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ARDIGÒ

pedagogia



ARDIGÒ


Per Roberto Ardigò (1828-1920) la pedagogia è «scienza dell'educazione», che deve trovare il suo fondamento nel «fatto» educativo, così come naturalmente si verifica. Poiché «tutto è formazione naturale», anche la psiche è il risultato di un processo naturale caratteristico di tutto il divenire cosmico. Lo sviluppo del fanciullo coincide dunque con una «formazione naturale» frutto di disposizioni ereditarie e dell'azione dell'ambiente.

Nella realtà sociale dell'educazione operano diverse «matrici», cioè ambienti o contesti che concretamente modificano lo sviluppo del fanciullo: Ardigò le individua principalment 737g66h e nella famiglia, nella Chiesa, nella scuola e nello Stato. Ciascuna matrice, con il suo intervento, modifica concretamente i risultati dell'educazione. L'importanza che la matrice ecclesiastica e religiosa ha rivestito nelle epoche trascorse deve essere og­gi rivestita dalla scuola e da un'educazione sistematica e scientificamente orientata. At­traverso la scienza dell'educazione, infatti, «l'uomo può acquistare le attitudini di per­sona civile, di buon cittadino e d'individuo fornito di speciali abilità utili, decorose, nobilitanti», e formarsi così una «seconda natura», relativa al momento storico in cui av­viene l'azione della società sull'individuo.

L'educazione viene così ad essere il risultato di tre momenti interconnessi: attività, esercizio, abitudine: non vi è educazione senza abitudine, ne' abitudine senza esercizio, e questo presuppone a sua volta l'attività.



Alla base di tutto il processo educativo sta dunque l'attività, la quale esige degli stimoli la cui ricerca è compito importante del maestro. L'alunno deve apprendere per esperienza propria, e non solo basarsi, come succedeva in passato, sulla parola del mae­stro: l'insegnamento deve quindi seguire il «metodo intuitivo», ovvero «quello per il quale s'insegna per mezzo dell'esperimento, per l'applicazione di tutti i sensi e non per la sola parola». L'intuizione può però prodursi in diversi modi. Può essere l'intuizione diretta e naturale dell'esperienza libera dell'osservazione o del gioco, che secondo Ardigò (in polemica con Fröbel) deve essere assolutamente spontaneo e non diretto. Ma può essere anche l'intuizione diretta e artificiale che si produce quando, nella situazione scolastica, il maestro offre all'alunno una serie di esperienze già selezionate attraverso quello che l'umanità ha saputo sviluppare, cioè la scienza, la morale e la lingua. Tuttavia Ardigò raccomanda che ciò avvenga il più possibile in collegamento con l'intuizione naturale. Abbiamo infine l'intuizione indiretta, che comprende gran parte di quello che è l'insegnamento scolastico tradizionale, ma a cui si deve fare ricorso solo quando non è possibile procedere attraverso l'intuizione diretta, servendosi soprattutto di im­magini, schemi ecc. Di essa fa parte anche l'insegnamento parlato. Ardigò chiarisce che l'insegnamento reso attraverso la parola è necessario quando serve per le distinzioni, per il lavoro logico, per la trasmissione delle idee e per la scienza, ma deve essere usato con molta cautela, perché le possibilità di equivoco sono sempre presenti.

Quanto alla sua forma logica, il metodo può essere deduttivo, oppure induttivo: per Ardigò solo il secondo è il «vero metodo scientifico», che deve essere adottato nelle scuo­le elementari, «dove per l'età tenera e quindi per la poca esperienza i fanciulli hanno un patrimonio di idee generali limitato; il deduttivo nelle altre [scuole] poiché quivi gli alunni hanno fatto già per esperienza naturale od artificiale molto lavoro di generaliz­zazione delle idee». È importante, tuttavia, che il maestro rispetti tre principi fondamentali: passare dal noto all'ignoto; dal semplice al composto; dal facile al difficile. Ma poiché l'alunno deve imparare in poco tempo un sapere frutto di secoli di esperienza («legge del lavoro abbreviato») è necessario che il maestro gli fornisca anche delle co­gnizioni anticipate («legge dell'istruzione anticipata»), delle quali egli si renderà conto perfettamente solo quando la sua esperienza si sarà arricchita.



L'esercizio, frutto dell'attività, «non è che la ripetizione continuata degli atti medesimi» e ha come scopo principale quello di ingrandire l'organo (sia che esso appartenga al corpo, sia che si tratti della mente) per renderlo più energico, di creare nuove connessioni e di formare la volontà. L'abitudine, come risultato finale dell'eser­cizio dell'attività, rappresenta il fine dell'educazione o, meglio, per Ardigò, l'edu­cazione stessa.

Questo discorso diviene particolarmente importante per quanto concerne l'educazione morale, la quale secondo Ardigò deve costituire l'obiettivo più importante del maestro, dal momento che la scuola è tenuta a sostituire le matrici famigliare e religiosa. L'educazione morale si ottiene mediante lo stabilirsi dell'abitudine «a compiere gli atti buoni senza una spinta diretta forte a ciascuno di essi». A causa di questa convinzione Ardigò fu accusato dalla pedagogia idealistica di ridurre l'educazione morale a semplice condizionamento. In realtà Ardigò afferma che l'obiettivo dell'educazione morale è che il bambino «si abitui a compiere il bene liberamente, per propria convinzione». L'abitudine a compiere atti buoni fa acquisire «la forza di farli anche senza motivi impellenti diretti volta per volta».






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