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PLATONE - IL SIMPOSIO - La cornice del racconto

filosofia



PLATONE - IL SIMPOSIO

La cornice del racconto

Illustro brevemente la cornice che fa da sfondo a questi discorsi: innanzitutto, la vicenda è riferita indirettamente, in quanto è un amico di Socrate, Apollodoro di Falero (già citato nellApologia e presnete nel Masnone e nel Fedone, dove piange quando Socrate beve la cicuta) a narrare ad alcuni amici la storia del convito dato in onore della prima vittoria tragica del poeta. Inoltre, Apo 717b12h lloidoro è troppo giovane per vaere assistito a tale incontro, che gli fu riferita da un testimone oculate, Aristodemo. E' evidente come, il carattere indiretto di tutte queste testimonianze, vuole comunicare al lettore di non trovare nel dialogo l'assoluta verosimiglianza (ci sono infatti alcune incongruenze che esamineremo), ma di riflettere sulla sostanza dell'argomentazione.

Eppure questa cornice è tutt'altro che irrilevante per una comprensione adeguata del dialogo, in quanto riproduce in modo accurato lo spirito del tempo e ci fa capire come i vari discorsi sull'amore che si susseguono, fanno riferimento ad altrettante concezioni rilevanti proprie della tradizione ellenica, nei confronti delle quali Platone precisa la propria posizione. Lo stesso contegno dei commensali è per noi piuttosto imbarazzante, se pensiamo al contenuto intellettuale dei discorsi. E' infatti il medico Erissimaco a proporre di tenere dei discorsi, per evitare che si arrivasse all'ubriacatura (anche se, come vedremo, Alcibiade farà poi una lode di Socrate in totale stato di ebbrezza, e con aspetto assolutamente trasandato). E' Fedro a proporre il tema dell'eros; questo termine greco, tradotto con amore, ci permette forse di comprendere meglio che cosa intende Platone e, soprattutto,e vita la possibilità di farci sviare da tante riflessioni romantiche sul tema che sono probabilmente più comuni alla nostra sensibilità.



L'eros intende proprio la passione o la affezione, o sentimento, che invade l'essere attratto verso una realtà a lui esterna, che ha i caratteri della mania, che lo porta a contraddire e a non riuscire spesso a seguire i dettami della sua ragione e che, probabilmente, è il vero motore delle azioni umane più di tutte i ragionamenti riflessi. E' questo mistero, che invade l'essere dell'uomo, che può essere causa di gioia e di dolore, a essere al centro dell'interesse platonico e anche del nostro corso.

Il discorso di Fedro

Nei numerosi studi dedicati al Simposio, il discorso iniziale, di Fedro, è quello trattato forse più severamente, descritto come superficiale e di scarso valore filosofico. Fedro, come si evince dal titolo stesso del nostro corso, è anche il principale interlocutore di Socrate nel dialogo omonimo, per buona parte anch'esso dedicato alla tematica amorosa. Sicuramente, in tutti e due i casi, Fedro, nonostante gli elogi che gli vengono apertamente rivolti da Socrate, non fa grande figura; è un intellettuale che si fa facilmente rapire e convincere dalla più abile arte retorica, attento maggiormente all'eleganza dell'eloquio piuttosto che alla sostanza di ciò che viene discusso. Che il suo discorso sia il più debole dell'intero dialogo è abbastanza comprensibile anche se si tiene conto della struttura drammatica che Platone ha voluto impostare: i diversi interventi al banchetto costituiscono una sorta di crescendo, sempre più complessi e articolati, per giungere al culmine, e cioè all'intervento di Socrate, il quale da una parte riprende e fa riferimento a diversi aspetti già menzionati dai suoi interlocutori ma, nello stesso tempo -come vedremo- sposta decisamente, e contemporaneamente eleva, la direzione del dibattito.

Tuttavia, questo giudizio di superficialità, potrebbe non far comprendere l'intenzione di Platone di inserire nell'opera tale intervento; per superficiale, infatti, si deve intendere «povero di contenuti», di scarsa rilevanza dal punto di vista filosofico, ovvero che quanto viene detto non è in grado di aiutare a comprendere la realtà effettiva del fenomeno studiato, nel caso particolare il concreto modo in cui gli uomini vivono l'esperienza dell'eros. Non si vuole invece affermare che il discorso di Fedro sia un discorso incolto, anzi; Fedro imbastisce un intervento che è praticamente una collazione di citazioni, un riferimento continuo a quanto sul tema hanno affermato i più importanti poeti e scrittori della tradizione. Tale pratica citazionistica, però, è artatamente costruita per creare suggestione, suscitare una sorta di stato emotivo che produce illusioni e false immagini ma che si allontana dalla realtà.

E' ovvio che, in questo modo, Platone intenda ribadire la sua presa di posizione negativa nei confronti della sofistica, ossia quella pratica filosofica che, ritenendo impossibile per l'uomo accedere alla verità, riteneva fondamentale, per il filosofo, non il manifestare solide convinzioni da difendere nel dibattito pubblico, bensì l'acquisizione di una straordinaria competenza linguistica in grado di far prevalere le sue idee in qualsiasi contesto dibattimentale, suscitando consenso, indipendentemente dal fatto che lo stesso sofista fosse convinto o meno della verità delle sue asserzioni. Anzi, questi poteva sostenere una volta una tesi e un'altra quella opposta, e in entrambi i casi riuscire ad avere l'approvazione dell'uditorio, grazie alle sue capacità di fare leva, in particolare, sulla sfera emotiva della persona incompetente, vedendosi garantito l'accesso a posizioni di potere.

Non possiamo ovviamente ora approfondire questa tematica -che pure è presente in entrambi i dialoghi di cui ci occupiamo- (alla stessa dedicammo un corso nel 1996), ma solo far notare come il discorso di Fedro sia costruito sapientemente con questa tecnica retorica tesa alla persuasione ottenuta con suggestioni emotiva e non con il ricorso alla riflessione razionale. E ricordare anche che l'intera attività filosofica di Socrate (ma anche quella di Platone) era diretta a confutare in modo drastico il carattere ingannatore della sofistica.

E' evidente, inoltre, come in mezzo a tale successione di citazioni, pure si affermino concetti veri, sebbene non approfonditi e non valorizzati in quanto tali che, come vedremo -e ciò vale per tutti gli altri interventi- saranno ripresi e ricontestualizzati da Socrate.

Il discorso di Pausania

Nonostante la pochezza del discorso di Fedro, un punto fermo l'abbiamo già raggiunto: una discussione sull'amore coinvolge una tematica etica, ha cioè implicazioni morali. Con il successivo intervento di Pausania, si aggiungono ulteriori elementi, ad articolare gradatamente il tema, per preparare il terreno al discorso socratico, che riprenderà queste osservazioni ma le approfondirà in modo ineguagliabile. C'è poi un altro aspetto da sottolineare nel discorso di Pausania (figura storicamente sconosciuta, ma che appare in un altro dialogo platonico, il Protagora), fondamentale per comprendere l'intera opera.

Innanzitutto, se l'amore ha implicazioni etiche, poiché la morale riguarda il giudizio sul bene e sul male, anche l'amore sarà investito da queste doppia valutazione. Non è corretto quindi il semplicistico elogio di Fedro, in quanto l'amore può avere un aspetto sia positivo sia negativo, essere buono ed essere però anche disdicevole.

"Ogni azione, del resto, ha questa stessa natura: compiuta in sé e per sé, non è né bella né brutta. Così, per esempio, in quel che noi ora facciamo, bere e cantare e conversare, non [ a] c'è nulla che sia di per sé bello, ma solo nel suo attuarsi, secondo il modo in cui vien compiuto, risulta tale; onde, fatto bene e rettamente, riesce bello, nel caso contrario, brutto. Nello stesso modo, neppure ogni innamoramento e ogni Amore è bello e degno di ricever lode, ma solo quello che induce a bene amare."



Per affermare questo, Pausania ricorre a un mito diffuso nella grecità, quello della «doppia Afrodite», Venere celeste e Venere pandemia, corrispondenti all'«amore celeste» e all'«amore volgare».

Si introduce quindi il tema della migliore forma di amore, che sarà al centro del discorso socratico, visibilmente non soddisfatto dalla distinzione operata da Pausania.


"Dunque, l'Amore della Afrodite Volgare è realmente anch'esso volgare, e opera a casaccio; ed è questo quello [b] secondo cui amano le persone dappoco. Tale gente si innamora, anzitutto, non meno di donne che di fanciulli, e poi, di chi s'innamora, ama più il corpo che l'anima, e predilige anzi le persone meno sensate possibili, mirando soltanto al raggiungimento del suo scopo, senza preoccuparsi se questo avvenga rettamente o no. Onde le accade di agire come càpita, sia bene, sia male. Il loro Amore deriva anche, infatti, dalla dea che è molto più giovane dell'altra, e partecipe, nella sua [c] nascita, tanto della natura femminile quanto di quella maschile."


La descrizione dell'amore volgare tende a condannare l'eros vissuto in modo esclusivamente sensuale, come appagamento immediato delle più elementari pulsioni corporee. Anche questo aspetto anticipa un contenuto forte del discorso socratico, teso a "desessualizzare"nella sua forma più alta, seppure non a escludere totalmente la sfera della sessualità.


Vediamo adesso la descrizione dell'«amore celeste»:


L'altro invece, che è poi l'amore per i fanciulli, è quello che procede dalla Afrodite Celeste, la quale anzitutto non partecipa della natura femminile ma soltanto della maschile e poi è più antica, e immune di lascivia; onde al maschio si volgono gl'ispirati da questo amore, prediligendo ciò che per natura è più forte e intelligente. E nella stessa passione per i fanciulli chiunque riconoscerebbe quelli che sono schiettamente animati da tale amore; questi, infatti, non si innamorano [d] dei giovinetti se non quando essi abbiano già cominciato ad aver senno, e cessino cioè, all'incirca, di essere imberbi. Giacché, penso, quelli che cominciano ad amare da allora sono predisposti come per una comunanza e connessione di vita che debba durare per tutta l'esistenza; e non già intenzionati, dopo aver sorpreso il fanciullo nell'ingenuità della sua giovinezza, ad abbandonarlo nell'inganno e nell'irrisione per


Il contenuto è chiaro, anche se può apparirci sorprendente: l'amore «celeste» è sostanzialmente maschile; l'oggetto di questo amore è pertanto sempre un maschio, ma la passione amorosa è libera da eccesso; essa non è diretta verso i fanciulli, ma verso color che sono alle soglie della virilità, il cui carattere può dunque assicurare una fedele e duratura amicizia. Prima di proporre una necessaria precisazione sull'omosessualità e la pederastia, concezioni dell'eros diffuse nella Grecia antica e sempre sottese (nel discorso di Pausania in realtà esplicitate in modo netto) nel Simposio, valutiamo il contenuto del brano, che anticipa un altro fondamentale contenuto poi proposto da Socrate:i il vero amore ama l'anima più del corpo e carca di comunicare la sapienza agli amati. Ispirato dalle virtù dell'anima, piuttosto che dalla bellezza effimera del corpo, questo tipo di amore è costante e duraturo ed è superiore



fuggirsene a un altro. E converrebbe anzi che ci fosse una legge che impedisse di amare i fanciulli, affinché non si [e] spendessero tante cure per un risultato ancora incerto: giacché non si sa mai a qual conclusione di deficienza o di bravura, d'anima e di corpo, essi possano riuscire nel loro sviluppo.


all'amore volgare per quanto riguarda i benefici che ne derivano sia all'amante sia all'amato. Le leggi di Atene sono in questo superiori a quelle delle altre città, nel valorizzare questo tipo di amore. Solo quando l'uomo più maturo ama l'anima del ragazzo e si prende cura della sua educazione e della sua saggezza è giudicato onorevole per l'amato gratificare sessualmente il suo amante, per amore di virtù.




I numerosi accenni alla omosessualità e alla pederastia, che era la forma di omosessualità più diffusa nel mondo greco, ha portato in alcuni casi, per un atteggiamento pregiudiziale, a non interpretare oculatamente alcuni passaggi del Simposio. In particolare in alcune interpretazioni della metà del secolo scorso, l'atteggiamento moralistico ha condotto a forzare l'interpretazione di alcuni passi, il che non costituisce atteggiamento scientifico corretto.

Bisogna precisare che Platone, nelle due sue principali opere politiche (Repubblica e Leggi), condanna apertamente l'omosessualità, auspicando delle leggi punitive di tale comportamento. In questo dialogo, invece, l'accenno a tale pratica è continuo, sostenuto da personalità autorevoli, senza che Socrate -che, ricordiamo, rappresenta il punto di vista dell'Autore- lo metta in discussione (anche se non si concentra esclusivamente su tali esempi):

Questa considerazione positiva della omosessualità (che non era esclusiva di Atene, ma ancora di più diffusa presso Sparta e altre poleis), costituisce un'eccezione (positiva, visto il carattere di tolleranza) della civiltà greca rispetto ad atteggiamenti contrari che rappresentavano la reazione maggioritaria nelle altre civiltà (e non solo antiche). Tale impostazione culturale (nel senso che questa visione faceva riferimento a un atteggiamento mentale che derivava da tradizioni profonde) si fondava su pregiudizi: innanzitutto quello della superiorità maschila(ben più affermato in Atene che a Sparta) - e può non essere un caso che, nella Repubblica di Platone, se da una parte si condanna l'omosessualità, dall'altra si afferma la più compiuta considerazione egualitaria della donna fino all'età moderna). Considerando la donna "inferiore" per ragioni sostanzialmente biologiche, era impossibile ipotizzare un amore con un essere non paritario. Non possiamo adesso parlare della agapé, ovvero dell'amore cristiano (e dell'amore egualitario in San Paolo o nel profeta Amos), ma è chiaro che il vero amore tra uomo e donna può sorgere solo dove quest'ultima ha raggiunta una totale emancipazione (quanto meno agli occhi dell'amante), perché l'amore è tale solo nella assoluta parità. E' per questo che tra le più alte forme di amore tramandeteci dallo spirito greci, spiccano - anche se non esclusivamente- quelle omosessuali.

Il discorso di Pausania è però tutt'altro che un'apologia di tale situazione. Prima di tutto perché egli cerca di elevare le relazioni omosessuali maschili al di sopra del piano sessuale, facendo dell'anima piuttosto che del corpo, il principio di scelta e la fonte di attrazione, e sottolineando i benefici intellettuali che un giovane fanciullo può ricevere da un uomo più maturo e più saggio di lui. A detta di alcuni, anzi, il discorso di Pausania rappresenta la più alta immagine che "la moralità greca ha potuto fare ai rapporti omosessuali maschili".

Altro aspetto interessante del discorso di Pausania è il riferimento positivo alla legislazione ateniese che, al contrario di quella di molte altre città, protegge l'amore e sostiene l'atteggiamento degli innamorati:.

"Si pensi infatti che, da una parte, si reputa più bello l'amare palesemente che di nascosto, e soprattutto i più generosi e valenti, anche se siano più brutti degli altri; e che anzi è straordinario l'incoraggiamento che da parte di tutti viene all'innamorato, come a persona che non compia nulla d'indecoroso. E sembra bello che si riesca a conquistare, e brutto che non si riesca; e, nei tentativi a ciò diretti, la consuetudine [e] permette all'amatore di poter esser lodato per il compimento di azioni singolari, per cui egli riceverebbe il massimo biasimo, se osasse farle mirando e cercando di raggiungere [ a] qualsiasi altro scopo."

Addirittura, secondo Pausania, l'amore compie il miracolo di rendere leciti dei comportamenti che, altrimenti, verrebbero condannati:

"Se un tale, infatti, volendo aver denaro da altri, o ottenere una carica o qualche altra facoltà, accettasse di compiere quello che gli amanti fanno ai loro fanciulli - essi che, nelle loro preghiere, invocano e supplicano, e fanno giuramenti, e restano a giacere presso le porte, e son disposti a sobbarcarsi a servigi quali nessun servo accetterebbe - sarebbe ostacolato nel mantenimento di una tale condotta tanto dai suoi amici quanto dai suoi nemici, questi vituperando il suo contegno da adulatore e da schiavo, quelli [b] cercando di farlo rinsavire e sentendo vergogna per lui. Mentre, invece, l'innamorato che compia tutto questo è circondato di favore, e la regola gli permette di poterlo fare senza disdoro, come se egli stesse intendendo a qualche opera veramente bella. E quel che è più forte - secondo, almeno, quanto dicono i più - è che solo a lui gli dei perdonano la trasgressione al giuramento: giacché, dicono, non c'è giuramento d'amore. Così tanto gli dei quanto gli uomini hanno [c] concessa ogni libertà a chi ama, secondo quanto stabilisce la consuetudine qui vigente."

Ovviamente, tale tolleranza si giustifica solo verso l'amore celeste, mentre è giusto perseguire quello volgare. Ma come si distingue l'uno dall'altro? Attraverso un gioco sostanzialmente irrealistico, che rivela la debolezza dello stessi discorso di Pausania, nonostante gli elementi di interesse prima da noi richiamati, di valutare le schermaglie tra gli innamorati all'inizio del loro rapporto:

"Costoro appunto vuol controllare, in modo preciso e opportuno, la nostra regola, [ a] affinché si debbano questi favorire e quelli sfuggire; e perciò esorta gli uni a insistere e gli altri a ritrarsi, suscitando la gara e sperimentando a quale delle due specie appartenga, di volta in volta, l'amante, e a quale l'amato. E così, per questa ragione, si stima brutto, prima, il lasciarsi conquistare troppo rapidamente, affinché si lasci trascorrere del tempo, che si considera infatti buon controllo per la maggior parte delle cose; ed egualmente brutto, poi, il lasciarsi sedurre dal denaro o dalle influenze politiche, sia che, subendo violenza, ci si intimidisca e non si resista, sia che, ricevendo benefici in [b] denaro o in vantaggi politici, non li si disdegni: giacché nessuna di queste cose par sicura e stabile, anche a prescindere dal fatto che non può nascerne un'amicizia generosa. Il nostro costume non lascia dunque che una via, per cui l'amato possa compiacere onestamente all'amante. Da noi infatti è regola che, come per gli amanti l'esser disposti a sottomettersi a qualsiasi servitù verso i loro fanciulli non costituisce [c] né adulazione né infamia, così appunto resta un'altra sola servitù volontaria non indecorosa: e questa è quella che ha per fine la virtù."



Qualcuna di queste osservazioni la potrebbe approvare anche Socrate (ola sottovalutazione delle ricchezza e degli onori, ad esempio), ma è chiaro come risulti altamente improbabili dare luogo a una legislazione non arbitraria basandosi su osservazioni di così difficile interpretazione.

Pausania così conclude: "Occorre dunque che entrambe queste regole, quella sull'amor dei fanciulli e quella sull'amore della sapienza e di ogni altra virtù, sian fatte concorrere allo stesso [d] fine, se deve accadere che riesca bella la condiscendenza dell'amato verso l'amante."

Il discorso di Erissimaco

Il discorso che segue, quello del medico Eressimaco, è l'ultimo dei discorsi minori dell'opera; in realtà l'intervento di questa personalità viene anticipato a causa del singhiozzo di Aristofane, che lo costringe a cedere il suo turno. Particolare apparentemente macchiettistico, in realtà - come diremo più avanti - piuttosto significativo.

Il discorso di Eressimaco è tuttavia molto interessante, in quanto espone una visione dell'eros fondata sulla sapienza filosofica pre socratica, ovvero su quella filosofia della natura che si suole far coincidere con l'inizio della filosofia. Una visione del mondo inizialmente respinta dalle nuove filosofie sofistica e, in parte, anche socratica, ma che venne significativamente ripresa, per alcuni aspetti, dal Platone più tardo, e definitivamente riabilitata in un ruolo fondamentale nella disciplina filosofica più avanti, da Aristotele.

Nel contesto dell'opera che stiamo esaminando, quest'intervento ha lo scopo di raccogliere tutte le riflessioni che, sul tema dell'eros, aveva espresso l'intera tradizione greca. Eressimaco è l'unico che non limita il tema dell'amore agli esseri viventi, ma lo intende quale forza cosmica che governa l'intero divenire del pianeta, persino le realtà inanimate. Per questioni di tempo, noi non possiamo entrare nel dettaglio di questo discorso, precisandone i principali riferimenti (in particolare la filosofia di Empedocle), perché solo in parte sarà considerato, successivamente, da Socrate. Vi invito però a leggerlo, se possedete l'opera, perché è veramente una testimonianza pregevole di quella tradizione filosofica. Solo una cosa, però, mi preme ricordare: che anche questo discorso è elogiativo verso l'amore, ovvero lo ritrae come un'esperienza meravigliosa e positiva, fondamento della continua attività creatrice del mondo. E' importante notarlo, perché il quasi "colpo di scena" iniziale del discorso di Socrate, consiste proprio nello smentire queste caratteristiche positive dell'eors, almeno della sua apparenza.

Discorso di Aristofane

Con il discorso successivo, quello di Aristofane, compiamo un verso salto di qualità, ovvero hanno inizio quelle argomentazioni destinate ad essere ricordate tra le più rilevanti - e conseguentemente ad essere oggetto di continue elaborazioni- nel corso della filosofia. In particolare, ad Aristofane Platone fa pronunciare il famoso "mito degli androgini" che è tra i più famosi della sua filosofia, anche se, non essendo pronunciato da Socrate, è dubbio se esprima effettivamente una visione platonica.

Ma prima ancora di analizzare questo testo, è importante chiarire chi e che cosa rappresenta Aristofane nel contesto del Simposio, anche per ché in merito a questo argomento sono state proposte molte valutazioni suggestive. Aristofane - chi possiede ancora la vecchia dispensa potrà trovare valutazioni in merito- fu il più importante scrittore di commedie dell'antichità, le cui opere ancora oggi - al di là del loro essere dei capolavori- sono straordinariamente esileranti e coinvolgenti..Egli però, ino uno dei suoi capolavori, Le Nuvole, aveva lanciato pesanti accuse a Socrate, ritraendolo come il peggiore dei sofisti e sostanzialmente ribadendo una delle accuse che, molti anni più tardi, avrebbero condotto Socrate al processo e alla morte.

Il tono della commedia è quello di una durissima presa in giro, ma non si tratta solo di una caricatura letteraria; nell'opera platonica Apologia di Socrate¸dove si riporta l'intervento con cui Socrate si difese al processo, il filosofo parla sì dei suoi accusatori, ma afferma che essi si rifanno ad accuse ben più antiche, e fa riferimento esplicito alle Nuvole di Aristofane. Il fatto dunque che le accuse di Aristofane abbiano avuto un ruolo decisivo nel dare forza al gruppo che, all'interno di Atene, si opponeva all'attività di Socrate è più che una supposizione. Anzi, per alcuni interpreti, l'origine e il vero fondamento alto del processo a Socrate sta proprio in Aristofane.

Sembra curioso, a questo punto, che Platone abbia scelto di far discutere fra loro, nel Simposio, i due nemici, tra l'altro in una data di poco posteriore alla pubblicazione dell Nuvole.,







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