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'Noi chiediamo i diritti che sono concessi agli altri cittadini.'

filosofia



"Noi chiediamo i diritti che sono concessi agli altri cittadini."


Nell'inverno del 1685 Locke si trovava in Olanda da ormai due anni, in esilio volontario a causa dell'avversione della corte inglese nei suoi confronti, in quanto sostenitore di Lord Shaftesbury incolpato di alto tradimento. Qui, lontano anche fisicamente dalle tensioni dell'Inghilterra di Carlo II, dilaniata da scontri politici e religiosi, condizionato favorevolmente dal più disteso clima politico e sociale dei Paesi Bassi, Locke mise mano alla "Epistola de Tolerantia". L'opera, nata come lettera privata del filosofo all'intellettuale e amico Limborch, fu pubblicata anonima solamente quattro anni dopo la sua composizione, nel 1689 il filosofo già rientrato in patria a seguito dei nuovi sovrani d' Orange , da lui st 434h71e esso attivamente appoggiati.

Fu un successo enorme: l'Epistola fu tradotta immediatamente in olandese, francese ed inglese e il suo valore rimane chiaro anche al lettore moderno, per il contenuto innovativo, per la profonda e razionale analisi del concetto di tolleranza, oltre al fatto che essa rappresenta l'unica opera sull'argomento di cui il filosofo permise la pubblicazione, l'unica che egli nel testamento riconobbe propriamente come sua. Infatti nell' Epistola ritroviamo sviluppate ed approfondite tematiche, dimostrazioni e pensieri già presenti in altre opere lockiane precedenti - come il "Trattato sulla tolleranza" il "Primo" e il "Secondo opuscolo sul potere del magistrato civile in materia di culto religioso"- che, come detto, non vennero mai riconosciute dal filosofo, conscio probabilmente del fatto che esse rappresentavano tappe intermedie e quindi incomplete ed imperfette della sua teoria della tolleranza, che giunge proprio nell' " Epistola" alla sua formalizzazione finale. In essa Locke analizza criticamente il tema, affidandosi tanto alla induzione scientifica quanto al vaglio della esperienza, e facendo poi particolare attenzione alla lettera dei Testi Sacri, che divengono la sua fonte primaria di dimostrazione.








".che cosa pensi della reciproca tolleranza tra cristiani."



L'argomento della lettera si evince chiaramente oltre che dal titolo, dalle prime righe dello scritto: finzione letteraria o reale situazione, Locke risponde all'amico che lo aveva interrogato volendo conoscere il suo pensiero circa la " reciproca tolleranza tra i cristiani".

Al lettore moderno l'individuazione dei soggetti di tolleranza nei soli cristiani può certo apparire riduttiva, tuttavia non dobbiamo dimenticare che l' "Epistola" è un'opera seicentesca. Non è logico dunque aspettarsi un discorso di tolleranza che si apra al multietnico e a religioni diverse in tutto e per tutto: la cultura cristiana era pur sempre quella dominante in Europa e comunque i rapporti con altre culture religiose erano limitati tanto da non doversi porre il problema di una pacifica convivenza. Di più, basta riflettere sugli schieramenti impegnati nelle guerre religiose dell'epoca per comprendere come in realtà il tema della tolleranza dovesse necessariamente essere trattato in relazione alle diverse confessioni della cristianità. Del resto l'intolleranza e le persecuzioni religiose nascono, secondo Locke, principalmente nel momento in cui da una Chiesa si distaccano dei dissenzienti, le cui teorie sono mirate a cambiare in parte le credenze e le istituzioni della Chiesa madre. Come tali, questi gruppi sono considerati pericolosi perché potenzialmente distruttivi. L'eccessiva diversità non era insomma fortemente sentita come troppo pericolosa.

O, forse, volendo fornire una diversa prospettiva, la discriminazione nei confronti di religioni differenti - pensiamo all'ebraismo- era talmente radicata e tradizionalmente accettata che il suo superamento non si poneva come problematica filosofica agli occhi dei primi pensatori e intellettuali che sistematicamente, proprio a partire dal Cinquecento, si occuparono da un punto di vista "laico" , si dedicarono all'argomento. Non si può, infatti, certamente affermare che Locke sia stato il primo o l'unico filosofo a dedicare particolare attenzione a questa tematica; tuttavia la sua opera rimane punto di riferimento obbligato riguardo ad essa. La motivazione è semplice: con il filosofo inglese si ha per la prima volta, e in maniera completa, una analisi razionale attraverso un procedimento quasi scientifico di deduzioni e dimostrazioni del concetto di tolleranza, che non si presenta come riflessione marginale rispetto al sistema filosofico elaborato dall'autore, ma, come vedremo, al contrario vi è strettamente correlato.

Altro aspetto eccezionalmente innovativo: la tolleranza " non è soltanto un accorgimento politico bensì un carattere intrinseco alla religione cristiana ".

Ovvero: chi professa l'amore di Dio non può non amare il prossimo, essendo la carità un chiaro precetto evangelico. "La tolleranza di quelli che hanno opinioni religiose diverse è così consona al Vangelo ed alla religione, che sembra mostruoso che gli uomini siano ciechi in una luce così chiara".

La posizione di Locke in questo è estremamente critica rispetto alle posizioni comuni ed eccezionalmente anticonformista. Egli afferma chiaramente l'importanza marginale di una divergenza riguardante le "disposizioni ecclesiastiche" o il "culto esterno" rispetto a quella che può essere una vita senza colpa condotta anche sotto i dettami di una confessione diversa: ".perché allora io chiedo, quello zelo per Dio, per la Chiesa, per la salvezza delle anime, quello zelo così ardente che giunge a bruciare persone vive, perché quello zelo trascura e non punisce quelle infamie e quei vizi morali che, per parere unanime, solo diametralmente opposti alla fede cristiana, mentre si dedica unicamente e con tutte le sue forze, a correggere opinioni, il più delle volte concernenti sottigliezze che superano la capacità di comprensione della gente comune.?"

Lo sguardo che Locke getta sulla società europea del Seicento, sulle guerre di religione, sui conflitti intestini lo porta a concludere che spesso, sotto il pretesto religioso - perché a ciò si riduce - si celano interessi politici, la sete di potere e di ricchezza. E dunque egli sente necessario, onde definire il concetto, e, di più, l'utilità della tolleranza, stabilire i confini ed i limiti della Chiesa e dello stato, in relazione alle cause, ai fini ed ai modi della loro istituzione, affinché essi non entrino in conflitto.


Lo Stato


È definito in linea con le posizioni precipue della filosofia politica lockiana. Gli uomini, inizialmente viventi nello stato di natura, non sottoposti a leggi positive, godevano di una libertà illimitata - che non diventa mai licenza, grazie alla presenza di una legge morale - inficiata però dal costante timore della perdita di essa a causa di altri uomini. Al fine di goderne meglio, gli uomini si sono quindi uniti con un patto sociale formando la società politica. Il fine ultimo di essa è dunque il preservare la "proprietà privata" dei singoli. Questa, in Locke, è un bene complesso, che non si limita ai beni materiali, ma investe tutta la sfera della persona e quindi anche la libertà di scelta per quanto riguarda la religiosità.

"Mi sembra che lo stato sia una società di uomini costituita per conservare e promuovere soltanto i beni civili. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l'integrità del corpo, la sua immunità dal dolore, i possessi delle cose esterne, come la terra, il denaro, le suppellettili".

Lo stato dunque, per i mezzi, i modi ed i fini della sua istituzione, non ha alcun potere decisionale o coercitivo in materia di fede. Infatti, al magistrato civile la cura delle anime non è stata affidata in modo particolare: "Né la cura dello stato, né il diritto di far leggi hanno svelato con maggior certezza al magistrato la via che conduce al cielo di quanto non l'abbia svelato ad un privato cittadino la propria ricerca". Inoltre egli non può conoscere con certezza quale sia la vera religione, e quindi, costringendo altri alla propria, non potrebbe garantirne la salvezza. Ma soprattutto: l'unico mezzo di cui il magistrato dispone è la forza delle leggi che si concretizzano in pene, dal valore coercitivo, che a nulla giova in materia di religione. Questa, infatti, consiste nella "fede interna all'anima", che deve essere cosciente e spontanea "senza la quale nulla ha valore presso Dio". Utilizzando le parole di Locke: "Se qualcuno vuole accogliere qualche dogma o praticare qualche culto per salvare la propria anima, deve credere con tutto il suo animo che quel dogma è vero o quel culto sarà gradito a Dio; ma nessuna pena è in nessun modo in grado di instillare nell'animo una convinzione di questo genere".

È l'affermazione più completa e profonda della libertà di coscienza del singolo. Locke afferma chiaramente, in questo come in altri passi, che la fede, per portare alla salvezza deve scaturire spontaneamente da una profonda e convinta adesione ai principi di una chiesa e che dunque a nulla vale la coercizione che si dimostra assolutamente controproducente: "Nessuna via che io imbocchi contro in comando della coscienza mi porterà mai in paradiso.non posso salvarmi con una religione sulla quale ho dei dubbi, con un culto che odio".

Lo stato, o il potere politico, non ha quindi possibilità alcuna di interferire con le scelte religiose del singolo, di imporre una religione piuttosto che un'altra, dal momento che "il potere dello stato concerne i beni civili, è contenuto entro la cura delle cose di questo mondo e non tocca in alcun modo le cose che spettano alla vita futura".

Ma, del resto, la Chiesa non ha e non deve avere possibilità di interferenze in ambito politico. Se la fede è un fatto esclusivamente personale, essa non può avere ripercussioni, positive o negative, sullo stato politico-sociale di chi vi ha aderito. Per meglio supportare la sua tesi, Locke effettua, come già per lo stato, un'analisi accurata della


Chiesa


"Mi sembra che una chiesa sia una libera società di uomini che si riuniscono spontaneamente per onorare pubblicamente Dio nel modo che credono sarà accetto alla divinità, per ottenere la salvezza dell'anima. Dico che è una società libera e volontaria.".

Anche la comunità ecclesiastica viene definita seguendo lo schema razionale utilizzato da Locke per lo stato; tuttavia per essa sono diversi non soltanto i modi, ma anche i fini, benché utilizzi mezzi uguali a quelli utilizzati dalla comunità politica: le leggi. Queste ultime sono, infatti, assolutamente necessarie per permettere ad una comunità di uomini di qualunque genere di sussistere senza dissolversi immediatamente. Ma le analogie si limitano a questo.

Nella definizione data della Chiesa, fondamentale importanza hanno due termini: libera e volontaria. L'uomo per sua natura non è costretto a far parte di alcuna comunità del genere, come invece, in un certo senso, è "costretto" dalla necessità a fare parte di una comunità politica, ma entra spontaneamente nella Chiesa che egli ritiene portatrice della vera religione. Da ciò scaturisce la liceità di abbandonare la comunità se vi si trovasse col tempo qualcosa di contrario alle proprie opinioni, o alla dottrina. Si evidenzia altresì come il fine della Chiesa nulla abbia a che fare con quello della società politica, constando nella salvezza delle anime di chi vi si riunisce: "Il fine della società religiosa è il culto pubblico di Dio e, attraverso di esso, il conseguimento della vita eterna".

A questo fine ed a questo soltanto devono tendere le leggi ecclesiastiche che abbiamo visto essere indispensabili, e che però non dispongono della forza della costrizione. La Chiesa possiede il potere di "cacciare ed eliminare del tutto dalla società i riluttanti e gli ostinati, che non danno speranza di poter essere corretti". Ma per la distinzione operata tra Stato e Chiesa, la scomunica non può colpire il singolo nei suoi beni terreni.



" Né le persone, né le Chiese e neppure gli Stati possono avere un qualche diritto di colpire gli uni i beni civili degli altri e deprivarsi a vicenda delle cose di questo mondo con il pretesto della religione"


Con questa affermazione Locke equipara la tolleranza che i singoli devono dimostrarsi reciprocamente, per la loro naturale eguaglianza, a quella che le diverse chiese devono avere tra di loro, motivata parimenti dalle consimile loro genesi.

Il filosofo, che ha fino a questo punto nella sua opera ha stabilito i rispettivi ambiti di azione delle due istituzioni analizzate, può avventurarsi ora nel terreno più specifico della tolleranza, ovvero nel terreno più pragmatico della applicazione di quella divisione di principio. Come si dovrà comportare un magistrato nei confronti delle diverse Chiese presenti nel suo stesso Stato? Che cosa egli dovrà considerare lecito nel rito e nel culto - visto che le proposizioni di fede non possono essere da lui poste in discussione- e cosa no? E come si dovrà comportare il cittadino posto a volte di fronte ad altri culti, o a indicazioni divergenti delle legge e della sua fede?

Per quanto riguarda il primo punto Locke afferma che né riti né culti possono essere definiti o proibiti dal magistrato civile.

" Il magistrato non può proibire nelle riunioni religiose i riti sacri di una qualsiasi Chiesa, né il culto in essa praticato, perché così facendo abolirebbe la Chiesa stessa, il cui fine è adorare liberamente Dio a proprio modo"

E argomenta: il culto pubblico di una Chiesa è una trasposizione di ciò che il seguace di quella Chiesa compie in privato, e come tale non è passibile di limitazioni. Questo ovviamente fintantoché esso non contenga danno per lo Stato, la vita o i beni altrui, poiché in questo caso il magistrato è autorizzato ad intervenire in vista di quell'utilità pubblica che è insieme fine e regola della sua azione.  Quindi, in riferimento a pratiche aberranti eventualmente presenti nel culto di una Chiesa, Locke afferma che: "queste cose non sono lecite né in casa propria né nella vita civile, e perciò non lo sono neppure nelle assemblee religiose e nel culto".

La posizione lockiana si può dunque riassumere con le parole stesse dello scritto: "ciò che è lecito nello Stato non può essere proibito dal magistrato nella Chiesa; e la legge non può né deve evitare che ciò che è permesso agli altri sudditi nella vita di tutti i giorni sia permesso anche nelle assemblee ecclesiastiche".

Il culto e la fede rimangono arbitrio del singolo, nessuno essendo più certo degli altri della verità della propria fede, o meglio, essendo ogni Chiesa la più ortodossa per se stessa nei confronti delle altre.

Leggiamo qui la posizione assolutamente critica di Locke nei confronti del dogmatismo, la polemica contro il quale, proprio in ambito religioso, ha portato alla formazione delle idee liberali di cui Locke è appunto considerato il padre.

Ma la distinzione così netta operata dal filosofo tra Stato e Chiesa può porre un serio problema: come si dovrà comportare il cittadino qualora "il magistrato con una legge condanni ciò che alla coscienza privata sembri illecito?". Partendo dal presupposto che la vita eterna è infinitamente più preziosa dei beni materiali, e che dunque si deve obbedienza prima a Dio e poi alla legge, Locke afferma che il singolo dovrà seguire la sua coscienza. Ma, essendo nel contempo cittadino, dovrà sottoporsi alla pena prevista per l'infrazione che ha commesso. Questa duplice visione dell'uomo, singolo soggetto della propria coscienza e cittadino sottoposto alle leggi civili sarà uno dei temi fondamentali dell'Illuminismo. Kant lo svilupperà ad esempio in modo diverso, svincolandolo dall'ambito religioso e riportando il tutto a d una dimensione razionale, non prevedendo la disubbidienza alle leggi, ma garantendo al singolo in quanto "studioso" la possibilità di esprimere il proprio dissenso nei confronti di una legge che ritiene ingiusta. Si tratterà in questo ambito, come già in Locke, di una ricerca di uno spazio di autonomia e libertà, questa volta non solo religiosa ma anche intellettuale.




La trattazione di Locke è sembrata fino a questo punto estremamente moderna ed in grado di sostenere una attualizzazione pressoché completa. Tuttavia l'influenza dell'epoca in cui l' "Epistola" fu scritta rimane presente, soprattutto nella ultima parte. In una delle sezioni finali, infatti, Locke si sofferma ad elencare le categorie di individui che non possono godere di tolleranza. Se è accettabile anche dal punto di vista   del lettore moderno il fatto che si neghi tolleranza a coloro che si pongono contro alla morale dei costumi e al diritto civile, più arduo risulta comprendere perché tale diritto venga negato ai cattolici o agli atei. Ma nemmeno in questo caso si tratta di posizioni ascrivibile ad una forma di dogmatismo, o di posizioni di principio da parte del filosofo, cosa che inficerebbe tutta la sua precedente trattazione. Entrambe le affermazioni hanno la loro ragion d'essere in qualcosa che va oltre la semplice divergenza religiosa, Gli atei sono considerati elementi potenzialmente molto pericolosi per lo Stato stesso, in quanto non credendo in alcun dio sono considerati da Locke privi di una qualsivoglia legge morale, e quindi incapaci di mantenersi fedeli al patto che ha fondato la società stessa. Per quanto riguarda invece i cattolici, esse non possono essere tollerati in quanto, professando la confessione della Chiesa di Roma, essi sono tenuti a riconoscere una autorità politica nel Papa, il che ne fa, all'interno di uno Stato autonomo, "sudditi di un altro principe", e come tali estremamente destabilizzanti per il potere.



Ultima ma non meno importante riflessione sull'opera lockiana e sul suo portato: il filosofo si dimostra in molti passaggi consapevole del fatto che le diverse opinioni religiose sono solamente il pretesto per una ribellione cui sono costretti  alcuni gruppi di individui a causa della oppressione della discriminazione. Locke infatti consapevole,ed in questo supportato dalla esperienza del suo tempo, che "i governi giusti e moderati sono ovunque quieti e sicuri: ma i sudditi oppressi da poteri ingiusti e tirannici recalcitreranno sempre. So che spesso nascono le sedizioni e che il più delle volte esse si richiamano alla religione; ma è anche vero che il più delle volte i sudditi sono maltrattati per la loro religione e per essa vivono male".

Dunque, ciò che si deve fare, per giungere ad una convivenza pacifica e quindi ad una situazione ottimale per lo sviluppo di tutte le attività umane, è applicare la tolleranza, quella stessa che egli ha dimostrato essere precetto evangelico : "elimina l'ingiusta distribuzione dei diritti, muta le leggi, abolisci le pene con le quali li torturi, e tutto diventerà sicuro".




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