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FILOSOFIA DEL DIRITTO - FILOSOFIA DEL DIRITTO DEI FILOSOFI

filosofia



FILOSOFIA DEL DIRITTO





Nello studio della filosofia del diritto bisogna avere un approccio critico al diritto (interrogarsi sulla rilevanza teorica dei concetti del diritto, rilevanza socio-politica, rilevanza storica).


Come può essere intesa la filosofia del diritto?

In uno dei suoi trattati più famosi "Natura e funzione della filosofia del diritto" Norberto Bobbio, ci ammonisce dal cercare una sola definizione di filosofia del diritto.

L'espressione "Filosofia del diritto" si afferma 2 secoli fa in Europa con Egel che scrive "lineamenti di filosofia del diritto", ma non è l'unico ad essere citato, con lui anche Austin, "Una filosofia del diritto positivo" e Antonio Rosmini, "La filosofia del diritto". La caratteristica comune di questi trattati è che si prendono in considerazione questioni negative non comuni agli studi dei giuristi.

Non meno importante è il paragrafo che Bobbio dedica all'analisi della stretta parentela tra il Diritto e lo Stato, perché chi si occupa di saggi sullo stato si occupa anche di saggi sul diritto.

Nel terzo paragrafo del trattato Bobbio introduce le 2 prospettive sulla filosofia del diritto:




  • Filosofia del diritto dei filosofi
  • Filosofia del diritto dei giuristi

Se andiamo ad analizzare la storia della filosofia in generale troviamo molte filosofie diverse tra loro che si presentano come il tentativo di dare delle risposte ai massimi problemi (chi siamo?da dove veniamo?).

Si presentano come l'alternativa sul piano razionale alla religione, con gli strumenti della ragione e non della fede; nasce la METAFISICA che è un insieme di discorsi che riguardano il mondo e che hanno la pretesa di andare "oltre" il piano della semplice esperienza. (questo è l'ambito in cui si è tentato di dare risposte alle grandi domande della vita).La metafisica cerca di dare risposte ai grandi problemi mediante l'uso di strumenti speculativi ed intellettivi (i quali hanno il desiderio di spingersi oltre i dati dell'esperienza).


FILOSOFIA DEL DIRITTO DEI FILOSOFI

(è l'impresa teorica di chi si rivolge all'esperienza del diritto movendo da presupposti che servono anche per il diritto).

Nell'ambito della filosofia del diritto dei filosofi il diritto diventa l'oggetto di attenzione da parte della filosofia stessa con lo scopo di perseguire la conoscenza di una forma superiore di sapere.La filosofia del diritto dei filosofi esercita nell'ambito delle religioni, ambito in cui le riflessioni razionali sono tese a prospettare strumenti coi quali si possono dare risposte alle domande di "senso"


Il metodo è: utilizzare le teorie dall'alto ed applicarli al basso (il diritto)


ALTO


Costruzione di principi autoevidenti; ciò vuol dire che la filosofia del diritto dei filosofi è

da intendersi come quella disciplina filosofica, in ambito generale,che deve essere

applicata all'ambito particolare del diritto.



BASSO


Da questo metodo nasce l'essenza del diritto; si ha quindi una filosofia posta su un altro piano detto PIANO ONTOLOGICO-METAFISICO. Con questo metodo la filosofia ha la pretesa di individuare il "QUID IUS" ovvero l'essenza del diritto.Certe caratteristiche vengono immediatamente individuate e devono essere necessariamente presenti al fine di analizzare il diritto.Grazie a questo approccio il mondo del diritto è "un qualcosa a cui si arriva, non da cui si parte". Si deve quindi partire dalle visioni generali del mondo per poter arrivare alla filosofia del diritto.


FILOSOFIA DEL DIRITTO DEI GIURISTI:

Per parallelismo, nell'ambito della filosofia dei giuristi, il diritto diventa oggetto di attenzione a seguito di una attenta riflessione critica ( si attuano riflessioni sulle operazioni e sui discorsi dei giuristi e degli operatori del diritto).

La filosofia del diritto dei giuristi non è la disciplina filosofica praticata dai dogmatici e dai giuristi, ma è una sorta di analisi fatta tenendosi in stretto contatto con la prassi e la cultura giuridica.La filosofia del diritto dei giuristi è da intendersi come un DIRSCORSO SUL DIRITTO.


Il metodo è: utilizzare le teorie dal basso ed applicarli all'alto (filosofia).


ALTO





BASSO


Vi è un continuo contatto col mondo empirico del diritto. Si utilizza il metodo analitico smontando i pezzi uno alla volta.


Scarpelli a proposito della filosofia del diritto dei giuristi, nel suo saggio, sostiene che " è un modo di lavorare che tende a sviluppare la capacità di guardare dentro la macchina del diritto riconoscendo i pezzi, smontandoli e rimontandoli. E' l'intento di capire come funzionano o perché non funzionano o come potrebbero funzionare meglio".

Filosofia come metodologia, filosofia di qualcosa (del diritto, della scienza). Non solo analisi critica del diritto ma anche riflessione sui discorsi,sugli elaborati degli stessi giuristi (METADISCORSO).


A pag 44 del saggio di Scarpelli troviamo la definizione di diritto e di filosofia intesa come METODOLOGIA (filosofia di qualcosa). All'interno di questa filosofia si producono discorsi relativi ad altri discorsi.

Nel quotidiano lavoro dei giuristi è presente l'analisi dei vari oggetti del diritto nelle sue molteplici sfaccettature. Quest'analisi viene definita METADISCORSO da cui si ricava l'analisi di alcune nozioni come:

DIRITTO, NORMA, SANZIONE, REGOLA, OBBLIGO, PERMESSO, VALIDITA', EFFICACIA, EFFETTIVITA', POTERI, ORDINAMENTO GIURIDICO e LEGGE.


La concezione critico-metodologica fa riferimento alla rivoluzione scientifica.

  • metodo sperimentale
  • asserzioni sulla conoscenza devono essere dimostrate
  • utilizzo del metodo empirico induttivo

La rivoluzione scientifica è basata sul metodo, ovvero dispone di una procedura che permette di compiere operazioni per giungere ad un risultato; per controllare i passaggi che portano a quel risultato è necessario condividere intersoggetivamente il sapere.


Il metodo scientifico può essere così sintetizzato:

  • rifiuto del principio di autorità
  • regole di costruzione del sapere controllabili, verificabili
  • condivisione intersoggettiva del sapere

APPUNTI DAL LIBRO DI NORBERTO BOBBIO

Il positivismo giuridico è l'evoluzione di una volontà dominante, cioè essere positivo e giusto. Il criterio per giudicare la giustizia o l'ingiustizia della legge è lo stesso di quello usato per giudicare la validità o l'invalidità della legge stessa.

Il diritto è un insieme di regole imposte dal potere che detiene il monopolio della forza in una determinata società che, indipendentemente dal volere morale delle sue regole, serve al raggiungimento di certi fini desiderabili come:


-ORDINE

-CERTEZZA

-PACE

-GIUSTIZIA LEGALE


POSITIVISMO E GIUSNATURALISMO

Il positivismo:

1)modo di accostarsi allo studio del diritto come fatto reale e non come valore ideale.

2)convinzione che il diritto positivo, per il fatto che è emanazione di una volontà ordinatrice, sia perciò stesso giusto.

3)teoria del diritto che afferma l'esclusività del diritto positivo in relazione al carattere specifico che questo ha e che è il carattere della coattività.(diritto-stato).

4)l'ordinamento giuridico è un sistema e pretende la completezza dell'ordinamento rendendolo privo di discrezionalità, lacune ed antinomie.

5)il diritto è un insieme di norme che indipendentemente dai principi morali hanno un efficacia reale in una data società umana.(pensiero di Hobbes e Kelsen)


Il giusnaturalismo:

1)prevede l'esistenza di un diritto naturale cioè di un insieme di norme di comportamento la cui essenza l'uomo la ricava dallo studio delle leggi naturali.

2)il diritto naturale e razionale è universalmente valido, considerato il fondamento di ogni diritto civile.

3)stato di natura, reale o solo ipotizzato dall'ordinamento delle leggi naturali cui gli uomini avrebbero spontaneamente rinunciato attraverso un contratto sociale per dare vita a una società organizzata.(pensiero di Rousseau, Locke e Kant)


Questo nuovo metodo di intendere il sapere mette in luce il contrasto fra "il sapere controllato" e la filosofia della metafisica ( espressa da Kant) che si occupa delle questi 717c26h oni che vanno oltre la conoscenza empirica. Anche Hume, filosofico empirista, elabora sistemi che sono in grado si spiegare ciò che l'uomo non può controllare.

Con la rivoluzione scientifica la filosofia si impegna a trovare un metodo che le permetta di ripiegarsi su argomenti di competenza scientifica: nasce la filosofia della scienza/conoscenza (riflessione sul modo in cui si costruisce la conoscenza umana).

Per comprendere la filosofia del diritto dei giuristi bisogna far riferimento alla contestualizzazione storica e socio-culturale della filosofia del diritto. In secondo luogo è necessario prender coscienza della centralità della dimensione del linguaggio che comunemente viene ritenuto lo strumento di cui ci si avvale per esprimere i propri pensieri.

In realtà i pensieri sono già una sorta di linguaggio, ciò significa che non c'è dicotomia tra il linguaggio ed il pensiero.

Il punto di partenza degli elementi di teoria del linguaggio è la definizione stesse di linguaggio: combinazione di segni/suoni aventi un significato. Dalla definizione generica di linguaggio si passa alla determinazione del linguaggio verbale: combinazione di parole aventi un significato.Linguaggio e linguaggio verbale hanno un rapporto di "genere a specie".

La prima nozione di linguaggio è quella di segno la cui combinazione dà luogo ad un linguaggio dove i segni hanno un significato preciso.

A-B (se A sta per B)

A è segno di B quando A rimanda a B


Dagli esempi fatti si possono ricavare due tipologie di segni: i segni naturali e quelli artificiali:


SEGNI NATURALI: i segni, nell'accezione naturale,, hanno con le cose di cui sono segno una relazione che non dipende dalla volontà umana. I segni naturali sono fenomeni in cui, alla luce della rivoluzione scientifica, si può individuare la categoria di "causa-effetto".

SEGNI ARTIFICIALI: (simboli,parole) i segni artificiali hanno con le cose di cui sono segno una relazione che dipende dalla volontà umana. (Per poter comprendere i segni artificiali bisogna far riferimento alla parola: ISTITUZIONE, ARBITRIO, CONVENZIONE). Si parla di segni artificiali in presenza di atti espliciti che vengono chiamati CONVENZIONI poiché a certi segni viene attribuito un certo significato.


Per capire di che tipo siano le parole è opportuno fare riferimento al testo di Carlos Nino a pag. 220 (2° paragrafo).


"LE PAROLE E IL LORO RAPPORTO CON LA REALTA"

Le parole non hanno con la realtà un rapporto rispecchiativi; il linguaggio è uno strumento imprescindibile per la modificazione della realtà.

Per Nino le parole sono simboli utilizzati per rappresentare la realtà. Distingue poi i simboli dai segni che sono correlati all'oggetto che rappresentano da un rapporto di tipo naturale o causale; mentre tra i simboli e gli oggetti che essi rappresentano intercorre una relazione puramente convenzionale. La rappresentazione deriva da convenzioni stabilite implicitamente dagli uomini.

L'ESSENZIALISMO: esso ci fornisce tre chiarificazioni a proposito delle "PAROLE":

  • Tra le parole e ciò che significano c'è una relazione naturale
  • Le parole rispecchiano l'essenza (sostanza) delle cose
  • C'è un unico significato vero delle parole

Per poter spiegare il secondo punto espresso dall'essenzialismo, bisogna fare riferimento alla filosofia di Platone che è caratterizzata dalla tesi che nella realtà non ci sono soltanto le cose, gli aspetti che cadono sotto i nostri sensi. Esiste quindi "L'ESPERIENZA SENSIBILE" la quale però non è in grado di esaurire la realtà. C'è un ulteriore piano di realtà rappresentato dalle SOSTANZE e ESSENZE la quali fanno parte del mondo delle idee e ci fanno cogliere i fenomeni della realtà empirica. Il mondo delle idee lo si raggiunge con le pretese di conoscenza della mente e della ragione.


NELLA TEORIA DELL'ESSENZIALISMO:

  • Si ha la pretesa di cogliere il VERO significato delle parole (che corrisponde a cogliere le esatte caratteristiche ESSENZE, proprietà degli enti a cui si riferiscono).
  • La realtà è descritta secondo categorie del VERO e del FALSO
  • Le parole hanno un unico vero significato.

Nella convinzione essenzialistica del linguaggio;"Il linguaggio (è il fenomeno culturale per eccellenza, è il prodotto di una costruzione), è un' istituzione culturale (è l'ambito in cui si possono trovare le scelte, le decisione e le convinzioni)".




NELLA CONCEZIONE CONVENZIONALISTICA:

Il LINGUAGGIO è considerato come un'istituzione culturale, inoltre, è un prodotto fortemente segnato da degli accordi circa il suo uso corretto. Il linguaggio è un'insieme di segni che, attraverso complicati processi sono stati posti in altrettanto complesse relazioni tra loro e con elementi di esperienza no linguistica, per rispondere al bisogno degli utenti, dove le relazioni non sono casuali, ma conformi a delle regole.

Il linguaggio è dunque una struttura regolativa.


IL TRIANGOLO SEMIOTICO (nella prospettiva essenzialistica)

La semiotica è lo studio dei linguaggi e dei segni nei loro multiformi usi.

SEGNO (significante)

 



REFERENTE:

 









SIGNIFICATO



Riflesso del rapporto mentale con i segni, intesi nei loro aspetti essenziali, e con i loro significati.



IL TRIANGOLO SEMIOTICO (nella prospettiva convenzionalista)

REFERENTE: (ciò a cui il segno rimanda)

 

SIGNIFICATO




Non è un ente mentale "trait-d'union" tra le parole e le cose. E' la complessa relazione tra i segni e gli elementi non linguistici. Il significato si identifica con la regola d'uso di una parola o di un insieme di parole. Dunque ricercare il significato di parole e di insieme di parole vuol dire individuare in quali circostanze e a quali condizioni si può fare legittimo uso della comunicazione. Non esiste un unico vero significato dei termini ma regole dell'uso del termine.

Ai tre vertici del triangolo troviamo il segno che costituisce il linguaggio. I segni rimandano a "qualcos'altro"con il quale si riflettono assieme alla realtà. Nella prospettiva convenzionalistica il fenomeno linguistico si rappresenta con i segni e con il referente (ciò a cui il segno rimanda). In questa prospettiva il significato è una complessa relazione tra i segni e ciò per cui essi stanno.

Il triangolo semiotico consente di evidenziare la stretta interconnessione tra gli elementi del fenomeno segnino di tipo linguistico, cioè tra i segni e i significati, i referenti e gli interpreti o utenti. Inoltre, consente di individuare tre livelli di analisi del linguaggio, corrispondenti a tre livelle di regole che determinano formazione ed usi del linguaggio.

  1. LIVELLO SINTATTICO: comprende le regole relative alla combinazione dei segni tra loro.
  2. LIVELLO SEMANTICO: comprende quelle regole che riguardano il rapporto dei segni con le cose significate.
  3. LIVELLO PRAGMATICO: comprende le regole che determinano le relazioni tipiche tra segni, significati, utenti.

Dal libro di Nino capitolo 2 pag. 55-58


VERIFICAZIONISMO:


Esistono 5 tipi di linguaggio per trasmettere informazioni sul mondo secondo Nino:

  • Informativo
  • Espressivo
  • Interrogativo
  • Operativo
  • Prescrittivi

Secondo il pensiero di Nino il linguaggio è costituito da un insieme di segni in relazione con i fatti del mondo. Quindi Nino sostiene che i linguaggi sono dotati di significati, eccezion fatta per le preposizioni analitiche; sono tutti e soli i discorsi le cui preposizioni sono caratterizzabili come vere o false al termine di un controllo empirico, (cioè le preposizioni che possono essere messe in corrispondenza con i fatti del mondo). Dopo la rivoluzione scientifica si è portato l'attenzione sui discorsi delle scienze nel senso moderno del termine ed è stata elaborata la teoria secondo la quale i discorsi dotati di significato sono quelli muniti di segni che rimandano a precisi stati di fatto del mondo. Questi elementi possono essere messi in relazione con gli elementi dell'esperienza. Dotati di significato sono tutti i discorsi le cui proposizioni risultano vere o false al termine di una verifica empirica. 

La verificazione è il criterio col quale si distinguono le preposizioni vere da quelle false. In questa prospettiva i discorsi dell'etica sono privi di significato come quelli della metafisica.

Per analizzare le preposizioni analitiche non serve effettuare un controllo empirico; tutte le informazioni sono già contenute nel predicato dell'enunciato. Da qui derivano i ragionamenti sillogistici i quali non hanno bisogno di fare appello all'esperienza per il controllo degli enunciati. Si pongono così le premesse e derivano le conseguenze degli elementi delle premesse stesse (discorsi della logica e della metafisica).


Per gli orientamenti che negano l'attribuzione di significato delle preposizioni prescrittive, questi enunciati sono una sorta di ESPRESSIONE (nel prescrittivismo le situazioni e le espressioni possono essere empiricamente misurate) EMOTICA (emotivismo) pronunciata da Ayer.


Negli enunciati prescrittivi, come in quelli descrittivi dotati di significato, può essere individuato un elemento chiamato FRASTICO che contiene il riferimento 8attuale o potenziale) ad un certo stato di cose del mondo o ad una serie di azioni, fermo restando la diversa funzione degli enunciati (elemento NEUSTICO cioè quello indicatore della funzione).




  • ENUNCIATO DECRITTIVO: dare informazioni sul mondo per ingenerare o meno certe credenze sullo stato delle cose. Enunciati qualificabili come veri o falsi.
  • ENUNCIATO PRESCRITTIVO:  far fare qualcosa, orientare il comportamento. Enunciati qualificabili come validi o invalidi, giusti o ingiusti.

I LINGUAGGI DEL DIRITTO:


DISCORSI DEL DIRITTO, ovvero linguaggi delle norme, ma anche linguaggio relativo alle norme, sulle norme.

Il linguaggio giuridico è strettamente connesso al linguaggio ordinario ma ha una particolare struttura semantica delle parole.

  1. Tutti i termini del linguaggio ordinario che rientrano nel linguaggio giuridico, mantengono gli stessi significati, ameno che non abbiano un'esplicita e specifica ridefinizione.
  2. Altri sostengono invece una sorta di "autonomia" del linguaggio giuridico che ha caratteristiche specifiche, il linguaggio giuridico è considerato un linguaggio giuridico e tecnico.

IL LINGUAGGIO GIURIDICO: è ambiguo e tecnico. Dal libro di NINO pag. 230


Il linguaggio giuridico inevitabilmente eredita dei tratti, delle caratteristiche dal linguaggio ordinario e, per questo motivo, diventa ambiguo e vago. Nel linguaggio giuridico si possono riscontrare due tipologie di ambiguità: quella semantica e quella sintattica.

Per quanto riguarda l'ambiguità semantica (attinente al significato di una parola inserita in un certo contesto) si può affermare di avere un'ambiguità quando ad un termine possono essere ricondotti diversi significati. Si ha una ambiguità di questo tipo anche quando il contesto il cui termine o l'enunciato è usato, non ci aiuta ad identificare il significato appropriato.

Invece l'ambiguità sintattica (che si interessa dei problemi relativo al linguaggio coi quali gli interpreti si confrontano) tratta le incertezze di significato da attribuire ad un enunciato. Queste incertezze sono riconducibili alle modalità di costruzione della frase, in particolare all'uso dei connettivi.


VAGHEZZA: (pag. 234-235 dal libro di nino)

Il linguaggio giuridico ha una struttura aperta infatti anche le parole dal significato preciso, talora, in certi contesti possono dar luogo ad incertezza semantiche.




TEORIA DELLA DEFINIZIONE:


La statica della definizione mira ad individuare l'oggetto della definizione, individua il tipo di struttura della definizione.

La DINAMICA della definizione si occupa della funzione della definizione.


CONCEZIONE REALISTICA:


STATICA:

OGGETTO: "res"

NATURA: il discorso che può essere vero o falso

STRUTTURA: definizione diretta o per genere e differenza


La definizione è un discorso che riguarda il "cose delle cose", prende, cioè, in considerazione il significato essenzialistica delle cose.


DINAMICA:

Funzione: conoscitiva (attraverso la definizione degli enti, si conosce l'essenza stessa delle cose che si vanno a definire).


CONCEZIONE NOMINALISTICA E ANALITICA:


STATICA:

OGGETTO: i nomi

NATURA: formulazione mediante altri termini delle condizioni di uso del termine da definire

STRUTTURA: diretta o indiretta


DINAMICA:

Funzione: lessicale, stipulativi, esplicativa o ridefinitoria.



Il problema principale della teoria della definizione è quello della molteplicità delle definizioni. Il risultato dell'operazione definitoria viene considerato secondo la linea della concezione realistica (o definizione reale).

La definizione è considerate statica quando riguarda le cose e le entità, si riferisce cioè proprietà essenziali (essenza) delle cose, la natura dell'essenza delle cose può essere vera o falsa. Invece la si può considerare dinamica quando spiega a cosa serve la definizione e quando deriva dalla concezione nominalistica ed analitica; queste concezioni hanno per oggetto i nomi, i termini e gli enti linguistici. La definizione dinamica è indispensabile per trovare la corretta regola d'uso delle parole, deve cioè essere in grado di attribuire il giusto significato alle parole.


LA CONCEZIONE REALISTICA

Scarpelli, nel suo saggio, cerca di spiegare quali sono i termini mediante i quali si definisce il linguaggio.

Secondo Scarpelli i termini devono necessariamente avere delle "proprietà osservabili"; questi termini sono propri del linguaggio cosale e sono in grado di designare proprietà determinabili con l'osservazione diretta (linguaggio che rimanda alla realtà).

A pag 184 del saggio, Scarpelli si chiede se i requisiti della formazione del linguaggio, mediante l'uso dei termini che designano proprietà osservabili direttamente, valgono anche per il linguaggio giuridico. A questa domanda dà una risposta affermativa poiché nota che anche nel linguaggio prescrittivo è importante che ci sia una possibilità di riconduzione a stati delle cose del mondo. Il filosofo, inoltre, sostiene l'esistenza di esigenze analoghe a quelle del linguaggio " in funzione conoscitiva". Queste esigenze nascono nel momento in cui le norme si riferiscono a stati non empiricamente identificabili; l'uomo ha la necessità di trovare una certa corrispondenza tra i fatti e la norma per trovarvi una guida diretta del comportamento umano.

Molte norme possono rendere difficoltosa l'individuazione di situazioni che intendono vietare o punire certi fatto.


STRUTTURA DELLA DEFINIZIONE NOMINALISTICA

Nella prospettiva realistica si prendeva in considerazione la struttura diretta della definizione, oppure quella per genere o per specie con l'aspettativa che i termini potessero designare fatti concreti. Invece, nella nuova prospettiva si sottolinea l'esistenza di molti termini per i quali il metodo per genere e per specie è inopportuno. Per la nuova prospettiva, dunque, è difficile dare una definizione che individui termini con proprietà di fatto in relazione ai termini definiti "disposizionali".


CONCEZIONI NOMINALISTICA E ANALITICA

Sempre dal saggio di Scarpelli (pag 192) ricaviamo la nozione di definizione stipulativi la quale viene suddivisa in tre tipologie di definizione.

  • La definizione lessicale:scaturisce dalla ricognizione negli usi che sono adottati, già in corso, del termine che si va a definire in un certo contesto.
  • La definizione stipulativi: è l'introduzione di un nuovo significato che si adotta quando si introducono nuovi termini, non esistenti prima.
  • La definizione esplicativa o ridefinizione:a partire da certe aree di significati stratificati di un termine, si "ritaglia", si individua una sola area particolare di significato, a discapito di altri usi effettuati dallo stesso termine, e si propone così la nuova definizione del termine in oggetto.

I TERMINI

Dal saggio " La definizione del diritto" di Scarpelli.

Secondo il pensiero di Carpelli, i termini appartenenti al vocabolario del linguaggio usato nel diritto possono essere classificati in tre categorie.

1)I termini designanti fatti semplici, cioè non classificati secondo norme.

2)Termini designanti fatti classificati secondo norme giuridiche e non giuridiche, fanno parte di questa classificazione termini come: persona giuridica, negozio giuridico, contratto e diritto soggettivo. " Con negozio giuridico ci si riferisce ad un fatto, ma ad un fatto in quanto trattato in un certo modo dal diritto, che gli collega certe conseguenze giuridiche".

In questa categoria si è anche soliti far rientrare termini designanti qualificazioni di fatti secondo norme giuridiche o non giuridiche. Fanno parte di questa classificazione termini quali: obbligatorio,,lecito, illecito, vietato e permesso. " questi termini rappresentano qualificazioni di fatti secondo norme".

3)I termini che designano norme o sistemi di norme come schemi di qualificazioni di fatti, o loro elemento o loro aspetti. " Appartengono a questa categoria termini come norma, norma giuridica, diritto, diritto di famiglia, legge e regolamento".


IL CONCETTO DI LEGGE

Le leggi sono atti o disposizioni normative le quali vengono emanate dal Parlamento che è titolare della funzione legislativa.La parola legge in questo caso sostituita dalla parola diritto oggettivo o positivo; il diritto oggettivo è dunque inteso come l'insieme delle norme appartenenti all'ordinamento giuridico.

Si può così schematizzare:

  • La legge è l'atto dell'organo titolare della funzione legislativa (legge in senso formale, a law).
  • La legge, in un'accezione più ampia, è sinonimo do diritto oggettivo o positivo (legge in senso materiale, the law).

Da queste due accezioni si nota che sono chiaramente distinguibili, ma anche strettamente correlate nel senso che all'origine della tesi (ovvero il modo di guardare al diritto) in cui il diritto viene ricondotto al diritto oggettivo o positivo, si trova una focalizzazione della nozione di legge in cui è insita l'idea che la fonte primaria del diritto sia rappresentata da ciò che è espressione di chi detiene il potere.

La legge è un concetto storicamente determinato ed è strettamente connesso alla nascita dello stato moderno.Dal momento che ha delle collocazioni storiche ben determinate. Resta da capire quali fossero le connotazioni del diritto prima di quest'epoca.riguardo a questo argomento. A pag 15 del testo di Bobbio troviamo le caratteristiche del diritto pre- moderno in cui non esisteva ancora un centro di produzione normativa e le regole erano di natura prevalentemente consuetudinaria.(Il diritto pre- moderno nasce dal comportamento dei cittadini).

Prima dell'epoca moderna il diritto era di carattere giudiziale o giurisprudenziale; diritto in cui la la figura centrale del soggetto incaricato non è il legislatore, ma è il giudice che era una figura al di sopra delle parti, ovvero il terzo investito di un ruolo di composizione dei conflitti in forza della sua saggezza. Inoltre il diritto pre- moderno è ad impronta dottrinaria (ruolo degli studiosi); accanto alla figura del giudice nasce il ruolo del giurista dottrinale per la diffusione del diritto romano che scaturisce dalle opinioni dei giuristi stessi.Il diritto pre- moderno è ritenuto valido in forza di un'intrinseca ragionevolezza.Con il termine ragionevolezza si fa riferimento alla tradizione e al senso di giustizia;infatti ciò che è diritto è stato stabilito dalla ragionevolezza (veritas, non auctoritas facit legem).In ultima istanza, il diritto pre- moderno non è solo naturale, manvhe positivo in quanto al diritto naturale sarà sempre associata l'idea di assolutezza e di permanenza nel tempo e anche superiorità rispetto a quello positivo. Se dovessero permanere queste caratteristiche il diritto naturale potrà anche essere qualificato come ius comune contrapposto allo ius particolare.


Per affrontare il tema della giustificazione della legge nel pensiero gius- politico moderno bisogna tener presente il fatto che si passa da una società medioevale ad una società pluralistica costituita da una molteplicità di raggruppamenti sociali che avevano le proprie regole a cui far riferimento.

Molti studiosi hanno sempre sostenuto la tesi che tra stato moderno e legge ci fosse uno stretto legame e per poter giustificare questa tesi hanno fatto riferimento a tre teorizzazioni di tre filosofi del diritto e ideatori dei modelli di organizzazione statale.

Questi autori sono:

  • Hobbes (1588-1679) teorizzatore dello stato assoluto
  • Montesquieu  (1689-1755) teorizzatore della divisione dei poteri
  • Rousseau (1712-1788) teorizzatore dello stato democratico

HOBBES


E' nato in Inghilterra nel momento in cui prevaleva il diritto della "common law" e che aveva molte caratteristiche del diritto pre- moderno come, per esempio, la giurisprudenzialità.

Hibbes vive in un periodo molto travagliato a causa di quelle vicende storico- politiche da cui scaturirono le guerre di religione e la guerra civile durante la quale viene ucciso il re Carlo II Stuart. Il vivere in questo contesto segna profondamente il filosofo che aveva una vera e propria ossessione dell'anarchia che si traduceva in un'incertezza nello svolgimento di ogni attività. Questa situazione costituisce l'elemento propulsivo per una riflessione politica e giuridica per l'organizzazione dello stato profondamente ripensato e diverso dall'ideologia filosofica precedente.

Il primo interesse di Hobbes va ravvisato nell'elaborazione di questo nuovo stato definito "stato tradizionale"che fa riferimento al modello di stato aristotelico; lo stato quindi è visto come il prolungamento della famiglia (della società naturale).

Hobbes spiega l'origine e giustifica determinate caratteristiche dell'organizzazione politica dello stato in base alla condizione di partenza secondo cui lo stato di natura, dal quale gli individui stipulano un contratto per dar vita alla società politica e civile, è strutturato secondo delle esigenze che, secondo il pensiero hobbesiano, devono essere necessariamente soddisfatte. Questo ipotetico stato di natura viene pensato come "società del suo tempo"in cui c'è un'anarchia che favorisce l'assunzione da parte di ognuno di quella condizione definita "bellum ognum contra omnes (guerra di tutti contro tutti dove tutti cercano di esercitare la propria forza sugli altri).La preoccupazione di Hobbes è quella di mettere in luce la necessità di ipotizzare la stipulazione, da parte di tutti i cittadini consapevoli del valore da realizzare, di un contratto che ponga il potere nelle mani di un solo soggetto che sia in grado di stabilire cosa sia giusto e cosa non lo sia. Va comunque sottolineato che questo modello di società, creato dagli individui stessi per il perseguimento di un fine comune, presenta le seguenti caratteristiche:

_ impronta individualistica:centralità assunta dagli individui rispetto al tutto

_ impronta immanentistica: lo stato è il prodotto degli individui,non è una trascendenza

_ impronta razionalistica: la società politica è un prodotto della ragione. La ragione è la capacità di costruire discorsi rigorosi i cui passaggi possono essere controllati; è la capacità di rigoroso sviluppo da principi a conseguenze.


In Hobbes si trova la concezione dell'organizzazione politica che rinnova radicalmente il modello di stato che, tradizionalmente, presentava queste caratteristiche:

l'organizzazione sociale è considerata un dato precostituito, iscritto nella natura, presente nel gran disegno dell'Essere.

Struttura organicista del così detto modello aristotelico; lo stato è considerato come un "tutto" mentre i singoli sono considerati la parte del "tutto"

Il tutto vale più delle sue parti; lo stato ha prevalenza

Invece i caratteri del nuovo modello di stato proposto da Hobbes sono:

1) impronta individualistica; centralità assunta dagli individui rispetto al tutto

2) impronta immanentistica; prodotto interno dell'esperienza umana

impronta razionalistica


Hobbes sostiene che lo stato sia un prodotto umano che scaturisce dall'esigenza degli individui stessi. Ecco perché lo stato si presenta come un prodotto di ragione, dove per ragione intendiamo la capacità di costruire discorsi, i cui passaggi possono essere controllati. La ragione è anche l'attitudine a creare un rigoroso sviluppo da principi a conseguenze, in ultima istanza, la ragione permette di apprezzare i mezzi adeguati per il raggiungimento dei fini che si considerano rilevanti ed irrinunciabili. Questi fini irrinunciabili vengono fissati da Hobbes in base alle sue ossessioni scaturite dall'anarchia in cui era presente la minaccia alla sicurezza nelle attività quotidiane, in particolare nello svolgimento dei commerci. La sicurezza è anche la garanzia di non essere esposti all'arbitrio dei "poteri intermedi"; per poteri intermedi Hobbes intende "una vasta cerchia di funzionari, cioè soggetti di importanza rilevante, ovvero i giudici i quali erano chiamati a porre delle regole rispetto a comportamenti che erano già stati tenuti in precedenza".

Ponendo queste regole, però , violavano il principio imprescindibile dell'irretroattività delle leggi che, a quel tempo, costituiva lo strumento col quale si poteva garantire il principio di certezza di libertà.


Nel 26° capitolo del "Leviatano" Hobbes sottolinea che la legge è lo strumento fondamentale per esprimersi, ed è il mezzo razionalmente adeguato per il raggiungimento dei fini individuati dagli individui. Questi fini pretendono che la produzione normativa venga affidata ad un unico soggetto, ovvero il sovrano di cui la legge deve manifestare la volontà. Il sovrano, dal momento che è l'unico produttore di leggi che vincolano il comportamento degli individui, sa che il suo operato non può essere vincolato né può incontrare limiti in altri poteri. Il sovrano è dunque Le gibus solutus (sciolto dalla legge).

Il sovrano assoluto a cui pensa Hobbes non è da intendersi come un despota poiché il filosofo riteneva che il sovrano potesse avere dei limiti al proprio operato nel caso in cui questi limiti fossero posti dalle leggi naturali (si tratta di principi di equità, ovvero limiti di buon senso. Questa è la capacità di autolimitazione del sovrano).



MMONTESQUIEU


Nel 1879, in Inghilterra, avviene la così detta "gloriosa rivoluzione"che porta alla nascita della monarchia costituzionale. Un secolo dopo, in Francia si pongono le basi per lo sviluppo dell'assolutismo (periodo in cui regnano Luigi 14° e 15°).

Montesquieu, pensatore che costruisce la sua teoria in polemico rapporto con il potere assoluto dai connotati dispotici, rafforza la sua convinzione che si debba guardare al potere in tutte le sue forme le quali hanno effetti pericolosi che devono essere controllati con opportuni meccanismi. Dal momento che Montesquieu ha una propensione alla libertà, formula la teoria delle separazione dei poteri che è il modello di conduzione politica ideale a garantire il principio di libertà (fine prioritario). La definizione di libertà impegna Montesquieu nel suo libro "lo spirito delle leggi" e arriva a sostenere che la libertà di cui ci si deve occupare non consiste nel poter fare ciò che si vuole, non è una forma di anarchia, ma consiste nel poter fare ciò che si deve volere. La libertà dunque è il diritto di fare tutto ciò che le legge permettono.La libertà non è altro che una condizione fortemente segnata e garantita dalla legge.

Ci si potrebbe chiedere, alla luce del rapporto tra libertà e legge,se la libertà di cui parla Montesquieu sia illusoria; da questa domanda emergono due differenti modi di pensare i modelli di diritto; infatti per Hobbes la libertà è la possibilità di fare ciò che non è espressamente vietato o comandato (modello incentrato sui divieti). Mentre per Montesquieu la libertà è la possibilità di fare ciò che è permesso (modello incentrato sul permesso, ambito di libertà protetta).Nasce così un modo di pensare al diritto come uno strumento che pone le condizioni per l'esercizio di autonomie ed autodeterminazione 8ciò significa che Montesquieu confida nel fatto che si possa tutelare la libertà non illusoria pensando al diritto come un insieme di condizioni che pongono la coesistenza delle libertà).

Per questo pensatore, la legge, per evitare che diventi strumento di abuso, deve necessariamente essere il prodotto di un organo rappresentativo permanente, composto da membri provenienti da diverse parti della nazione. Quest'organo rappresentativo (che dà luogo alla legge) è costituito dalla "camera alta"(composta dai nobili) e dalla "camera bassa" (formata dai rappresentanti del popolo).si fa questa distinzione tra le due camere per poter ottenere una sorta di equilibrio,bilanciamento degli interessi di tutti i cittadini all'interno delle deliberazioni.



ROUSSEAU (teorizzatore dello stato democratico)

Rousseau pensa che la libertà sia la capacità di potersi guidare da soli (autodeterminazione degli individui che devono trovare all'esterno il criterio della propria esistenza) e che sia nata prima dal pensiero politico, ma poi assume le valenze di categoria fondamentale di riferimento in ambito morale più che in ambito giuridico. L'autonomia assume la valenza di categoria in ambito morale perché alla capacità degli individui di guidarsi da sé si lega la possibilità di individuare un'altra categoria denominata "responsabilità".

La legge,e quindi una forma si organizzazione politica, è funzionale alla realizzazione dell'autonomia individuale. Spesso si possono verificare dei contrasti tra l'autorità dello stato e l'autonomia degli individui; tali contrasti vengono meno quando la legge è espressione di un potere configurato in termini democratici, ovvero quando l'organizzazione politica è in grado di realizzare la coincidenza tra coloro che producono la legge e coloro che alla legga devono obbedire, effettuando così un'estensione del principio di autonomia al concetto di democrazia "umanistica"(dove le decisioni vengono prese da tutti). All'interno della democrazia umanistica, ogni individuo vuole la legge e ad essa si attiene. Questo modello ideale di democrazia è suscettibile di funzionamento solo se si fa riferimento ad una società ristretta dove ogni cittadino,se resta nei confini dello stato esprime, anche in forma tacita (non necessariamente con il voto) il proprio consenso alle leggi emanate (espressione della volontà generale).La volontà generale è la volontà del corpo (o sovrano) collettivocce è l' espressione dei membri che lo compongono.Il corpo sovrano non ha, né potrebbe avere un contrasto con gli individui perché è impossibile che un corpo voglia nuocere alle sua parti, ai suoi membri.La volontà generale è espressa nella legge dove la legge è l'espressione della volontà dell'organo rappresentativo. Inoltre è espressione di volontà generale ed astratta ed ha la caratteristica di essere imparziale.La legge è dunque la garanzia di uguaglianza di trattamento.

(per i presupposti storici bisogna fare riferimento alla prima parte del testo di Bobbio, capo primo, terzo, quarto e quinto)



PERCHE' LA LEGGE?

Il modello di diritto fin qui studiato, basato sulle leggi, ha avuto basi storiche; infatti, secondo le affermazioni del 19° secolo, il diritto si realizza nelle leggi organizzate in forma di codice. Il codice è una legge in cui si manifesta una manipolazione esaustiva dei comportamenti umani. Questa manipolazione viene connotata come razionale, nel senso di funzionale grazie all'adozione di un linguaggio articolare e di una certa tecnica legislativa per tutelare al meglio gli interessi generali dei soggetti

Il percorso del diritto non è stato caratterizzato dalla stessa fiducia con la quale si era fatto sviluppare il diritto nell'età della codificazione; infatti in quel periodo si sintetizza il venir meno di aspettative espresse in forma di codice. Il dato di fatto è rappresentato da una diversificazione sociale sempre più netta; l'emergere di soggetti diversi dalla borghesia in ambito politico, così da accentuare interessi diversi. Si fa strada l'idea di attuazione di un diritto in forma di legge con la caratteristica di avere leggi intese come portatrici di determinati interessi.Questo elemento si accresce e va accentuando interessi sì diversi, ma conciliabili all'interno di una concezione di diritto superiore. In questo modo si formano dei sistemi normativamente autonomi.L'assunzione da parte del diritto di una "eccitazione psico- motoria normativa"è un altro fenomeno molto importante , grazie al quale si assiste all'affermazione delle costituzioni rigide con le quali la legge si deve confrontare.

Bisogna fare una valutazione sulla conformità delle norme rispetto a questo livello normativo superiore che non deve essere letto come crisi, ma come un passaggio necessario ad un diverso paradigma (non più quello di stato come diritto semplice, ma stato costituzionale del diritto).Queste articolazioni di passaggi viene accompagnata ad una serie di elaborazioni che hanno visto il passaggio da una serie di tesi caratterizzanti la visione giuspositivista del diritto inteso nella sua prima formulazione, ad una visione del diritto che continueremo a chiamare giuspositivista, ma che sarà totalmente diversa da quella iniziale poiché la legge vieni trasfigurata.

Le tesi caratterizzanti la visione gispositivista del diritto sono:


1)Concezione imperativistica del diritto o della norma giuridica: il diritto è costituito da un insieme di comandi o imperativi provenienti dal sovrano che è " l'organo detentore del potere in una società politica indipendente" (pensiero si Austin).

Il comando è una formulazione di tipo prescrittivi provenienti da " un emittente tipico identificato nello stato" (idea di legislatore). Altra nozione importante di guardare al diritto è la visione del diritto statualistica dove la società politica è indipendente.


2)diritto come insieme di comandi che hanno la caratteristica di essere enunciati sia in norme generali che astratte; le norme generali hanno come destinatario una classe di soggetti, mentre le norme astratte riguardano norme che disciplinano i comportamenti.


3) Diritto come insieme di comandi emanati dal sovrano in caso di violazione, in caso di sanzione o in caso di coercitività o coattività.


4) La legge è fonte suprema o esclusiva del diritto, questa tesi fa riferimento alle fonti del diritto ( si faccia riferimento al tasto di Bobbio a pag 163, cap.3°)


5)Diritto come insieme di comandi del sovrano (o sistema). Da qui nasce l'idea che il diritto sia un insiemi, o meglio un sistema di prescrizioni. Questo sistema è completo, privo di lacune, nel senso che non esiste cosa non regolata da una norma. Un'altra sottotesi afferma che questo sistema è coerente, cioè privo di antinomie (contrasto tra norme); infatti non esistono due o più norme che regolino lo stesso caso proponendo così soluzioni tra loro incompatibili.


6) Potere giurisdizionale verso cui i teorici del diritto sostengono la tesi che al potere compete l'applicazione della legge. (il termine "applicazione"è in contrapposizione con la parola "produzione").



La prima tesi mostra come la norma può essere considerata come un comando imperativo; infatti Bobbio con la sua teoria imperativistica della norma giuridica (pag 1859 mette in luce la storia della concezione imperativistica della norma in cui l'idea di diritto, ovvero di comandare coincide con l'idea di precetto. Per Bobbio la norma giuridica non attiene al mondo del diritto,ma può essere disattesa dal destinatario, senza incorrere in una conseguenza predeterminata.

Sia il consiglio che il comando giuridico presentano delle caratteristiche che li distinguono da altri tipi di prescrizioni; da qui scaturisce la ricerca del carattere differenziale dell'imperatività giuridica che ha portato ad una serie di presupposti che portano alla contrapposizione tra imperativi ( pag 194 del libro di Bobbio).


GLI IMPERATIVI NEGATIVI

Nel diritto, in teoria, si troverebbero più imperativi negativi; quest'idea viene espressa da Thomasius la cui teoria comprende tre punti fondamentali:


- divieti:diritto


- obblighi:di fare morale


- modello: non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.


Questa tesi ha alle spalle una serie di preoccupazioni tra cui le libertà di coscienza e religione. Secondo Thomasius il diritto doveva essere esteso anche alle credenze personali. Questa sua proposta è poco utile per poter distinguere le norme giuridiche delle norme non giuridiche.

Il filosofo Kant propone un altro tipo di distinzione e contrapposizione di imperativi autonomi, che sono invece propri della morale, per poter quindi giungere alla dimostrazione che questi imperativi giuridici sono anche eteronomi. Per Kant l'imperativo autonomo coincide con il soggetto che pone la norma e colui che la deve rispettare; mentre gli imperativi eteronomi non coincidono con il soggetto ponente la norma che diverge da colui che la deve rispettare. A riguardo possiamo notare che la morale non è necessariamente un ambito di autonomia.

Il terzo tentativo è quello di differenziare gli imperativi categorici dagli imperativi ipotetici (profilo più proficuo dal punto di vista della caratterizzazione del diritto).Per Kant l'imperativo categorico, cioè le norme etiche, è la prescrizione di un comportamento buono in se stesso, che deve essere tenuto, senza eccezioni,senza condizioni di tipo moralistico. A pag 196 del libro di kelsen si chiarisce il concetto di imperativo ipotetico; l'imperativo ipotetico è la prescrizione di un comportamento da tenersi, considerato buono in relazione ad un certo fine (comportamento condizionante). Secondo la teoria kantiana, gli imperativi ipotetici sono tipici del diritto, così come Adolfo Ravà, studioso del diritto, che in un suo studio intitolato "Il diritto come una norma tecnica" afferma che il diritto è appunto costituito da norme tecniche le quali vengono connotate come imperativi ipotetici.

Brunetti, un altro studioso, sostiene che il diritto sia un insieme di prescrizioni, considerate però come regole finali, cioè volte al raggiungimento di un determinato fine o scopo.


LA NORMA GIURIDICA NELLA TEORIA DEL DIRITTO DI HANS KELSEN

Kelsen cerca di scientificare gli studi giuridici, tenta cioè di fare una non caratterizzazione del diritto che, nel suo programma,doveva consentire di arrivare ad un modello di diritto che offrisse una caratterizzazione del diritto stesso. Con questa teoria Kelsen intendeva distinguere il diritto da tutto ciò che diritto non è; voleva quindi caratterizzare la dottrina pura del diritto positivo all'interno della quale si vuole unicamente conoscere l'oggetto del diritto. Pretendeva anche di poter separare i comportamenti naturali, cioè collocabili nello spazio e nel tempo, dai comportamenti giuridicamente rilevanti. Affronta anche un altro tema molto importante che è quello di comprendere la differenza tra comportamenti regolari e comportamenti regolati (comportamenti che abbiano una certa qualificazione da parte del diritto). Per operare questa distinzione ritiene necessaria l'autoqualificazione del materiale sociale tramite indagini o interviste. Non basta però la qualificazione soggettiva dei fatti o degli atti, è necessaria, affinché ci sia una qualificazione giuridicamente rilevante, una qualificazione oggettiva che opera attraverso le norme.Le norme, qui intese come uno schema qualificativo che ha la struttura di un giudizio ipotetico (struttura discorsiva),sono un insieme di qualificazioni dei comportamenti, che agiscono come una sorta di griglia, sotto le cui lenti,i fatti o gli atti assumono una certa rilevanza giuridica.

Questo schema in cui consiste la norma non ha la forma di un comando, bensì di un giudizio ipotetico che è una proposizione di carattere condizionale in grado di costituire un collegamento tra un fatto condizionante ed una conseguenza condizionata.

Lo schema della norma nella teoria di Kelsen prevede i seguenti punti:

  • il fatto condizionante è illecito (x)
  • la conseguenza condizionata è la sanzione (y)
  • io collegamento tra i due elementi è l'imputazione (nesso tra i fenomeni istituito da una decisione umana, nel diritto colega fenomeni qualificati come illeciti e fenomeni qualificati come sanzioni).

SE X ... ALLORA Y


Se x . allora y può anche essere la forma tipica delle preposizioni prescrittive le quali prevedono sempre una causa ed un effetto. La norma nella sua preposizione presenta sempre, come visto, un fatto condizionante ed una condizione che tra loro non hanno un collegamento di causa - effetto. L'evento collegato come conseguenza è la sanzione che viene chiamata imputazione che prevede un collegamento tra due fatti non di natura temporale, ma di natura normativa.

Kelsen elabora una distinzione tra norme e definisce così le norme primarie e le norme secondarie.

La norma primaria in senso proprio, correttamente configurata secondo la sua specificità, viene anche chiamata norma giuridica capace di disporre circa la sanzione la quale adotta misure coercitive in presenza di una violazione della norma. Le norme primarie sono i giudizi ipotetici che contengono l'imputazione della sanzione ad illecito,

La norma secondarie non dispone circa la sanzione, ma contiene il precetto, il comportamento da seguire.

Queste norme, chiaramente, hanno dei destinatari i quali vengono distinti in due categorie; si ha la categoria dei destinatari diretti che vengono rappresentati dallo stato, dagli operatori del diritto incaricati dell'applicazione della sanzione. I destinatari indiretti sono dunque tutti i consociati (i cittadini).

Kelsen insiste sulla tesi che le norme possono sempre essere considerate i altri frammenti di norme, infatti sostiene che tutte le norme diverse da quelle che dispongono circa la sanzione sono frammenti di norma primaria; queste norme rientrano nello schema delle norme. Tutti i "se" che si possono trovare nella lunga catena di frammenti di norme, sono collocati, nella teoria kelsiana, dalla parte del fatto condizionante, ovvero poste dalla parte dell'illecito. Kelsen non vuole allontanarsi dal modello unitario di norma e non vuole inserirsi nel modello secondo cui si costruiscono diverse tipologie di norme, infatti nel libro di Bobbio (pag 46) troviamo una critica mossa dallo studioso Halbert Hart. Egli ritiene che Kelsen cerca di salvare il suo modello normativo al costo di forti distorsioni e, dunque prende in considerazione la tipologia articolata con la quale si presentano le norme. Hart ci propone infatti un modello articolato di norme utilizzando anch'egli i termini " primarie" e "secondarie"per poter distinguere le norme però capovolge, inverte le concezioni e le espressioni kelsiane tanto da affermare che:

  • le norme primarie sono rivolte a tutti i consociati, indicano i comportamenti desiderabili (queste per Kelsen erano le norme secondarie)
  • le regole secondarie, che in qualche misura si riferiscono alle norme primarie, sono regole che non si occupano direttamente di ciò che i consociati devono o non devono fare.

Le regole secondarie vengono distinte in tre tipologie secondo lo schema:

  • regole di riconoscimento (per stabilire quali regole sono o non sono giuridiche)
  • regole di mutamento (trasformano l'ordinamento e indicano i procedimenti tramite i quali possono essere introdotte le norme primarie)
  • regole di giudizio (riguardano la produzione di norme a livello della realizzazione del diritto)

Nell'ordinamento non riduzionistico le norme vengono classificate a seconda del grado di forza obbligatoria, oppure possono essere classificate a seconda del carattere universale o particolre del loro contenuto e del destinatario a cui sono rivolte.


Gli ordinamenti normativi giuridici


Gli ordinameti normativi giuridici sono una concatenazione normativa (relativizzazione del contrasto tra produzione ed applicazione delle norme) in cui ad ogni livello c'è produzione di diritto. kelsen distingueva istanze produttive (che avvengono a livello della costituzione) ed applicative. La fonte del diritto per eccellenza è la legge; tutto ciò che non è legge è una dicotomia applicativa.

Con il modello ordinamentale di diritto si supera la dicotomia dei due momenti; Kelsen infatti elabora il superamento del contrasto tra produzione ed applicazione del diritto; grazie a Kelsen si supera l'idea che vi siano momenti di sola produzione e momenti di sola esecuzione normativa. Ogni momento, ogni livello della costruzione a gradi è sia momento di produzione, sia momento di esecuzione di diritto.La visione ordinamentale porta a ridimensiomare la rivisitazione della teoria delle fonti (fonti di qualificazione giuridica, che da Bobbio vengono distinti in fonti riconosciute e fonti delegate) di produzione del diritto.(Dal libro di Bobbio,capitolo 3°da pagina 163).

Le fonti di produzione del diritto sono momenti produttivi del diritto, ma allo stesso tempo sono legge, attività giurisdizionale e attività amministrativa.Nel momento di produzione del diritto si assiste al coinvolgimento dei soggetti privati. Il moderno stato di diritto si caratterizza per l'estensione del principio di legalità dai poteri (definiti "poteri intermedi" da Hobbes) allo stesso potere legislativo. Questo fa la diffrenzatra lo stato di diritto semplice e lo stato costituzionale di diritto. Se nel primo vige il principio di legalità, cioè il principio secondo cui gli atti del potere esecutivo e giudiziario devono essere conformi alla legge, nello stato costituzionale di diritto questo principio si riferisce anche al potere legislativo (nel senso che è soggetto a norme di diritto collocate a livello costituzionale).Dal momento che gli atti non richiedono un'autorizzazione costituzionale e che le leggi non sono un'operazione logica, si può dire che il legislatore incontra un vincolo nella legge nel senso che non può adottare leggi incompatibili con la costituzione (non devono cioè essere in contrasto con altre norme).

kelsen elabora una rivalutazione del ruolo dei privati quali soggetti che partecipano alla produzione di diritto, ma in che modo?A questo proposito sostiene che i privati, nell'ambito dll'autonomia privata, pongono delle norme che vincolano il comportamento reciproco. Attività che è contemporaneamente produzione ed esecuzione di diritto, che presenta limiti sia di forma che di contenuto.Oltre all'ambito dell'autonomia privata, kelsen menziona anche l'ambito dell'autonomia negoziale all'interno della quale vale il momento della produzione delle norme.

Passa quindi ad analizzare il concetto di diritto inteso in senso soggettivo (far riferimento al quarto capitolo di Kelsen e a pagina 173 di Nino).Kelsen ha una posizione dualistica nei confronti dl diritto soggettivo e per giustificarsi dice che di diritto si può leggittimamente parlarne in due sensi: in senso soggettivo e in senso oggettivo. Il diritto in senso soggettivo è un insieme di prerogative, di facoltà e di ambiti di libertà che sono pertinenti agli individui umani (nati) in forza del loro stesso essere appartenenti alla razza umana. Il diritto soggettivo viene prima in senso elogico e cronologico del diritto oggettivo. Il diritto di riconoscimento del diritto soggettivo è un "prius"che il diritto oggettivo trova e al quale deve tributare riconoscimento e forza. Kelsen nota una debolezza di fondo di questa posizione dualistica perchè si pone sullo stesso piano l'ambito delle libertà ed il momento del vincolo. Ciò vuol dire che esiste un diritto soggettivo di proprietà che pone un limite imperabile al diritto oggettivo; a riguardo sostiene che la concezione tradizionale di diritto soggettvo è una concezione viziata e dunque ideologica. Per ideologco Kelsen intende quell'azione tramite la quale si mascherano le proprie opzioni forti, le scelte di valore come se si trattase di proporre semplicemente una ricognizione di cose delle realtà. Kelsen osserva che questa non è una verità teorica, è solo una valutazione etico- politica;ed è per questo che sottolinea che il diritto soggettivo è strettamente conneso con il diritto oggettivo. Anche i diritti soggetivi sono posti, creti dal diritto oggettivo   e non semplicemente riconosciuti dal diritto positivo. Arrivato a questo punto, Kelsen propone il superamento del dualismo tra diritto soggettivo e diritto oggettivo che chiama "riconduzione del diritto soggettivo al diritto oggettivo". kelsen ci dice che funzione essenziale delle norme è l'attribuzione di obblighi in capo a certi oggetti. Altra funzione delle norme è quella di fornire ai soggetti delle autorizzazioni. Per Kelsen l'autorizzazione si ha quando c'è lesione di interesse da parte di un soggetto, il soggetto leso manifesta la propria volontà affinchè si metta in moto un meccanismo che possa rilevare l'illecito commesso a suo danno, per giungere alla sanzione

I conclusione si può dire che:il diritto soggettivo è il potere in capo ad un certo soggetto leso in un proprio intersse,di promuovere un'azione processuale, per ottenere un giudizio capace di emettere una sentenza che commini una sanzione.L'esercizio di un potere d'azione processuale, potere che consente, sebbene in modo indiretto, la partecipazione del privato alla produzione normativa.

Altra nozione importante che si trova in Kelsen è quella di soggetto di diritto, ovvero di titolari di posizoni giuridiche, di obblighi e autorizzazioni.Sono le norme giuridiche (norme poste) che obbligano qualificano certe situazioni come obblighi o autorizzaioni.Anche in questo caso Kelsen evidenzia che non pre- esistono, in capo ai soggetti, situazioni di obblghi o autorizzazioni, che sarebbero semplicemente riconosciute dall'ordinamento positivo. Tali situazioni sono giuridicamente rilevanti perchè qualificate come tali dalle norme. Sempre in riferimento al concetto di persona di diritto, nella prospettiva tradizionle,si tende ad istituire una coincidenza tra un essere vivente ed il termine "persona". Per Kelsen la qualificazione di persona è strettamente collegata all'appartenenza alla razza umana, di individui nati, questi hanno una serie di prerogative che a loro competono per natura, per il fatto stesso di essere soggetti nati, viventi, a prescindere dai disposti del diritto positivo. Se prima aveva proposto il superamento del dualismo tra diritto oggettivo e diritto soggettivo, ora elabora la dissoluzione del concetto di persona cancellando l'idea radicata che le persone (inteso come concetto giuridico) si identifichino col termine "uomo"(che non è un concetto giuridico, ma biologico, psicologico). Per Kelsen "persona"è solo un'espressione unitaria personificante, con la quale si intende un insieme di norme che consistono in autorizzazioni, prerogative, facoltà, permessi giuridici appartenenti a certi soggetti. Quest'operazione Kelsiana ci fa capire come mai in certe epoche storiche di alcuni uomini si sia pouto dire che non erano persone (riferimnto alla schiavitù)( pagina 199 del libro di nino, "concetto di persona giuridica")

L'intepretazione nel diritto

interpretazione nel diritto è un operazione, ma anche un'attribuzione di un significato appropriato ad un enunciato normativo.L'interpretazione è anche un procedimento che accompagnalo sviluppo del diritto, dal grado superiore al grado inferiore all'interno dell'ordinamento giuridico. Gli interpreti coinvolti nella poduzione del diritto, sono i legislatori. Per comprendere al meglio l'interpretazione nel diritto bisogna capire quale sia il rapporto che si presenta tra i divrsi gradi dell'ordinamento.Secondo la teoria di Klesen vi è un rapporto di determinazione e di vincolo (formale e matriale).Le norme di grado inferiore non devono essere in contrasto con le norme di grado superiore. Il vincolo però non è completo, non è mai totale; resta sempre un margine discrezionale a livello della norma di grado inferiore, in modo che la norma dj grado superiore svolga un ruolo di schema guida.




(Pagina 248 del libro di Nino)

In questo passo del suo libro Nino elabora una critica al principio di chiusura di Kelsen e dice che il termine "permesso" vale a "non proibito", inoltre denota un "comportamento corretto". Inoltre nota che la frase " tutto ciò che non è proibito, non è proibito" è una proposizione tautologica ovvero una proposizione che non completa e non integra ciò che è stato detto in precedenza. Negl ordinamenti giuridici vi è un'altro principio di chiusura, cioè una norma generale inclusiva che fa ricorso al prrocedimento analogico. Si esamina il mcaso che non ha regolazione e si cercano caratteristiche simili a quelle di un caso espressamente regolato dall'ordinamento. All'interno dell'ordinamento giuridico Nino riscontra anche il tema della coerenza e delle antinomie (pagina 242 di Nino).


Coerenza (eccedenza di norme) : ANTINOMIE

completezza :LACUNE


Negli ordinamenti giuridici si possono riscontrare tre diversi tipi di antinomie:

a) TOTOLE/TOTALE: ambiti di applicabilità perfettamente coincidenti

b) TOTALE/PARZIALE: ambiti di applicabiltà non coincidenti, la contaddittorietà si manifesta solo in parte.

c) PARZIALE/PARZIALE: gli ambiti di applicabilità sono confliggenti per una parte limitata delle due diverse disposizioni.


Queste tre tipologie di antinomie vengono risolte tramite tre differenti crateri:

1)LEX SUPERIOR DEROGAT INFERIORI : prevale la norma posta a livello gerarchico superiore

2)LEX POSTERIOR DEROGAT PRIORI: prevale la norma emenata in data posteriore, prevale la disposizione più recente.

3)LEX SPECIALI DEROGAT GENERALI: prevale la disciplina speciale su quella generale.


Esistono casi in cui è posibile applicare più di un criterio,tra quelli proposti. Nonesiste una soluzione automatica, ma è il ruolo dell'interprete che viene rivalutato. L'interprete mette in gioco valitazioni e scelte.



Pagina 14 del libro di Nino)

"Il processo di Norimberga"


Prendiamo in analisi la decima tesi seconda la quale una norma non è giuridica quando non è conforme all'ordinamento.


Tre giudci sono stati chiamati a pronunciarsi su crimini compiuti dai gerarchi nazisti. Questi giudici hanno assunto tre diverse posizioni:


_ prima posizione: giusnaturalista

_ seconda posizione: giuspositivista (ideologica)

_ terza posozione: giuspositivista (metodologica)


1) il primo giudice propone la condanna degli imputati sulla base delle leggi dell'ordinamento nazista che in realtà non è un vero diritto poichè non è conforme ai principi di giustizia, non è conforme ai valori ultimi iscritti nella natura umana. Qui vi è la coincidenza tra morale e diritto, è una concezione oggettivistica, cognitivistia della morale. I principi non sono legati alle scelte degli individui, ma sono dati una volta per tutte, hanno una connotazione oggettiva e possono essere conosciuti da tutti, con i potenti canali della mente.

2) il secondo giudice asume una posizione giuspositivistica "forte". Qui si nota la separazione tra morale e diritto. Il giudizio morale non può essere assunto come critero di valutazione giuridica ddei comportamenti. La concezione della moraleè di tipo soggettivo, realistico. Il giudice emette un verdetto di assoluzione; pur ritenuto, secondo una valutazione morale,un prodotto aberrante.I diritto dei nazistiera diritto valido e quindi doveva sempre e comunque obbedito.I gerarchi nazisti, dal momento che la norma valida è normas che deve essere obbedita, non avevano scelta: non potevano non obbedire.

3) con il terzo giudice si ha una posizione giuspositivistica critica:messa in discussione sia dalla prospettiva giusnaturalista, sia dalla prospettiva giuspositivistica più radicale e ideologica. Emette un verdetto di condanna







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