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CRISTIANESIMO E FILOSOFIA - I concetti - chiave della tradizione ebraico - cristiana

filosofia



CRISTIANESIMO E FILOSOFIA


I concetti - chiave della tradizione ebraico - cristiana

Prima ancora di affrontare il rapporto tra cristianesimo e filosofia, è necessario aver presenti le differenze più importanti che vi sono tra la tradizione culturale greca ed ellenistico - romana, da una parte, e quella ebraico - cristiana, dall'altra.

1. In primo luogo, come sappiamo, il libro sacro occupa il posto centrale nella cultura e nella religione ebraica, ed è il principale medium del rapporto tra Dio e gli uomini, mentre nel mondo "pagano" ci sono sì poemi antichi ed autorevoli, fonte della tradizione successiva, ispirati, se non dall'unico Dio, dagli dei o dalle muse, ma essi non hanno alcun carattere vincolante, né esiste alcuna questione o disputa sull'interpretazione di essi, né sull'ortodossa o l'eresia delle credenze religiose.



Quanto al cristianesimo, esso considera la Bibbia ebraica come libro sacro, ed aggiunge ad esso i libri del "Nuovo Testamento" (o "Nuovo Patto" o "Nuova Alleanza" - beninteso, con Dio), mentre quelli tramandati dagli ebrei sono da esso chiamati "Antico Testamento" (cioè: patto valido in precedenza - a cui subentra ora quello nuovo). Ma l'idea stessa che ci sia un patto tra Dio e certi uomini (il popolo eletto), o tra Dio e tutti gli uomini, risale comunque alla Bibbia ebraica: la creazione del mondo e dell'umanità, il peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre, l'intervento di Dio nel mondo e nella storia, la promessa di una riconciliazione finale dell'uomo con Dio sono tutte idee di origine ebraica.

2. Nel libro della Genesi si narra la creazione del mondo ad opera dell'unico Dio. Diversamente dalle narrazioni mitiche dei greci e di molti altri popoli, l'ordine del mondo in questo caso è il frutto dell'azione coerente di una divinità giusta e paterna, non il risultato di una serie di avventure e di lotte di un coacervo di divinità e di eroi. Dio crea l'uomo e prepara per lui una dimora accogliente, il cosiddetto Paradiso Terrestre, ma esso non se ne mostra degno, perché disobbedisce agli ordini del Dio Padre. Il 343j98d peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre nel mondo ordinario, in cui l'uomo dovrà guadagnarsi il suo pane con il sudore della fronte, resteranno momenti costitutivi anche del pensiero cristiano, e rappresenteranno lo sfondo ed il punto di partenza anche per il pensiero laico moderno del mondo occidentale.

Anche se i poeti greci e latini parlavano dell'antico regno di Cronos, in cui dei e uomini, belve e animali indifesi, vivevano felicemente insieme, è in essi assente l'idea che di una paternità divina: il destino dell'uomo resta sempre lo stesso ed è determinato non dalla caduta e dal peccato (benché non manchino numerose narrazioni di ribellioni degli uomini all'ordine divino) ma dai limiti della stessa natura umana. Gli uomini sono e restano, per i poeti classici, i "mortali", e non possono aspirare alla condizione di figli degli dei immortali.

3. A differenza degli dei beati dell'Olimpo, bevitori di ambrosia, solo marginalmente coinvolti nelle vicende dei mortali, il Dio Padre della Bibbia interviene costantemente nel mondo e nella storia degli uomini in funzione del Patto che lo lega col popolo eletto degli ebrei. A un certo momento esso addirittura, attraverso uomini da lui chiamati, i profeti, annuncia non solo agli ebrei deportati dagli assiri in Mesopotamia, ma a tutti gli oppressi e a tutti i sofferenti del mondo la venuta del suo Regno su questa terra. Sotto questo regno di giustizia tutti i popoli si affratelleranno, cesserà l'odio, l'oppressione e la miseria.

Come si vede, al concetto dell'intervento provvidenziale divino nel nostro mondo si collega il concetto di un piano divino per redimere l'uomo dal peccato, salvarlo dalla perdizione di questo mondo di dolore, di lavoro e di lotta e instaurare il Regno di Dio. Il piano di salvezza si dispiega nel tempo e i profeti ne annunciano le fasi. Il profetismo ebraico è dunque portatore di un nuovo senso del tempo e della storia, che è percepita ora come orientata verso il futuro, come attesa e preparazione dell'Evento di salvezza. Viceversa la storia del mondo è per lo più considerata dai greci come un ciclo eterno di nascita, sviluppo, morte e rinascita, destinato a ripetersi all'infinito, senza che questo muti nulla al destino dell'uomo.

4. In ultimo va sottolineato il fatto che, per la visione profetica ebraica e per la visione cristiana, l'unico Dio è anche il salvatore di un'unica e universale umanità: tutti gli uomini sono figli di Dio e, almeno dal punto di vista del piano di salvezza, sono uguali. Viceversa per moltissime popolazioni e religioni, e in particolare quelle greche e romane, gli uomini sono per natura diversi, hanno necessariamente un diverso destino. Perfino molti filosofi greci considerano gli schiavi o i barbari esseri inferiori.

E' bene precisare che la rapida esposizione di concetti che precede è solo un modesto schema per avere una idea generica delle differenze più macroscopiche tra le culture. Esso però non rende conto di molte sfumature e problemi importanti della storia delle religioni in questione, che non possono essere analizzati in una storia del pensiero filosofico.

Facciamo un paio di esempi. Dal nostro attuale punto di vista non è molto importante conoscere la datazione delle stesure dei diversi libri dell'Antico Testamento e neppure dei diversi strati di testo che, secondo gli studiosi, si sovrappongono nei singoli libri. In effetti il lettore ingenuo del libro della Genesi (il primo nel canone biblico sia ebraico che cristiano) tenderà a pensare che esso sia stato scritto per primo. Inoltre, sembra evidente che il suo autore crede in un solo Dio, creatore e signore del mondo, che ha creato anche Adamo, da cui discende l'intera umanità. Ed è all'umanità intera che i libri dei profeti (all'incirca gli ultimi dell'Antico Testamento) prometteranno l'avvento del regno di Dio. Dunque sembra proprio che per la religione ebraica, fin dalle origini, ci dovesse essere un piano di salvezza divino per l'umanità per liberarli dal peccato, conseguente alla caduta di Adamo. Le cose non sono così semplici: dagli studi moderni risulta invece che negli scritti più antichi e nelle redazioni più antiche il Dio biblico fosse il dio degli ebrei - loro protettore esclusivo nella lotta per la sopravvivenza e per la supremazia sulle altre popolazioni della Palestina - piuttosto che il Padre dell'umanità intera.

Sarebbe poi interessante studiare la datazione degli scritti o degli strati redazionali in cui nell'Antico Testamento compare il Dio creatore, provvidente e padre universale, anche per vedere le influenze reciproche tra la religione ebraica e altre religioni del Vicino Oriente. In particolare sarebbe utile analizzare il mazdeismo, culto del dio supremo del bene, Ahura Mazda, i cui inizi risalgono al profeta Zaratustra (detto dai greci Zoroastro), vissuto nella Persia settentrionale nella seconda metà del secondo millennio avanti Cristo. Esso ha in comune con il tardo ebraismo e con il cristianesimo l'idea di unicità di Dio e dell'umanità, l'idea della giustizia e della provvidenza divine, del giudizio finale, della vittoria finale del bene sulla terra.

Quali che siano le influenze del mazdeismo zoroastriano sull'ebraismo, è a questa tradizione che risale la fondamentale idea politico - religiosa dell'impero universale: il re di Persia si considerava "re dei re", signore in nome di Dio dell'intera umanità.

Tale idea fu in qualche modo recepita da Alessandro Magno, dalla cultura ellenistica e da quella romana, e divenne di nuovo decisamente efficace nella fase del Dominatus e del tardo impero romano cristiano. L'impero orientale bizantino e quello russo zarista, da una parte, e quello occidentale romano - carolingio e romano - germanico portarono avanti (parallelamente, per ironia della sorte) l'idea di un unico impero cristiano di tutta l'umanità. L'unità e universalità (teoriche) di tali imperi derivavano dall'unico Dio di tutti gli uomini.

Problemi di questo tipo non hanno forse una diretta rilevanza filosofica. Tuttavia essi si collegano alla millennaria concezione del potere del mondo cristiano, e costituiscono, quanto meno, il punto di partenza - da contestare e da superare - della riflessione critica della filosofia politica moderna. Si noti che l'idea dell'impero universale in nome dell'unico Dio è presente anche nel pensiero di Cristo stesso, nella nozione centrale del "Regno di Dio". Ma questo Regno per lui non ha nulla a che vedere con le istituzioni politiche umane, "non è di questo mondo". Sarà l'età di Costantino e di Teodosio a reinterpretare di nuovo in modo politico - istituzionale l'idea profetica di Cristo.

1. L'ETICA DEL CRISTO STORICO.

Come s'è visto dalle ultime considerazioni sull'impero universale e sul Regno di Dio, le idee predicate da Cristo e le millennarie concezioni del mondo cristiano sono talvolta non solo diverse, ma addirittura antitetiche. Noi vogliamo ora cercare di sintetizzare le idee filosoficamente rilevanti del Cristo storico.

Chiamiamo Cristo "storico" la persona la cui esistenza, la cui vita e la cui dottrina ci sono attestate essenzialmente dai Vangeli, dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere apostoliche (Epistole). A parte i dettagli e i fatti miracolosi, la critica storica non mette in dubbio la veridicità complessiva della narrazione del Nuovo Testamento e l'autenticità delle dottrine in esso attribuite a Cristo.

Dunque gli studiosi, credenti o non credenti, oggi sono concordi nel considerare Gesù di Nazareth, detto il Cristo, un personaggio storico, non meno di Pericle o di Cesare. Ma la fonte più attendibile sui personaggi storici è normalmente considerata la documentazione ad essi contemporanea, o di poco posteriore. Non è difficile comprenderne la ragione: col tempo e con i vari passaggi per sentito dire, la storia tende a trasformarsi e amplificarsi in leggenda, e questo avveniva in modo particolare nel mondo antico.

Nel caso di Cristo c'è poi da dire che esso non è certo un personaggio storico ordinario: è il fondatore di una nuova religione, di una comunità di credenti e di apostoli impegnati a diffondere la lieta novella dell'avvento del Regno di Dio a tutti gli uomini, di una tradizione di predicazione e di interpretazione della Parola di Dio, di cui egli si considera l'autorevole portavoce. Da questa tradizione l'immagine di Cristo è uscita sempre più ingrandita e potenziata. In effetti, Cristo nei tre Vangeli Sinottici (Marco, Matteo e Luca) appare essenzialmente come l'annunciatore della Parola di Dio, come il Messia inviato dal Cielo secondo la tradizione profetica ebraica, come il discendente di re David destinato ad essere Signore (kurioò -kyrios) del Regno di Dio che sta per venire, apparirà a partire dal Vangelo di Giovanni e dalle Lettere di Paolo come una persona divina, come Dio stesso, che rivolge direttamente all'uomo la sua Parola.

Dunque Cristo, come oggetto della fede e dell'adorazione dei cristiani, si è venuto distaccando dal Cristo storico e gli vengono via via attribuite ulteriori perfezioni e uno status sempre più lontano da quello umano. Giovanni lo chiama "Logos" (=parola, discorso) di Dio, e dice che egli stesso è Dio: "All'inizio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio." Sappiamo che nelle opere di poco precedenti dell'ebreo Filone di Alessandria, il Logos è l'emanazione di Dio, essere supremo, ma inconoscibile e ineffabile, che - in tale forma - si rende accessibile all'uomo e si manifesta nel mondo inferiore. Del resto, nell'arte tardo - antica e alto - medievale Cristo addirittura è spesso rappresentato in una posa maestosa, ieratica e impassibile, che non è certo quella dell'uomo sofferente che in croce chiede a Dio Padre: "Allontana da me questo calice amaro", o del moralista che scaccia i mercanti dal tempio o inveisce contro gli scribi e i farisei.

E' possibile che siano state la cultura neoplatonica ebraica e la devozione popolare, da un lato, e, dall'altro, l'esigenza delle autorità religiose e politiche di sottolineare l'onnipotenza di Cristo, protettore ufficiale dell'impero, a spingere verso questa divinizzazione e a farne la seconda persona della Trinità, "vero Dio e vero Uomo". Ma adesso a noi interessano le idee - soprattutto etiche - del Cristo storico, che, dichiarando di essere l'atteso Messia, il Signore del regno che deve venire, si presenta pur sempre come uomo (parla di sé come spesso del "figlio dell'uomo"). ****

---Cerchiamo brevemente di sintetizzare queste idee, senza confonderle con gli apporti della tradizione.

1. Cristo conduce una critica serrata della morale tradizionale, tribale e rituale-esteriore, propria del Vecchio Testamento. In effetti, molte norme dell'Antico Testamento sono veri e propri tabù, legati all'opposizione puro-impuro: per esempio la proibizione di avere contatti con le donne mestruate o con i non-ebrei. Al posto di tale morale, Cristo propone interiorità, responsabilità individuale, universale dignità umana, amore universale, liberazione della donna dai tabù rituali, libertà dell'individuo rispetto alla famiglia tribale (non manca però la sessuofobia; "vi sono eunuchi che si sono resi tali da se stessi per il regno dei cieli" - Matteo, 19,12) [cfr. Ida Magli, Gesù di Nazareth, Garzanti]

2. Cristo crede che all'unico Dio corrisponda un unico genere umano, superando l'idea di superiorità etnica propria dei greci, e l'idea di superiorità etnico-religiosa propria degli ebrei (Cristo manda i suoi apostoli a predicare a tutte le genti; davanti a Dio non ci sono né greci né barbari, né ebrei né gentili, né schiavi né liberi, affermerà l'apostolo Paolo)

3. Cristo predica l'etica dell'amore, della comprensione e del dialogo sulla base dell'idea che gli uomini siano affratellati dall'eguale paternità di Dio nei confronti di tutti.

4 Egli annuncia l'imminente venuta del Regno dei Cieli. Esso non dipende dall'iniziativa dell'uomo, è un dono di Dio, e riguarda l'uomo così com'è, in carne ed ossa. Il Regno dei cieli non assomiglia al mondo iperuranio di Platone, al quale accedono solo le anime, ma l'uomo vi è chiamato tutto intero.

5. Egli propone ai suoi discepoli la scelta a favore dei poveri e degli oppressi, l'ostilità al mondo del denaro e del commercio, nello spirito dell'utopia comunitaria dei profeti (che genererà in seguito utopie comunistiche profetiche)

6. Egli però insiste sulla differenza di fini e di contenuti tra religione e politica, sulla base della trascendenza della religione: "date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio"; "il mio regno non è di questo mondo". Al contrario, nel mondo antico, la religione si identifica con lo Stato, al cui centro c'era un'etnia: religione cittadina dei greci e dei latini, religione nazionale delle dodici tribù ebraiche. Cristo non si rivolge né ad una tribù, né ad un popolo, né ad un impero, ma a tutti gli uomini.

Tuttavia la differenza tra religione e politica, così come compare nel Nuovo Testamento, si approssima forse, ma non corrisponde veramente ancora all'idea moderna secondo cui la religione è un fatto che appartiene alla sfera privata. Il rifiuto della politica da parte di Cristo non sembra significare un rifugio nel privato (contraddittorio rispetto al compito di testimoniare la buona novella a tutto il mondo); esso dipende dall'imminenza, così tante volte ricordata nel Nuovo testamento, del Regno dei Cieli, ben più potente di qualunque etnia o impero.

7. Dal Nuovo Testamento emerge anche l'idea che, con la discesa dello Spirito Santo di Dio in mezzo agli uomini, con il sacerdozio universale dei credenti, non abbiano più valore le distinzioni sacrali tra i ceti della società, e in particolare tra sacerdoti e laici, e che tutto il popolo possa parlare e agire in nome di Dio (secoli e secoli dopo questa idea verrà ripresa tra l'altro da quelle sette protestanti, come gli Anabattisti, che si ribelleranno tanto all'autorità della Chiesa, quanto all'autorità politica). Paradossalmente, da un lato Cristo distingue nettamente tra religione e politica quando i suoi interlocutori, ebrei nazionalisti, cercano di impegnare la sua autorità personale nella loro lotta, ma, dall'altro, quando promette la discesa dello spirito di Dio nel popolo dopo la sua morte, considera il popolo stesso, la comunità di quelli che credono in lui, come vero interprete della parola e della volontà divina. Questa discesa dello Spirito di Dio nel popolo indurrà qualcuno ad interpretare il cristianesimo in senso rivoluzionario.********

****Se questi, nelle grandi linee, sono i principi morali predicati da Cristo, dobbiamo cercare di chiarire perché essi hanno un interesse non solo per la storia della religione e del costume, ma anche per la storia della filosofia, in modo del tutto indipendente dalla nostra adesione alla fede cristiana.

Sinteticamente:

Il cristianesimo è lo sfondo dal quale emerge la filosofia moderna, così come la filosofia greca emerge dal mito. La problematica filosofica moderna stessa è fortemente legata - positivamente e negativamente - al cristianesimo (anche se non sempre alla sua versione più antica e al Cristo storico)

Alcune tesi etiche del Cristo storico sono da lui argomentate razionalmente - nonostante il fatto che egli si presenti come un'autorità profetica. In effetti, le argomentazioni hanno spesso forma di paradosso e partono da verità considerate evidenti, ma di solito tralasciate o malintese: p. es. : se il Padre provvede agli uccelli del cielo e ai gigli del campo, ecc., non penserà anche a voi, gente di poca fede? se per il buon samaritano è "prossimo" uno sconosciuto, non lo saranno per voi almeno i vicini di casa? se abbiamo dei doveri (rituali) verso i morti non ne avremmo di sostanziali verso i vivi ("lasciate che i morti seppelliscano i morti")? se siete peccatori, come potete pretendere di giudicare gli altri?

2a) "Chi non giudica non sarà giudicato" e "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" introducono il principio etico della reciprocità. Da tale principio, con alcuni aggiustamenti, Kant nel secolo XVIII trarrà il suo imperativo etico: "agisci in modo che tu possa volere che la massima della tua azione diventi legge universale". Per esempio: se io mento o rubo, non posso però volere che gli altri a loro volta mentano e rubino a me. Si tratta in sostanza di un'etica del rispetto reciproco tra soggetti (Kant la esprime anche così: "agisci in modo da considerare la persona in te e negli altri sempre anche come fine e mai solo come mezzo").

2b) "Chi non lavora non mangi" di San Paolo è anch'esso un principio etico fondato su di un'argomentazione razionale, anche se non del tutto esplicitata (poiché i cibo è prodotto dal lavoro, ha diritto al cibo solo chi partecipa alla sua produzione)

3) Abbiamo visto che in Cristo emergono potentemente i temi dell'interiorità e dell'autonomia dell'individuo, collegati con l'emancipazione dal mondo tribale e rituale. Anche se tali temi nel Vangeli non sono concettualizzati ed esplicitati con la chiarezza del linguaggio filosofico, essi costituiscono nondimeno un punto di riferimento per la riflessione del pensiero successivo, da Sant'Agostino fino ad oggi.

4) Si potrebbe azzardare un parallelo - nell'insegnamento e nella morte - con Socrate. Certo, la missione religiosa di Socrate è del tutto negativa: egli insegna agli altri a rimuovere gli ostacoli interni che non permettono loro di aprirsi alla verità, ma non si considera in positivo come portatore della verità, mentre Cristo parla con autorità in nome di Dio. Ma i due personaggi sono accomunati dall'uso del paradosso, dalla critica della tradizione, dalla lotta contro il conformismo, per l'autonomia e la responsabilità morale di ciascuno. La loro morte inoltre avviene in seguito ad una condanna ed un processo in cui essi difendono a costo della vita la coerenza del loro insegnamento ed enunciano verità che i loro giudici non possono capire (Socrate è scambiato per un sovvertitore religioso, mentre Cristo è preso per un sovvertitore politico).

Oltre che con Socrate, si potrebbe vedere un certo parallelismo tra Cristo e la filosofia socratico-cinica per quanto riguarda certi atteggiamenti di rifiuto del potere e della ricchezza, dell'ipocrisia della vita civile e in genere della tradizione e del conformismo. Si noti però che la scelta a favore dei poveri e degli oppressi va in senso inverso al senso comune greco e che i cinici in questo furono degli anticonformisti, che le correnti principali della cultura classica si incaricarono di isolare.




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