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TESI DI LAUREA IN ANALISI COMPARATIVA DELLE ORGANIZZAZIONI - ANALISI LONGITUDINALE DELLE AZIENDE DI CREDITO ROMAGNOLE

politica



Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Facoltà di Scienze Politiche
indirizzo Politico Amministrativo


TESI DI LAUREA IN

ANALISI COMPARATIVA DELLE ORGANIZZAZIONI


Analisi Longitudinale

delle aziende di credito romagnole.



Dalle origini allo sviluppo di Cassa e Monte Lugo

Indice


CAPITOLO I.......... ..... ...... .............. 4

L'Analisi Longitudinale

Introduzione Metodologica.......... ..... ...... ............... 4

Introduzione del caso.......... ..... ...... ...................... 13

CAPITOLO II.......... ..... ...... .......... 11

La Banca di ieri . la Banca di oggi

La Storia della Banca Italiana: dall'etimologia al Testo Unico nel passaggio tra le guerre  11

La difficoltà della deregolamentazione............................. 16

Lo scenario Europeo e mondiale.......... ..... ...... ...... 19

La banca nel contesto locale.......... ..... ...... ............ 24

CAPITOLO III.......... ..... ...... ......... 29

La fase di nascita: dagli Istituti lughesi alla realtà faentina


La fase della nascita.......... ..... ...... ........................ 29

La Banca del Monte di Lugo.......... ..... ...... ........... 30

La Cassa di Risparmio di Lugo.......... ..... ...... ....... 34

Il Monte di Pietà di Faenza.......... ..... ...... .............. 40

CAPITOLO IV.......... ..... ...... ......... 52

Le strutture organizzative........... ..... ...... ................ 52

CAPITOLO V.......... ..... ...... ........... 81

Un primo tentativo di sviluppo

Il progetto Ca.Ri.Ro........... ..... ...... ...................... 81

CAPITOLO VI.......... ..... ...... ......... 93

La situazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte

Il periodo dal 1985 al 1993: le sinergie............................. 93

La Fondazione Cassa di Risparmio

e Banca del Monte di Lugo.......... ..... ...... ............ 103

Il secondo tentativo di sviluppo:

la Cassa e Monte Lugo ed il progetto CAER................. 112

Conclusioni.......... ..... ...... ..... 119

Ringraziamenti............................. 121

Bibliografia........... ..... ...... ... 122







Capitolo I.

L'analisi Longitudinale

Introduzione metodologica


L'intento della presente tesi è quello di ricostruire le tappe fondamentali dello sviluppo dalla nascita alla trasformazione e morte della Cassa e Monte Lugo S.p.A.

Quello che mi propongo quindi, è di ricreare le tappe di questo sviluppo al fine di ricostruire la sua storia e la sua rete di scambio.

Di qui la necessità di definire un quadro teorico di riferimento basato sull'analisi longitudinale.

Tale analisi muove da una concezione sistemica dell'organizzazione, ed in particolare dall'idea dell'organizzazione quale sistema aperto: vale a dire un sistema in continuo interscambio con l'ambiente dal quale preleva risorse ed al quale cede outputs.

Le ipotesi di fondo da cui muove l'analisi longitudinale sono che:

q   La storia passata di ogni organizzazione influisce fortemente sulle sue prestazioni attuali; il momento della nascita, in particolare, è estremamente importante, poiché gli elementi di creatività che essa naturalmente porta con sé tendono ad imprimere connotazioni fondamentali sull'organizzazione, connotazioni che perdurano nel tempo;

q   Lo sviluppo delle organizzazioni avviene per fasi caratterizzate ciascuna da specifiche dinamiche interne e di relazione con l'ambiente esterno.

Tali fasi vengono definite come quei periodi di tempo caratterizzati da tendenziale omogeneità nei rapporti interni al sistema organizzativo e tra il sistema e l'ambiente.

Tali fasi che possiamo concepire come assetti specifici del sistema o anche come specifiche fasce di equilibrio tra sistema e ambiente, non hanno una durata predeterminata ed uguale nel tempo, soprattutto non possono essere fatte coincidere con il tempo cronologico.

É chiaro dunque che il carattere distintivo di questo filone di studi è dato dall'interesse esplicito per la dimensione temporale ed in particolare per il passato delle organizzazioni.

Kimberly e Miles definiscono le organizzazioni come fluide e dinamiche, capaci di muoversi nel tempo e nello spazio, di agire e reagire.

In tale prospettiva l'unico autentico sistema per affrontare l'analisi di un'organizzazione è considerare il contesto storico in cui è inserita, analizzando sia le forze esterne sia quelle interne che condizionano lo sviluppo dell'organizzazione.

É opportuno sottolineare ancora una volta che il tempo cronologico spesso non coincide con i ritmi ed i cicli dell'organizzazione.

Vi sono, poi, dei periodi di tempo durante i quali un'organizzazione cambia più volte e radicalmente la propria natura e le sue caratteristiche essenziali nel giro di pochi anni.

Il modo più efficace e produttivo per cogliere le caratteristiche delle varie fasi è quello di concentrare l'attenzione sulle cesure, in altre parole sui momenti di passaggio da una fase all'altra.

Molto importante diventa allora la ricerca di quelle variabili significative che indicano il passaggio da una fase a quella successiva".[1]

Si avvierà, così, il processo di istituzionalizzazione che comporterà:

q   Una infusion with values: un'interiorizzazione dei valori di cui l'organizzazione è portatrice;

q   Un processo di formalizzazione, di esplicitazione delle regole del gioco: l'organizzazione assume un carattere di maggior prevedibilità di comportamento.

Secondo Huntington "il livello di istituzionalizzazione di una qualsiasi organizzazione può essere misurato dalla sua adattabilità, complessità, autonomia e coerenza".

A questo punto importante è la fase di sviluppo dell'organizzazione in questione.

Lo sviluppo è caratterizzato da una pluralità di fenomeni organizzativi che creano a vere e proprie sottofasi nell'ambito del processo più generale.

A questo riguardo assumono importanza numerosi modelli teorici:

Il modello strategia - struttura che considera fondamentali nella fase di sviluppo il rapporto tra, appunto la strategia e la struttura all'interno delle organizzazioni, intendendo per strategia "la determinazione delle mete fondamentali e degli obiettivi di lungo periodo dell'impresa, la scelta dei criteri d'azione ed il tipo di allocazione delle risorse necessarie alla realizzazione dei suddetti obiettivi" e intendendo per struttura "lo schema organizzativo attraverso il quale l'impresa, formalmente o informalmente, è amministrata", e quindi con ciò intendendo "i canali di autorità e di comunicazione tra gli uffici amministrativi, e le informazioni e i dati che percorrono questi canali". E quindi valutare la coerenza del rapporto tra queste due variabili: se è la strategia a determinare la struttura o se invece avviene il contrario;

Il modello evoluzione - rivoluzione che sostiene che nello sviluppo delle imprese si alternano periodi di crescita senza sovvertimenti, a periodi di "rivoluzione" definiti come periodi di grande scompiglio nella vita aziendale;

Il modello della Business Idea di Normann, che sostiene che è la struttura ad influenzare la strategia: anzitutto nuove idee, o embrioni di idee, nascono direttamente dalla struttura; secondariamente la struttura condiziona il tipo di apprendimento che può aver luogo ed è, così, una determinante della strategia; l'idea di fondo è, tuttavia quella che l'elemento trainante dello sviluppo organizzativo è dato dai processi di apprendimento piuttosto che dall'applicazione meccanica di modelli razionali del tipo mezzi - fini; la Business Idea è concepita come quella combinazione di mercato - prodotto - struttura che caratterizza una specifica impresa in un determinato momento storico, indipendentemente dal suo grado di dominanza dell'ambiente competitivo. Per il solo fatto di esistere un'impresa realizza ed esprime una specifica combinazione mercato - prodotto - struttura.

Una Business Idea può, poi, nel corso del tempo subire degli aggiustamenti ed adattamenti: il modo in cui un'impresa riorienta la sua Business Idea diventa l'indicatore più preciso e significativo del passaggio da una fase a quella successiva del processo di sviluppo.

La Business Idea non è qualcosa di dato a priori, un modello interpretativo rigido e predeterminato, è piuttosto un sistema euristico che può essere applicato ad ogni tipo di organizzazione, sia essa un'impresa od una non profit organization.

È possibile ricostruire il ciclo di vita delle business idea analizzando com'è andata modificandosi nel tempo la logica di comportamento dell'impresa, distinguendo le fasi del ciclo di vita in relazione alla continuità/discontinuità di comportamento scandita dalle variazioni di prodotto o dai riorientamenti della business idea.

L'analisi storica, la ricostruzione diacronica delle dinamiche organizzative, può contribuire fortemente a meglio comprendere le prestazioni ed i comportamenti attuali delle organizzazioni.

L'importanza dei concetti di strategia e struttura, ma anche e soprattutto l'importanza del concetto di cultura organizzativa, vista come quella specifica modalità di vivere e gestire il rapporto organizzazione - ambiente, vista come la molla più forte che incide sui processi di apprendimento degli attori organizzativi, risulteranno fondamentali per la nostra analisi.

La cultura organizzativa diventa allora una delle determinanti strutturali delle prestazioni delle organizzazioni stesse.

Inoltre concepire la struttura come insieme integrato di "organigramma - cultura - razionalità" è un ottimo risultato.[3]

Infine, non meno importanza assume la fase finale del ciclo di vita delle organizzazioni, quella della decadenza o morte, che può verificarsi o no.

Secondo numerosi autori l'organizzazione può morire o più semplicemente può continuare a vivere subendo però delle trasformazioni più o meno radicali: spostamento dei fini, trasformazioni dei fini, sono tutti processi che mutano l'organizzazione rispetto a quello che era in passato.

Naturalmente però, i cambiamenti possono essere mirati a mantenere in vita nell'organizzazione in questione alcuni fondamentali elementi, quali la cultura, la struttura e gli orientamenti generali.

E', poi, molto importante riuscire a non confondere la fase di declino di un'organizzazione con una fase, magari, di degrado.

A volte le fasi di degrado possono portare a fasi di declino e quindi di morte dell'organizzazione, ma spesso ciò non succede, e può capitare che, anzi, una fase di momentaneo degrado funga poi da elemento rivitalizzante dell'organizzazione stessa.

E' importante altresì distinguere tra declino di singole aziende e declino di intere popolazioni di aziende, quindi tra declino di un "singolo" o declino di una "specie".

Nel nostro caso specifico, è ovvio, che essendo il settore in questione quello bancario, non si parlerà mai di declino di una particolare specie, considerato il fatto che il settore bancario continua ad essere, e continuerà ad esserlo per molto a nostro avviso, uno dei settori più attivi e dinamici nel panorama dell'intero mercato.

Nel caso, semmai, si potrà parlare di dinamiche che possono aver portato o no l'organizzazione bancaria in questione a compiere la scelta di fondersi o meno con altri istituti.

Alla luce di questa seppur breve delucidazione metodologica possiamo considerare indispensabile, dunque, partire dall'analisi longitudinale delle organizzazioni muovendo dall'assunto secondo cui le organizzazioni vivono diverse fasi nel corso della loro vita; muovendo, quindi, dalla convinzione che è necessario disporre di strumenti di indagine che consentano di cogliere il significato delle varie fasi, e delle cesure tra queste.

Le organizzazioni cambiano nel tempo seguendo, quindi, modelli di sviluppo che non sono necessariamente lineari, ma possono al contrario essere ciclici e discontinui: lo sviluppo avviene cioè per fasi che è fondamentale analizzare.

E'necessario concepire la "struttura" in termini più ampi e consistenti di quanto in realtà non avvenga: l'organigramma, ad esempio, è una delle componenti della struttura, ma non la rappresenta totalmente; importantissimi sono quindi i concetti di cultura e modelli di razionalità che determinano e definiscono la struttura organizzativa.

La concezione organizzativa vede l'impresa bancaria come un nucleo di core competences e un tessuto di relazioni.

Gli attori coinvolti sono soggetti interni e soggetti esterni i cui rapporti sono governati da strutture di incentivi e repertori di regole di comportamento e di conduzione delle attività, il cui valore aggiunto dipende dalla coerenza rispetto alle strategie perseguite dalla banca in termini di combinazioni prodotto/segmento di cliente/tecnologia.

Alcune ricerche sull'assetto organizzativo delle banche italiane[4] sembrano mostrare che proprio la mancanza di questo requisito di coerenza rappresenta un rilevante elemento di debolezza per le nostre aziende di credito. L'Osservatorio ABI-CRORA, ad esempio, riporta che, su un campione di 295 banche, ben il 49,4% afferma di perseguire una strategia di anticipazione, basata su grandi capacità di innovazione

(soprattutto di prodotto), sulla tempestività di risposta e flessibilità delle strutture (in relazione agli andamenti di mercato), e su cospicui flussi di investimento (legati in particolare ai processi di informatizzazione ed automazione, oltre che alle necessità di penetrazione ed espansione .

In realtà, i risultati emersi dallo stesso Osservatorio[5] evidenziano che il contesto in cui operano le aziende di credito italiane è caratterizzato da:

q   un regime di elevata appropriabilità che, associato alle innovazioni di prodotto[6], rende le innovazioni stesse facilmente imitabili in tempi brevi, e porta come conseguenza incertezza sui ritorni economici delle attività in ricerca e sviluppo.

q   assetti organizzativi caratterizzati da strutture funzionali a forte articolazione gerarchica, rilevante peso delle unità centrali ( sia in termini decisionali che dimensionali), e squilibri nella struttura distributiva; come conseguenza di ciò, emergono da un lato l'esigenza di recupero di produttività attraverso lo "snellimento" delle strutture[7], e dall'altro lato la necessità di garantire maggiore integrazione tra le attività, attraverso meccanismi di coordinamento non gerarchici;

q   scarso orientamento al cliente ed alla qualità, soprattutto in termini di monitoraggio dei livelli di customer satisfaction e di customer retention[8] e di diagnosi competitiva delle singole piazze.

q   Ne deriva l'esistenza di una sorta di gap organizzativo che rappresenta il campo privilegiato d'azione delle aziende di credito che intendono accettare la sfida competitiva degli anni '90.


















Introduzione al caso


Il mio studio intende partire dall'analisi della Cassa di Risparmio di Lugo e dalla Banca del Monte di Lugo, che ritengo siano la principali "sorgenti" dalle quali, poi, sgorgheranno tutte le situazioni future.

Il fulcro, il motore, di tutti i cambiamenti è stato, la Cassa di Risparmio di Lugo, che nel corso degli anni ha saputo rinnovarsi anche se in maniera non sempre facile.

La Banca del Monte di Lugo rappresenta, invece, nella prima parte del lavoro, per certi versi l'antagonista, in ambito locale, della Cassa di Risparmio.

Visioni diverse, politiche diverse, hanno per decenni visto i due enti vivere all'interno dello stesso territorio, l'ambito lughese appunto, da separati in casa.

La caduta di vecchie ideologie, la nascita dei mercati globali, nuove normative in ambito bancario, la caduta delle frontiere a livello europeo, sono le prime motivazioni che hanno spinto i dirigenti lughesi a prendere in seria considerazione l'ipotesi della fusione di questi due istituti così vicini ma anche così lontani.

Il polo lughese, lo si citerà spesso nel corso del lavoro, nasce dunque dalla fusione di queste due banche, che consce dei loro limiti hanno ben pensato di unire i loro sforzi per cercare di ritagliarsi un'importante fetta di mercato locale.

La Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza rappresentano, invece la realtà faentina. L'attenzione si sposta, naturalmente, nella città manfrediana.

La situazione, peraltro, è simile a quella lughese, con una banca prettamente di stampo locale, che nel corso degli anni si è trovata a dover competere con istituti dotati di strutture molto forti, adeguate e preparate. La fusione, dunque, delle realtà lughese e faentina, darà vita e corpo alla Banca di Romagna.

La prima parte della tesi rappresenta un'analisi storica delle banche che ho analizzato. Tale scelta è stata, tra l'altro, obbligata, visto che le uniche fonti disponibili per l'origine della banca, sono documentazioni storiche depositate nelle biblioteche del Polo Bibliotecario Romagnolo in particolare nelle sedi di Ravenna e Faenza.

Mi sono attenuto, quindi, ad una descrizione delle funzioni e delle motivazioni che hanno animato la banca dalla sua nascita al suo stato attuale.

Ho inoltre deciso di introdurre la Banca del Monte di Faenza per mostrare la similitudine tra le origini delle banche del polo lughese e della città manfrediana, similitudine che porterà alla loro fusione in termini più recenti per la creazione di sinergie e di un polo bancario più evoluto.




Capitolo II.

La Banca di ieri. La Banca di oggi

La storia della Banca italiana dall'etimologia al testo unico nel passaggio tra le guerre

Il termine "banca" trae origine proprio dal banco sul quale si effettuava la pesatura delle monete e dell'oro che venivano depositati ottenendo, in cambio, ricevute di deposito.

Gli antichi banchi medioevali erano, di fatto, il corrispondente delle odierne casseforti, presso cui i clienti mantenevano al sicuro le loro ricchezze, potendone riavere la disponibilità con la semplice presentazione della ricevuta di deposito.

Si hanno già tracce di espressioni di attività bancaria presso le popolazioni mesopotamiche e presso i greci.

Con i romani si ha l'intensificarsi degli scambi monetari, ma con il dissolvimento dell'impero romano, le invasioni barbariche e l'avvento, con il feudalesimo, di un'economia chiusa e povera di scambi monetari, si arrestò il processo di evoluzione delle istituzioni bancarie che riprese soltanto con la ripresa dei traffici e degli scambi. Il sistema creditizio italiano come oggi si presenta è il risultato, perciò, di una lunga e travagliata evoluzione intensificatasi e concretatasi, allo stesso tempo, dagli inizi del '900 ad oggi 

Prima del 1900, le banche, che operavano anche come istituti di emissione, non erano disciplinate organicamente e perseguivano in modo libero e incontrollato le loro finalità.

Questo sistema liberistico si protrasse fino agli anni dopo il 1870, anni in cui le banche, oltre ad operare come istituti di emissione, cominciarono a svolgere anche una funzione intermediatrice fra coloro che offrivano capitali e coloro che li richiedevano.

Il prevalere di teorie di tipo liberistico consentiva uno svolgimento senza vincoli dell'attività creditizia, che non era regolata da norme specifiche.

La legislazione della Stato riguardava solo aspetti particolari dell'attività e mancava una disciplina organica del settore, in cui le aziende di credito agivano secondo criteri aziendalistici e perseguivano in modo libero e incontrollato le loro finalità.

Lo scopo principale per cui le banche sorgevano ed operavano era quello di apportare un considerevole aiuto ai regnanti del tempo così nel 1888 con Francesco Crispi, per finanziare l'espansione coloniale italiana, nacque lo scandalo della Banca Romana.  

Nel 1893, allo scopo di dare una maggiore organizzazione ed un primo coordinamento fra i diversi istituti, si avvertì la necessità di creare un'unica Banca con sede a Roma.  Nascerà dall'unione delle banche italiane, sotto forma di S.p.a. con cap. soc. di 300.000.000 di lire la Banca d'Italia, che diventerà la banca centrale del sistema mentre cesserà la facoltà di emettere moneta da parte del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia (che fino a quel momento erano autorizzati a emettere carta moneta).

Questa situazione di piena libertà si è protratta a lungo, sin dopo la conclusione della prima guerra mondiale, quando il sistema bancario non sopravvivrà alla riconversione da un'industria bellica a un'industria civile e diversi fallimenti di banche ca 232i85c usareranno pesanti danni a molti risparmiatori, a diverse aziende e alle stesse finanze pubbliche. La serie dei fallimenti bancari, il cui apice si manifestò con il dissesto della Banca Italiana di Sconto, furono originati, inoltre, dallo squilibrio tra raccolta di risparmio rimborsabile a vista e concessione di finanziamenti a lungo termine.

Tuttavia nel periodo che va dal 1870 al 1925 si ebbero una serie di progetti di legge e di studi di un certo interesse che denotano l'aspirazione di dare un assetto organico al settore del risparmio e del credito, onde risolvere i vari problemi connessi all'importanza che l'attività bancaria andava assumendo nell'economia moderna.

All'inizio degli anni venti si elaborarono così diverse proposte con cui s'intendeva porre fine al free banking consentito dal vecchio codice di commercio e venivano proposti degli obblighi per le banche e l'istituzione di un sistema di vigilanza sull'attività creditizia; i diversi progetti sfociarono nel 1926 in alcuni decreti, che furono successivamente convertiti in legge e che rimasero a lungo in vigore. Le norme erano dirette principalmente a evitare nuovi dissesti attraverso un generale ordinamento del settore del credito rivolto a dare stabilità alle banche e, di conseguenza, a proteggere gli interessi dei risparmiatori.

Così molte idee tendevano a stabilire una speciale garanzia a favore dei depositanti nei confronti delle società anonime esercenti il credito, mediante il privilegio legale sugli ultimi tre decimi del capitale sociale, da versarsi solamente in caso di liquidazione o di fallimento delle società anzidette.

La grande crisi iniziata nel 1929 trascinò le banche che avevano concesso i finanziamenti alle imprese in un baratro.

Lo Stato fu costretto a intervenire decisamente nell'economia istituendo enti finanziari pubblici destinati a fornire alle imprese i capitali.

Nel 1936 venne realizzata una completa riforma bancaria, strutturando il sistema creditizio in forma gerarchica e istituendo distinte categorie di aziende di credito.

La riforma separò nettamente il credito ordinario a breve da quello a medio/lungo, e stabilì rigorose limitazioni alle partecipazioni azionarie delle banche nelle imprese (e viceversa).

I cardini della riforma del 1936 sono rimasti in funzione sino al 1994, ossia fino all'entrata in vigore del Testo unico delle leggi bancaria e creditizia che ha dato un nuovo assetto organico alla nostra legislazione del settore. Tale testo unico ha poi subito una serie di modifiche con il recepimento della direttiva europeo sui servizi di investimento (nota come direttiva sulle Eurosim) che gli ha dato una sistemazione definitiva di impronta europea.

Senza alcuna pretesa di ricostruzione storica, si può ricordare che fino alla fine degli anni ottanta il sistema bancario è stato caratterizzato da due vincoli fondamentali: i mercati del credito sono stati sottoposti a rigida regolamentazione, volta ad assicurare la stabilità più che l'efficienza; l'operatività delle singole banche è stata costretta entro categorie che hanno indotto specializzazioni funzionali, settoriali e territoriali. Ne è risultato un sistema bancario poco esposto alla concorrenza interna e - ancor meno -internazionale, ma anche poco concentrato.

Pertanto, pur avendo una posizione dominante nei mercati italiani dei capitali e pur ostacolando così lo sviluppo di un mercato azionario "spesso" e ben organizzato, le banche italiane sono state in grado di svolgere solo le funzioni creditizie più tradizionali (raccolta e impieghi) e hanno fondato la quota prevalente dei loro profitti sui margini di interesse o, addirittura, sullo spread fra tassi attivi e passivi. Le modificazioni istituzionali (trasformazione di gran parte delle banche in s.p.a., recepimento delle due direttive UE) si sono accompagnate ad importanti innovazioni legislative (Testo unico sull'attività bancaria). Non è sorprendente che, in questo contesto, il rapido processo di deregolamentazione dei mercati del credito, avviato dalle autorità monetarie italiane all'inizio degli anni novanta, in armonia alle direttive dell'unione europea, abbia creato difficoltà all'insieme delle banche e indotto situazioni di crisi per le sue parti più deboli.

Questo processo avveniva mentre la finanza si globalizzava a livello internazionale, per prima e più velocemente, di qualsiasi altro comparto economico e creava una crescita senza precedenti dei livelli di finanziarizzazione rispetto ai beni ed ai servizi prodotti.

Tutto ciò qualificando la fase di sviluppo dell'economia mondiale.

Precisiamo che nel passaggio tra vecchio e nuovo ordinamento alcuni concetti-cardine della legge bancaria del 1936 sono stati abbandonati o persino capovolti, altri aspetti del vecchio impianto sono stati, invece conservati, apportando loro solo leggere modifiche.

Alla sostanziale conservazione degli organi che sono al vertice del sistema fa riscontro un deciso cambiamento di alcuni principi del nostro ordinamento creditizio, il cui abbandono testimonia la spinta impressa al nostro sistema creditizio dalla volontà di rinnovamento.

Tra questi annovero:

q   Il principio della "specializzazione temporale del credito"  in base al quale le banche dovevano gestire il credito a breve termine (entro 18 mesi) mentre gli istituti di credito dovevano gestire il medio/lungo termine, nonostante le deroghe per cui le banche potevano gestire anche crediti di medio/lungo;

q   Il principio del "pluralismo istituzionale" in base al quale le banche e anche un numero ristretto di istituti di credito speciale, venivano suddivisi in pubblico o privato, con forme legali diverse;

q   Principio della "separatezza tra banca e industria" in base al quale, per evitare che il sistema bancario risultasse coinvolto nelle crisi delle imprese industriali; (la vecchia legislazione vietava i rapporti di partecipazione azionaria delle banche nelle imprese e viceversa)

Questi principi, che avevano retto a lungo il nostro sistema creditizio, sono stati abbandonati in conseguenza ad alcuni provvedimenti che hanno dato risposta a una doppia serie di esigenze:

q   Esigenze di ristrutturare e di ricapitalizzare le banche e gli istituti di credito pubblici e di avviare un processo di privatizzazione non solo formale ma anche sostanziale, ponendo come riferimenti fondamentali l'impresa e il mercato;

q   Esigenze di adeguare l'intero sistema creditizio alle direttive comunitarie, migliorandone l'efficienza e la competitività e mettendolo in condizione di affrontare sul mercato unico bancario l'impatto con le grandi istituzioni creditizie europee.







La difficoltà della deregolamentazione


Per arrivare al soddisfacimento delle esigenze sopraccitate, si sono dovute percorrere alcune tappe :

Nel 1990 è stato consentito alla banche il passaggio a società per azioni, che ha permesso la raccolta di capitali di rischio, facilitando, così, le operazioni di ricapitalizzazione; grazie al cambiamento giuridico fatto, sono avvenute una serie di operazioni di finanza straordinaria costituite da trasformazioni di banche pubbliche in società per azioni, da scorpori di aziende bancarie da enti pubblici aventi carattere di fondazione e loro conferimento in società appositamente costituite, da fusioni tra banche e istituti di credito appartenenti a categorie tradizionalmente diverse.

Il cambiamento di molti istituti in società, ha, di fatto, segnato la fine della suddivisione in categorie, in quanto al pluralismo istituzionale non si accompagnava più un pluralismo funzionale in quanto le varie categorie di banche avevano via via attenuato i loro connotati peculiari e svolgevano quasi le stesse operazioni; si è avviato, infine, il processo di privatizzazione (attraverso offerte pubbliche di vendita).

Il problema delle privatizzazioni non si è dunque arrestato all'adozione del modello privatistico delle società (perché in tal caso la privatizzazione è solo formale) ma ha dato luogo alla cessione ad azionisti privati di significative quote del capitale sociale.

Nel 1993 la Banca d'Italia addita il "gruppo plurifunzionale" come lo strumento italiano atto a competere con i colossi stranieri del credito.

Un gruppo plurifunzionale è un sistema coordinato di società specializzate in determinati servizi creditizi e finanziari, governato da una società capogruppo che svolge essenzialmente la funzione di pianificazione strategica dell'intero gruppo bancario.

Il gruppo plurifunzionale offre la possibilità di ampliare la gamma dei servizi offerti da una medesima unità strategica senza rinunciare ai benefici della specializzazione e conseguendo alcune economie di scala; mentre la banca universale, per il suo assetto unitario e per la sua unica organizzazione gerarchica, consente di sfruttare pienamente le opportunità economiche delle produzioni congiunte.

Verso la fine del 1992, è stato approvato il decreto legislativo che ha modificato i punti fondamentali della precedente legislazione bancaria; il mutato atteggiamento delle nostre autorità monetarie e il loro accoglimento della soluzione della banca universale, ha sancito la volontà di despecializzare l'esercizio del credito e ha introdotto profondi cambiamenti in vista della realizzazione del mercato unico europeo nel settore bancario.

Il cambiamento più eclatante introdotto da tale decreto è consistito nell'abbattimento di ogni separazione nel campo del credito, annullando la classica distinzione tra le banche e gli istituti di credito speciale e formando l'unica categoria degli enti creditizi.

Lo stesso decreto afferma che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria viene rilasciata dalla Banca d'Italia alle imprese che rispettano determinate condizioni, tra le quali l'adozione della forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata. Inoltre il decreto ha stabilito che le banche, qualora il loro statuto lo prevedesse, possono emettere obbligazioni.

Sono stati anche modificati i rapporti con il settore industriale che può ora estendersi all'assunzione di partecipazioni entro limiti fissati dalla legge e rivedibili dalla Banca d'Italia.

Le partecipazioni acquisite dalle industrie nel capitale delle banche, devono essere preventivamente autorizzate dalla Banca d'Italia se superano il 5% del capitale o se attribuiscono il controllo della banca partecipata, e in ogni caso non possono comportare una partecipazione superiore al 15% (legge antitrust); le possibilità offerte hanno consentito alle banche italiane di assumere i connotati non solo della "banca universale" ma anche quelli della "banca mista" (cioè di possedere, sia pure entro certi limiti prestabiliti, le azioni di imprese industriali).

Tali possibilità hanno messo gli enti creditizi nazionali in grado di competere in condizioni di parità istituzionale, temporale e operativa con i concorrenti comunitari sul mercato europeo senza frontiere; la scelta tra gruppo plurifunzionale e banca universale è lasciata ai singoli enti che, nella stesura del proprio statuto, devono specificare l'oggetto della propria attività optando così per uno dei due modelli estremi oppure per una soluzione di tipo intermedio.

Con il recepimento della II direttiva CEE è stato accolto e accettato il modello della banca universale, anche se non si è esplicitamente rinunciato al modello del gruppo plurifunzionale introdotto nel 1990;

l'azione riformatrice degli anni novanta, che si è sviluppata attraverso le numerose tappe che abbiamo descritto, è proseguita con la realizzazione della legge n. 218/1990 concernente "Disposizioni in materia di ristrutturazione ed integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico" (così detta legge "Amato"), diretta a consentire, con l'introduzione delle indispensabili agevolazioni fiscali, le operazioni di conferimento, di fusione e di concentrazione necessarie per la creazione di nuovi organismi e del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

Tale testo unico, emanato con decreto legislativo entrato in vigore il 1° gennaio 1994, ha raccolto e coordinato sia i concetti affermati con il provvedimento che ha recepito la II direttiva europea sia quelli contenuti in una serie di altre disposizioni riguardanti il campo del credito; il testo unico, che rappresenta una sorta di "carta costituzionale" del settore bancario e creditizio, ha però subito alcune modifiche con il recepimento nel 1996 della direttiva europea sui servizi di investimento (detta Eurosim).

In linea di principio, non vi è oggi alcun impedimento legislativo a che le banche italiane adempiano ai compiti tipici delle banche universali, associando alle funzioni tradizionali l'offerta di servizi non tradizionali e le attività tipiche delle banche di investimento (corporate finance, riallocazione dei diritti proprietari, e così via).

Il fatto è che sessant'anni di rigida regolamentazione hanno lasciato tracce pesanti; e il radicale mutamento di prospettiva, consumatosi in meno di un decennio, ha indotto e tuttora induce difficoltà nella gestione delle banche italiane.

Il salto manageriale, culturale e organizzativo richiesto per passare dal perseguimento di finalità di stabilizzazione, definite dalle autorità monetarie, al soddisfacimento dei criteri di efficienza, vincolati alla possibilità di fallimento dei mercati, non è semplice. L'eredità storica, sommandosi alle difficoltà congiunturali e strutturali dell'economia "reale" negli ultimi anni, ha così fatto emergere quell'insieme di punti di debolezza e di svantaggi competitivi delle banche italiane sopra segnalati.














Lo scenario europeo e mondiale


Nell'attuale scenario europeo, le banche sembrano adottare prevalentemente quattro alternative forme di crescita esogena:

q   costituzione di "campioni nazionali", ovvero aggregazioni tra banche della stessa nazione;

q   acquisizione o fusioni cross border, ovvero aggregazioni tra banche di nazionalità diversa

In entrambi i casi sono state quasi esclusivamente fusioni intra-settoriali (banca commerciale con banca commerciale, banca d'investimento con banca d'investimento, etc.);

q   acquisizioni cross industry, ovvero acquisizioni o fusioni con società non bancarie; particolarmente intensa è stata l'integrazione fra settore bancario e assicurativo

q   strategie di cooperazione, ovvero veri e propri accordi di collaborazione tra banche od anche tra banche e altre società di diversi settori.

Le banche rispondono a queste nuove condizioni assumendo nuove e differenziate fisionomie: alcune si consolidano fino ad essere presenti sul mercato mondiale (global player) altre sono circoscritte ad aree limitate in cui raggiungono la massima penetrazione ed efficienza, si specializzano in particolari settori della intermediazione finanziaria, come ad esempio l'attività in cambi, le transazioni con l'estero, oppure nell'intervento sul mercato dei titoli e valori mobiliari. Si può anche avere come fine l'assunzione di partecipazioni di rischio e l'assistenza finanziaria alle imprese od infine lo sviluppo degli investimenti in favore di determinati settori economici o di paesi stranieri.

Tali banche devono quindi avere la possibilità di offrire servizi altamente professionali ad una clientela selezionata, e quindi abbisognano di forti capitali, buone risorse umane e tecnologie qualificate.Esse sono: le banche di segmento o supra-regional bank.

Altre si specializzano in aree di operazioni di credito e di servizi (nicchie, target o pronuncia) raggiungendo in esse le massime efficienze.

Esse operano nell'ambito del gruppo industriale o finanziario che le controlla, privilegiando di conseguenza il rapporto con e società proprie consociate.

In tal caso devono avere un rilevante capitale di partenza e devono prestare attenzione al rispetto delle norme nazionali e comunitarie in materia di concentrazione d'impresa e di intrecci di partecipazioni ed affari tra banche ed industrie.

Esse sono: le banche di specializzazione o regional bank.

Altre ancora sono caratterizzate da un legame privilegiato che si instaura con a clientela, da un numero di sportelli limitati ad un ambito territoriale generalmente provinciale, e da uno di svolgimento d'attività prevalentemente tradizionale, con un capitale ripartito tra moltissimi azionisti.

Inoltre Il contesto competitivo attuale si distingue con la specializzazione regionale delle produzioni, le più intense correnti di scambio, la più rapida mobilità del capitale.

I loro caratteri sostanziali sono:

crescita continua della produzione di beni e servizi, seppur a ritmi alterni e differenziata tra aree geografiche, liberalizzazione e deregolamentazione di ogni settore economico, ivi compreso quello finanziario, globalizzazione di mercati di beni e servizi e di imprese e crescita del commercio, rivoluzione tecnologica e innovazioni finanziarie, espansione dei mercati finanziari più rapida di qualunque componente fondamentale del settore economico.

La concentrazione in atto nel sistema, tra le aziende di vertice e tra quelle di medie dimensioni, tende a rafforzare gli assetti patrimoniali e organizzativi dei singoli intermediari e a costruire istituti di dimensioni paragonabili a quelle delle principali banche europee.

Le banche regionali o locali del Centro-nord, e in particolare le banche localizzate nel Centro-nordest, svolgono in modo spesso efficiente le funzioni creditizie tradizionali (es.: finanziamenti di breve termine). Ciò non è però sufficiente per rispondere alle esigenze differenziate dei vari sistemi di piccolo-media impresa.

I distretti industriali più avanzati domandano ormai servizi non tradizionali e, in particolare, forme di sostegno finanziario in grado di accompagnarne e sostenerne l'evoluzione, di avvicinarli ai mercati azionari e di garantire un'allocazione efficiente dei diritti di proprietà.

Bisogna tener presente, infatti, che i sistemi di piccola e media impresa attraversano una fase critica in concomitanza con il passaggio generazionale di proprietà.

Le singole imprese avrebbero perciò l'esigenza di affidarsi ad una hausbank in grado di individuare i nuovi strumenti finanziari necessari a sostenere l'evoluzione produttiva e a instaurare meccanismi positivi di selezione dei nuovi gestori.

Il loro interlocutore ideale sarebbe, perciò, una banca di dimensione regionale capace di adempiere alle funzioni di corporate governance.

Il punto è che, tranne alcune eccezioni, le banche regionali trovano difficoltà a evolvere verso la media dimensione.

Anche i distretti più tradizionali hanno bisogno di banche locali in grado di instaurare rapporti stabili di clientela, di assicurare consulenza finanziaria e di diversificare gradualmente le fonti di finanziamento.

Un interlocutore ideale sarebbe, perciò, una banca piccola ed efficiente pronta a instaurare forme orizzontali di cooperazione con banche limitrofe per la centralizzazione delle offerte più sofisticate.








La Banca nel contesto locale


Le caratteristiche e le prestazioni del sistema creditizio e finanziario locali divengono oggetto di particolari attenzioni.

La creazione di strutture di livello europeo diviene ormai una svolta di cui si avverte la necessità anche nell'ambito di economie locali destinate ad entrare in mercati più ampi, almeno a livello comunitario.

Proprio in relazione ai mutamenti in atto nel sistema delle imprese creditizie sia di livello locale che regionale e nazionale, occorre operare una prima distinzione nell'analizzare i dati disponibili sulle caratteristiche del sistema bancario.

Tale distinzione concerne le caratteristiche e le tendenze del sistema di credito, in primo luogo, e le modalità con cui operano e si sviluppano le banche locali, in secondo luogo; nella provincia di Ravenna, infatti, il ruolo ricoperto da istituti di interesse locale si rivela, a differenza di altre province ancora di notevole rilevanza.

Sotto il profilo descrittivo, occorre rilevare che in complesso nella area provinciale di Ravenna esistono 250 filiali di aziende bancarie (1 ogni 1400 abitanti circa), di cui otto banche locali e le altre di livello regionale e nazionale. In termini temporali, si è passati da 226 sportelli del 1993, a 234 nel 1994, a 243 nel 1995 per giungere a 250 al termine del 1996.

Con questo dato la provincia di Ravenna si colloca al di sopra della media europea e di quella italiana nel numero di sportelli per abitanti, in alcuni piccoli comuni come Bagnara, Casola Valsenio e Sant'Agata sul Santerno si arriva ad avere uno sportello per ogni 900 abitanti.

Nell'intero sistema sono occupati a livello provinciale 2500 lavoratori circa. Le banche locali allo stato attuale non sembrano affette da problemi di esuberi di lavoratori, come avviene invece per alcune banche di interesse nazionale; negli ultimi due anni le banche locali hanno incrementato gli organici di 69 unità, compensando parzialmente i posti di lavoro persi dal restante sistema.

Per quanto concerne le performance creditizio-finanziarie occorre invece segnalare che il sistema provinciale, che aveva conosciuto una forte accelerazione nello sviluppo durante la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, ha incontrato gravi difficoltà dal 1993, allorquando la crisi di gruppi industriali e finanziari - come Ferruzzi - determinò una caduta verticale degli impieghi ed un incremento non irrilevante di crediti inesigibili.

Se si prendono in considerazione i dati forniti dal Bollettino statistico della Banca di Italia per gli anni che vanno dal 1993 al 1996, relativamente alla provincia ravennate, bisogna inoltre rilevare che:

i depositi mostrano una tendenza alla crescita del 11,39% in sintonia con i valori dell'incremento regionale (11,50%), appena al di sotto del tasso di inflazione. Articolando i dati per subaree provinciali, si può notare che l'aumento a Ravenna è del 12,96%, a Faenza del 8,08% ed a Lugo del 6,59%.

Gli impieghi rivelano invece una crescita molto contenuta a livello provinciale (14,91%) rispetto ai dati regionali (45,13%); il dato fortemente divergente trova una sua spiegazione nella disomegeneità delle situazioni territoriali: a Faenza il valore registrato è pari ad un aumento del 48,26%, a Lugo del 30,16%, mentre a Ravenna si registra una contrazione del 20,66%, dovuta alla grave situazione di crisi del gruppo Ferruzzi.

La debole crescita degli impieghi può certamente essere interpretato come un indicatore di difficoltà molto serie tuttora persistenti nella struttura economica, soprattutto dell'area ravennate.

Tale fenomeno va peraltro considerato anche alla luce di una progressiva crescita di rilevanza di istituti bancari che coinvolti in concentrazioni o fusioni di livello nazionale, tendono ad indebolire progressivamente il loro legame con il territorio, assolvendo alla funzione di raccolta nell'economia provinciale, ma perseguendo obiettivi decisamente più remunerativi degli impieghi. In questo periodo ovviamente l'economia provinciale non sembra particolarmente attraente sotto questo profilo; perciò è da presumere che il divario tra raccolta ed impieghi nei prossimi anni tenderà ad ampliarsi.

Anche il rapporto decisamente positivo tra sportelli e clientela, che oggi sembra tradursi in un insieme di vantaggi per i clienti stessi, non sembra destinato a permanere nel tempo; la ricerca continua di forti economie di scala da parte delle aziende bancarie, sottoposte ad una concorrenza in un certo senso inedita, porterà a non piccoli mutamenti nel rapporto tra sistema creditizio e clienti, tra servizi bancari ed imprese.

Anche la situazione di difficoltà che incontra una parte rilevante di imprese dell'area ravennate non costituirà un fattore di incentivazione degli investimenti bancari nel territorio. Il sistema bancario, infatti, ha ancora notevole difficoltà ad incontrarsi con realtà aziendali di cui conosce solo alcuni aspetti; il divieto prolungato alle banche ad intervenire nel merito delle prestazioni aziendali ha ingenerato un insieme di rapporti tra banche ed imprese decisamente insoddisfacenti per le une e per le altre. Soprattutto le imprese, ancora prive di una solida base patrimoniale, risultano estranee alla cultura ed alla attenzione del sistema bancario, che preferisce rivolgersi per operazioni di finanziamento a breve, fortemente garantite, ad imprese consolidate, lontane dal presentare situazioni di rischio.

Ciò in un certo senso si può osservare anche nella provincia di Ravenna, laddove soprattutto nei confronti delle piccole imprese e delle giovani imprese, si è dovuto sviluppare un sistema parallelo di garanzia nei confronti di finanziamenti a cui ha dovuto dare un rilevante sostegno la stessa amministrazione pubblica, regionale e locale.

In altri termini il sistema bancario risulta ancora fondamentalmente estraneo alle scelte strategiche delle imprese, partecipa alle sue attività a breve, ma non partecipa alla sua capitalizzazione; in ciò contribuendo a rafforzare lo stesso deficit di cultura imprenditoriale, propria dei protagonisti delle imprese locali. Si è già, infatti, rilevato come in un contesto di economie locali scarsamente orientate all'innovazione ed al rischio, l'imprenditore preferisca non reinvestire interamente il profitto aziendale, ma tenda a patrimonializzarlo in larga parte in termini personali e famigliari, impedendo, con ciò, la vera e propria formazione di un capitale di rischio.

Il sistema bancario anche nel ravennate sembra bloccato in questo circuito incapace di superare i vincoli che esso pone alla ripresa di una dinamica economica rinnovata e soprattutto incentrata in attività ad elevata intensità di capitale e di tecnologia.

Le banche locali rappresentano - a differenza di altre province - una componente rilevante, forse non adeguatamente e omogeneamente valorizzata nel contesto delle economie locali della provincia.

Tali istituti stanno peraltro in questo periodo attuando un significativo mutamento strutturale e dimensionale che dovrebbe portare nei prossimi tempi ad ulteriori aggregazioni con una progressiva diminuzione numerica delle stesse.

Il quadro che deriva risulta tendenzialmente positivo, evidenziando la maggior compenetrazione tra banche locali ed economia dei diversi territori della provincia.

Tuttavia, l'assetto del sistema è in fase di trasformazione e ad eccezione degli istituti che si basano su uno statuto cooperativo e su un'estesa base sociale, il radicamento locale dell'attività bancaria non può essere dato per scontato; soprattutto le casse di risparmio sono coinvolte in un processo di ristrutturazione che non trova il centro dei processi decisionali nel territorio provinciale.

C'è da rilevare inoltre che anche le banche locali non sembrano ancora decisamente impegnate in una differenziazione dell'offerta di prodotti bancari, finanziari ed assicurativi. Vi sono orientamenti ed esperienze in tal senso, ma sembra ancora deficitaria la diffusione di una cultura imprenditoriale in questo settore.

Il rischio maggiore che attualmente, in definitiva, si corre nella realtà provinciale è che gli sportelli, sempre più numerosi sul territorio, abbiano esclusivamente funzione di raccolta di risorse che saranno poi investite in altre zone considerate più vantaggiose. Esempio eclatante di questo fenomeno è Rolo Banca 1473 che raccoglie in Romagna il 30% circa del denaro depositato; tale denaro poi viene investito, tenendo conto delle scelte strategiche del gruppo di appartenenza (il Credito italiano) in altre aree considerate meglio remunerative.










Capitolo III.

La fase di nascita: dagli Istituti lughesi alla realtà faentina (1450/1970)

La fase della nascita

Il momento della nascita è particolarmente importante, in questa fase sono più chiare ed esplicite tutta una serie di componenti e di dinamiche che con il tempo diventeranno più oscure e complesse.

La fondazione di un organizzazione presuppone esista la volontà di una persona o di un gruppo di persone (quello che Selznik chiama il leader istituzionale) che credano possibile gestire relazioni tra individui e gruppi in modo nuovo.

Il ruolo del leader fondatore è determinante come pure sono determinanti gli obiettivi che in questo momento vengono fissati ed esplicitati.

Con la nascita inoltre si creano quelle basi fondamentali sulle quali comincerà a svilupparsi la cultura distintiva di una data organizzazione.

Questa peculiare cultura organizzativa composta da obiettivi prestabiliti, specificazione della propria identità, definizione esplicita delle regole del gioco, differenziazione dagli altri concorre a definire il Modello Originario.

Il Modello Originario, che si presenta appunto come l'insieme degli assetti strutturali e comportamentali che sono configurati al momento della fondazione è un punto cruciale nel ciclo di vita poiché esso tenderà a riprodursi nel tempo ed a permeare di sé tutta la vita dell'organizzazione.

Con l'istituzionalizzazione organizzativa si verifica il salto di qualità.

L'istituzionalizzazione è, infatti, quel processo mediante cui l'organizzazione da un lato incorpora i valori e gli scopi dei fondatori dall'altro procede in un processo di esplicitazione delle regole del gioco.

















La Banca del Monte di Lugo


La Banca del Monte venne fondata "in magnifica Lugensi Terra" nella prima metà del '500, come Monte di Pietà, per aiutare le classi più deboli e sottrarle all'attività degli usurai.

All'epoca, Lugo era da oltre un secolo sotto il dominio degli Estensi di Ferrara e vi rimase fino al 1598, quando la città ed il suo territorio furono incorporati negli stati della Chiesa.

Durante il periodo estense, la vita economica della zona si sviluppò notevolmente, sia per la floridezza dei commerci che per l'elevata produttività dei terreni agricoli racchiusi fra Senio e Santerno, bonificati per iniziativa del duca Borso d'Este.

Favorita dalla posizione geografica e dai privilegi riconosciuti all'antica fiera annuale e al mercato settimanale, Lugo era il centro commerciale più prosperoso di quella parte bassa della Romagna, detta "Romandìola" o "Romagnola", che comprendeva le "Terre" di Lugo, Bagnacavallo, Cotignola, Massalombarda, Sant'Agata sul Santerno, Conselice ed il castello di Fusignano; era quindi piazza ideale per l'attività degli usurai, che trovavano i loro principali clienti nella categoria dei commercianti, spesso in difficoltà a causa delle guerre, del banditismo e delle carestie.

Anche i banchi giudaici prosperavano, concedendo prestiti a d interessi elevati, per cui la loro attività veniva spesso assimilata all'usura, un'eresia per la Chiesa e, come tale, interdetta ai cristiani fin dal Concilio di Vienna del 1311.

Agli inizi del '500 l'attività dei banchi non era protetta dalla legge ma soltanto tollerata; essa però consentita dalle autorità lughesi, che accordarono frequenti permessi in tal senso agli ebrei.

Osserva lo storico Martelli che "gli ebrei, insediati a Lugo dagli inizi del tredicesimo secolo, erano quivi potenti e numerosi, organizzati proprio per soccorrere, non disinteressatamente" coloro che si trovavano in ristrettezze finanziarie.

Lo sviluppo dei Monti di Pietà, avviato in Diocesi di Imola nei primi decenni del '500 sotto l'impulso delle infuocate predicazioni di San Bernardino da Siena e dei suoi confratelli francescani, costituì uno strumento di concreto aiuto agli indigenti, attraverso la concessione dio prestiti su pegno di cose mobili.

Salvo un primo esperimento a Firenze nel 1358 subito fallito, i primi Monti erano sorti ad Ascoli (1458) e Perugia (1462); seguirono, tra gli altri quelli di Bologna (1473), Ravenna (1490) e Faenza (1491).

Fu il domenicano Padre Andrea da Imola, che nel 1541 predicava nella Chiesa lughese di San Domenico, "l'inventore di mettere il Monte di pietà nella terra di Lugo"; egli preparò il terreno, ma la sua esortazione si rese concreta soltanto dopo alcuni anni.

Risulta che il Consiglio Comunale, nella seduta del 31 ottobre 1544, decise di comunicare al Duca d'Este, la propria volontà di erigere un Monte di Pietà, mettendo a disposizione per lo scopo la somma di scudi 300; l'istituto prese poi origine, come di regola accadeva allora, da una processione avvenuta il 22 aprile 1546, la cui questua andò a costituirne il primo fondo dotale (lire 455 e soldi 14 pari a 114 scudi d'oro).

La processione, analoga a quella svolta a Imola il 3 dicembre 1512, era diretta all'ospedale della Madonna, il primo edificato in Lugo (verso il 1200), presso cui fu posta la sede provvisoria del Monte.

Nello stesso giorno si diede avvio ai "depositi" o "impugnazioni" ed ai prestiti; riferisce il Martelli che " i primi depositi furono nove, inaugurati da Battista di Pierantonio di Monelli da Lugo" il quale "impignò un torzillato di drapeselli" e ne ebbe 1,1 lire".

Dall'apposito registro si rileva che, nei primi venti mesi di attività, i pegni furono 1574 con prestiti per 1927 lire. Non mancarono i prestiti a famiglie nobili ed ai mercanti, con pegno sui preziosi.

Il Monte era retto da una "Diarchia" formata dal Vescovo diocesano e dal Governatore della "Romagnola", mentre la gestione ordinaria era affidata a dodici Presidenti, detti anche "Conservatore", due dei quali, a turno di due mesi, dovevano presenziare ai prestiti e risolvere i problemi correnti.

Essi vigilavano sull'attività del Monte, nominavano gli "officiali" e "ministri", come il cassiere, il custode dei pegni ("fattore") e, ogni sei mesi, due computisti.

Allo scopo di reperire i mezzi per il funzionamento del Monte, veniva applicata sui prestiti una percentuale del 5% denominata "danarino", la cui esazione, autorizzata dal pontefice, doveva gravare i poveri "al manco che si puole".

Nella seconda metà del '500, a causa di guerre, banditismo e carestie Lugo visse un periodo largamente infelice in cui un'istituzione come il Monte di Pietà, proprio per la sua specificità, non poteva che essere fortemente coinvolto.

Grazie alla ricchezza dei suoi Granai, che il Consiglio Comunale decise di aprire e venderne il contenuto a prezzi ridotti per combattere la fame, il Monte fece breccia nel cuore dei lughesi, che presero ad includere l'ente nelle loro disposizioni testamentarie.

Nonostante il passaggio dal Ducato estense alla dominazione pontificia che si protrasse per oltre due secoli il Monte mantenne il suo ruolo insostituibile, che continuava a risaltare nei momenti difficili; così nel 1618, dopo che un furioso incendio in pieno periodo di fiera distrusse gran parte delle botteghe "piene di ricche merci", i prestiti del Monte aiutarono i commercianti a riprendere le loro attività.

Un nuovo impulso all'attività del Monte venne poi dal cardinale Stefano Donghi, Legato di Ferrara, che ne riformò gli statuti nel 1647, riducendo i "Conservatores" da dodici a quattro e definendo i nuovi compiti del Consiglio d'Amministrazione, chiamato "Congregazione del Monte" e riducendo progressivamente il "danarino" prima al 3% e poi all'1%.

Nel secolo successivo, Lugo, durante la "campagna d'Italia" di Napoleone, dovette affrontare la triste realtà dell'invasione e subire pesanti imposizioni oltre al noto "sacco di Lugo" del 1796. Anche il Monte pagò un ingente tributo, subendo una vera e propria razzia dei preziosi che aveva in pegno e del denaro custodito nelle casse.

Successivamente sotto la Repubblica Cispadana (1797), la Municipalità, dichiarata legittima amministratrice "de Beni ed effetti del Monte", provvide a rimettere in piedi l'istituto, che tornò a prosperare e poté riprendere la sua opera caritatevole, fino a restituire gratuitamente al "ceto miserevole" i pegni in precedenza costituiti.

Dopo un ulteriore periodo d'incertezze e d'inquietudine, in coincidenza con i moti del 1831, Lugo ritornò alle dirette dipendenze di Ferrara. In quegli anni venne trasferito ad Imola l'arcivescovo di Spoleto, Giovanni Maria Mastai Ferretti, che poi salì al soglio pontificio con il nome di Pio IX (1846); uomo mite ed aperto, egli non mancò di sostenere il Monte ma, allo stesso tempo, avvertendo nuove esigenze nella comunità locale, contribuì alla nascita della Cassa di Risparmio di Lugo, di cui fu uno dei fondatori nel 1845.

Il glorioso Monte di Pietà, ormai vecchio di tre secoli, continuerà a vivere mutando la sua fisionomia ed entrando a far parte di un'amministrazione più ampia, la "Congregazione della carità", con lo scopo esclusivo di sovvenire l'indigenza.

Riprendeva così il giro dei pegni ed il sostegno alle classi più povere, specie durante le disastrose alluvioni del 1864, causate dallo straripamento dei fiumi Senio e Santerno, le crisi annonarie del 1874 e del 1880 e le lotte sociali.

Agli albori del 1900 il Monte si trasferì nella sede di Piazza Trisi, lo stesso luogo in cui aveva operato nei primissimi tempi e nel 1939 acquisì la propria autonomia ed ebbe come commissario provvisorio il cav. Pietro Farina, che successivamente ne resse la Presidenza fino al 1979. Sotto la guida, il vecchio Monte si sviluppò, aprirà nuovi sportelli di raccolta delle operazioni in pegno, incorporò il Monte di Cotignola e adottò un nuovo statuto.

Durante la seconda guerra mondiale sia la sede dell'ente che il suo ricco patrimonio archivistico furono gravemente danneggiati, ma poi l'opera di ripristino e ricostruzione fu sollecita.

Giungiamo così al 2 dicembre 1946, giorno in cui, nel IV centenario della fondazione, l'ente fu autorizzato dal Ministero del tesoro ad assumere la denominazione di Banca del Monte e ad allargare l'attività del credito ordinario, ponendosi in modo nuovo a sostegno dell'economia locale, senza venir meno alle sue originarie finalità di assistenza e beneficenza.

Nel 1957, poi, la banca del Monte fu passata fra i Monti di prima categoria.

Gradatamente con lo sviluppo economico, i prestiti su pegno avevano visto diminuire la loro importanza, fino ad assumere un ruolo marginale.

Nel 1959 veniva incorporato anche il Monte di Massalombarda, mentre nel 1967 ebbero inizio gli impegnativi lavori di risanamento, restauro ed ampliamento della sede che restituirono l'antico splendore al prospetto principale ed al monumentale chiostro settecentesco.

Importante fu la sua presenza nel sostenere il recupero del teatro Rossini, del vecchio Ospedale degli Infermi, che divenne la sua sede, ed infine della Farmacia dell'ospedale.

Dopo la trasformazione del 1946, la Banca del Monte assunse la stessa fisionomia della Cassa di Risparmio, quella di ente creditizio che abbinava l'attività bancaria a finalità di assistenza, beneficenza e pubblica utilità.




















La Cassa di Risparmio di Lugo


La Cassa di Risparmio di Lugo nacque trecento anni dopo l'istituzione del Monte di Pietà e, a differenza di questo, abbinò fin dalle origini l'attività creditizia a quella di beneficenza; già agli inizi fu quindi "banca", ma con una connotazione che l'assimilava al Monte.

Le Casse ebbero origine all'estero, in particolare in Svizzera, Francia ed Austria e si diffusero in Italia, in massima parte attorno alla metà dell'Ottocento, a partire da quei territori, quali il Lombardo-Veneto ed il Piemonte, che in qualche modo risentivano dell'influenza di detti paesi; una notevole fioritura si ebbe, anche nello Stato Pontificio, all'interno del quale prevalsero le casse a base associativa.

La cassa lughese fu tra queste e venne fondata il 13 gennaio 1845, a coronamento della volontà espressa nel 1843 da una sessantina di "onorati cittadini" che grazie al sostegno del conte Giovanni Borea De' Buzzaccherini, Anziano della Municipalità (una sorta di assessore) ottennero l'approvazione del papa Gregorio XVI. Il significato dell'evento e la funzione sociale attribuita alla Cassa sono ben delineati nel manifesto con il quale ne veniva annunciata l'imminente apertura: "La floridezza d'ogni maniera di traffico e di commercio, onde va Lugo sull'altre Città di Romagna singolarmente distinta, non che l'industria ognor crescente nelle minori Classi del popolo, addimandavano il beneficio di una Cassa di Risparmio, di quella preziosa Istituzione, che onora grandemente l'umanità. (...) Per essa è giovata la pubblica morale, ivi deponendo l'uom previdente tutto che, al viver giornaliero superfluo, gli rubava in addietro l'intemperanza, il giuoco, il bagordo; e vien dessa tacitamente formando i popoli al vero amore della patria e della famiglia, col renderli sobrii d'ogni vano diletto, nemici del vizio, amanti della virtù e della fatica. Torna in pregno per essa la privata economia, lo studio onorato dell'industria, svegliatrice degli ingegni, ed immancabile dispensiera delle ricchezze, e della possibile umana felicità. Provvede per ultimo ai casi dell'infortunio, e a' danni della vecchiezza, e rende più scarso il mal seme degli usurai e de'monopolisti".

La Cassa fu dotata di un "convenevol fondo" costituito con le "individue azioni di scudi romani venti" ed iniziò ad operare l'11 giugno 1845, con l'apertura del primo libretto di risparmio di sei scudi romani e l'erogazione del primo prestito di duecento scudi, per sei mesi, all'interesse del 6%; i depositi fruttavano il 4%, a condizione che le somme non venissero ritirate per un mese.

Fin dal suo esordio, l'istituto fu impegnato nel credito al commercio agricolo, che veniva effettuato mediante sovvenzioni bancarie dirette con due firme, rinnovabili di sei mesi in sei mesi, dietro pagamento di un acconto non maggiore del quarto della somma originaria.

Fra i fondatori figurano il Conte Giacomo Manzoni (patriota e Ministro delle Finanze della Repubblica Romana) che fu il primo Presidente dell'Istituto e, come abbiamo già detto, Giovanni Maria Mastai Ferretti, vescovo di Imola e futuro Papa reduce da un tentativo, non riuscito, di fondare la Cassa di Risparmio di Imola, sorta poi nel 1854.

La caratterizzazione urbana della Cassa traspare dall'elenco dei 635 primi depositanti, fra cui vi erano 196 artigiani, 125 possidenti, 87 domestici, 51 impiegati e solo 69 contadini.

Nel febbraio 1845, in un locale del Municipio di Lugo, la prima Assemblea dei "soci e fondatori" aveva nominato il Consiglio di Amministrazione, ai cui componenti, nell'intento di assicurare alla Cassa prosperità e prestigio e considerata la ridotta attività iniziale, furono affidate, senza alcun compenso, anche le funzioni esecutive e contabili.

Due mesi dopo, il Consiglio tenne la sua prima adunanza per dare avvio concreto all'attività dell'Istituto; in uno dei manifesti diffusi nell'occasione, si leggeva fra l'altro che nei primi tempi l'Istituto era aperto al pubblico "ogni mercoledì dal mezzo giorno alle ore due pomeridiane per ricevere i depositi, e ogni Domenica dalla ore dieci antimeridiane sino ad un'ora pomeridiana per farne la restituzione".

Significativi alcuni altri passi del manifesto: "Le somme giacenti in cassa verranno investite nell'acquisto o formazione dei crediti fruttiferi, fondi pubblici, sconto di cambiali, ed altri idonei investimenti a norma delle risoluzioni del Consiglio di Amministrazione, ad un frutto non maggiore del sei per cento.

Verificandosi degli avanzi non necessarj alla gestione della Cassa, si erogheranno in opera di beneficenza (...), essendo mente dei Socj di non mai ritrarre alcun profitto da questa Istituzione, ma di aver solo in mira il vantaggio delle Classi industriose e povere

Fino ad allora, come scrisse nel suo volume sulle casse di Risparmio il lughese Achille Ballardini (Vice direttore della cassa negli anni '30, poi direttore di quelle di san Miniato e di Ferrara) "esistevano organismi bancari che custodivano ed amministravano il grosso risparmio, finanziando le imprese e i bisogni delle classi più facoltose ed i pubblici enti, ma mancavano istituti che raccogliessero e facessero fruttare il piccolo risparmio e che soccorressero le classi meno abbienti, allora oppresse dalla miseria e dall'usura, assistendole con il credito e promuovendone il lavoro e le iniziative".

A Lugo, invece, esisteva il Monte di Pietà che però erogava soltanto il credito su pegno.

Il diffondersi delle nuove idee e l'evoluzione del tessuto socio-economico accrebbero gradualmente l'importanza delle casse di Risparmio, tanto che esse furono assoggettate a norme sempre più rigorose e precise, specialmente a tutela del pubblico interesse; di qui il passaggio della competenza per la nomina del Presidente e del Vice Presidente al Ministero del Tesoro, secondo una norma soppressa soltanto con il referendum popolare dell'aprile 1993.

La vita della Cassa conobbe solo due episodi di grave crisi: il primo fu legato agli anni dei rivolgimenti politici collegati alla seconda guerra di indipendenza e all'unificazione d'Italia, che generarono una corsa agli sportelli, particolarmente nel 1859. Come in altre Casse dell'area, anche a Lugo il Consiglio di Amministrazione fronteggio l'emergenza con mezzi personali.

Il secondo episodio accadde nel giugno del 1907, quando si evidenzio un grossa perdita per cattiva amministrazione subito affrontata con le riserve patrimoniali e poi in parte recuperata.

A partire dal 1863, la Cassa iniziò a concedere mutui ipotecari, che tuttavia furono occasione di un certo imbarazzo per la gestione della cassa stessa.

Infatti, in caso di mancato pagamento del mutuo, la Cassa si trovò costretta a partecipare alle aste di vendita dei beni per sostenerne il prezzo allo scopo di garantire i propri crediti e ciò la portò ad acquisire un vasto patrimonio immobiliare: nel 1871 i beni del marchese Manfredi Calcagnini; nel 1876 i beni del conte Enrico Grabinski e quindi i ben Tampieri, così che nel 1880 figurava un bilancio con un forte attivo tra beni stabili, scorte e crediti relativi.

La Cassa organizzò la gestione di questi fondi, dandoli in affitto finché, in conformità alla legge del 1888 sulle Casse di Risparmio, provvide gradualmente alla loro alienazione, contenendo sempre di più il credito ipotecario.

La grande crescita della realtà Cassa di Risparmio di Lugo comportò l'apertura di nuove succursali, la prima delle quali fu inaugurata a Castelbolognese nel 1913, nel 1926 a Voltana, nel 1929 a Solarolo.

Dopo la seconda guerra mondiale, poi, furono aperte altre succursali a Bagnara, Barbiano, San Bernardino, San Lorenzo e San Patrizio

Il coinvolgimento della Cassa nelle amministrazioni locali, specie quella di Lugo, fu grande.

Nel 1916 venne assunto il servizio di esattoria e tesoreria del Comune di Castelbolognese, nel 1917 quello del Comune di Lugo; in seguito anche quello del Comune di Bagnara di Romagna e di altri enti pubblici.

Per quanto riguarda l'impegno sociale, sancito dall'art. 39 del primitivo Statuto della Cassa, le prime erogazioni avvennero nel 1854 quando, con un patrimonio di appena 43.000 lire, furono elargite 10.640 lire alla Pia Unione San Vincenzo de'Paoli e 15.960 lire a sollievo dei "poveri, oppressi dalle conseguenze del caro vita".

Tali erogazioni, nonostante il voto dell'Assemblea del 1853, in base al quale non si dovevano erogare beneficenze fino a quando non fosse stato costituito un apposito fondo, furono invece propugnate in favore del popolo a causa della gravissima indigenza in cui era precipitata gran parte dei lughesi.

Altri interventi significativi furono quelle del 1855, a favore degli orfani del colera, del 1864, a favore degli alluvionati del Senio e del 1868, con l'acquisto di ben tremila sacchi di grano, da parte della Cassa, rivenduti a prezzo calmierato "a sfamo della popolazione".

Di eccezionale rilievo fu il contributo di ben 200.000 lire che la Cassa impegnò nel 1879 per la realizzazione del nuovo ospedale "Umberto I" il cui costo complessivo vide il concorso dell'Amministrazione Comunale e della Congregazione di Carità di cui faceva parte il Monte.

La Cassa ha continuato nel tempo ad impegnare notevoli risorse per interventi di pubblica utilità, anche nei settori della scuola e della cultura; un rilievo particolare meritano l'erogazione di borse di studio e di specializzazione per studenti e laureati, l'acquisto di apparecchiature e sussidi didattici per l'Università e per le scuole di vari ordini e gradi, nonché le iniziative volte alla pubblicazione di opere inedite o non più reperibili, di rilevante interesse per la nostra zona.

Ritroviamo tra queste iniziative anche la Storia di Lugo in chiave francescana di Mino Martelli, alla cui pubblicazione la Cassa contribuì unitamente alla Banca del Monte, nonché i vari interventi a sostegno di altre opere fra cui: Il Cardinale Dino Staffa di Dario Gualandi.

Parallelamente la Cassa di Risparmio è sempre stata attenta e partecipe dell'evoluzione del sistema economico locale, erogando il credito e traendo da ciò i mezzi per proseguire l'impegno nelle sue iniziative benefiche, che hanno quindi costituito un'importante forma di "ritorno" dell'attività creditizia, a beneficio dell'intera comunità locale.

Lo svolgersi continuo dell'attività della cassa nel secolo e mezzo della sua vita è documentabile attraverso la suddivisione in quattro periodi di vita:

q   L'iniziale consolidamento nei primi vent'anni, che porta l'istituto ad una dimensione significativa.

q   La crescita consistente tra metà anni '80 e metà anni '90, proseguita poi, dopo una crisi di fine secolo, fino alla prima guerra mondiale.

q   Le grosse difficoltà belliche e postbelliche, superate con una nuova crescita solamente negli anni '30, anni che si rivelano positivi per l'Istituto soprattutto per l'attività di finanziamento degli ammassi.

q   La ripresa e il grande balzo in avanti dopo la seconda guerra mondiale.

Già dai primi anni '50 il credito a favore dell'industria e dell'artigianato assunse un peso mai avuto in precedenza, fino a bilanciare quello concesso alle attività agricole nel 1953 e poi superarlo, sia pur di poco, a partire dal 1958.

Questa struttura degli impieghi economici è rimasta successivamente invariata, come risulta ancora dalla Relazione della Cassa del 1989.

Giungiamo così ai nostri tempi, tanto densi di novità e di profonde trasformazioni per il sistema bancario, tra le quali si inserisce anche il radicale mutamento delle Casse di Risparmio e delle Banche del Monte, coinciso innanzitutto con lo sdoppiamento di questi Istituti e con la creazione delle Fondazioni bancarie.

In questo contesto sono state realizzate sia la concentrazione delle aziende bancarie della Cassa e del Monte di Lugo nell'agosto del 1992, sia la successiva fusione delle due Fondazioni nell'agosto del 1994.




Il Monte di Pietà di Faenza


Dopo molto impegno da parte di Bernardino da Feltre concretizzatosi in ben trentaquattro prediche, e azzeccate pressioni rivolte ai governanti cittadini per motivarli alla creazione dell'Istituto, anche Faenza ebbe un Monte Pio.

La data di nascita del Monte è il 1491, tuttavia si tratta solo di convenzioni che inducono a considerare questo o quello come termine a quo.

La data di emanazione del corpo statuario dell'Istituto può essere più ragionevolmente scelta come termine a quo anche se non può coincidere con il giorno in cui il primo cliente varcò la soglia del Monte. Per il Monte faentino tale data è il 13 ottobre 1491, così si legge negli statuti originari.

Chi stilò gli statuti conosceva evidentemente quelli del Monte di Padova, giacché le norme per Faenza vi corrispondono come per calco, essendo i primi dieci capitoli pressoché identici.

L'istituzione è collocata sotto l'alto patronato di tutti i santi della corte celeste ma in particolare dei protettori della città, Apollinare e Terenzio, contribuendo a colorare di tinte prettamente municipali l'erigendo Monte.

Esso si prefiggeva il sostegno e il conforto, spirituale e temporale ad un tempo, dei cristiani della città e del contado, nonché il consolidamento e l'accrescimento della costruzione statuale manfrediana.

Era affidato al Monte anche il compito di porre fine alla iattura delle usure "et massime delli zudei".

Molte e diverse, dunque, le direttrici dell'azione del Monte: di ordine spirituale, sociale, politico ed economico.

Nulla mancava ai fondatori quanto a totale consapevolezza della polifunzionalità di un'istituzione che mostrava fin dagli esordi la propria caratteristica cifra di novità ed incisività.

Gli statuti prevedevano ai vertici dell'istituto dieci presidenti o conservatori: "otto notabili cittadini" eletti dal Consiglio generale della città affiancati da un canonico del capitolo di San Pietro e da un frate di san Girolamo dell'Osservanza scelto dal padre guardiano.

I conservatori eleggevano ogni anno il massaro, unitamente agli Anziani e a quattro cittadini per porta.

Una posizione centrale all'interno del Monte era occupata, appunto, dal massaro, figura attorno al quale ruotava la maggior parte dell'operatività del Monte.

Appartenevano allo staff del Monte altre figure di minor rilievo: persone esperte nel compiere stime, revisori dei conti "pratici et intelligenti ragionieri et calculatori" nonché un "trombetto, ovvero missi del comune" cui era affidata la responsabilità del bando dei pegni non riscossi.

Non si trattava comunque di personale al servizio stabile dell'Istituto e per i revisori non era prevista nemmeno la remunerazione.

La dotazione di capitale fu costituita attraverso la raccolta pubblica di fondi spesso in gare di generosità nei giorni di feste o processioni solenni la prima delle quali ebbe luogo nella festività "d'Ognissanti" nel 1491.

A questa il Comune aggiunse il ricavato delle multe inflitte a chi contravveniva alle leggi suntuarie e ancora il dazio sul trasporto del sale o il ricavato di una terra comunale.

Nel corso del Cinquecento erano numerosi i benefattori del Monte; per essi i responsabili dell'istituto si preoccupavano di far celebrare sante messe per più lustri o l'erogazione di somme a fini pii. Non poche, comunque, furono le contestazioni e le controversie che il Monte dovette sostenere per difendere i lasciti ricevuti.

Nonostante lasciti, donazioni e una conduzione degli affari del Monte probabilmente attiva, ma non sappiamo quanto accorta, non mancarono nel cinquecento fasi di autentica penuria di capitale che costrinsero l'istituto a chiedere denaro a prestito ai cittadini e ad assumere censi per poter soddisfare le esigenze dei clienti.

Godevano del diritto ai servizi del Monte i faentini bisognosi e quelli delle località del contado che avevano contribuito alla formazione del capitale iniziale; nella descrizione dei clienti non si va oltre ad un generico riferimento allo stato di bisogno che poteva essere sia endemico sia del tutto temporaneo, assoluto o relativo rispetto ai canoni che possiamo solo immaginare.

La vaghezza rimane insuperabile stante l'assoluta mancanza di documenti capaci di attestare la reale qualità sociale dei clienti del Monte: non si conoscono né i nomi né i mestieri esercitati dai clienti e tanto meno l'ammontare dei prestiti ottenuti o il genere dei pegni offerti.

L'entità del massimo concedibile, quattro lire (con un interesse del 5%), non consente di escludere con sicurezza l'impiego a fini d'impresa dei denari del Monte.

I clienti dovevano giurare di essere bisognosi, di chiedere il denaro per sé e di non impiegarlo per ragioni viziose.

Da una parte sono evidenti le finalità benefiche che consentivano di dettare condizioni anche di ordine morale circa l'impiego delle somme anticipate, dall'altra si prospettavano modalità operative coerenti con il disegno del Monte di fornire un servizio di tipo parabancario.

A otto anni di distanza dalla stesura degli statuti si ritenne opportuno apportare alcune modifiche in cinque punti.

Vi compariva una nuova figura, quella del venditore dei pegni non riscossi, il quale conclusa la vendita mensile nella "botega del Monte in piaza" doveva porre l'incasso in un'apposita cassetta a due chiavi con accesso unicamente a lui e ai conservatori.

La riforma del 1499 spiccava per due ulteriori modifiche: a salvaguardia della integrità del Monte era proibito agli ufficiali del Monte compiere qualsiasi operazione "senza segurezza de pegno".

È probabile dunque che anche a Faenza si manifestassero segni di una tendenza nota per altri istituti danneggiati dall'interpretazione elastica compiuta dagli ufficiali delle regole del Monte.

Il primo aprile del 1521 il Consiglio generale varò invece una vera e propria riforma degli statuti originari articolata in venti capitoli.

I principi che la informavano ruotavano prevalentemente intorno a due punti: una più esatta definizione dei compiti dei funzionari del Monte e in particolare al massaro, nonché alcune norme relative al settore operativo.

La riforma del 1521 imponeva alle persone cui spettava proporre in Consiglio gli uomini da mettere alla prova prima di essere eletti a qualche ufficio del Monte, di giurare che indicavano persone con cui non avevano nessun tipo di legame.

Il fine di queste indicazioni era manifestamente "garantista", un obiettivo non nuovo, perseguito con modalità nuove e teoricamente efficaci.

Fra gli ufficiali del Monte apparivano nuove figure con compiti ispettoriali nella persona di due conservatori che, a pagamento, erano tenuti mensilmente a controllare le operazioni di cassa.

I capitoli del 1491 dicevano che il Monte nella prima fase della sua vita non disponeva di una propria sede: esso funzionava nella "caxa del spedale della caxa de Dio della comunità di Faenza".

L'Ospedale della Casa di Dio o della Misericordia corrispondeva al palazzo in cui attualmente hanno sede gli uffici delle Opere Pie riunite.

Ancora nel settembre del 1492 la sede del Monte non era cambiata dato che in calce a un atto notarile di quel periodo appariva la seguente dicitura: "Actum in Domo Dei ubi sunt pignora Montis Pietatis".

Probabilmente la vendita dei pegni non riscossi ebbe luogo, fin dalla prima fase della vita del Monte, in una sede diversa da quella in cui si svolgevano le altre attività dell'istituto.

Nel 1501 il Monte si trasferì in un palazzo situato sul luogo del "guasto" di alcune case appartenute un tempo alla famiglia Manfredi.

Il palazzo in cui il Monte operò a partire dal 1507 era quello stesso immobile ipotecato da Astorgio III Manfredi a garanzia dell'ingente prestito concessogli dal Monte nel 1500 che creò notevoli problemi di bilancio al Monte dopo la sconfitta di Astorgio da parte del Valentino.

I conservatori e il massaro erano certamente, assieme al notaio, i principali funzionari del Monte.

Gli otto laici e i religiosi eletti ogni anno dal Consiglio generale formavano il corpo dei conservatori responsabili e garanti del buon funzionamento dell'istituto.

I conservatori, gli Anziani e quattro cittadini provvedevano successivamente alla scelta del massaro.

Il massaro doveva essere un faentino di buona fama, ricco di esperienza nel campo degli affari e dei commerci, disposto ad occuparsi soltanto del Monte per un anno dietro corresponsione di un onesto salario. Egli riceveva dai conservatori i denari da impiegare per i prestiti e rispondeva personalmente dei pegni accettati tanto da essere tenuto all'integrazione dell'eventuale denaro mancante offrendo una cauzione fino alla somma di trecento ducati.

I rapporti tra il Comune, il Signore e il Monte erano buoni e non si esaurivano nel solo impegno da parte comunale a sovvenire il Monte nel caso fossero mancati i fondi necessari a rimborsare eventuali depositi; era il Consiglio generale, infatti, organo di governo della città, a eleggere i reggenti del Monte dato che queste erano le indicazioni degli statuti delle origini e come abbiamo visto, i conservatori provenivano spessissimo proprio dalle fila dei consiglieri cittadini.

Il ricorso ai prestiti del Monte da parte della comunità è un segno dotato di molteplici valenze.

Per un verso dimostra la fragilità dell'economia pubblica cittadina e nel contempo l'inefficacia del sistema fiscale comunale, per un altro verso un ricorso non inusuale al denaro del Monte attesta lo stretto legame che esisteva fra la comunità cittadina e l'istituto e la funzione di polmone ossigenante nei confronti di un comune disposto a cedere anche i diritti di riscossione di dazi spettanti alla autorità comunale in cambio di anticipazioni finanziarie.

A fine cinquecento tuttavia il Monte, pensato dai francescani come un'istituzione di avanguardia, subì una profonda modificazione.

Si trasformò in un ente che, per un verso, erogava un servizio molto prossimo alla beneficenza (il piccolo prestito su pegno a basso interesse) e, per un altro, svolgeva una funzione di tesoreria pubblica e di banca di stato.

Dai gradini più bassi della gerarchia fino ai più alti si deroga spesso ai doveri e le maglie del controllo si adattano facilmente alle circostanze.

Nel corso dei secoli 1600 e 1700 tuttavia molte cose cominciarono a cambiare; già dalla metà del XVII secolo, per ricordare l'innovazione più significativa, compare nei documenti un nuovo funzionario: il recepitore, cioè l'ufficiale addetto alla accettazione dei pegni.

Il cardine istituzionale che sorreggeva le fortune e l'autonomia del Monte dei primordi era l'autofinanziamento.

Secondo la volontà dei fondatori, infatti, la circolazione di denaro doveva essere tale da garantire in ogni momento una riserva alla quale attingere nelle contingenze negative.

Ci si dovrebbe aspettare, quindi, una politica economica improntata alla buona amministrazione del patrimonio fondiario, all'accaparramento di denaro per soddisfare le richieste dei poveri, al mantenimento di una riserva per gli anni difficili.

E una politica di investimenti graduata e proporzionale alle entrate: accentuata quando si chiudono i bilanci in attivo, scarsa o inesistente quando li si chiudono in passivo.

Aspettative destinate ad essere deluse, poiché il regime economico del Monte segue procedure del tutto estranee all'autofinanziamento.

La copertura finanziaria del Comune durante l'epoca signorile garantiva la solvibilità del Monte; allo stesso modo lo Stato della Chiesa fornisce il sostegno economico alle attività assistenziali e caritative che cadono sotto la diretta giurisdizione episcopale.

La contropartita della perduta autonomia è un facile accesso a prestiti pubblici, gestiti mediante i monti camerali.

Fino alla seconda metà del 1700, quando il riordino dell'amministrazione statale portò a una più accorta disciplina della spesa pubblica e represse gli abusi finanziari degli enti locali e delle singole istituzioni, i prestiti pubblici furono elargiti con estrema facilità, e i funzionari del Monte ne seppero approfittare.

Il Monte forniva, una prestazione che rispondeva alle esigenze latenti nel tessuto economico locale, individuando un settore trascurato dall'assistenzialismo e alieno alla solidarietà di casta; ma che, opportunamente sostenuto, può dimostrare dinamismo economico e capacità imprenditoriale.

Agli albori del 1800 sotto la dominazione francese, le opere pie furono inserite alle dipendenze del Ministero del Culto e furono istituite le Congregazioni di Carità in cui il Monte di Pietà entrò a far parte come attore non secondario.

Il Monte fu chiamato ad accentuare le proprie funzioni di istituto di credito e divenne l'intermediario con la municipalità ideale, vantando della grande fiducia che ispirava, delle simpatie radicate in ogni ceto per la sua tradizione benefica e dalla garanzia che veniva dal suo cospicuo patrimonio terriero.

Nel complesso intreccio di meccanismi economici costituito dalle contribuzioni imposte dagli invasori francesi e dalle confische e vendite dei beni del clero, il Monte di Pietà, dotato di liquidità e di credito, poteva facilmente operare per tutelare i propri interessi come ente e, di certo, di chi tale ente aveva la fortuna di gestire.

In secondo luogo, il Monte svolgeva una singolare funzione di riciclaggio del denaro proveniente dalla confisca e dalla conseguente alienazione del patrimonio ecclesiastico, che alla fine dell'operazione, quando torna il dominio pontificio, diventa decisiva per legittimare i nuovi possessi.

Il Monte di Pietà usci dal periodo napoleonico con un aumento del proprio patrimonio immobile di un terzo nonostante fosse stato costretto a pagare il prezzo dell'invasione francese non solo per sé ma anche per tutte le opere pie della congregazione di cui faceva parte.

Nella prima metà del 1800 fu soppressa la figura del massaro, si ampliarono le attribuzioni del sindaco, che diventò il vero dirigente dell'istituto.

La ricerca di un equilibrio fra la funzione assistenziale e l'attività creditizia è il motivo conduttore di tutta la storia del Monte dagli inizi dell'ottocento in avanti, fino alla sua trasformazione bancaria.

Ma con la nascita della Cassa di Risparmio di Faenza nel 1841, per opera di alcuni grandi proprietari locali, la funzione dell'erogazione del credito, che fino ad allora in qualche modo era coesistita nell'assetto istituzionale del Monte di Pietà, diventò autonoma.

E da quel momento il ruolo bancario del Monte ebbe sempre maggiori difficoltà a trovare uno spazio operativo.

Ne derivò che anche le scelte gestionali del suo patrimonio furono orientate più verso un consolidamento e il potenziamento degli immobili, che verso settori finanziari di più rapido sviluppo.

Per la verità, il ruolo iniziale della Cassa di Risparmio faentina non sembra essere stato molto rilevante per la comunità nel suo complesso.

Si trattava sostanzialmente di una banca semiprivata; era stata fondata e gestita "da poche famiglie della oligarchia conservatrice faentina" (Berselli) che, invece di continuare a svolgere la loro attività creditizia singolarmente, si associarono per svolgere la stessa funzione senza una strategia di sviluppo generale dell'economia locale.

Nel 1888 con l'emanazione della legge speciale per le Casse di Risparmio, il Monte di Faenza rischiò la perdita della sua struttura istituzionale; la struttura invece sopravvisse ai cambiamenti istituzionali imposti dalla legge, cosa che non fece invece la recente Cassa di Risparmio che dopo appena cinquant'anni di attività viene posta in liquidazione per incapacità dei dirigenti, disonestà dei funzionari e disordine contabile il 28 maggio 1896.

Agli albori del 1900, l'istituto poteva incidere sul tessuto sociale con la distribuzione delle operazioni tecniche dell'attivo (gli impieghi), e attraverso la ripartizione di un fondo di beneficenza e pubblica utilità, con il quale la caratteristica dell'antica istituzione confluisce nella natura aggiornata dell'azione creditizia.

Questo in forza dello statuto deliberato in data 12/02/1911, che abilitò il Monte di Pietà ad eseguire dal primo gennaio successivo le operazioni proprie degli istituti di credito ordinario affiancandolo a pieno titolo alle altre due realtà bancarie faentine: la Banca Popolare ed il Credito Romagnolo.

Interlocutori privilegiatinei primi vent'anni del 1900 furono gli enti morali, i cui fini non lucrosi e la sicura solvibilità trovavano nell'istituto immediata rispondenza. Il primo cliente per quantità e importo di questo tipo di operazioni è il Comune di Faenza.

Tuttavia il tradizionale ruolo di aiuto al economia locale fu mantenuto con l'appoggio del progetto dell'amministrazione provinciale per la realizzazione della linea telefonica Faenza-Marradi.

Venendo a trattare degli investimenti, è comprensibile che nei primi anni del nuovo modo di fare credito l'attività sia proceduta un po' in sordina, operando in particolare in un mondo agricolo caratterizzato da modesta imprenditorialità.

Nel 1923 il Monte ebbe un curioso rapporto anche con la Banca Popolare, alla quale integrò, mediante il deposito dei propri titoli, la cauzione necessaria per proseguire il servizio di esattoria e tesoreria comunale.

L'estate del 1945 segna la ripresa economica in numerosi settori, Faenza si trasforma in un grande quartiere e il Monte in un serbatoio di nuovi clienti oltre al mantenimento di quelli già acquisiti.

Il continuo boom e l'attenzione sempre viva agli andamenti delle annate agricole portò il Monte a seguire e finanziare i contadini della zona essendo tale settore in posizione prioritaria all'interno dell'economia faentina.

Ciò spiega l'apertura, alla fine del 1957, dell'agenzia di Reda, in una fertile area a vocazione totalmente agricola, per cercare di stimolarne e favorirne gli orientamenti di conversione e ridimensionamento.

Gli anni sessanta registrano condizioni favorevoli allo sviluppo dell'economia locale, nel quadro di una stabilità monetaria che rappresenta la miglior garanzia per gli investimenti, particolarmente nel settore dell'artigianato: è questo il periodo di sviluppo della zona industriale, con attività che spaziano in ogni settore, e che il Monte cerca di seguire ed orientare, lamentando tuttavia che agli sportelli affluiscano molto più depositi di quanto ne vengano poi richiesti dagli impieghi, producendo una situazione di eccessiva liquidità.

Il penultimo decennio del secolo segna per l'attività della banca una inversione di tendenza, che affianca alla tradizionale predilezione per l'ente pubblico l'operatività nel settore privato, attraverso i mutui agevolati per l'edilizia abitativa.

Di notevole impegno risultano i finanziamenti, in compartecipazione con altre banche della regione in favore della SAPIR, la società per la costruzione e la gestione delle strutture portuali di Ravenna e del Consorzio Acque per le province di Forlì e Ravenna; infine per la parziale realizzazione della condotta di adduzione alla diga di Ridracoli, alla quale è collegata la rete idrica della Romagna. 

Alla fine degli anni 80 il Monte opera una serie di ampie trasformazioni interne al fine di adeguare le proprie strutture e la propria mentalità ai nuovi scenari.

L'istituto si dona di un modernissimo sistema informativo per gestire tutte le operazioni all'interno e verso il rimanente sistema bancario in tempo reale, il sistema CEDACRI che sarà poi la base per la futura fusione con le altre realtà prese in considerazione e base per la realizzazione della Banca di Romagna.

















Capitolo IV.

Le strutture organizzative


Scopo del seguente capitolo è quello di analizzare le diverse tipologie organizzative presenti negli istituti di credito, mettendo in evidenza i punti di forza e di debolezza di ogni struttura.

Dopo una breve introduzione relativa all'evoluzione ambientale che in questi ultimi anni sta attraversando l'intero sistema creditizio italiano (problemi legati all'aumento della concorrenza e alla globalizzazione dei mercati), la trattazione è focalizzata sull'analisi sia della struttura elementare e di quella funzionale, semplice e complessa, di cui saranno evidenziati limiti e vantaggi.

Infine viene sviluppata l'analisi dei gruppi bancari, evidenziandone le caratteristiche principali, i punti di forza, la struttura in generale ed i motivi che spingono le banche a trasformarsi in realtà più complesse e organizzate.

Il modello ambiente - strategia - struttura si presenta particolarmente interessante se applicato alla realtà italiana.

Le variabili ambientali più significative sono quelle legate al crescente grado di competitività dei mercati bancari, all'affinamento dell'educazione economico-finanziaria del pubblico, alla crescente incertezza dell'economia, al cambiamento strutturale dei mercati.

Di fronte ad un quadro esterno così mutevole, le opzioni strategiche delle banche sono molteplici e riguardano sostanzialmente la scelta dei segmenti di clientela da servire, degli specifici bisogni da soddisfare, delle linee di prodotto/servizio da offrire.

La decisione di fare tutto in ogni mercato, piuttosto che focalizzare la gestione su particolari aree di attività, condiziona comunque l'evoluzione, riflettendosi sulle caratteristiche della struttura organizzativa, delle risorse umane, dei meccanismi operativi e dello stile direzionale.

La struttura organizzativa deve essere in grado di rispondere a due importanti esigenze: da un lato, l'esigenza di flessibilità, dall'altro, l'esigenza di efficienza. L'obiettivo della flessibilità organizzativa appare quindi un importante punto di riferimento dell'evoluzione delle strategie organizzative bancarie, in uno scenario di crescente dinamismo, incertezza ed instabilità dell'ambiente.

Quanto all'obiettivo dell'efficienza, l'incremento della competitività e il sorgere di situazioni di maturità nei mercati bancari, implicano la necessità di potenziare gli investimenti tecnologici e di introdurre cambiamenti organizzativi, che consentano di ridurre i costi operativi, di migliorare la produttività e di sfruttare le sinergie potenziali nella produzione, nella vendita, ed nell'erogazione dei servizi in campo amministrativo.

Il dinamismo ambientale può quindi spingere al decentramento decisionale ed operativo, mentre dall'altro lato, l'evoluzione della struttura dei mercati bancari e gli obiettivi strategici possono spingere a fenomeni di accentramento di specifiche funzioni ed attività, al fine di una migliore gestione economica e di un più efficace coordinamento e controllo.

Tenendo conto di questo quadro e del fatto che non è possibile ipotizzare una struttura organizzativa universalmente applicabile ed ottimale, si delineano alcuni importanti aspetti di cambiamento che possono esprimere possibili tendenze evolutive:

q   Maggiore orientamento della struttura al mercato e alla evoluzione della domanda. Ciò può essere attuato attraverso il potenziamento degli organi di direzione strategica e la costituzione di organi di responsabilità per prodotti e servizi, per segmenti di clientela, per aree geografiche e per aree strategiche di affari.

q   Più ampia formalizzazione delle responsabilità in termini economici, sia a livello direttivo che a livello operativo, facendo attenzione ai rapporti di interdipendenza e alle responsabilità comuni.

q   Più ampio decentramento decisionale in materia di definizione del rapporto banca/mercato, di utilizzo delle risorse, di gestione delle variabili organizzative e di gestione del personale. La delega di autonomie e di responsabilità riguarda sia la dimensione verticale della struttura, in particolare le unità territoriali, sia la dimensione orizzontale, in particolare le direzioni centrali.

q   Potenziamento, in generale, degli organi di staff in varie funzioni aziendali di crescente criticità.

q   Potenziamento degli strumenti di collegamento e di integrazione organizzativa (procedure e programmi, gruppi di lavoro, comitati permanenti), che tengano conto della maggiore articolazione degli organi, dei compiti e della necessità di attuare una elevata coesione interna sugli obiettivi strategici e sugli aspetti critici della gestione.

q   Razionalizzazione della rete degli sportelli e miglioramento della struttura organizzativa dei singoli sportelli. Gli sportelli costituiscono una struttura di base del "sistema di erogazione" dei servizi e svolgono anche attività amministrative e direttive, rappresentando quindi una parte rilevante dell'intera struttura organizzativa. I cambiamenti organizzativi verso i quali le banche sono spinte in relazione alla loro evoluzione strategica e alle tendenze ambientali, consistono nella trasformazione delle tradizionali strutture organizzative accentrate di tipo funzionale, in strutture funzionali decentrate più complesse o decentrate di tipo multidivisionale misto o matriciale.


Si tratta di scelte evolutive che dovranno essere valutate presso ciascuna banca in relazione alle proprie caratteristiche, alla complessità gestionale e in particolare alle dimensioni aziendali, fattori questi molto importanti per stabilire il grado di decentramento decisionale e operativo.

La maggiore articolazione della struttura organizzativa non dovrà, tuttavia, contrastare con l'esigenza di un funzionamento snello ed efficace, onde evitare fenomeni di burocratizzazione e conflitti interni.

Quanto maggiore sarà la complessità gestionale, tanto maggiore sarà l'esigenza di trovare semplici, ma efficaci soluzioni organizzative.

Infine va ricordato come i cambiamenti organizzativi devono anticipare i cambiamenti strategici.

Si tratta di un punto molto critico in quanto, non di rado, capita di osservare che il cambiamento organizzativo segue con ritardo l'attuazione dei cambiamenti gestionali, e questo ritardo provoca normalmente situazioni di insuccesso e di vera e propria crisi; un fattore di successo è invece costituito dalla capacità di seguire i cambiamenti ambientali rilevanti e di definire coerenti strategie di mantenimento e di innovazione.

Ciò implica non solo l'importanza del potenziamento degli organi di analisi strategica, ma anche la necessità di abituare l'intera struttura ad una maggiore attenzione all'ambiente, proprio al fine di attivare processi di creatività istituzionalizzata.[9]

Per quanto riguarda il cambiamento organizzativo che ha interessato le banche negli anni novanta, va rilevata la concezione degli intermediari come "sistema cognitivo", in altre parole dotato della capacità di reagire ai mutamenti dell'ambiente esterno evolvendosi e autorganizzandosi.

Tale capacità è più spiccata nelle strutture organizzative caratterizzate da meno ordine e maggiore complessità in termini di varietà dei modelli culturali, delle strutture e dei sistemi operativi.

Gli intermediari che in passato hanno basato la propria organizzazione su "assetti burocratici", devono cominciare ad adattarsi alla nuova concezione organizzativa sviluppando una maggiore flessibilità al proprio interno, devono cioè "de-burocratizzarsi" per cercare una nuova situazione di equilibrio.

Il primo intervento da compiere è quello relativo al nuovo sistema di relazioni interne; si deve sviluppare una più ampia comunicazione interna, si deve puntare maggiormente sulla missione e sulla strategia aziendale e sviluppare relazioni interne più articolate.

La seconda leva sulla quale puntare è quella relativa a nuove forme di organizzazione del lavoro, modificando sia la micro che la macrostruttura.

Ciò su cui si deve puntare non è più la frammentazione dei compiti, ma l'unificazione e l'allargamento delle mansioni e l'attribuzione di autonome responsabilità individuali e di gruppo, sia per quanto riguarda i prodotti, sia per quanto riguarda i clienti.[10]

La valorizzazione delle risorse umane e delle competenze individuali riduce i confini tra i vari operatori che lavorano in banca, e da loro la possibilità di sviluppare le proprie caratteristiche personali esaltando le peculiarità del singolo.

Questa nuova visione a favore dell'uomo, fa si che il lavoratore non sia più visto solo come mezzo per svolgere una mansione, ma anche come individuo, e questo aumenta le sue motivazioni e il suo senso di appartenenza alla banca.

Quanto appena descritto può essere definito come "organizzazione snella". L'interesse per questo nuovo modo di gestire le banche e la loro organizzazione, è stato supportato da Hammer e Champy[11] che nel paradigma "Business Process Reengeniring" suggeriscono questa strada per risolvere il problema dell'efficienza, della qualità e della flessibilità. Secondo la definizione data da Hammer e Champy, il BPR consiste nel ridisegno radicale dei processi aziendali, finalizzato a realizzare miglioramenti nei paradigmi critici delle prestazioni (il servizio, la qualità, la rapidità).

Nelle situazioni di maturità, gli intermediari devono reagire con risposte strategiche innovative, con cambiamenti mirati e decisi, sia nella struttura, che nelle mansioni; devono cambiare il modo di relazionarsi con i mercati e rompere i vecchi maturi schemi.


E' possibile distinguere quattro dimensioni di base della struttura organizzativa: quella verticale, quella orizzontale, quella temporale e quella della profondità[12].

Con riferimento alla dimensione verticale le unità organizzative si strutturano su livelli diversi, collegati tra loro da relazioni gerarchiche.

L'articolazione verticale trova un momento di rappresentazione formale nell'organigramma aziendale.

Esaminando questo particolare aspetto della struttura, è possibile definire una tipologia di unità organizzative che tiene conto delle classi di obiettivi attribuiti ai diversi organi, delle numerose relazioni che li legano e del rapporto che hanno con il

processo di realizzazione delle produzioni bancarie. [13]

Le modalità di articolazione verticale trovano le seguenti forme di manifestazione:

.organi istituzionali, direttivi, operativi;

.organi a dipendenza unica o multipla;

.organi di linea e di staff;

.organi collegiali o gerarchici.

Ora che la stragrande maggioranza delle aziende di credito ha la struttura di società per azioni, la direzione generale è affidata al consiglio di amministrazione che può operare anche solo attraverso: il presidente, uno o più consiglieri delegati, o collegi più ristretti.

Il consiglio di amministrazione e l'assemblea dei soci costituiscono i cosiddetti organi di governo; ad essi spettano le decisioni riguardanti l'approvazione dei piani strategici dell'azienda e dell'assetto organizzativo di fondo, la nomina degli organi direttivi di grado più elevato, la struttura finanziaria dell'azienda di credito e le modalità di distribuzione del reddito di esercizio.

Le classi di decisione suddette sono ripartite, nell'ambito degli organi di governo economico, in relazione agli interessi istituzionali e agli equilibri di potere che si

configurano all'interno dell'assetto socio-giuridico esistente.

La struttura degli organi di vertice risente delle particolari caratteristiche della categoria bancaria di appartenenza, le quali incidono sulla configurazione dei compiti e dei poteri dell'alta direzione[14]. In sostanza gli organi istituzionali rappresentano il soggetto economico dell'istituto di credito. La loro attività è in larga parte disciplinata da norme del codice civile.

Gli organi direttivi, oltre alla direzione generale, comprendono tutti gli organi posti in posizione gerarchica superiore rispetto ad uno o più organi operativi.

Per quel che riguarda i compiti e le mansioni, gli organi direttivi si distinguono in strategici (alta direzione) e direttivi in senso stretto (attività direzionale), esistono poi gli organi operativi.

Ciò che caratterizza questi tre livelli sono i diversi gradi di responsabilità e il contributo dato al risultato economico-finanziario dell'azienda di credito, oltre al contenuto dell'attività decisionale svolta.

Gli organi operativi sono rappresentati infatti da reparti o uffici, quali ad esempio quelli supervisionati da un capo sala all'interno di una filiale, che hanno una collocazione gerarchica rispetto ad altri organi; le posizioni di supervisione degli organi operativi sono spesso coperte da figure professionali qualificate come "capi" o "quadri" intermedi.

Tipicamente, la funzione degli organi operativi è volta alla minimizzazione dei costi, alla massimizzazione dei ricavi o alla ottimizzazione delle condizione operative.

La dimensione verticale presenta in genere un notevole sviluppo nell'impostazione tradizionale dei modelli organizzativi delle banche, dove prevalgono i principi "classici" dell'organizzazione con la conseguenza, ad esempio, di far proliferare il numero dei livelli gerarchici, mantenendo l'ampiezza media del controllo (numero medio di collaboratori coordinati da ciascun superiore gerarchico) relativamente bassa.

Anche la regola secondo cui ciascun organo non deve dipendere da più di un organo di livello gerarchico superiore è uno dei cardini tradizionali delle strutture organizzative delle aziende di credito, secondo il principio della teoria classica dell'organizzazione, detto della unità del comando.

Per questo, nelle organizzazioni bancarie è stato finora piuttosto raro osservare l'esistenza di organi a dipendenza gerarchica multipla (a parte i casi di dipendenza funzionale dalle unità centrali), così come è raro osservare la presenza di strutture a matrice.

Un'altra distinzione tradizionalmente rilevante è quella tra organi di linea ed organi di staff. Gli organi di linea (come filiali, agenzie, ecc.) si collocano lungo una linea gerarchica discendente che va dall'alta direzione agli organi operativi secondo una logica scalare. La line svolge i processi relativi alla gestione caratteristica dell'azienda di credito, o meglio, tutte le attività di trasformazione volte all'erogazione dei servizi al cliente.

Gli organi di staff invece, non sono gerarchicamente collegati, hanno tipicamente un potere di influenza sulla linea e svolgono processi di misurazione e di organizzazione. In pratica erogano servizi o consulenze alla linea.

L'applicazione del principio line e staff è da sempre uno dei cardini della direzione del personale. In pratica, attraverso questo principio si prevede una ripartizione (a livello organizzativo) dell'autorità e della responsabilità su una certa materia, assegnando alla linea autorità gerarchica sulle risorse umane e allo staff funzione di supporto, consulenza interna, influenza o anche autorità funzionale. In particolare, mentre la linea dovrebbe avere potere decisionale sul "cosa", allo staff dovrebbero spettare le decisioni sul "come". Secondo questa impostazione lo staff dovrebbe configurarsi come unità tecno-strutturale[15] di standardizzazione o supporto specialistico (fornitore di servizi) alle linee.



Mentre nei modelli organizzativi tradizionali la distinzione tra gli organi di linea e gli organi di staff[16] era funzionale e significativa, nelle strutture emergenti essa è meno decisiva e più sfumata. Da un lato, infatti, l'esigenza di rendere più snelle le strutture si traduce in una riduzione, del personale di supporto , dall'altro lato, la necessità di

rendere più tempestivi i processi decisionali richiede che le attività di supporto siano maggiormente incorporate nella linea e dislocate a livello periferico.

In sostanza, con riferimento alla dimensione orizzontale, sembra sia in atto una ridefinizione dei criteri di specializzazione a tutti i livelli della struttura stessa, maggiormente coerente con le caratteristiche del mercato e i requisiti professionali richiesti dalle tecnologie dell'informazione e dell'automazione.

Le unità organizzative sono poi utilmente classificabili secondo la dimensione temporale della struttura. Infatti a seconda del grado di continuità con cui operano e dell'arco temporale della loro attività, si possono distinguere in:

q   organi permanenti e temporanei,

q   organi continui e discontinui.

Mentre le unità permanenti sono strutturate a scadenza temporale indeterminata, quelle temporanee hanno invece una durata predeterminata in relazione a una qualche attività da svolgere o al conseguimento di uno specifico obiettivo. Entrambi questi tipi di organi possono a loro volta operare in modo continuativo o discontinuo: il

Comitato di concessione fidi è un esempio di organo permanente discontinuo, in quanto esiste sempre, ma si riunisce solo periodicamente.

Unità temporanee e discontinue sono ad esempio i gruppi di studio finalizzati alla soluzione di specifici problemi, come quelli che studiano la fattibilità dell'apertura di una filiale. Queste unità si riuniscono periodicamente senza che i membri del gruppo abbandonino.

Le task forces costituite per consentire l'apertura di un nuovo sportello, o i project teams, finalizzati allo sviluppo di un nuovo prodotto finanziario, sono invece esempi di unità temporanee continue.

Le configurazioni organizzative fondamentali

Considerevoli mutamenti sono in atto nelle configurazioni organizzative delle singole banche; i più rilevanti sono:

q   la transizione verso modelli organizzativi molto differenti dai tradizionali, meno rivolti alla classica articolazione funzionale per servizio o ufficio e più orientati ad una gestione per processi. Questi processi devono essere coerenti con le combinazioni di business prescelte, in termini di combinazioni mercato/canali/offerta/ecc.;

q   la diffusa istituzione di unità di coordinamento territoriale. In generale è possibile identificare diversi tipi di configurazione organizzativa che si caratterizzano, in termini di efficienza comparata, in modo diverso. In particolare ciascuna di queste configurazioni "ideali" emerge in base alle diverse caratteristiche assunta da un insieme di fattori situazionali (grado di automazione, ambiente competitivo, dimensione dell'azienda, ecc.) che influenzano la forma organizzativa.

All'interno delle aziende di credito è possibile individuare sette categorie di funzioni, le quali possono essere presenti o assenti nella struttura organizzativa della banca in relazione alla criticità del loro ruolo per il funzionamento dell'azienda di credito. Esse sono:

q   le funzioni di governo (alta direzione);

q   le funzioni di direzione (alta direzione e direzione intermedia);

q   le funzioni di intermediazione creditizia (attività di raccolta e impiego);

q   le funzioni di servizio finanziario (leasing, factoring, estero)

q   le funzioni di servizio interno (legale, ispettorato, economato)

q   le funzioni di standardizzazione (organizzazione, Edp, controllo di gestione e pianificazione strategica)

q   le funzioni di sviluppo (marketing).

Queste sette classi di funzioni coincidono, come si può vedere, con sette classi di unità organizzative a cui ne va aggiunta un'ottava: le dipendenze.

La molteplicità dei criteri di specializzazione adottabili e le peculiarità del processo di produzione dei servizi bancari implicano che queste tipologie di configurazione organizzativa sono difficilmente riscontrabili allo stato puro nella realtà, anche se ogni azienda di credito ne adotta tendenzialmente una. Tali tipologie possono quindi essere compresenti e coesistere nella stessa organizzazione bancaria, ad esempio a livello di unità organizzative decentrate.

La differenziazione nell'assetto organizzativo degli organi periferici e degli organi centrali dipende dalle caratteristiche dell'ambiente e delle altre unità organizzative, dalle tecnologie utilizzate e dagli orientamenti personali. In pratica, data la coesistenza di più criteri di specializzazione, si può sostenere che le strutture organizzative delle aziende di credito siano multifocali.

La struttura elementare, chiamata anche struttura monofunzionale o monocentrica, è il tipo di struttura più semplice ed è la struttura della banca che andrò ad esaminare.

E' caratterizzata dalla mancanza di organi direttivi intermedi, in quanto tutte le funzioni loro spettanti sono assunte dall'alta direzione.

Tutti gli organi operativi dipendono direttamente da quest'ultima e la loro autonomia è limitata ad aspetti di mera supervisione dei singoli processi produttivi

E' un tipo di struttura che si può tuttora riscontrare in aziende bancarie di piccole o piccolissime dimensioni, a carattere padronale, che si rivolgono, attraverso un limitato numero di agenzie, a un mercato prevalentemente locale, con una gamma di prodotti limitata e tradizionale.

Il grado di formalizzazione della struttura in queste imprese è praticamente inesistente, sia per motivi culturali sia per la scarsa utilità, date le ridotte dimensioni. Anche i meccanismi operativi presentano un grado di formalizzazione molto basso ed il punto di focalizzazione è l'alta direzione. Le comunicazioni avvengono verticalmente, tra l'alta direzione e ogni singolo organo operativo, solo in senso discendente; le decisioni di questo tipo sono totalmente accentrate al vertice; controllo e coordinamento funzionano esclusivamente tramite la gerarchia.

In questo tipo di organizzazione vi è altissima concentrazione di potere al vertice, dato che la limitata complessità della strategia permette l'accentramento decisionale nelle mani di poche persone, situate ai livelli tipici dell'organizzazione. Lo stile di direzione sarà, quindi, di tipo "autoritario". I costi di funzionamento sono estremamente bassi: non esistono altri organi oltre a quelli istituzionali ed operativi; i costi fissi amministrativi e generali sono ridotti. Tutte le operazioni non strettamente riferibili all'attività produttiva sono esternalizzate (E.D.P., portafoglio, ecc.), consentendo così una certa flessibilità d'azione.

La struttura elementare trova un limite nelle capacità dell'imprenditore che, accentrando nelle sue mani compiti strategici ed operativi, rischia di trovarsi oberato di compiti e responsabilità.

La struttura funziona bene quindi in assenza di forti mutamenti nella tecnologia o nei mercati di sbocco; quando le conoscenze personali dell'imprenditore diventano obsolete, l'impresa si trova priva di strumenti per far fronte ai cambiamenti ambientali.

Questa tipologia è riscontrabile come sub-configurazione all'interno delle dipendenze e, più in generale, nelle unità organizzative di ridotte dimensioni, dove un direttore coordina direttamente alcuni collaboratori operativi impegnati nello svolgimento di un ristretto numero di operazioni relativamente semplici (cambio valute, assegni

ecc.).

Questo aspetto organizzativo è spesso il risultato dell'evoluzione della struttura elementare verso un maggiore decentramento nelle decisioni e di una gestione più autonoma di certi insiemi di attività.

In tal senso può essere considerato omologo alla struttura semplice e non sempre facilmente distinguibile da essa. L'assetto funzionale porta però a riunire in nuclei unitari tutte le risorse e le competenze di ciascuna funzione presente in azienda e permette quindi di sfruttare appieno le economie di scala e di apprendimento ad essa

relative.

In questo tipo di struttura, che rappresenterà il futuro della CML, cioè la Banca di Romagna, vengono creati organi direttivi di primo livello, specializzati secondo il criterio della tecnica, cioè per gruppi di processi della medesima specie; questi organi vengono appunto detti funzioni (personale, amministrazione e controllo, marketing a livello complessivo, oppure amministrazione del personale, reclutamento e selezione, formazione nell'esempio della direzione del personale). Non tragga in inganno la presenza delle dipendenze, che potrebbe far pensare ad una struttura divisionale: in tale configurazione le funzioni gestiscono in modo accentrato tutte le attività ed i processi decisionali, mentre le dipendenze svolgono un ruolo prevalentemente esecutivo e commerciale.

Per chiarire ulteriormente il concetto, si pensi al caso estremo di una banca dotata esclusivamente di sportelli automatici o sito internet, in cui tutte le attività e decisioni, anche di tipo commerciale, spettano alle funzioni centrali. I livelli inferiori della struttura funzionale possono essere variamente organizzati, con ulteriori suddivisioni per tecniche o altri criteri, quali quelli di prodotto, segmento di clientela o area geografica.

L'alta direzione si occupa del coordinamento tra funzioni e dell'uso ottimale delle risorse impiegate, i dipartimenti o servizi funzionali si occupano invece della direzione dei propri settori, e delineano le azioni che vengono realizzate dalle unità operative. Questa struttura si caratterizza spesso per un notevole grado di formalizzazione. Rimane accentrata anche se la necessità di controllare attività complesse, implica l'assegnazione di una certa delega su certe attività. Le funzioni poi contribuiscono sempre alla definizione delle decisioni strategiche e, nei limiti imposti dall'alta direzione, sono libere di agire, nel perseguimento degli obiettivi della propria funzione, anche mediante sistemi formali di programmazione e controllo.

Questi processi decisionali sono tipicamente supportati da sistemi informativi che includono, ad esempio, la contabilità direzionale.

Tuttavia poiché, a prescindere da una logica di efficienza globale, le funzioni tendono per loro natura ad ottimizzare i loro obiettivi interni al limite, le strutture funzionali prevedono l'adozione di meccanismi di integrazione strutturali e non strutturali, di tipo impersonale (programmi, procedure, ecc.), personale (uso della gerarchia per le

eccezioni, creazione di integratori, ecc.), e di gruppo (comitati, gruppi di lavoro, ecc.). In sintesi, si tratta di assetti formalizzati e burocratici, ancora tendenzialmente accentrati dal punto di vista decisionale, ed in cui i sistemi operativi per la decisione, il controllo e la valutazione, sono spesso espliciti e svolti su base gerarchica e impersonale. Lo stile di leadership da autoritario e paternalistico tende a diventare consultivo e partecipativo.

Questa struttura, oltre a essere assai diffusa come schema organizzativo complessivo dell'azienda di credito, trova ampia applicazione anche a livello di unità organizzativa. Infatti, molti servizi centrali di aziende di credito di dimensioni medio-grandi, sono organizzati a loro volta secondo la logica funzionale o dipartimentale.

Ad esempio, la direzione del personale è spesso organizzata in servizi specialistici (amministrazione, selezione, relazioni sindacali, ecc.) con responsabili funzionali che coordinano poi i collaboratori "operativi".

In sintesi, la struttura funzionale consente di affrontare con unità differenziate contesti ambientali eterogenei, ancorché stabili e maturi.

Essa gestisce situazioni caratterizzate dalla produzione ed erogazione su larga scala di servizi di massa. Vi prevalgono la formalizzazione, la standardizzazione, il raggruppamento delle unità su base funzionale (e di elevate dimensioni). La specializzazione, sia orizzontale che verticale, è molto elevata, mentre i meccanismi di coordinamento sono dominati dalla standardizzazione dei processi (procedure, regolamenti, ecc.) e dalla supervisione diretta. La parte più importante di questa

configurazione è la tecnostruttura che spinge verso la regolamentazione formale di tutte le attività sia operative che direttive.

La struttura funzionale, oggigiorno, rimane prevalentemente nella dimensione medio-piccola e nei contesti ambientali poco turbolenti, in quanto consente un coordinamento più agevole dell'offerta dei diversi prodotti. Le strutture divisionali facilitano invece la gestione dei singoli prodotti, richiedono maggiore autonomia ai responsabili ai diversi livelli e necessitano di strumenti di coordinamento "orizzontali".

In sostanza sembra essere in corso un lento processo di decentramento e di divisionalizzazione soprattutto nelle dimensioni medio-grandi, e soprattutto dove si possono cogliere opportunità di sviluppo in termini di ampliamento della rete commerciale, crescita per linee esterne, diversificazione produttiva, internazionalizzazione.





Capitolo V.

Un primo tentativo di sviluppo


L'approfondimento che andremo ad attuare in questo capitolo è un'analisi interorganizzativa più che longitudinale.

Se è vero che ogni organizzazione interagisce continuamente con il proprio ambiente e che l'ambiente è costituito da altre organizzazioni, l'oggetto sarà non più la singola organizzazione quanto piuttosto il network di organizzazioni che si trovano ad interagire tra di loro.

In altre parole, se vogliamo comprendere a fondo struttura e comportamenti di un organizzazione non possiamo prescindere dalle dinamiche interorganizzative nelle quali essa è coinvolta.[18]


Il Progetto Ca.Ri.Ro.:

Cassa di Risparmio della Romagna


La nostra analisi ora procede prendendo in considerazione l'elemento chiave, che ha caratterizzato la vita degli istituti che esaminiamo, nel decennio tra il 1980 e il 1990.

Nel dicembre 1982 le otto Casse di Risparmio e Banche del Monte della Romagna affidavano ad un gruppo di lavoro formato dai professori Roberto Ruozi, Giancarlo Forestieri e Carlo Pontiggia l'incarico di redigere uno studio di fattibilità sull'ipotesi della costituzione di una Cassa di Risparmio della Romagna, risultato della fusione delle otto casse e banche che vado ad elencare: Cassa di Risparmio di Cesena, Monte di Credito su Pegno e cassa di Risparmio di Faenza, Cassa dei Risparmi di Forlì, Cassa di Risparmio di Imola, Cassa di Risparmio di Ravenna, Cassa di risparmio di Rimini e le due realtà del territorio lughese in altre parole la Cassa di Risparmio di Lugo e la Banca del Monte di Lugo.

I lavori del Gruppo si sono protratti ininterrottamente sino alla fine del giugno 1983 e sono consistiti sia in lunghe analisi e discussioni delle singole realtà aziendali con i relativi responsabili, sia in approfonditi raffronti teorici dei singoli problemi emersi, sia, infine, in confronti delle ipotesi che via via si andavano formulando all'interno del gruppo con esperti esterni al gruppo stesso.

Il rapporto stilato evidenziò, già da subito, un errore di immagine nella formulazione della sigla che avrebbe dovuto rappresentare il nuovo istituto, non era ritenuta, in breve, la più adatta al fine del lancio pubblicitario.

Ca.Ri.Ro. che rappresentava l'abbreviazione di Cassa di Risparmio della Romagna non consentiva un'immediata evidenziazione di due elementi fondamentali di richiamo che doveva avere la fusione delle otto banche; tali elementi, autentico patrimonio della nuova iniziativa erano: l'essere essa una Cassa di Risparmio (nonostante tutto che la gloriosa ed antica tradizione dell'istituzione richiamava a sé) e di essere un prodotto della terra di Romagna (con tutto l'appeal interno ed esterno che essa richiamava).

Il progetto lasciava intravedere più di una battuta di arresto nello sviluppo di queste istituzioni e ciò per una serie di motivi, fra i quali e presumibilmente da annoverare un certo atteggiamento dell'autorità di vigilanza che era stato negativo in occasione dell'ultimo piano sportelli del 1982 e che, comunque, tendeva a spezzare talune situazioni di mercato in cui molto spesso le casse romagnole si trovavano ad operare.

Ritornando comunque alla situazione delle singole casse e banche del monte nell'ambito del sistema economico e in quello del sistema bancario in cui operavano, esse sembravano aver mantenuto un comportamento più che altro difensivo, mirato alla difesa delle posizioni e delle quote di mercato precedentemente acquisite; la loro frammentazione, inoltre, era l'elemento fondamentale che non consentiva loro politiche di attacco anzi le costringeva, se mi consentite un termine calcistico, al gioco di rimessa.

In tale gioco, peraltro, esse si comportavano in modo estremamente diverso; tale diversità era dovuta a molteplici fattori come il diverso orientamento politico aziendale degli organi amministrativi, la diversa formazione e attitudine delle direzioni, la diversa realtà economico sociale delle zone d'azione territoriali delle singole casse e banche del monte, la diversa tradizione delle medesime, come abbiamo visto ad esempio nel capitolo dedicato alla storia delle Casse e dei Monti di Lugo e Faenza, il diverso ambiente concorrenziale in cui esse operano ed infine le svariatissime dimensioni.

Le diverse politiche messe in opera dalle singole casse e banche del monte di cui si parla avevano avuto vari gradi di successo e la loro analisi mostrava situazioni talvolta differenziate.

Le caratteristiche della clientela delle singole casse, se erano abbastanza omogenee per quanto riguarda la raccolta, per la quale il mercato romagnolo è ancor oggi abbastanza indifferenziato, erano tuttavia molto eterogenee dal punto di vista dell'impiego ed ancora di più da quello dei servizi.

In verità la disomogeneità è ancora più a monte, nel senso che è la gamma stessa dei prodotti/servizi bancari offerti dalle singole casse e banche del monte che è molto diversa.

Ritornando comunque ai modi di produzione dei prodotti/servizi era evidente che la differenziazione si manifestava a causa del diverso uso di mezzi elettronici a livello centrale e periferico, della diversa qualificazione del personale, delle varie combinazioni esistenti in materia di accentramento/decentramento decisionale.

Questo, assieme alla diversa struttura concorrenziale del mercato del credito influenzava in modo decisivo anche i modi di vendita dei suddetti prodotti/servizi rimarcando nuovamente la differenziazione interbanche.

In proposito, si notava, in molti casi la mancanza di una vera e propria attitudine alla vendita e al mercato di alcuni istituti, in contrasto ad una mentalità più avanzata di altri che avevano già fatto il balzo qualitativo in materia.

È facile immaginare che gli istituti più piccoli come la Cassa e il Monte di Lugo risentissero maggiormente di questi problemi.

Mancava, inoltre un'immagine comune delle stesse casse e campagne mirate sia a livello di marketing strategico che a quello più semplice di mera pubblicità.

Le trasformazioni necessarie per assicurare il successo alla fusione di cui si parlava avrebbero avuto delle ripercussioni sul personale in essa coinvolto.

L'analisi delle singole qualifiche mostrava come a livello di direzione generale e centrale gli elementi presenti erano validi e certamente in grado, nelle opportune combinazioni di gestire efficientemente la Ca.Ri.Ro.

A livello dei quadri intermedi la situazione era meno brillante; tuttavia la relativa giovinezza del personale permetteva un accrescimento delle conoscenze tramite un'adeguata azione formativa.

La situazione era abbastanza tranquilla per gli organi amministrativi di segreteria e centro elaborazione dati (EDP) mentre destava qualche preoccupazione nei settori titoli, estero tesoreria, marketing e pianificazione e controllo.

La relazione evidenziava l'indubbia necessità di un immissione di personale intermedio dall'esterno che poteva far emergere problemi di tipo sindacale ma che era una condizione irrinunciabile per il successo della nuova istituzione.

A livello di direttori di agenzia la situazione era mediamente buona e la maggioranza degli agenti aveva un'età giusta per affrontare il balzo della Ca.Ri.Ro., disponeva, inoltre, di una buona introduzione negli ambienti locali e una buona conoscenza delle operazioni bancarie.

Carenze notevoli si riscontravano nel livello di capacità di vendita e soprattutto di mentalità alla vendita stessa.

Tuttavia i ricercatori presumevano tali carenze non difficili da superare anche se il loro superamento avrebbe richiesto una mobilitazione massiccia.

Nessun problema vi era nel personale dei livelli inferiori in gran parte molto giovane e formato da alte percentuali di elementi femminili.

Rappresentava, anzi, un buon potenziale per il nascituro istituto dal punto di vista della motivazione dato che la Ca.Ri.Ro. avrebbe potuto aprire strade di carriera che erano sostanzialmente precluse nella situazione frammentata di allora.

La mobilità risultava uno dei temi cruciali della gestione del personale della Ca.Ri.Ro., non essendo facilmente risolvibile date una serie di maturate attitudini del personale stesso; un problema che si porrà nuovamente alcuni anni dopo per la nascita di CML.

Un altro settore chiave per il successo della Ca.Ri.Ro. era quello dell'EDP.

I problemi connessi con i sistemi di elaborazione automatica dei dati allora presenti presso le singole casse di risparmio e banche del monte costituivano, almeno potenzialmente, uno dei più importanti ostacoli tecnici che si presentavano alla prospettata fusione.

Tali difficoltà discendevano da due ordini di motivi principali; da un lato occorreva considerare la dimensione quali/quantitativa degli investimenti in EDP già effettuati (le strutture erano scarsamente compatibili e comportavano un vincolo tecnico di notevole portata); dall'altro si doveva tener presente che i sistemi automatizzati di elaborazione dati costituivano parte integrante della struttura organizzativa aziendale.

Ciò comportava che il processo di integrazione dei sistemi EDP non potesse essere disgiunto dal parallelo processo di omogeneizzazione delle procedure e dei flussi informativi.

A parere del gruppo di lavoro, il processo di integrazione fra i sistemi EDP delle otto casse e banche del monte non poteva compiersi in un periodo inferiore a cinque o sette anni.

Il gruppo di ricercatori quindi, alla luce dell'analisi effettuate, pose in evidenza l'utilità della fusione, come unico mezzo per l'integrazione operativa finanziaria ed economica delle otto casse e banche del monte romagnole.

Tuttavia trovarono alcune remore da parte dei consigli di alcune banche che pensavano che la fusione poteva e forse doveva essere vista come atto finale di un processo graduale che alla fusione avrebbe dovuto portare attraverso temporanee soluzioni di tipo consortile.

Il professor Ruozi rispose che gli otto istituti non avevano alcun problema drammatico che le obbligasse a perdere la loro individualità: erano solide, andavano bene e mediamente davano risultati economici e finanziari soddisfacenti.

Senza trascurare gli sforzi politici e tecnici necessari per realizzare "soluzioni" consortili i cui risultati non avrebbero compensato l'impegno assunto inizialmente.

Quindi nessun motivo particolare le obbligava a fondersi; tale fusione non doveva risultare come un atto di disperazione ma avrebbe dovuto realizzare un'opportunità che gli otto istituti sfruttavano per disporre di occasioni operative aggiuntive e per assicurare a loro stesse, alla loro clientela e alle società in cui operavano, un futuro più brillante.

La questione politica cominciava a sbocciare all'interno dei vari consigli di amministrazione: timori, problemi, ambizioni operative e possibilità connesse con le dimensioni Ca.Ri.Ro.; la domanda più frequente era se questa fusione avrebbe finito per distruggere in tutto o in parte il localismo che rappresentava allora e ancor oggi uno dei patrimoni più interessanti, elemento considerato chiave anche dall'attuale Banca di Romagna S.p.a.

Tale motivazione non aveva alcun fondamento per due ordini di motivi: uno di natura politica, l'altro di natura tecnica.

Quanto al primo non bisognava dimenticare che, nel caso in cui si realizzasse la Ca.Ri.Ro., essa sarebbe in larghissima parte amministrata e gestita, almeno nel primo periodo, dalle stesse persone che allora gestivano gli otto istituti.

Qualora, tuttavia, qualcuno avesse cercato di imporre mutamenti avrebbe, comunque, trovato almeno due ostacoli: in primis, i meccanismi di governo e di elezione degli organi previsti dallo statuto che garantivano l'impossibilità di ottenere una maggioranza singolarmente; poi, gli organi stessi della Ca.Ri.Ro., previsti dallo statuto avrebbero in ogni caso bloccato le procedure.

Chiarita la convenienza economico-tecnica dell'operazione e le difficoltà ad essa connesse, si passò all'esame delle modalità con le quali la fusione sarebbe avvenuta e successivamente all'elaborazione dello statuto Ca.Ri.Ro., elemento chiave per assicurare l'equilibrio fra grandi dimensioni e localismo.

Tralascio in questa analisi l'iter procedurale per raggiungere la fusione che comunque avrebbe dovuto portare alla creazione dell'Istituto di Credito Interprovinciale: Cassa di Risparmio della Romagna.

I suoi organi esecutivi furono progettati dal gruppo di lavoro tenendo presenti alcuni fattori fondamentali.

Il primo fatto riguardò il decentramento decisionale che fosse in grado di mantenere adeguate autonomie locali, giustificando tale posizione alla luce delle caratteristiche del mercato del credito della Romagna.

Di fronte ad un mercato caratterizzato da un'elevata differenziazione e variabilità, una struttura fortemente accentrata non sarebbe stata proponibile.

Quando si registra un aumento della complessità della gestione a causa, per esempio, di un elevato dinamismo ambientale, le strutture accentrate incontrano del resto crescenti difficoltà nel rispondere con la necessaria immediatezza agli stimoli provenienti dall'esterno.

Da qui la necessità di ricorrere a strutture fortemente decentrate in grado di adeguare la natura e le caratteristiche dei processi alle mutevoli esigenze locali.

Il secondo fatto riguardò invece la necessità di mantenere una gestione che avesse un'indiscussa unità di comando e di direzione, in grado di svolgere attività di controllo e di coordinamento delle autonomie locali.

Il problema fu quindi quello di contemperare in modo adeguato il rapporto fra accentramento e decentramento decisionale ed operativo.

A tal proposito il Gruppo di Lavoro non ritenne che vi fosse una sola ipotesi alla quale pensare, anche perché le strutture che valevano per la Ca.Ri.Ro. si distaccavano almeno in parte dai modelli organizzativi classici.

Una struttura puramente funzionale non avrebbe, infatti, presentato caratteristiche di accentramento troppo elevate.

Tali caratteristiche erano poi contrarie sia agli obiettivi iniziali di struttura decentrata in grado di adattarsi alle esigenze dei singoli mercati sia alle esigenze di mantenimento di stretti legami con le realtà locali.

D'altra parte, una struttura rigidamente divisionale, pur presentando molti aspetti positivi (elevato decentramento, stretta coerenza con le situazioni locali, una direzione generale relativamente snella, incaricata di compiti di coordinamento e assistenza) presentava alcune controindicazioni di notevole portata.

In primo luogo le caratteristiche stesse dei processi decisionali prevalenti presso le aziende di credito (che prevedono un certo intervento della direzione generale sulle decisioni operative della periferia) escludono la possibilità di ricorrere ad una struttura divisionale "pura".

Nel caso specifico della Ca.Ri.Ro. occorreva poi aggiungere un secondo elemento rappresentato dalla presenza di consigli di sede strettamente collegati con il consiglio di amministrazione.

In una struttura divisionale "pura", tale presenza rischiava di accentuare il pericolo di un totale "aggiramento" della direzione generale, rendendo difficile una qualunque operazione di coordinamento diretta a fornire alla Ca.Ri.Ro. gli indispensabili connotati di unitarietà.

La scelta del gruppo cadde quindi su strutture miste, nel senso che uniscono caratteri funzionali ad aspetti divisionali, raggiungendo, tuttavia risultati che possono essere ritenuti soddisfacenti e coerenti con le finalità esposte in precedenza.

Il gruppo di lavoro precisò, inoltre, che, prescindendo dalle caratteristiche della struttura formale, un importante elemento di successo era rappresentato dal tipo di rapporti informali che si sarebbero instaurati fra gli organi e i singoli soggetti della Ca.Ri.Ro.

Ciò significa, in altri termini, che il nuovo organismo, oltre che sui meccanismi organizzativi formali (Struttura, rapporti di gerarchia, procedure operative, meccanismi di controllo, di valutazione, di carriera, ecc.). doveva basarsi anche su comportamenti spontaneamente competitivi, al fine di superare le fasi delicate della post fusione e di guadagnare la flessibilità e i margini di manovra necessari per superare gli inevitabili conflitti organizzativi ed interpersonali che sarebbero potuti sorgere.

I professori proposero due tipi di struttura: il primo, matriciale secondo linee funzionali e aree geografiche; il secondo come una struttura mista divisionale/funzionale.

Essa prevedeva organi di primo livello (le divisioni) specializzati per combinazioni produttive particolari identificate da un area geografica, accanto alle quali si trovano varie unità centrali di staff, dedite a processi produttivi o a funzioni di coordinamento.

La scelta cadde su questa soluzione e la nuova struttura divenne un ente autonomo con personalità giuridica, patrimonio ed amministrazione propri: la Cassa di Risparmio della Romagna la cui missione era la raccolta del risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito.

Con la propria attività, essa mirava a promuovere e diffondere lo spirito di previdenza ed a contribuire allo sviluppo economico e sociale nelle aree operative.

Diversi e differenti per caratteristiche erano i nove organi della Cassa quali:

q   Le Assemblee locali

q   Le Assemblee dei partecipanti

q   L'Assemblea Generale

q   Il Consiglio d'Amministrazione

q   Il Comitato Esecutivo

q   Il Presidente

q   I Comitati di Sede

q   Il Collegio Sindacale

q   Il Direttore Generale


L'Assemblea Generale è costituita dal Presidente e dal Vice Presidente dell'Istituto, da tutti i suddetti soci, da un massimo di 40 delegati nominati dall'Assemblea dei Partecipanti e dal Rappresentante dei portatori di quote di risparmio; si raduna per l'approvazione del bilancio o l'eventuale nomina di un Sindaco revisore dei conti.

Il Consiglio d'Amministrazione è composto dal Presidente, dai due Vice Presidenti, dai Presidenti e loro Vice dei Comitati di sede, da due consiglieri eletti dall'Assemblea dei partecipanti; il Consiglio ha tutti i poteri per l'amministrazione della Cassa e delibera sulle modifiche statuarie, dei regolamenti interni e di quelli concernenti il personale della Cassa.

Il Presidente ha la rappresentanza legale della Cassa, convoca e presiede e vigila sull'attività degli organi sopraccitati.

I Comitati di Sede presso ciascuna delle sedi di Cesena, Faenza, Forlì, Imola, Lugo, Ravenna e Rimini esaminano e studiano i provvedimenti per promuovere nella zona di competenza assegnatagli dal Consiglio d'Amministrazione lo spirito del risparmio e della previdenza in vista dell'incremento delle operazioni dell'Istituto; presieduto dal presidente eletto, delibera in ordine all'erogazione del credito e su altre operazioni, servizi e spese riguardanti la gestione. Il Direttore di Sede assiste alle adunanze del Consiglio con voto deliberativo.

Il Collegio Sindacale è composto da tre sindaci revisori: uno nominato dall'Assemblea Generale dei Soci e due dalla Federazione delle Casse di Risparmi dell'Emilia Romagna (Facri-ER).

La Cassa può assumere infine, con l'osservanza delle disposizioni vigenti in materia, servizi di esattoria e ricevitoria regionali, provinciali e comunali, nonché i servizi di cassa e di tesoreria di enti morali, società, consorzi ed associazioni che abbiano uno scopo di utilità generale.

Lo studio era stato completato, lo statuto realizzato ma l'unità politica tra gli otto istituti che dovevano rendere reale il progetto Ca.Ri.Ro. era una chimera; forse, nessuno aveva fatto realmente i conti con i sacrifici di posizione all'interno della nuova struttura che molti funzionari, direttori e gli stessi presidenti avrebbero dovuto sopportare.

L'idea Ca.Ri.Ro. non era nata comunque sotto i migliori auspici: sbocciata nell'ambito dei frequenti incontri tra Presidenti e Direttori della Federazione Regionale, divenne un serio progetto da tenere nascosto a realtà bancarie più potenti in regione, come ad esempio la Ca.Ris.Bo.

Gli incontri allora diventano riservati, la sede dell'incontro cambiata ogni volta, a rotazione, nelle otto sedi delle banche aderenti al progetto; il tutto per non far insospettire Bologna, che non avrebbe visto di buon grado la realizzazione di un polo bancario romagnolo, che si sarebbe esteso fino a Imola, confine tra Romagna ed Emilia e possibile obiettivo Ca.Ris.Bo.

Tuttavia molti dubbi scemarono negli incontri tra gruppo di lavoro, direttori e presidenti e si arrivò al brindisi per la nuova realtà bancaria nascente e alla presentazione nella città di Rimini.

Mancava solo un aspetto ancora da risolvere: chi avrebbe presieduto e diretto la Ca.Ri.Ro.?

La Cassa di Risparmio di Cesena, tramite il suo presidente (allora il dott. Trevisani), vuole la sede a Cesena, ritenendo la città il cuore della Romagna e chiede anche la presidenza dell'Istituto.

I rappresentanti delle altre sette sorelle non accettano la presa di posizione di Cesena che a sua volta sceglie di abbandonare il progetto ormai in essere.

Il secondo attore ad andarsene è la Cassa di Risparmio di Ravenna per motivi d'ordine prettamente politico: era l'unica cassa "liberale politicamente" tra banche di orientamento differente; il cosiddetto paradosso manzoniano: "Un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro".

La Cassa dei Risparmi di Forlì abbandona per motivi invece più semplici: la Presidenza che aveva seguito tutto l'iter del progetto di fusione decade, il nuovo presidente non ritiene il progetto abbastanza valido e sceglie la via dell'allontanamento.

Poco dopo anche la Cassa di Risparmio di Rimini ritorna sui suoi passi e abbandona il progetto Ca.Ri.Ro.

Rimangono quindi in quattro, le "quattro sorelle piccole", in altre parole quegli istituti di credito che risultavano meno patrimonializzati rispetto agli attori usciti.

Si cercò si salvare il progetto e realizzare una "Mini-Ca.Ri.Ro." e a questo punto accade quello che nessuno avrebbe mai sospettato: la Cassa di Risparmio di Lugo, decide di far valere il suo peso politico e la sua ampiezza territoriale.

Le molteplici riunioni non portano a nulla di costruttivo e il progetto Ca.Ri.Ro. che avrebbe realizzato il primo polo bancario romagnolo salta nel 1988.  




Capitolo VI.

La situazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte


Lo sviluppo di interessi organizzativi dipende dal fatto che fin dall'inizio l'organizzazione deve, per sopravvivere, distribuire incentivi selettivi ad alcuni membri dell'organizzazione: in questo modo vengono delineate le procedure.

Il periodo dal 1985 al 1993: le sinergie

La Cassa di risparmio di Lugo negli anni '80 vive un periodo di incertezza e leggera crisi dovuta a molteplici fattori.

La scarsa capitalizzazione, la modesta redditività e l'alta percentuale di sofferenze più o meno del 15% inducono la Banca d'Italia ad effettuare un'ispezione, attorno alla metà degli anni '80.

L'ispezione della Banca d'Italia avviene a causa degli scarsi profitti realizzati in quel periodo, sintomo di una notevole "leggerezza" da parte dei dipendenti nel concedere i fidi alla clientela, che era ben fornita di patrimonio ma con scarsissima redditività per cui faticava a far fronte puntualmente alle scadenze bancarie.

Addirittura la concessione di fidi veniva effettuata in molti casi senza neanche consultare i bilanci di coloro che facevano richiesta di prestiti.

Una crisi dovuta anche al fallimento di alcune ditte che beneficiavano dei prestiti della Cassa soprattutto la Ghetti Farmaceutica, la Everest e la Victor Gomma che crearono non pochi problemi economici ai forzieri dell'istituto.

La banca e i rapporti, non solo interni ma anche con la clientela, erano basati su rapporti personali stretti, di amicizia, che spesso prevaricavano quelle che dovevano essere le logiche aziendali.

Aleggiava, quindi, un'aria, se vogliamo, molto superficiale e poco attenta agli interessi aziendali.

I rapporti di lavoro erano viziati dal quello che Crozier definirebbe: "il circolo vizioso della burocrazia",in altre parole, l'incapacità dell'organizzazione di correggersi in funzione dei propri errori che non fa latro che lasciare il primato alla struttura rispetto alla strategia.

Dopo un accurato controllo non vengono presi particolari provvedimenti, ma nel rapporto stilato dalla Banca d'Italia vi è una chiara mozione di critica al collegio sindacale e alla Direzione in particolare riguardo ad un inadeguato approccio ai crediti.

La Cassa allora decide di preparare una risposta scritta con un evidente impegno al risanamento.

E' da questo momento che le sorti della Cassa di Risparmio di Lugo iniziano a cambiare, è questa, con ogni probabilità la chiave di lettura dalla quale si deve partire se si vuole capire cosa e perché ha decretato il cambiamento che ha interessato, così profondamente, questa importante istituzione locale.

Già, istituzione, perché di questo stiamo parlando: nella piccola realtà lughese di allora, la Cassa di Risparmio e la Banca del Monte di Lugo rappresentavano un vero e proprio punto di approdo per i numerosi ma spaesati piccoli risparmiatori della zona.

Fu così che il Consiglio di Amministrazione prese letteralmente in mano le redini dell'ente: fu immediatamente sostituito quello che era all'epoca il Direttore Generale, e venne "assunta" la società Sinergetica, esperta in gestione e ristrutturazioni bancarie a cui fu affidato il compito di studiare la situazione dell'istituto.

La proposta di avviare una collaborazione con Sinergetica fu dell'Avvocato e Presidente della Cassa, dott. Capucci stimolato dal dott. Mazzocchi, allora Presidente della Cassa di Risparmio di Piacenza.

La Sinergetica s.r.l. di Milano, guidata da Bruno Ermolli, concluse il suo lavoro di studio arrivando alla conclusione che la Cassa di Risparmio aveva sempre avuto fino ad allora un approccio Social Oriented, caratterizzato da un'altissima e fortissima componente paternalistica e localistica, e che era giunto il momento, di condurre la gestione in modo manageriale, più efficiente portando la gestione in termini Market oriented.

Si trattava, ovviamente di mutare tutta una serie di atteggiamenti, modi di pensare; e di concepire non solo il rapporto con il cliente, ma anche il proprio modo di lavorare in maniera sicuramente più professionale e "matura". Molto alto, ad esempio, era da sempre stato il tasso di parentalismo; si trattava di sradicare una logica clanica per certi aspetti chiusa.

La Cassa di Risparmio era sempre stata abituata a convivere coi problemi della circoscritta realtà locale ed ora era chiamata ad impegni e confronti con enti ed istituzioni ben più grandi e competitivi.

Una volta il giorno del mercato era considerato fondamentale per la Cassa di Risparmio di Lugo, arrivavano in paese tutti gli agricoltori, gli allevatori e gli artigiani della provincia, addirittura pare che fossero i vecchi direttori a scendere direttamente in piazza dai clienti: il sistema era senza ombra di dubbio arcaico, retrogrado.

La Sinergetica varò un intenso piano di ristrutturazione: realizzò l'organigramma aziendale, creò il mansionario, fece un'attenta ed approfondita analisi del personale, cercando di individuare quali erano i soggetti più capaci e necessari, e diede vita ad una miriade di nuovi uffici che avrebbero dovuto contribuire all'irrobustimento della struttura dell'ente: l'Ufficio del Personale, l'Ufficio Fidi, l'Ufficio Controllo di Gestione, l'Ufficio Marketing.

Erano state realmente poste le basi per un "grande" cambiamento.

A questo punto si propose di estendere maggiormente la presenza delle filiali in ambito locale ciò allo scopo di: incrementare la clientela e assorbire gli esuberi di personale.

Il secondo punto appena accennato, necessita però di una preziosa considerazione: lo studio della società di consulenza aziendale Sinergetica, pose in rilievo il fatto che il Centro di Elaborazione Dati della banca era obsoleto ed andava assolutamente smantellato, affidando l'elaborazione stessa ad un ente esterno.

Si trattava di un centro meccanografico creato, agli albori dell'informatica, ed era considerato da molti consiglieri della "vecchia guardia" un ente intoccabile, indistruttibile ed insostituibile. Era considerata una vera e propria istituzione, un vanto; oltretutto il consegnare ad un'azienda esterna la tabulazione dei dati veniva visto con eccessiva diffidenza da alcuni consiglieri.

Il dibattito sullo smantellamento di codesto centro creò non pochi problemi e non poche fratture all'interno del CdA stesso, ovviamente tra coloro che erano a favore di una continuazione dell'attività del centro e tra coloro che volevano, invece, affidare all'ente esterno la gestione dei dati. Dopo accesi interventi si optò per la seconda ipotesi e si decise di affidare il computo dei dati alla Cedacri Nord[19] di Reggio Emilia per la gestione di alcune applicazioni verticali.

A posteriori la partecipazione azionaria nel Cedacri Nord si è rivelata anche un ottimo investimento economico che genera tuttora significativi utili.

A questo punto si pose il problema di cosa fare dei più o meno quindici dipendenti impegnati nel centro di elaborazione dati.

I problemi aumentarono allorché ai suddetti quindici se ne aggiunse un'altra decina che non accettava i cambiamenti in atto.

Si cercò allora di ricollocare i più capaci in filiali di nuova istituzione, e per gli altri si spalancarono le porte del prepensionamento: gli ex 15 dipendenti del Centro Elaborazione Dati furono recuperati, nonostante nel Centro ci fossero, tra gli altri, dipendenti laureati in fisica, in ingegneria, in statistica, quindi in chiave bancaria, difficilmente ricollocabili; oggi, uno di loro, dopo gli opportuni accorgimenti, è diventato uno dei responsabili del Centro Finanziario.

Ma tutto ciò non sarebbe bastato a salvare la difficile situazione in cui versava la Cassa di Risparmio di Lugo e i suoi 130 dipendenti se non vi fosse stato un attenzione interessata da parte della Ca.Ris.Bo.

La banca bolognese decide di coprire il debito contratto dalla Cassa di Lugo con i suoi risparmiatori.

Un debito che si aggirava tra i 18 e i 20 miliardi; un debito che solo alcuni anni più tardi venne tramutato in partecipazioni azionarie poiché al momento dell'entrata di Ca.Ris.Bo. la Cassa di Risparmio di Lugo non figurava ancora come s.p.a., Un credito verso la Ca.Ris.Bo. che valse all'istituto bolognese il 30% del pacchetto azionario della Cassa di Risparmio di Lugo.

Qual'era l'intento Ca.Ris.Bo.?

Il progetto Ca.Ri.Ro. era in via di fallimento, delle 8 sorelle erano rimaste solo le 4 banche minori quindi l'istituto bolognese avrebbe potuto più facilmente aprirsi sul mercato romagnolo che non aveva trattato fino ad allora.

Si può intuire facilmente come in un momento così difficile fossero molto tormentati gli animi di alcuni soci lughesi, costretti da un lato a concedere all'ente più potente ed "estraneo" parte del loro geloso pacchetto azionario (anche i dirigenti, inizialmente, vedevano con questa operazione una diminuzione di potere), ma dall'altro era chiaro a tutti che ciò avrebbe portato nelle casse della banca una notevole "boccata di ossigeno". 

Dalla cessione del 30% scaturirono altri tipi di accordi tra i due enti tra i quali un "patto di non belligeranza" per il quale la Ca.Ris.Bo. si impegnava a non aprire nella zona lughese nuove filiali ed intanto la Cassa di Risparmio avrebbe intensificato la sua presenza in provincia: la sinergia tra i due istituti iniziava già a dare i suoi frutti.

Inoltre gli amministratori bolognesi chiesero ed ottennero di avere all'interno del CdA due loro esponenti, ed un dirigente sempre di Ca.Ris.Bo., con la carica di Vice Direttore nonché di Responsabile Commerciale.

L'entrata dei nuovi consiglieri portò un'incredibile ventata di freschezza all'interno del chiuso mondo bancario lughese, una nuova mentalità, se si vuole più aperta, più "cittadina".

E ciò non creò minimamente attrito tra nuovi e vecchi consiglieri, che anzi iniziarono a percepire l'importanza dei cambiamenti in atto.

Molte idee innovative adottate da altri istituti furono letteralmente acquistate, è il caso del Conto Giovani acquistato dalla Ca.Ris.Bo., ciò ovviamente allo scopo di poter fornire in tempi rapidi nuove soluzione mai adottate prima dalla banca ai clienti che, assieme all'istituto stavano crescendo di anno in anno.

Molta importanza assunse la nascita di una filiale all'interno del centro commerciale "Globo", il polmone commerciale lughese, nato dagli accordi tra alcuni commercianti della zona, tra l'altro clienti della stessa banca.

L'accordo prevedeva finanziamenti della banca per la nascita del centro, ma la stessa banca si riservava uno spazio all'interno del centro stesso per impiantarvi una sua filiale. Ciò portò ad un grosso cambiamento, il giorno degli acquisti per eccellenza (il sabato) non poteva vedere una banca chiusa, si decise allora di tenere eccezionalmente aperta la filiale nella giornata del sabato per poter far fronte alle necessità della clientela.

Numerosi si alzarono i cori di protesta soprattutto dai sindacati, ma la posta in palio era veramente alta per la banca: si arrivò ad un accordo per cui il sabato avrebbero lavorato solo i dipendenti volontari.

La capillarizzazione della Cassa di Risparmio nel tessuto lughese creò non pochi problemi all'altra realtà bancaria della cittadina romagnola, quella Banca del Monte che già alcuni anni prima aveva espresso la sua volontà di una fusione con la Cassa di Risparmio stessa, cominciò una seria riflessione.

Motivazioni varie impedirono che ciò accadesse prima, ma ora forse era arrivato il momento giusto: la lotta per la sopravvivenza richiedeva che anche due banche così vicine ma anche così lontane, politicamente parlando, unissero i loro destini.

La Banca del Monte di Lugo era presente nel territorio oltre che con la sede (nell'Ospedale Vecchio della città) con tre agenzie che formavano la rete commerciale e distributiva: una a Lugo aperta nel 1960, una a Cotignola nel 1988 e una a Fusignano nel 1991.

Gli organi sociali della Banca del Monte avevano le stesse caratteristiche e prerogative di quelli già enunciati nel capitolo di analisi del progetto Ca.Ri.Ro.

Le quote di partecipazione in altri enti erano esigue e come tali non davano diritto ad alcuna rappresentanza in seno agli organi sociali delle partecipate.

La finalità degli investimenti era volta ad una politica di semplice presenza nel capitale che garantisse la fruizione di alcuni servizi offerti dalle partecipate.

La Banca del Monte di Lugo intratteneva una serie di rapporti di collaborazione che le permettevano il raggiungimento di sinergie e un corretto grado di efficienza nell'operatività interbancaria.

Accanto alle convenzioni stipulate con le aziende erogatrici di carte di credito (Bankamericard e Cartasì), vi erano accordi per l'appoggio presso i propri sportelli delle operazioni della Fraer leasing S.p.a.

Con riguardo alla gestione delle funzioni operative interne, la Banca del Monte si avvaleva del centro Cedacrinord per la gestione del sistema informativo e della società Ge.Po. per il trattamento di assegni ed effetti.

A partire dal 1988 la Banca aveva provveduto a trasferire il proprio sistema informativo centrale presso Cedacri, avvalendosi così dei servizi forniti dal centro in qualità di utente esterno.

Una importante differenza, quindi, tra la Cassa di Risparmio e la Banca del Monte di Lugo era che la prima era partner associata nella società Cedacri mentre la seconda si avvaleva esclusivamente dei suoi servizi.

Un altro punto di incontro tra le due realtà era l'accordo di appoggio che Banca del Monte aveva stipulato per le operazioni sull'estero con Ca.Ris.Bo. che come abbiamo visto era entrata nel Consiglio d'Amministrazione della Cassa di Risparmio di Lugo.

Il Monte si avvaleva di ulteriori accordi con gli istituti IMER e IRCAER, organismi di credito speciale per la collocazione dei certificati di deposito e con Intercassa S.I.M. S.p.a. per garantire l'operatività su quei titoli gestibili esclusivamente da società di intermediazione mobiliare.

La struttura organizzativa della Banca del Monte di Lugo presentava un'architettura di tipo funzionale suddivisa tra organi centrali e dipendenze, coordinati dal Direttore Generale, rag. Renzo Preda.

In staff al Direttore Generale era collocato l'Ufficio Sviluppo; direttamente dal Direttore Generale dipendevano gli organi centrali e le dipendenze.

Gli organi centrali erano quattro.

Il Servizio Affari Generali si occupava di segreteria generale, del personale, dell'economato, dell'archivio, dell'organizzazione e dei sistemi informativi.

Il Servizio Crediti, suddiviso tra Ufficio Crediti Ordinari e Ufficio Mutui/Crediti Speciali, sovrintendeva alla materia fiduciaria dell'Istituto, sia sotto il profilo dell'assunzione dei rischi, sia sotto quello della regolarità formale degli affidamenti;

Il Servizio Ragioneria svolgeva le funzioni inerenti la contabilità, il controllo e i corrispondenti: si articolava in due uffici coordinati da un'unica figura.

Il Servizio Titoli, Estero e Merci aveva un coordinatore che rispondeva direttamente alla Direzione Generale.  

Le agenzie avevano ciascuna un responsabile ed un organico complessivo di 5 persone anche se tale numero si raggiungeva raramente.

Considerato l'esiguo numero degli organici, le Agenzie si avvalevano per i servizi di cui non disponevano di apposite unità operative, delle corrispondenti strutture organizzative della Sede Centrale.

Per i poteri di firma esisteva un certo livello di autonomia nella concessione degli sconfinamenti; per gli affidamenti, invece la procedura era molto accentrata.

Il personale si aggirava attorno alle 40 unità cioè un terzo del personale della rivale Cassa di Risparmio.

Le posizioni di responsabilità erano ricoperte da funzionari con un'età di almeno quarant'anni ed un'anzianità di servizio di almeno dieci anni.

Ne risultava quindi una struttura con un controllo gerarchico abbastanza accentrato.

Si affidava come consulenza gestionale esterna alla Società PRAXI di Bologna e in ambito patrimoniale e giuridico è stata seguita da numerosi docenti dell'Università di Bologna tra cui il prof. Umberto Romagnoli.

La Banca del Monte si configurava come azienda di credito ad ambito fortemente locale, con un ruolo tradizionale di presidio bancario del proprio territorio e con un trend di crescita che negli ultimi anni, prima del legame con la Cassa di Risparmio, si poteva definire trascurabile.

Le sofferenze erano praticamente stabili in valore assoluto ma il loro peso sul totale degli impieghi era in diminuzione: un segno positivo della politica aziendale che poneva attenzione ad una crescita selettiva del portafoglio, tra le forme tecniche risultavano preponderanti i conti correnti ed i mutui, e la composizione del portafoglio titoli di proprietà della Banca evidenziava una politica orientata esclusivamente al mercato obbligazionario.

Il grado di patrimonializzazione risultava costante nel tempo ed era reso possibile dall'autofinanziamento che permetteva alla banca di mantenere un tasso di sviluppo considerevole negli anni, senza uno sbilanciamento della struttura patrimoniale.

Tuttavia l'andamento a confronto con Istituti simili evidenziava un andamento patrimoniale di poco inferiore alla media.

Anche la Banca del Monte subisce l'ispezione della Banca d'Italia tra il 1988 e il 1989 ma il rapporto conclusivo non evidenziò particolari problemi se non il fatto che l'Istituto era troppo piccolo e il suo futuro era evidentemente segnato.

Possiamo quindi fare un paragone tra le due principali realtà bancarie lughesi e cercare di capire quali furono i motivi che nel 1992 portarono alla loro fusione.

La Cassa di Risparmio, come già evidenziato era maggiore per numero di dipendenti e rete di sportelli presenti sul territorio tuttavia il suo stato patrimoniale era gravoso e necessitava di nuova linfa.

La Banca del Monte invece era florida dal punto di vista patrimoniale, ben organizzata strutturalmente ma piccola per ricchezza, dipendenti e agenzie.

La Cassa di Risparmio proveniva da un'esperienza politica più legata al cattolicesimo, un'area di democrazia centrista, dove prevalevano la componente agraria e i professionisti benestanti, al contrario la Banca del Monte sebbene nascesse da un ente caritatevole riprendeva i principi del socialismo e al suo interno sedevano i rappresentanti degli enti pubblici e il comune.

Contrariamente a quello che si può definire politically correct però la cassa di Risparmio era il referente per il Comune di Lugo e le maggiori istituzioni lughesi per l'esattoria e la tesoreria.

I punti di contatto vi erano già stati negli anni settanta quando l'allora presidente della Banca del Monte, intratteneva relazioni con la Cassa di Risparmio poiché entrambe le istituzioni facevano parte della stessa federazione regionale.

Ma per quanto le direzioni abbiamo cercato di dimostrare che i rapporti erano fondamentalmente di buon vicinato e la concorrenza non era esasperata, molti dipendenti ci hanno confermato che vi era un clima di aperta ostilità già dal 1966 quando l'allora vicedirettore della Cassa di Risparmio di Lugo non fu promosso direttore ed invece divenne il più alto dirigente della Banca del Monte che proprio quell'anno entrò a far parte dei Monti di Prima Categoria.

Ed ora le sinergie si potevano moltiplicare grazie ad una presenza in entrambe le banche della Ca.Ris.Bo., ad un comune protocollo tecnologico ed alla necessità di sopravvivere per entrambi.

Tuttavia forse non furono questi i reali motivi della futura fusione dei due istituti.

I vertici operativi della Banca del Monte ritenevano la soluzione della fusione una decisione rischiosa poiché si sarebbero uniti due piccole banche che non disponevano di grossi capitali.

La Banca del Monte inoltre aveva avviato altri contatti con realtà maggiori come ad esempio Carimonte S.p.a. e rientrava in un progetto di banca rete denominato Monte Nord che avrebbe associato la Banca del Monte della Lombardia, la Banca del Monte di Bologna e Ravenna, la Banca del Monte di Parma, quella di Lucca, di Faenza e quella di Rovigo.

Ma l'Amministrazione Comunale e gli enti pubblici presenti nell'ultimo consiglio di amministrazione di Banca del Monte votarono a favore della fusione, per 4 a 1, con la Cassa di Risparmio per realizzare una banca cittadina e forse per salvare il proprio patrimonio amministrato dalla Cassa tramite l'esattoria.

I motivi da ricercare per capire la fusione sono di natura prettamente politica e non è facile capire il perché: ciò che scaturirà sarà il fatto che i risultati saranno inferiori alle aspettative.

La Fondazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte

Le fondazioni bancarie traggono origine dalla la cosiddetta "legge Amato" dal nome del ministro del Tesoro che ne presentò il disegno, seguita dal D.lg. 20 novembre 1990, n. 356 "Disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio".

La n. 218/90 detta le disposizioni per la ristrutturazione degli istituti di credito di diritto pubblico al fine di ottenere assetti più efficienti del sistema bancario.

Il presupposto della legge sta nel riconoscimento che l'attività bancaria ha ormai perso le caratteristiche di servizio pubblico che erano state proprie di molte delle sue istituzioni in passato, ed è ora attività d'impresa a tutti gli effetti.

Gli enti che svolgevano funzioni di utilità sociale principalmente attraverso il governo della banca e in modo secondario attraverso l'erogazione di beneficenza devono di conseguenza riorganizzarsi: il problema più grande è che la legge non indica come ma si limita a stabilire che l'azienda bancaria venga conferita ad una società per azioni costituita a tal fine.

Le fondazioni bancarie sono gli enti conferenti in questione, formate solitamente da azionisti delle stesse banche a cui sono legate.

L'utilizzo del termine fondazioni invece è da ricondurre a due ordini di motivi: uno, appena spiegato, di natura giuridica, l'altro è da ricercare nel significato che si voleva dare al processo stesso della privatizzazione: poiché i fini di pubblica utilità sono divenuti di primo piano, e non più di secondaria importanza, una volta avvenuto lo scorporo dell'attività bancaria il riferimento alle fondazioni è risultato spontaneo visto che di solito sono organi di questo tipo e nome che, nel mondo occidentale perseguono tali finalità.

Per tali enti si presentano due alternative.[20]

La prima prende le mosse dall'attività di beneficenza e si indirizza verso un'attività molto simile a quella della philanthropic foundation americana, non tanto nella variante operating dal momento che le nuove fondazioni non hanno, almeno da principio, un'opera principale da far funzionare, ma piuttosto nella variante grant-making, poiché erogare denaro è esattamente ciò che già facevano, sia pure come attività subordinata a quella bancaria. Questa possibilità comporta la cessione dell'azienda bancaria e l'investimento del patrimonio secondo le regole di riduzione al minimo del rischio e la massimizzazione del reddito senza diversità da una qualsiasi gestione patrimoniale.

La seconda opportunità delle fondazioni, invece, si esplicita nella ricerca di una funzione sociale diversa dalla beneficenza, identificata il più delle volte con l'attività di governo della banca ovvero detenerne il controllo o organizzarne la spartizione o la cessione quando detenerlo non sia più possibile o dannoso per la crescita della banca, avendo come obiettivo il mantenimento della banca nella realtà locale che l'ha generata.

In aggiunta è stata anche avanzata la proposta che le fondazioni assumano un ruolo attivo nella formazione dei nuovi assetti proprietari al di fuori del sistema bancario, in occasione delle privatizzazioni delle società statali che producono i servizi di pubblica utilità quali l'elettricità e le telecomunicazioni ( tale proposta si riferisce alla possibilità di coinvolgere le fondazioni all'acquisto di quote delle società privatizzande).

Le due possibilità sopra individuate non possono convivere a causa della loro stessa natura: troppo diverse per i compiti che si prefiggono, per la selezione degli amministratori, per le politiche di amministrazione del patrimonio e di destinazione degli utili conseguiti se non, infine, per le stesse risorse disponibili e gli strumenti operativi utilizzati.

Il cambiamento di direzione  provocato da successive decreti non può che essere considerato positivo vista la responsabilità che hanno le fondazioni nei confronti della collettività.

Il rispetto dunque della loro funzione può avvenire quando esse sovvenzionano iniziative di pubblica utilità attraverso un'azione trasparente e svincolata da qualsiasi tendenza politica, cosa, invece, non facile quando si tratta di governare una banca o di partecipare alla privatizzazione di imprese pubbliche; in tal caso, infatti, l'azione è rivolta a detenere potere economico presumibilmente negli interessi della comunità.

L'ostilità italiana al modello delle fondazioni grant-making ,è probabile sia legata alla scarsa comprensione della funzione svolta da tali enti.

E' opinione ancora diffusa che l'erogazione di contributi non sia attività molto diversa dalla beneficenza bancaria.

In realtà gli enti che effettuano erogazioni hanno una funzione di elevata complessità e responsabilità sociale: presentazione di progetti, analisi e selezione nell'assistenza ai responsabili durante l'esecuzione e nel controllo dell'impiego delle risorse.

Le Fondazioni bancarie sono 89, di cui 82 originate da Casse di Risparmio, 6 da Istituti di Credito di Diritto Pubblico e 1 da un Monte di credito su pegno di seconda categoria. A fine 1999 il loro patrimonio contabile ammontava ad oltre 58.000 miliardi di lire e le risorse disponibili per l'attività erogativa sono risultate essere di oltre 1.300 miliardi di lire. Dai dati relativi ai settori di intervento delle Fondazioni, desunti dal 5° Rapporto annuale sulle Fondazioni, curato dall'ACRI, risulta che il primo settore per importanza è l'Arte e cultura (35,8% del totale erogato), seguito da Assistenza sociale (13,4%), Istruzione (12,4%), Volontariato (12,1%, quasi interamente costituito dagli accantonamenti ai Fondi speciali regionali previsti dalla legge 266/91), Sanità (9,1%) e Ricerca scientifica (7,8%). Al di fuori di detti settori le risorse residue (10,4%) sono state destinate a: iniziative volte alla promozione e sviluppo delle comunità locali, tutela ambientale e attività di carattere sportivo e ricreativo.

Tutte le 82 Casse di Risparmio si sono rifatte alle disposizioni contenute nella legge citata e negli anni dal 1990 al 1992 hanno iniziato e concluso le fasi di ristrutturazione aziendale grazie al quale il Sistema delle Casse di Risparmio è risultato costituito da 81 Casse di Risparmio S.p.A. e da 82 Enti-Casse di Risparmio.

Gli Enti che hanno iniziato le operazioni di conferimento, detti Enti conferenti (ovvero le cosiddette fondazioni di origine bancaria), residuano, quindi, dalle operazioni di scorporo e di conferimento dell'impresa bancaria ad una società per azioni a tale scopo costituita, attuate dagli originari Casse di Risparmio e Istituti di Credito di diritto pubblico.

Dopo aver analizzato l'excursus storico legislativo delle fondazioni abbiamo potuto vedere come le disposizioni legislative non trattino direttamente il problema della natura giuridica delle fondazioni bancarie.

Con il procedimento di privatizzazione della legge Amato la trasformazione è avvenuta direttamente per gli enti il cui fondo di dotazione era di tipo associativo, per gli altri, cioè per le fondazioni, il processo, effettuato con la tecnica del conferimento dell'azienda bancaria ad una società per azioni costituita a tale scopo, ha mantenuto immutata la natura dell'ente originario conferente il quale è rimasto pubblico come era all'origine.

La definizione di ente fondazione, non ha rilevanza però sulla loro sostanza: essi non sono diventati fondazioni di diritto privato, ma sono rimasti degli enti pubblici.

Tuttavia il processo di privatizzazione delle banche non è avvenuto in modo lineare, è andato avanti in modo irregolare vedendo modifiche continue che rendono naturale chiedersi se tale processo non abbia in qualche modo implicato l'entrata dell'ente conferente nel diritto comune o che abbia portato alla mutazione degli enti pubblici fondazione in vere fondazioni di diritto privato.

Comunque nonostante tutte le contraddizioni ed incertezze giuridiche sulla loro natura ed operatività le Fondazioni bancarie si sono quindi trovate a gestire un patrimonio stimato in circa 70.000 miliardi ed a ricercare un loro ruolo come enti non profit, senza peraltro possedere la minima preparazione organizzativa, tecnica e manageriale per operare efficacemente come importanti operatori del terzo settore.

Con riferimento al provvedimento di legge in materia di ristrutturazione delle banche pubbliche e relativi decreti di attuazione nell'ambito delle possibilità anche fiscali consentite da tale provvedimento, la Banca del Monte di Lugo, promotrice dell'iniziativa, ha realizzato un processo di concentrazione con La Cassa di Risparmio di Lugo S.p.a.

La nuova Fondazione si è impegnata ad assumere un ruolo non solo di mero erogatore di contributi, bensì di volano per la crescita socio-economica e culturale del territorio di riferimento.

Lo Statuto prevede la presenza di un'Assemblea costituita dai Soci, in parte nominati per cooptazione dalla stessa Assemblea, in parte designati da Amministratori locali, Enti e Istituzioni che rappresentano largamente le diverse componenti sociali di Lugo e del suo territorio: uomini di cultura, pubblici amministratori, imprenditori e dirigenti, professionisti, i quali a loro volta esprimono il Consiglio di Amministrazione in funzione della competenza dei suoi componenti.

Le consistenti disponibilità finanziarie della Fondazione consentono di avviare progetti di intervento di iniziativa propria o di terzi nei settori di attività indicati dalla legge di riforma del settore: Ricerca Scientifica, Arte e Cultura, Insegnamento e Formazione/Sviluppo dell'Innovazione Tecnologica nella piccola-media impresa e nell'impresa artigiana, Beneficenza, Assistenza e Sanità, avendo come obiettivo il concorrere ad un reale miglioramento della qualità della vita nel territorio di riferimento.

La nuova suddivisione ha previsto così una suddivisione del capitale di 35 miliardi, nella delibera del 27 dicembre 1991, in due parti: il 71,81% alla fondazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte di Lugo e il restante 28,19% alla Ca.Ris.Bo. che come abbiamo già detto precedentemente aveva investito una ventina di miliardi nella Cassa di Risparmio, quota che ora era stata trasformata in azioni.

Le principali caratteristiche dello Statuto richiamano l'obbligo di mantenimento della maggioranza delle azioni in capo ad enti pubblici o a società finanziarie o bancarie a maggioranza pubblica; per rendere più snella ed efficace l'attività di erogazione del credito e la gestione aziendale, è stata prevista la possibilità di insediare un comitato esecutivo di emanazione del consiglio, con i poteri delegati dal consiglio medesimo.

La Fondazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte di Lugo è un ente con piena capacità di diritto pubblico e privato.

Deriva, come già detto in precedenza, dalla concentrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Lugo dopo la creazione della Cassa di Risparmio S.p.A., con la Fondazione Banca del Monte di Lugo dopo lo scorporo dell'attività creditizia e rappresenta la continuazione di ambedue gli enti citati.

La Fondazione ha sede a Lugo, nei locali della sede Centrale della ex Cassa di Risparmio ora filiale Banca di Romagna.

Ad essa ora sono preclusi per legge l'esercizio diretto dell'impresa bancaria e il possesso di partecipazioni di controllo del capitale di imprese bancarie o finanziarie diverse dalla società conferitaria.

Il suo patrimonio è costituito dalla partecipazione, globalmente detenuta, nella società conferitaria, dalle fondazioni originarie nonché dalla partecipazione nella Holding alla quale le fondazioni stesse hanno aderito.

Gli organi della Fondazione sono cinque: l'Assemblea dei Soci, il Consiglio di Amministrazione, il Presidente dott. Atos Billi, il Collegio dei Revisori ed il Segretario Generale, dott. Giuseppe Xella.

Sono soci di diritto il Comune di Lugo, la Provincia di Ravenna e la camera del Commercio di Ravenna.

Tali soci, ricordiamo erano già presenti nel Consiglio di Amministrazione della Banca del Monte di Lugo.

L'Università degli Studi di Bologna designa anch'essa un socio della fondazione, il quale è una persona scelta preferibilmente fra quelle in attività presso la sede di Ravenna.

Ma l'elemento fondamentale di questa Fondazione è rappresentato dal fatto che essa unii per la prima volta due Istituti e tuttora rimane una delle poche a legare due strutture bancarie dalle caratteristiche e origini differenti.

Questo per la fondazione è sempre stato valido motivo di orgoglio anche se la realizzazione di tale unione non fu alle origini semplice per la mancanza di punti di riferimento in altre realtà bancarie.


Il secondo tentativo di sviluppo:

la Cassa e Monte Lugo e il Progetto CAER


Il promotore del progetto di ristrutturazione fu la Banca del Monte di Lugo; obiettivo dell'Istituto era quello di realizzare un fenomeno di concentrazione bancaria assieme alla cassa di Risparmio di Lugo S.p.a., a sua volta costituita ai sensi della legge Amato 218/90 per conferimento dell'azienda bancaria facente capo all'Ente Creditizio pubblico Cassa di Risparmio di Lugo.

Era, inoltre, obiettivo dell'Istituto partecipare al Gruppo Bancario Casse Emiliano Romagnole CAER che sarà costituito dalle Fondazioni Casse di Risparmio di Bologna, Carpi, Cento, Imola, Faenza e Lugo ed al quale avrebbero dovuto aderire anche le Casse di Piacenza e Vigevano e quella di Reggio Emilia.

Il progetto CAER nasceva da Ca.Ris.Bo. sempre nell'ambito della federazione regionale delle Casse di Risparmio al fine di creare una Holding regionale di 19 istituti senza però privare l'operatività delle singole realtà di quel carattere di localismo che costituiva uno dei principali fattori di sviluppo delle casse.

Pertanto le realtà coinvolte erano intenzionate a perseguire l'obiettivo di creazione del Gruppo creditizio nel rispetto della "dignità storica delle singole Casse di Risparmio.

In considerazione del processo di integrazione e internazionalizzazione dei mercati finanziari, le realtà coinvolte intendevano perseguire una politica di aggregazione che consentisse loro di sviluppare una strategia unitaria nei più diversi settori di intervento, finalizzata al raggiungimento di una dimensione complessiva che potesse favorire la realizzazione di economie di scala e di scopo nonché il conseguimento di una maggiore profittabilità delle gestioni fra loro integrate.

In termini più puntuali le Realtà costituenti il Gruppo CAER intendevano dotare maggiormente lo stesso di un'operatività capace di offrire, in aggiunta ai tipici prodotti/servizi bancari, anche altre tipologie quali: leasing, factoring, merchant banking, fondi comuni d'investimento, gestioni fiduciarie, credito al consumo, consulenza, intermediazione mobiliare e assicurativi.

In considerazione della complessità delle operazioni necessarie per il completamento del progetto di ristrutturazione, le Realtà coinvolte concordarono di articolare il piano realizzativo in due fasi: il conferimento già citato all'inizio del capitolo ed il coinvolgimento nel Gruppo CAER.

L'obiettivo temporale relativo alla realizzazione della prima fase si doveva concludere il 15 luglio 1992.

Il raggiungimento di detto obiettivo avrebbe permesso alla Banca del Monte di Lugo di dare immediato avvio, in fase attuativa, alle successive operazioni per il coinvolgimento nel Gruppo Creditizio.

Nella fase due, la Cassa di Risparmio di Lugo S.p.a., società conferitaria, avrebbe partecipato al progetto di Costituzione di un Gruppo Creditizio polifunzionale denominato "Gruppo Bancario Casse Emiliano Romagnole S.p.A." in sigla "CAER S.p.A.".

Il problema principale della fase uno, in altre parole la fusione tra Cassa e Monte di Lugo, come evidenziava l'avvocato Merusi dell'Università di Pisa, era dato dalla diversa natura giuridica dei due istituti: la Cassa di Risparmio era un'associazione mentre il Monte era una Fondazione.

La Fondazione Banca del Monte di Lugo costituita appositamente dopo la legge Amato, dopo aver effettuato il conferimento della propria azienda bancaria alla Cassa di Risparmio di Lugo S.p.A. (che a seguito del conferimento cambierà denominazione in "Cassa di Risparmio e Banca del Monte di Lugo S.p.A." in sigla CML S.p.A.) intendeva conferire una quota pari al 20% della partecipazione che avrebbe detenuto nella suddetta CML, alla Holding CAER, precedentemente costituita in contropartita di azioni della Holding stessa, secondo le modalità del progetto.

In seguito, anche la Fondazione Cassa di Risparmio di Lugo avrebbe versato la stessa quota.

Le quote di pacchetti azionari detenuti nelle rispettive S.p.A. Bancarie erano così ripartite: Bologna avrebbe conferito il 100%, le altre realtà, cioè Carpi, Cento, Imola, Lugo e Faenza; avrebbero dato il 20%.

Sottolineiamo che il grado di integrazione tra le Realtà doveva anche tenere in considerazione gli allora rapporti di partecipazione diretta tra Bologna e Lugo, nonché tra Bologna e Faenza.

Successivamente fu costituita la Holding Parabancaria alla quale furono conferite dalle S.p.A. Bancarie le partecipazioni di carattere parabancario nonché le Istituzioni operanti nel medio/lungo termine.

In contropartita ciascuna S.p.A. Bancaria avrebbe ricevuto azioni della Holding Parabancaria.

La Holding Creditizia avrebbe garantito la visone strategica complessiva del Gruppo, individuando le linee di indirizzo e di coordinamento delle S.p.A. e della Holding Parabancaria.

A quest'ultime sarebbe spettata la funzione di interpretare le direttive strategiche generali espresse dalla Holding Creditizia e di trasformarle negli specifici obiettivi da realizzare nelle rispettive Realtà settoriali.

La ristrutturazione prevista in un'unica azienda bancaria avrebbe costituito per il Nuovo Istituto CML una buona riserva patrimoniale con accantonamenti non tassati.

Il processo di ristrutturazione che coinvolse la Banca del Monte e la Cassa di Risparmio procedette secondo una fusione delle strutture preesistenti.

In primo luogo furono gradualmente omogeneizzate le strutture organizzative delle filiali, in modo da uniformare la presenza sul mercato e le modalità di contatto col cliente.

Per realizzare l'unificazione organizzativa fu, quindi, completata, nei primi mesi del 1993, l'integrazione delle risorse umane.

Gli obiettivi di carattere commerciale erano rappresentati dallo sviluppo di rapporti con nuova clientela e dal potenziamento della presenza sul territorio.

Tali azioni di potenziamento interessarono soprattutto le Dipendenze di CastelBolognese, Faenza, Cotignola e Fusignano e le altre agenzie seppure con obiettivi diversi o minori.

Furono aperte, per il potenziamento della presenza dell'Istituto sul territorio, due nuove dipendenze ad Alfonsine e Ravenna portando a 19 il numero degli sportelli disponibili.

Tali erano, oltre alle due suddette agenzie: Bagnara di Romagna, Barbiano, Faenza, Fusignano, CastelBolognese, Cotignola, San Bernardino, San Lorenzo, San Patrizio, Solarolo e Voltana.

Oltre a queste succursali si annoveravano le 4 agenzie di Lugo e la Sede Centrale.

Subì invece, uno slittamento temporale la riorganizzazione delle Dipendenze operanti nella città di Lugo (Sede ed Agenzie) che prevedeva l'apertura di una nuova Agenzia nella zona sud del lughese e la destinazione di parte dell'ex Banca del Monte ad uffici di consulenze specialistica per la clientela: il futuro "Centro Affari".

Al termine della prima fase del progetto , la Cassa di Risparmio e Banca del Monte Lugo S.p.A. sarebbe stata posseduta per il 17,21% dalla Fondazione Banca del Monte di Lugo, per il 23,24% dalla Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A., per il 47,56% dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lugo, anch'essa creata all'uopo dopo la legge Amato e la trasformazione in S.p.A. della Banca, (percentuale calcolata in rapporto al capitale economico Banca Monte Lugo che era del 20,78%) e per il 11,89% dalla Holding Creditizia "CAER S.p.A."

Queste percentuali subirono variazioni durante l'esercizio 1993 cedendo al Gruppo CAER le partecipazioni dell'ex Banca del Monte nelle seguenti società: Finemiro S.p.A. di Bologna, Centro Leasing S.p.A. di Firenze, Sapir S.p.A. di Ravenna, Fraer Leasing S.p.A. di Cesena e Servizi Interbancari S.p.A. di Roma.

La Nuova società CML aveva per oggetto la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito nelle sue varie forme.

Era amministrata da un Consiglio di Amministrazione composto da tredici membri, nel cui seno venivano eletti un presidente ed un Vice Presidente, con possibilità di nominare un Comitato Esecutivo di cinque membri; la nomina dei membri del Consiglio di Amministrazione era effettuata sulla base di liste presentate dai soci.

Almeno un membro del Consiglio di Amministrazione, inoltre doveva essere eletto su indicazione di CAER S.p.A.

Il presidente della Banca del Monte di Lugo avrebbe ricoperto la carica di Vice Presidente della CML S.p.A. mentre nel comitato esecutivo doveva essere presente 1 membro espressione della Fondazione Banca del Monte Lugo, dalla stessa designato e un membro della Ca.Ris.Bo. S.p.A.

Stante l'allora conversione della Cassa di Risparmio di Lugo e della Banca del Monte di Lugo al sistema informativo Cedacri Nord, si doveva realizzare uno scambio di esperienze su procedure automatizzate su PC o comunque compatibili con le procedure Cedacri Nord nonché l'utilizzo di "Banche Dati" della Ca.Ris.Bo. S.p.A..

L'allineamento delle procedure informatiche fu completato nel mese di ottobre del 1992 ma i processi di unificazione dei rapporti della clientela e di integrazione degli organici del personale vennero gradualmente a compimento solo durante il primo semestre del 1993.

A parità di condizioni la CML S.p.A. doveva dare la preferenza al Centro Servizi Ca.Ri.Re.Se. per il trattamento di effetti e assegni in luogo della Ge.Po. S.p.A.

La Ca.Ris.Bo. s'impegno alla realizzazione di stage per la formazione del personale della CML in ordine alla gestione della liquidità aziendale e del Portafoglio Titoli di proprietà, nei settori dei cambi e delle operazioni documentarie, che vennero attuati anche con la collaborazione dell'ACRI regionale.

Ca.Ris.Bo. mise inoltre a disposizione, il proprio sistema informativo di marketing.

Per la categoria prodotti, alla S.p.A. di Lugo venne data la possibilità di vendere i prodotti forniti dalla Ca.Ris.Bo.: mutui fondiari nelle diverse tipologie, titoli obbligazionari della Ca.Ris.Bo. a tasso fisso e variabile, titoli sintetici, titoli esteri, swaps, options, polizze di credito commerciale, conto rendita e servizi di pagamenti automatizzati.

Infatti nel campo dei prodotti si sviluppò la vendita del "Conto Decathlon", un pacchetto di servizi finanziari ed assicurativi per il privato e le famiglie; vi era poi il "Conto Zecchino" ideato da Ca.Ris.Bo. per essere proposto ai bambini e ai ragazzi fino ai tredici anni; al Conto Zecchino seguiva il "Conto Giovani" per i clienti adolescenti fino al raggiungimento della maggiore età.

Venne istituita la polizza vita "Valore Aggiunto", proposta dalla Compagnia "Allsecures Vita" e distribuita da tutti gli sportelli, per ampliare il settore prodotti assicurativi che rappresentava la tendenza in atto del periodo.

Infine per quanto riguarda i pagamenti automatizzati, CML S.p.A. venne creata la carta multifunzione SIGNUM, che costituiva la prima proposta unitaria di prodotto nell'ambito della Holding CAER e per la quale sono state sviluppate iniziative e campagne comuni fra gli istituti partecipanti; SIGNUM incorporava in sé le funzioni tipiche della carta di credito, nei circuiti Visa e Mastercard e quelle del Bancomat ed era un utile veicolo di numerosi altri servizi accessori che interessavano il cittadino e la famiglia.

Gli orientamenti strategici prevedevano un rafforzamento della presenza sulla piazza di Lugo, ottimamente presidiata dalla sede centrale e da ben cinque agenzie e la diversificazione del mercato con l'obiettivo di instaurare nuovi rapporti di raccolta nel segmento famiglie.

Inoltre fu trasferita l'agenzia Centro Città nella zona sud e i locali lasciati liberi furono adibiti a servizi di consulenza e di elevata specializzazione per le famiglie e le imprese.

Un valido supporto alle azioni di sviluppo e di consolidamento della raccolta venne dall'iniziativa promozionale denominata "Premia il risparmio: + 5%", costituita da una maggiorazione di interessi per tutti i rapporti che, nel primo trimestre '93, avessero mantenuto una giacenza media superiore al saldo del 1992; anch'essa contributi al raggiungimento di consistenti livelli di liquidità, dei quali il Servizio Finanziario ha potuto avvalersi per la propria intensa e fruttuosa attività di trading sul mercato telematico dei titoli di stato.

L'iniziativa ebbe, poi, un riscontro di carattere sociale con la destinazione, all'Istituto Oncologico Romagnolo, di una quota del 10% dei maggiori interessi corrisposti ai risparmiatori.

Un importante attività di carattere organizzativo fu svolta, durante il 1993, in collaborazione con le Casse partecipanti al Gruppo CAER, per la messa a punto di un nuovo modello di filiale; dopo l'attività di studio condotta con l'ausilio della "Andersen Consulting" fu avviata nell'autunno '93, una fase di analisi sul campo, preliminare alla sperimentazione del modello che iniziò nel gennaio 1994.

Alla fine della ristrutturazione risultava quindi una struttura completamente revisionata con un Direttore, proveniente dalla cassa di Risparmio, il Dott. Xella, un Vice direttore, proveniente dalla Ca.Ris.Bo., il geom. Frascaroli, ed un dirigente, che diverrà vice direttore alla sede di Faenza dopo la creazione di Banca di Romagna S.p.A. ed in seguito trasferito alla holding della suddetta banca, il Dott. Clò.

Il Consiglio di Amministrazione era presieduto dal presidente della Cassa di Lugo, l'Avv. Gian Paolo Cappucci e dal vice presidente proveniente dal Monte, rag. Omero Guerra. Mentre il collegio sindacale era guidato dal dott. Gian Luigi Facchini.

L'organico del personale era costituito da 190 dipendenti fissi, dei quali sette prestavano servizio a tempo parziale.

Furono poi assunte a tempo determinato, attingendo prevalentemente alle liste di mobilità, 4 nuove unità.

Concludendo, si può affermare che questa fusione fu un passo importante nella crescita delle realtà lughesi, Cassa di Risparmio e Banca del Monte, ma fu spesso tormentata da scelte di carattere politico non condivise da molti dipendenti.

Ad esempio i dipendenti del Monte furono costretti a perdere le agevolazioni derivanti dal loro contratto integrativo di lavoro ed il fondo depositato da loro stessi fu utilizzato per appianare situazioni delicate all'interno della nuova istituzione.

Altre circostanze incresciose si crearono nella cosiddetta "suddivisione delle poltrone" dove il peso economico del Monte fu tenuto in scarsa considerazione mentre fu agevolata la presenza della Ca.Ris.Bo., elemento che l'amministrazione comunale, forse, non vedeva di buon grado perché la politica localista che si prevedeva per il nuovo attore CML veniva macchiata dalla presenza di un'istituzione bancaria più forte e dalle caratteristiche per nulla simili alla realtà romagnola.

Tuttavia non era possibile fare in maniera differente visto l'impegno economico versato da Ca.Ris.Bo. nelle forzieri della Cassa di Lugo.

Non vogliamo, comunque, gettare ombre sulla gestione della fusione bancaria e sulla presenza di attori estranei al contesto locale che da più parti mi sono stati presentati come elementi validi che hanno reso possibile un cambiamento di mentalità ed il salvataggio, seppure per ancora pochi anni dei gloriosi marchi della Cassa di Risparmio e della Banca del Monte di Lugo.

Rimaniamo comunque legati al principio che questa fusione come le restanti fusioni italiane, secondo gli esperti che hanno condotto la ricerca UNI, sembrano avvenire più per il miglioramento del posizionamento strategico delle aziende che per il loro miglioramento economico, con l'affermazione di un'evidente tendenza a diminuire la concorrenza attraverso una sorta di oligopolio di poche grandissime realtà che controllano il territorio.







Conclusioni.


L'attività bancaria in Italia si è svolta a lungo in un ambiente statico, nel quale il cambiamento aveva un'importanza marginale, anche ai fini della competitività.

Negli ultimi vent'anni le cose sono radicalmente cambiate e tutto ciò che si pensava potesse, prima o poi, cambiare è letteralmente esploso.

E' così cambiata la normativa a livello nazionale e internazionale, è cambiata la natura del mercato e con essa le regole della concorrenza; è drasticamente mutata l'importanza dell'efficienza nella lotta competitiva e nell'approccio al cliente; quest'ultimo è uscito dalla sua tana ed è diventato accorto ed esigente; l'organizzazione delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche ha assunto modelli completamente diversi da quelli tradizionali, e così via.

Questa rivoluzione non è peraltro terminata ed è difficile immaginare come sarà strutturato il nostro sistema bancario fra qualche anno, come saranno organizzate e come competeranno fra loro le banche che lo compongono, come si comporterà il cliente e quali saranno i prodotti e i servizi che egli richiederà.

E' invece relativamente facile ipotizzare le principali linee lungo le quali si muoverà tale cambiamento. Esse saranno infatti concentrate sui seguenti aspetti:

q   obiettivo e natura delle banche;

q   dimensioni delle banche e relative funzioni; .rapporti fra produzione e distribuzione di prodotti/servizi;

q   combinazione tra banca fisica e virtuale;

q   rapporti fra attività bancaria e intermediazione finanziaria svolta da altri intermediari.

Quanto al primo punto una lunga strada è già stata percorsa e si tratta solo di completarla. In un sistema che ancora pochi anni or sono vedeva la presenza maggioritaria di banche a soggetto economico pubblico, sono avvenute massicce privatizzazioni e il modello della banca istituzionale, scarsamente orientata al profitto, è stato gradualmente sostituito da quello della banca impresa, il cui obiettivo fondamentale è quello della creazione del massimo valore dell'investimento effettuato da suoi azionisti.

Va da sé che tale obiettivo fondamentale è largamente condizionato dalla capacità della banca di produrre reddito nel lungo periodo, capacità a sua volta condizionata dalla sua efficienza, dalla sua efficacia e, in sostanza, dalla sua capacità competitiva. Questo fatto fa ritenere che le banche, lungamente considerate aziende diverse dalle imprese operanti in altri settori economici, gradatamente finiranno per essere in tutto simili a queste ultime.

La stessa specificità connessa con l'operare prevalentemente con capitale preso a prestito da risparmiatori inconsapevoli del rischio assunto nella sottoscrizione di debiti bancari e quindi bisognosi e degni di particolari protezioni legislative, è destinata progressivamente a venire meno, sia perché tale genere di risparmiatore sta a sua volta, scomparendo sia perché la sua tutela può essere assicurata in modi nuovi. La forza competitiva delle banche, che consentirà loro di raggiungere o di non raggiungere gli obiettivi di cui ho appena detto, dipenderà in misura sempre maggiore dalla combinazione fra dimensione e natura dell'attività svolta. Il processo di concentrazione bancaria in atto, che è destinato a proseguire e forse anche ad intensificarsi, darà vita a banche sempre più grandi, ma non determinerà la scomparsa definitiva di quelle di minore dimensione, che dovranno però divenire meri punti vendita di prodotti creati da altre società specializzate.

La dimensione, l'efficienza produttiva, la capacità innovativa, la strutturazione della rete di vendita e altri fattori ancora determineranno le scelte che le singole banche dovranno fare in argomento.

Quanto alla rete distributiva, essa sarà più composita: accanto agli sportelli tradizionali e alle reti di promotori finanziari, si stanno infatti ponendo e sono destinati ad avere un'importanza sempre maggiore, altri canali di natura telematica e informatica, che hanno già dato vita alle banche "virtuali", prive cioè di strutture fisiche.

E' evidente che non tutti i canali possono distribuire gli stessi prodotti, come è vero che essi non possono assicurare gli stessi servizi.

Anche il tipo di clientela cambia da un canale all'altro per motivi di varia natura.

Il passaggio dall'uso di prodotti e servizi personalizzati a quello di prodotti standardizzati, molto importante soprattutto nel caso dell'intermediazione mobiliare, che si sta sviluppando ad un ritmo molto elevato, sposterà indubbiamente il lavoro bancario dai canali distributivi tradizionali a quelli innovativi. La stessa evoluzione delle conoscenze informatiche della clientela, giocherà nelle medesima direzione. Questo fatto aumenterà la mobilità della clientela bancaria, la quale sarà sempre meno legata alle strutture fisiche delle banche; è pensabile, addirittura, che il cliente scelga, in un futuro ormai prossimo, la propria banca in base al lay-out, alla velocità e alla semplicità del suo sito web.

Lo scenario del prossimo futuro risulta quindi complesso ed estremamente difficile da immaginare; acquisizioni, fusioni, tecnologie, organigrammi, core business: il sistema bancario è in fermento e frastornato da questi vocaboli, ma vincerà chi sarà adesso in grado di gestirli nella maniera migliore.


Ringraziamenti


Desidero ringraziare pubblicamente le persone che hanno permesso la realizzazione di questa tesi.


In particolare voglio menzionare:

q   il Dott. Giuseppe Xella

per la Fondazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte

q   il Direttore di Banca di Romagna S.p.A.,

Rag. Francesco Pinoni

q   il Dott. Mauro Salvini per la Cassa di Risparmio di Lugo

q   il Rag. Omero Guerra e il Rag. Renzo Preda

per la Banca del Monte di Lugo


Voglio, inoltre, ringraziare la segreteria di direzione di Banca di Romagna S.p.A., in particolare la Sig.ra Liverani e la Dott. Cavina per la disponibilità e i documenti che ci hanno fornito.





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Cfr.Andersen Consulting, La gestione del cambiamento per l'acquisizione di vantaggi competitivi.

Dalle strategie all'operatività interna: il ruolo del direttore generale nella banca degli anni '90.

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S. Zan 1988

Cedacrinord, una s.p.a. nata nel 1976 e di proprietà di un gruppo di banche, è stata costituita con una duplice missione: la realizzazione, manutenzione e gestione di un sistema informativo multibanca e la conduzione dell'esercizio di tale sistema per conto degli utenti (service).


Classificazione delle fondazioni.

Una prima classificazione delle fondazioni può essere fatta in base al tipo di scopi perseguiti. Gli enti appartenenti a questa categoria si suddividono in:

fondazioni a fini di assistenza e beneficenza;

fondazioni con fini filantropici, tese cioè alla promozione e al sostenimento di attività culturali, di ricerca scientifica o che riguardano più in generale la sfera umana.

Un'ulteriore classificazione, forse addirittura più rilevante in quanto più mirata e specifica della prima, riguarda le attività svolte dalle fondazioni:

fondazioni operative (operating): esse perseguono i propri fini attraverso un'attività diretta e resa appunto operativa dal fare e dall'agire;

fondazioni erogatrici di doni o contributi finanziari (grants-making): esse perseguono le proprie finalità devolvendo ad altri contributi finanziari per attività ritenute meritevoli di supporto.

Per questi ultimi due tipi di enti si pongono problematiche diverse dovute proprio alla loro natura: le fondazioni operative si trovano a dover scegliere il campo d'azione in modo preciso e definito per poter concentrare gli sforzi al fine di ottenere i migliori risultati; per le fondazioni grant-making, invece, sono di primaria importanza le modalità di scelta e di erogazione dei contributi nonché, a posteriori, i metodi di controllo sull'utilizzo e sui risultati raggiunti grazie all'attività di contribuzione.

Tutto questo discorso non deve però essere ritenuto di valenza assoluta in quanto esso non esclude, nella realtà, l'esistenza di forme ibride dovute a influenze reciproche nel modo di operare e negli scopi.







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