solo da una rifondazione morale, dei valori, ma ciò necessita di concrete iniziative da parte degli intellettuali e degli apparteneti alle classi superiori.

Nella necessità di uno Stato educatore, è Glüphi il personaggio che più riassume l'idea della difficoltà e dell'altezza del compito educativo delineato dall'autore. Proiezione ideale di ciò che Pestalozzi avrebbe voluto essere come maestro, Glüphi è un ex-militare che non ha richiesto il suo nuovo compito, ma dal momento in cui lo accetta vi si applica con totale dedizione. Glüphi rappresenta la consapevolezza pestalozziana del significato sociale dell'educazione popolare. Il tenente educa con rigore e non tollera trasgressioni perché è consapevole che la scuola rappresenta l'unica forza in grado di fornire ai giovani ciò che è necesario se non per la loro emancipazione politica, almeno per una dignitosa vita sociale.





La vera elaborazione teorica del metodo pestalozziano inizia con l'esperienza di Burgdorf, ma anche le precedenti iniziative dell'educatore presentano elementi fondamentali che verranno successivamente ripresi.

A Neuhof, le strutture della fallita iniziativa agricola e della filanda di cotone vengono utilizzate per avviare i fanciulli poveri, sottratti all'accattonaggio, a un'istruzione di base e a un impiego manuale. I bambini sono così impegnati nel lavoro, tradizionalmente diviso per sessi, della tessitura; ma il leggere, lo scrivere, il far di conto vengono avvertiti come necessità comuni a tutti. Pestalozzi, infatti, è in aperta polemica con i cosidetti "pedagogisti dell'industria", che accusa di incatenare i figli dei poveri esclusivamente all'attività industriale, privando loro di un probabile miglioramento delle loro condizioni grazie ad un'istruzione anche di tipo teorico. La difficoltà della situazione in cui vivono gli allievi richiede, pertanto, l'unione fra insegnamento e attività pratica, fra "scuola - lavoro", che realizzi tanto lo sviluppo delle facoltà intellettive, critiche, sentimentali, quanto di quelle materiali, al punto che molte delle attività di apprendimento mnemonico e di esercitazione vengono svolte direttamente nel corso della filatura. "Non si tratta di limitarsi a far guadagnare il loro pane a dei bambini poveri. Bisogna invece realizzare l'esempio di una buona educazione per poveri in tutto il suo complesso.(.) Essi devono guadagnarsi la vita, ma non si devono limitare a questo(.); devono piuttosto accompagnare a ciò uno sviluppo delle capacità dell'intelletto e del cuore". (Pestalozzi).

Pestalozzi, più che un teorico dell'educazione, è soprattutto un grande realizzatore di imprese educative, in cui l'elaborazione del metodo avviene sempre sulla spinta dei problemi e delle necessità reali.


Gli orfani di Stans pongono a Pestalozzi, dopo il fallimento di Neuhof, una vasta serie di problemi pratici e teorici. Qui la totale mancanza di insegnanti costringe l'educatore a ingegnarsi dal punto di vista organizzativo e didattico. Uno dei frutti di Stans sarà così il ricorso al mutuo insegnamento, inteso come mezzo d'aiuto per l'insegnante, in quanto permette di affidare in parte la didattica agli alunni più dotati, perché ne facciano partecipi i compagni più deboli.

Soprattutto, però, Stans rappresenta il momento in cui Pestalozzi comincia a sviluppare una serie di capisaldi del suo futuro metodo.

Gli alunni di Stans soffrono la distruzione dei propri legami affettivi, ed ecco che il loro maestro coglie nell'amore la premessa indispensabile di ogni educazione efficace, ciò presuppone un approccio non duro, rigido, ma basato sull'amore e l'affetto.

Per l'insegnante è impossibile insegnare tutto a tutti: si presenta dunque la necessità di una attivazione degli allievi, oltre che di un metodo che consenta ai genitori di sostituirsi al maestro, o agli alunni stessi di apprendere con le proprie forze.

Ma la brevità dell'esperienza di Stans non consente di meditare sufficientemente su queste acquisizioni. Perciò bisognerà attendere le esperienze successive, in particolar modo quella a Burgdorf.

Nella scuola fondata a Burgdorf, Pestalozzi ha finalmente la collaborazione di altri insegnanti e una scolaresca con condizioni di vita non drammatiche. Egli può così delineare il proprio metodo, che riceverà una formazione teorica definitiva nella sua opera Come Geltrude istruisce i suoi figli.

A Burgdorf ci sono scolari di ceto medio, dai cinque ai tredici anni; non esistono classi, ma i gruppi si modificano a seconda delle esigenze intellettuali di ciascuna area didattica. Pestalozzi vorrà che ciascun insegnante lavori al perfezionamento del metodo specializzandosi nell'approfondimento di determinate aree disciplinari.

Ma il grande risultato di Burgdorf sta soprattutto nel consolidamento del metodo elementare e dei suoi tratti fondamentali.


Come Geltrude istruisce i suoi figli


Nell'opera Come Geltrude istruisce i suoi figli, Pestalozzi chiarisce il suo metodo elementare. Esso punta a far acquistare in modo chiaro e sicuro gli elementi fondamentali del sapere. Spetta al maestro rintracciare questi elementi e far si che vengano assimilati.

Tutte le facoltà sono potenzialmente presenti all'atto della nascita. Pertanto l'intervento educativo dovrà iniziare prestissimo, con l'azione della madre. Essa rappresenta il modello educativo a cui ispirarsi, sia per la calda tonalità affettiva di cui ella colora il suo insegnamento verso i figli, sia per la semplicità con cui questo insegnamento viene offerto.

Nella figura di Geltrude Pestalozzi cala una straordinaria capacità educativa femminile, che supera ampiamente la scelta, comune a Locke e Rousseau, di affidare alle donne solo funzioni di allevamento. "Il nostro grande fine è lo sviluppo dell'anima infantile, e il nostro grande mezzo l'azione della madre.(.) Ma la madre possiede le facoltà necessarie all'assolvimento dei poteri e dei compiti, che noi educatori le assegnamo?(.) Si! Posso dirlo: la madre ha la capacità, ha ricevuto dal creatore stesso la capacità di divenir l'agente più energico dello sviluppo infantile. Già nel suo cuore è spontaneamente radicato il desiderio più ardente del bene del figlio.(.) La provvidenza l'ha fornita delle attitudini che si richiedono per l'assolvimento del suo compito". Pestalozzi parla a tal punto di "amore pensoso"; "E' naturale che io ponga come prima condizione l'amore, che sempre comparirà spontaneamente. Tutto ciò che io domanderei ad una madre è che ella facesse operare il suo amore regolato dalla riflessione". (Pestalozzi).

Allo stesso tempo l'educatore di Zurigo si propone di individuare un metodo fondato sulle leggi eterne dello sviluppo, la cui coscienza permetterà alle madri e ai maestri di offrire l'insegnamento in modo naturale e coerente con lo sviluppo. È necessario che gli insegnamenti vengano disposti in "serie psicologicamente concatenate" tra loro, così che ciò che precede sia connesso a ciò che segue e lo prepari. Allo stesso modo, i contenuti da apprendere dovranno essere offrerti con gradualità, andando dal semplice al complesso, e a partire dall'esperienza del fanciullo, per poi allontanarsene progressivamente, per passare dal concreto all'astratto. Gli educatori di Burgdorf, a tal proposito, mettono a punto una serie di esercizi fondati sul passaggio graduale dalla parte al tutto, come ad esempio per la lingua, che viene insegnata dal suono della sillaba, dalla sillaba alla parola, dalla parola alla frase.

Per gli alunni di Burgdorf, provenienti per lo più da classe media, l'educazione al lavoro non ha la necessità sociale che aveva per i bambini di Neuhof. Pertanto l'educazione della "mano" viene inserita nel curricolo solo per il suo puro valore formativo: il "fare" è per Pestalozzi una componente essenziale della vita infantile.


A Yverdon Pestalozzi costituisce una normale scuola-convitto a pagamento per i giovani benestanti di entrambi i sessi, che giunge ad avere fino a centocinquanta alunni e cinque insegnanti. La scuola diventa l'esperimento educativo europeo più noto e avanzato dell'epoca, attirando numerosi consensi.

La preoccupazione costante di Pestalozzi di trovare una metodo di base per l'educazione popolare produce però alcuni eccessi didattiscistici, come il mnemonicismo e un insegnamento minuto, che soffocano i processi di apprendimento nei loro aspetti spontanei e creativi. Allo stesso tempo alcuni collaboratori mettono a punto metodi didattici particolarmente efficienti, che destano l'ammirazione per i risultati nelle competenze esibite dagli alunni. Dopo una quindicina di annidi alterne vicende, poco felici, si giunge così alla chiusura dell'istituto e a uno strascico di polemiche che perseguiterà il fondatore fino alla sua morte.


La tradizione pedagogica vede in Pestalozzi il padre della scuola elementare e uno dei primi teorici della scuola popolare.

Ma egli viene ricordato anche come esempio di educatore e filantropo, animato da un profondo spirito missionario e da una completa dedizione al dovere.

Pestalozzi può essere considerato l'iniziatore di una tendenza: oggi l'esigenza al lavoro e mediante il lavoro è avvertita in tutte le scuole, soprattutto dopo l'approfondimento che ne ha fatto l'attivismo, che a Pestalozzi esplicitamente si richiama.

Pestalozzi consegna alla storia un'opera pedagogica il cui influsso sarà, in ogni caso, enorme.












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