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Keplero: la tenacia nella ricerca della verità

filosofia







Indice









  1. Vita e opere 1
  2. La figura umana e sociale di Keplero    3
  3. Il Mysterium Cosmographicum 4
  4. Keplero e Galilei  5
  5. L'eredità delle osservazioni planetarie di Tycho Brahe 6
  6. Le tre leggi di Keplero  6
  7. Keplero e l'ottica 8



Bibliografia   10



















Keplero: la tenacia nella ricerca della verità


Vita e opere

Giovanni Keplero nacque a Weil der Stadt, nel sudovest della Germania, il 27 dicembre 1571. Nonostante i suoi genitori fossero luterani, egli fu battezzato cattolico, ma poi e 323h78d ducato nella dottrina della Riforma, alla quale rimase più o meno legato per tutta la sua vita. Di modeste origini, fu inizialmente avviato all'attività artigianale. Costretto dalla debole costituzione ad abbandonare il lavoro, iniziò gli studi teologici e umanistici presso il seminario di Tubinga, dove contemporaneamente frequentò le lezioni di matematica di Michael Mästlin, seguace della teoria eliocentrica sviluppata dall'astronomo polacco Niccolò Copernico. Convinto che la semplicità della disposizione planetaria ipotizzata da quest'ultimo corrispondesse alla perfezione del disegno divino dell'universo, Keplero accettò immediatamente l'ipotesi copernicana.

Nel 1594 lasciò Tubinga per trasferirsi a Graz dove, oltre a dedicarsi all'insegnamento della matematica, assunse l'incarico di compilare almanacchi annui che gli procurarono vasta fama. Durante quel periodo, elaborò una complessa ipotesi geometrica per spiegare le distanze tra le orbite planetarie, che erroneamente credette circolari. Suppose che i pianeti fossero vincolati a muoversi lungo le loro orbite per effetto di una forza esercitata dal Sole e illustrò gli studi relativi a questa teoria in un trattato dal titolo Mysterium Cosmographicum: quest'opera, pubblicata nel 1596, rappresenta la prima esposizione completa e convincente dei vantaggi geometrico-matematici della teoria copernicana. Ma proprio all'inizio del 1600, a causa di un decreto che ingiungeva l'espulsione di tutti i protestanti, Keplero dovette lasciare Graz restando, fra l'altro, senza lavoro. Fu per lui provvidenziale, anche alla luce della sua futura attività scientifica, ricevere in quel momento un invito da Tycho Brahe (1546-1601) a recarsi con lui a Praga, incaricandogli di rifare il calcolo dell'orbita di Marte; ma l'unione non fu facile per Keplero dal punto di vista umano poiché Tycho era un uomo con il quale non si poteva vivere senza esporsi ai più grandi insulti.  La breve coincidenza dei due studiosi fu però sufficiente perché alla morte di Tycho, avvenuta nel 1601, Keplero potesse succedergli come matematico imperiale alla corte di Rodolfo II. Ed è proprio grazie all'eredità delle osservazioni di Tycho Brahe che Keplero (il quale, fra l'altro, non godeva di buona vista e doveva perciò servirsi di osservazioni altrui) potè successivamente dedurre le sue famose leggi del movimento dei pianeti. A Praga compose la sua opera principale l'Astronomia Nova(1609), che contiene la formulazione delle prime due leggi che portano il suo nome, alle quali giungerà grazie alle misure compiute da Tycho sulle posizioni del pianeta Marte. Alla morte dell'imperatore Rodolfo II (1612), Keplero insegnò matematica a Linz fino al 1626. In questo periodo, diede anche un contributo nel settore dell'ottica, in particolare con la Dioptrice (1611), nella quale espose i fondamenti di una teoria della visione capace di legittimare il cannocchiale di Galilei, e sviluppò un sistema di infinitesimi in matematica che anticipò il calcolo infinitesimale. Sempre in questo periodo (1618) pubblicò la sua opera preferita: Harmonices mundi, nella quale, oltre ad esporre la sua terza legge, metteva in relazione le leggi armoniche dei suoni con i movimenti dei pianeti. Più o meno nello stesso periodo iniziò la stesura (durata tre anni) dell'Epitome Astronomiae Copernicanae in cui erano riunite tutte le sue scoperte. Questo testo fu il primo manuale di astronomia basato sulla teoria copernicana, e nei successivi tre decenni ebbe una notevolissima influenza sugli astronomi del tempo. Nel 1626 fu costretto a lasciare l'Austria a causa delle persecuzioni contro i protestanti. Visse a Ulma, a Sagan e infine a Ratisbona, conducendo una vita difficile, piena di amarezze e di dolori. Nel 1627 pubblicò le Tavole Rudolfine, le nuove tavole fondamentali dei pianeti basate sul moto ellittico ed eliocentrico. Quest'opera, iniziata da Keplero sin dai tempi in cui era assistente di Tycho, permise per oltre un secolo di calcolare con la massima esattezza la posizione dei pianeti del sistema solare, confermando definitivamente la validità delle sue tre leggi.

L'opera di Keplero, che segnò una vera e propria rivoluzione nello sviluppo dell'astronomia e nella comprensione del moto planetario, fornì al matematico e fisico Isaac Newton la base concettuale per la formulazione della legge di gravitazione universale, che aprì le porte alla scienza della matematica celeste. Morì nel 1630 a Ratisbona.

L'opera di Keplero è ricca di fondamentali contributi scientifici, ma vi traspare anche un pensiero filosofico di orientamento spirituale, di indole neoplatonica e a tratti pitagorica. Sebbene i due ambiti, quello scientifico e quello filosofico, appaiano spesso mescolati, una lettura attenta permette di notare come egli sapesse distinguere i due campi, ed entrare nel discorso filosofico solo dopo un duro lavoro matematico. Sarebbe quindi errato accostarsi allo spirito dei suoi scritti secondo una prospettiva esclusivamente filosofica, ignorando che la parte più importante del suo lavoro fu rappresentata dall'osservazione celeste e dalle innovative argomentazioni matematiche e fisiche. Tuttavia, non va dimenticato che il Keplero filosofo e teologo condizionò la vita del Keplero scienziato. E questo non solo nelle sue opere mature, come nell'idealistica ricerca di una sintesi fra cristianesimo e neopitagorismo dell'Harmonice Mundi, ma anche nel suo giovanile Mysterium Cosmographicum, pubblicato quando aveva solo 24 anni, col quale si proponeva di trovare il misterioso "perché" del numero, delle distanze e delle velocità dei pianeti del sistema solare. Egli consacrò in fondo la sua vita intera a questo programma, che quasi pensò di vedere compiuto dopo anni di indicibile lavoro interamente dedicato alla matematica e ai calcoli.




La figura umana e sociale di Keplero

Brutto mestiere quello dell'astronomo di fine '500: ore e ore al freddo della notte, a osservare ad occhio nudo le stelle, a prenderne le misure con complicati marchingegni e a immergersi in lunghissimi calcoli per stabilirne la posizione durante tutto l'anno.

Di queste cose Keplero, che pure fu il più grande astronomo di tutti i tempi, fece soprattutto l'ultima. Era miope e non sarebbe stato capace di distinguere una stella da una lucciola. In compenso era uno scrupoloso e instancabile matematico, capace di portare avanti calcoli complicatissimi anche per giornate intere.

E' riduttivo ricordare Keplero solo per le sue tre leggi, perché è stato un uomo di grande ricchezza culturale e umana, che ha condotto con tenacia la sua ricerca della verità. Egli era disposto a ricominciare tutto daccapo ogni volta che si accorgeva  di essere arrivato ad una semplice approssimazione; non rinnegava i propri errori bensì li scriveva nelle proprie opere, in quanto solo riflettendo sui propri errori si può arrivare alla verità. In questo sta la sua grandezza e la sua modernità.

La fortuna del miope Keplero fu quella di diventare assistente di Tycho Brahe, un famoso ed esperto astronomo, così abile che il re di Danimarca gli aveva regalato un'intera isola per trasformarla in osservatorio. Grazie alla precisione delle osservazioni di Tycho e alla propria perseveranza nei calcoli matematici Keplero fece delle scoperte rivoluzionarie, quelle che oggi studiamo come le tre leggi di Keplero. La più importante afferma che i pianeti si muovono descrivendo una semplice ellisse: era questa semplice figura geometrica (una circonferenza un po' schiacciata) quella da secoli cercata dagli astronomi di tutto il mondo per le orbite dei pianeti! Il moto dei pianeti diventava di una semplicità e di un'armonia mozzafiato, ora che non c'era più bisogno di ricorrere alle tortuosissime costruzioni geometriche usate fino a quel momento da tutti gli altri scienziati, Galileo e Tycho inclusi.

Eppure i calcoli di Keplero vennero snobbati da tutti. C'era un motivo, ovviamente: come ci si poteva fidare delle conclusioni di un personaggio che, tra una formula e l'altra, si metteva a discutere delle anime dei pianeti? Che aveva trovato delle relazioni matematiche tra le orbite dei pianeti simili a quelle esistenti tra le note della scala musicale, e parlava di una "musica divina dei pianeti"? Un tipo poco serio, non affidabile. D'altronde anche la famiglia era di dubbia reputazione: sua madre era stata in prigione per un anno e per un pelo non era stata bruciata sul rogo come strega, con l'accusa di sortilegio, magia nera e traffico di teschi umani. Come fidarsi di uno scienziato così? In realtà Keplero non era né uno stregone né tanto meno un pazzo, era soltanto un astronomo che, al contrario di quello che avrebbe predicato Galileo da lì a pochi anni, non si accontentava di scoprire le leggi matematiche della Natura (il come), ma ne cercava le spiegazioni metafisiche (il perchè). Era razionale e mistico allo stesso tempo, appassionato di astronomia come di astrologia, soprattutto affascinato dall'ordine che sprigionavano i cieli, quell'armonia che lui stesso aveva contribuito a rivelare con le ellissi. Ed era convinto che dietro quell'armonia celeste si nascondesse la chiave per comprendere i segreti dell'universo. Per qualunque altro scienziato le tre leggi non rappresentavano che delle comode espressioni matematiche per calcolare le orbite dei pianeti; per Keplero quelle formule, così lineari ed eleganti, significavano qualcosa di più: erano la rivelazione della perfezione di Dio. In fondo Keplero era figlio di un'epoca in cui religione, superstizione, magia, scienza, poteri naturali e occulti vivono gomito a gomito.

Il Mysterium Cosmographicum

L'ingresso di Keplero nel mondo dell'astronomia avvenne con la pubblicazione del Mysterium Cosmographicum, concepito a Graz ma pubblicato a Tubinga nel 1596 con l'appoggio di Mästlin. Un'opera dal contenuto originale, fra le cui pagine ritroviamo il vero Keplero, rigoroso nei calcoli, sistematico nelle ricerche ma assai personale nelle interpretazioni. L'autore ne fu così soddisfatto che a distanza di molti anni, nel 1621, volle riproporne una seconda edizione corredata di lunghe annotazioni, per aggiornarvi quanto appariva ormai superato. Il Mysterium è una visione copernicana dell'universo il cui punto di partenza non è solo l'eliocentrismo, ma soprattutto il fatto che la teoria copernicana era la sola finalmente in grado di fornire le distanze relative dei pianeti dal Sole, distanze che non era possibile calcolare con la precedente astronomia tolemaica, in quanto essa non diceva nulla circa la reale situazione spaziale dei diversi pianeti rispetto al centro del sistema planetario, essendo le diverse "sfere rotanti" (orbes) immaginate l'una contigua all'altra. Keplero intravide proprio in ciò il principale merito della nuova cosmologia copernicana, e non solo nel fatto che essa offriva una soluzione più convincente della complessa struttura tolemaica per spiegare le "anomalie" dei moti planetari.

Lo scopo principale del Mysterium Cosmographicum  è di dimostrare che, nella creazione del mondo e nella disposizione dei cieli, Dio "ha guardato quei cinque solidi regolari notabilissimi dal tempo di Pitagora e di Platone fino ai nostri e che Egli accomodò alla natura di essi il numero degli orbi celesti, le loro proporzioni e i loro movimenti". I solidi a cui Keplero si riferisce sono i cinque solidi perfetti della geometria euclidea (tetraedro, cubo, icosaedro, ottaedro e dodecaedro) le cui superfici circoscrivevano le orbite sferiche dei sei pianeti allora conosciuti. Egli stesso racconta, nella prefazione, che nel luglio del 1595, mentre si preparava a spiegare agli alunni come le congiunzioni consecutive di Giove e Saturno presentano un salto di otto segni zodiacali nel circolo massimo dell'eclittica, gli venne in mente di disegnare un triangolo inscritto fra le orbite dei due pianeti. Notò che poteva vedersi geometricamente come l'orbita di Giove era la metà di quella di Saturno. Tentò quindi di trasferire questo concetto, purtroppo senza successo, ai due pianeti Giove e Marte. Alla fine si convinse che doveva usare delle figure tridimensionali. Gli venne allora in mente di tentare di inscrivere nelle orbite i cinque poliedri regolari. Keplero, affrontando il problema del perché dei moti dei pianeti e della loro velocità, ritiene che si debba accettare una delle seguenti affermazioni: "o le anime motrici dei singoli pianeti sono tanto più deboli quanto più distano dal Sole, oppure c'è una sola anima motrice, posta nel centro di tutti gli orbi, ossia nel Sole, che sospinge ogni corpo: con maggior forza i corpi vicini, con forza minore quelli lontani, in ragione della attenuazione della forza con la distanza" (P. Rossi, La nascita della scienza, p.97). Keplero opta per la seconda ipotesi, arrivando al prezioso traguardo raggiunto dal Mysterium: i pianeti ruotano attorno al Sole, che è la causa fisica del loro moto; la "virtù" che ha sede nel Sole e che è responsabile del moto dei pianeti si affievolisce con la distanza, così che le velocità planetarie sono inversamente proporzionali alle distanze tra i pianeti e il Sole.


Keplero e Galilei

Nel tentativo di diffondere il più possibile la sua opera, inviò copie del Mysterium a diversi colleghi, tra cui Galilei e Tycho Brahe. Ricevutolo, Galileo rispose con una lettera di ringraziamento, confessando che anche lui, da tempo copernicano, stava aspettando il momento opportuno per far conoscere i suoi argomenti in favore di tale ipotesi. Incoraggiato da questa risposta, Keplero scrisse nuovamente a Galileo, proponendogli di fare osservazioni simultanee, in Germania e in Italia, per tentare di scoprire la parallasse annua delle stelle, un risultato che avrebbe rappresentato una dimostrazione geometrica, decisiva e definitiva, del moto di rivoluzione terrestre intorno al Sole. Ma Galilei lasciò cadere questa proposta e l'esperimento non fu mai realizzato (lo sarà solo due secoli dopo, quando si disporrà di strumenti con un sufficiente potere risolutivo). Qualche anno dopo, Galilei inviò a Keplero copia del Sidereus Nuncius (1610) chiedendogli un parere sulle scoperte fatte con il telescopio; questi lo accolse con entusiasmo, stilando lunghe considerazioni di apprezzamento in una Dissertatio cum nuncio sidereo. Gli interessi e i metodi dei due studiosi erano diversi: Keplero rimaneva soprattutto un astronomo, dedito ai calcoli, impegnato a cercare argomenti per giustificare le sue teorie sulla base dell'ingente quantità di osservazioni effettuate da Tycho Brahe; Galileo prediligeva, invece, la sperimentazione fisica e tentava di provare i moti della terra con analogie intuitive ed argomenti un po' azzardati (e talvolta errati). Fu davvero una contingenza storicamente sfortunata che i due geniali personaggi non trovassero un comune terreno di intesa nella difesa del copernicanesimo, con una collaborazione che avrebbe certamente condotto ad importanti conseguenze, e non solo sul piano astronomico.


L'eredità delle osservazioni planetarie di Tycho Brahe

Di spirito sperimentale ed induttivo, Tycho Brahe non condivideva il contenuto del Mysterium Cosmographicum, che considerava una cosmologia costruita, per così dire, a priori. Tuttavia, egli vedeva nel giovane Keplero un talento ed una tenacia fuori del comune. Questi fu assunto inizialmente come calcolatore per aiutare il maestro (personaggio assai particolare e custode geloso delle sue osservazioni) nella riduzione dei dati osservativi. A Keplero fu assegnato il compito di elaborare una teoria dei movimenti di Marte. Tycho insisteva nel voler accomodare alle osservazioni i parametri dell'orbita del pianeta impiegando ancora il sistema geometrico ereditato da Copernico, il cui assioma fondamentale richiedeva che «tutti i moti dei corpi celesti fossero circolari e uniformi, oppure una composizione di essi». Ma Keplero non riteneva necessario dover conservare questo criterio, cosa che rendeva la collaborazione con Tycho non sempre facile, né priva di disaccordi al momento di interpretare le osservazioni del pianeta rosso. Nessuno sa fino a quando sarebbe potuta durare la loro collaborazione: la morte del suo maestro, avvenuta nel 1601 dopo appena un anno dall'inizio della riduzione dei dati, lasciò il campo libero a Keplero e al suo lavoro. Nominato matematico di corte di Praga come successore di Tycho Brahe, titolo che mantenne per trent'anni fino alla sua morte, Keplero ricevette l'incarico di continuare il progetto di preparazione delle Tavole Rudolfine sulla base delle osservazioni astronomiche del suo predecessore. Keplero era adesso libero di affrontare il problema dell'orbita del pianeta Marte come riteneva più opportuno.


Le tre leggi di Keplero

Dopo aver provato tutti i possibili schemi geometrici per accordare i dati osservativi con le orbite planetarie, si convinse che era necessario tentare nuove ipotesi. La scelta di Marte fu, a questo proposito, una scelta fortunata, perché il pianeta possedeva la più grande eccentricità fra i pianeti maggiori del sistema solare e gli effetti dell'ellitticità (rispetto a quanto sarebbe apparso in regime di moto circolare) erano in questo caso maggiormente percettibili. Keplero fu il primo a determinare che orbite dei pianeti non sono circolari ma ellittiche nelle quali il sole occupa uno dei due fuochi. Propose questa teoria in un opera intitolata Astronomia Nova del 1609 lavorando sui dati delle osservazioni di Marte compiute da Brahe. L'ellisse rendeva perfettamente conto delle apparenze di Marte e degli altri pianeti, essa spazzava via l'idea del moto circolare ed uniforme ma consentiva la modellizzazione geometrica dei moti celesti; finalmente con la scoperta dell'ellissi ci si poteva sbarazzare degli equanti, degli eccentrici, dei deferenti e degli epicicli, cioè di tutti quegli espedienti geometrici che avevano reso l'astronomia di Tolomeo ed anche quella di Copernico una struttura troppo complicata per apparire plausibile e razionale. L'affermazione che l'orbita dei pianeti è ellittica e che il sole occupa uno dei due fuochi, rappresenta quella che oggi noi conosciamo come la prima legge di Keplero. L'abbandono del cerchio e della velocità uniforme dei pianeti, spinse Keplero ad avanzare altre tesi che ebbero conseguenze importanti. Preso atto che i corpi celesti avanzano lungo le proprie orbite con velocità non più uniformi, Keplero riuscì a sottoporre le variazioni di velocità dei pianeti ad una regola precisa e costante che oggi è conosciuta come la seconda legge di Keplero. Questa legge afferma che le aree tracciate dal raggio vettore (la linea che unisce il pianeta al fuoco dell'ellisse dove si trova il sole) in tempi uguali sono sempre uguali. Ciò equivale ad affermare che la velocità di rivoluzione dei pianeti varia continuamente, è massima al perigeo (più vicino) ed è minima all'apogeo (più lontano). Keplero, convinto delle armonie matematiche dell'universo, stabilì anche una relazione precisa tra le dimensione delle orbite dei singoli pianeti e i loro periodi di rivoluzione: affermò infatti che sempre, cioè per ognuno dei pianeti e in ogni momento delle loro orbite, valeva la regola per cui il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione ed il centro del semiasse maggiore dell'ellisse è costante. Questa regola è nota come la terza legge di Keplero. Ciò equivale ad affermare in termini più semplici che la velocità di rivoluzione dei pianeti, diminuisce proporzionalmente man mano che ci si allontana dal sole e che tale diminuzione sta in una precisa relazione con le dimensioni delle diverse orbite. Il fatto che la velocità di rivoluzione diminuisca costantemente passando dai pianeti più prossimi al sole ai più remoti, spinse Keplero a ipotizzare che il sole fosse la causa del moto e della velocità dei pianeti. Dopo la distruzione del concetto delle sfere solide celesti, operata da Brahe, era infatti indispensabile postulare delle forze per mantenere i pianeti nelle rispettive orbite. In precedenza i pianeti poggiavano sulle orbite solide. Keplero suppose che il sole esercitasse sui pianeti un'azione magnetica. Tale azione non solo consentiva ad essi di mantenersi stabilmente nelle rispettive orbite, ma ne determinava anche la velocità di rotazione e la variazione di tale velocità. L'effetto dell'azione magnetica del sole variava secondo la distanza. Ciò spiegava perché i corpi più prossimi al sole procedessero con una velocità maggiore rispetto a quelli più remoti (seconda legge di Keplero) ed anche perché lo stesso pianeta procedesse ad una velocità diversa anche sulla propria orbita. Negli stessi anni in cui Galileo perfezionò il cannocchiale e senza disporre delle evidenze che Galileo avrebbe di lì a poco scoperto, Keplero rivoluzionò l'astronomia. Per la prima volta le forze entravano nel mondo celeste. Fino ad allora le forze non erano state considerate l'elemento fondamentale per la spiegazione del movimento degli astri, con Keplero inizia la disciplina della astrofisica, il dominio delle forze che regolano il movimento degli astri. Keplero, distrusse il vincolante tabù del cerchio al quale erano rimasti legati sia gli astronomi tradizionali, che Copernico e Brahe, ed aprì la via ad un'astronomia non solo descrittiva dei moti ma concepita come teatro di forze fisiche e teatro di spiegazioni causali dei movimenti. Ormai la distanza che separava il mondo terrestre e il mondo della fisica dal mondo celeste era colmata. L'astronomo diventava filosofo naturale ed era impegnato non solo a descrivere il movimento dei corpi ma a spiegare le cause fisiche in base alle quali erano disciplinati.

Principale preoccupazione di Keplero era quella di comprendere il senso del ruolo centrale del Sole, che evidentemente doveva essere la causa del movimento dei pianeti. Il suo "influsso" sembrava diminuire con la distanza. Egli non giunse ad ipotizzare la legge di gravitazione universale, perché riteneva ancora che questa attenuazione dell'influsso solare diminuisse in modo proporzionale all'inverso della distanza, e non con l'inverso del quadrato della distanza come sappiamo oggi. Ma egli vide giusto quando ipotizzò che l'attrazione reciproca fra la Terra e la Luna fosse la causa per spiegare il fenomeno delle maree, sebbene non estese questa intuizione anche agli altri pianeti. Il problema, che  perdurò fino a Newton (1642-1727), fu per lui capire come una forza di attrazione potesse costituire la causa delle orbite: per comprenderlo sarebbero stati necessari strumenti matematici che al tempo non erano ancora disponibili.

Purtroppo per Keplero l'astronomia stava cambiando molto in fretta e non poteva più accettare le sue teorie. Troppe divagazioni misticheggianti, troppi "perché" e anche troppa matematica: i suoi scritti erano terribilmente complicati e pochissimi erano in grado di capirli! Le tre leggi più importanti della storia dell'astronomia resteranno così dimenticate per quasi un secolo, finché Newton non le riscoprirà e le ingloberà nella sua teoria della gravitazione.


Keplero e l'ottica

L'Astronomia Nova è un'opera unica nella letteratura astronomica: in essa Keplero descrive tutti i suoi intenti, tanto i successi quanto i fallimenti; opera di difficile lettura, ma testimone di uno sforzo ancor più difficile, quello del suo autore per giungere, dopo otto lunghi anni di tentativi e di ipotesi, alle prime due leggi del moto planetario. In quella stessa epoca Keplero ebbe anche il tempo di dedicarsi alla pubblicazione di opere di ottica, forse spintovi dallo studio del fenomeno della rifrazione atmosferica, di cui occorreva necessariamente tener conto per correggere la posizione dei pianeti e calcolarne opportunamente le orbite. Riprendendo lo schema del cannocchiale galileiano,  Keplero suggerisce di sostituire la lente concava, impiegata come oculare, con una lente biconvessa la quale, anche se invertiva l'immagine, consentiva di sfruttare meglio la lunghezza focale dell'obiettivo principale, anch'esso costituito da una lente principale biconvessa. Nel Dioptricae si descrive questo nuovo tipo di strumento ottico. Questo telescopio, chiamato "astronomico" per differenziarlo dal cannocchiale terrestre galileiano, consentirà per la prima volta di fare misure di posizione sulla sfera celeste assai precise mediante l'impiego di un micrometro oculare. I circoli meridiani muniti di telescopio con micrometro faranno passare dalla precedente accuratezza di circa 2 minuti d'arco (quella delle misure di Tycho Brahe), ad una precisione di pochi secondi d'arco. Grazie a questo sensibile miglioramento tecnico, le successive osservazioni astronomiche sulle posizioni dei pianeti confermeranno le scoperte di Keplero, ma permetteranno anche la scoperta di nuovi fenomeni, come l'aberrazione della luce, all'inizio del Settecento, primo indizio di un movimento di traslazione della terra.





















Bibliografia


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