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RELAZIONI INTERNAZIONALI

politica



RELAZIONI INTERNAZIONALI.


CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE:

I MUTATI CARATTERI DELLA SICUREZZA INTERNAZIONALE IN SENSO SOGGETTIVO, OGGETTIVO E SPAZIALE E LA SUA CONNOTAZIONE COME UMANA.


Dopo il 1989 protagonisti della scena internazionale diventano,accanto agli Stati(protagonisti tradizionali) e alle organizzazioni internazionali, altri soggetti che, a vario titolo,si muovono accanto se non addirittura contro agli stati stessi.

Questa coesistenza ha apportato delle conseguenze rilevanti nell'ambito del diritto internazionale ed in particolare in materia di sicurezza internazionale.

In questo campo, infatti,nonostante sia ancora lo Stato,l'attore principale, si è ridotta la sua funzione di artefice e garante della pace e della sicurezza internazionale.

Attualmente non esistono Stati che possono assumersi il monopolio della sicurezza mondiale.

Problema eventuale è quindi quello di ridefinire i caratteri del soggetto statuale, con i suoi diritti e le sue responsabilità , soprattutto considerando il crescente incalzare di altri protagonisti sulla scena internazionale.



Il problema di garantire la sicurezza internazionale si è cominciato a far sentire in particolare al termine della guerra fredda quando le tipologie delle minacce alla pace e alla sicurezza internazionale si sono moltiplicate.

Oltre quindi ad un allargamento dei soggetti, in grado di garantire la sicurezza internazionale (trasformazioni in senso soggettivo), oggi si registrano anche delle esigenze di rafforzamento della tutela sul piano giuridico, materiale e spazio \ temporale (trasformazioni in senso oggettivo

E' sempre più richiesta, infatti, la disciplina e quindi l'intervento dell'ONU il quale risulta sempre più coinvolto nella tutela dei diritti umani.

Occorre tuttavia fare una precisazione: quando oggi parliamo di "intervento per garantire la tutela internazionale non vogliamo riferirci solo ad una sicurezza di carattere politico - militare ma intendiamo un concetto molto più ampio, afferrabile dai più svariati punti di vista.

La sicurezza infatti è economica (oggi si registrano dei sistemi oligopolistici di scambi internazionali nel senso che si sono creati dei giganteschi poli economici che hanno generato un sistema di interdipendenza commerciale tra gli stati, che prima non esisteva, in quanto la materia era gestita singolarmente da ogni stato) e a testimonianza è la creazione dell'O.M.C. (organizzazione mondiale del commercio) ma è anche una sicurezza sociale,culturale oltre che umana

Quando parliamo di diritti umani, facciamo riferimento a quei diritti fondamentali, primari per ogni essere umano perché gli consentano di vivere in maniera dignitosa e gli permettano di sviluppare la propria personalità.

E' evidente che la tutela dei diritti umani deve essere garantita anche sul piano internazionale ed è in questo modo che si giustificano gli interventi dell'O.N.U. ogni qualvolta si verifichi una minaccia o una violazione di questi diritti.

Così, come sancisce la Carta delle Nazioni Unite, gli obiettivi dell'organizzazione sono:

garantire il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e assicurare le condizioni di stabilità e benessere necessarie affinché ci siano rapporti pacifici tra le nazioni complessivamente considerate.

Il riconoscimento dei diritti umani costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo e la loro tutela si sposta dagli ordinamenti interni a quelli internazionali.

Questo intersecamento tra ordinamento interno ed internazionale consente il superamento della visione "domestica" dei diritti umani (domestic jurisdiction ) e permette di considerarli in una duplice dimensione e con una duplice funzione: proteggono l'essere umano a livello internazionale e prevengono le minacce all'ordine pubblico internazionale.

Prima del 1989 la situazione era diversa. La tutela della sicurezza, infatti, presentava una dimensione individuale, in riferimento all'interesse di ciascuno stato a preservare la sua indipendenza e integrità territoriale, il suo sviluppo politico, economico e sociale.

Rispetto quindi al singolo individuo, la sicurezza era in un certo senso subordinata e non concorrente a quella degli stati.

Soltanto successivamente si è avuta una definizione più generale di sicurezza umana attraverso la quale si è avuta una concezione umanocentrica della sicurezza internazionale.

Si è cioè sopravvalutato il ruolo dell'individuo.

In particolare la sicurezza può essere considerata in un duplice livello:

LIVELLO SOVRA-STATUALE: raggiungimento della pace e della sicurezza da parte di Stati che appartengono alla stessa regione internazionale, intendendo per regione internazionale quello spazio geografico accomunato dalle stesse tradizioni giuridiche e culturali nel quale vengono imposte delle norme giuridiche(al fine di tutelare la sicurezza e la pace)combacianti con le tradizioni e la cultura di quei popoli;

LIVELLO ENDO-STATUALE: facendo riferimento alla protezione interna della sicurezza offerta cioè da ciascun singolo stato. Ma, come si è detto, oggi tale tutela è sottoposta ad una sorta di superamento.











































PARTE PRIMA

LA SICUREZZA "UMANA" A PARTIRE DAL 1989.


CAPITOLO I.

LA SICUREZZA UMANA COME STATUS PLURISOGGETTIVO: SOGGETTI INTERNAZIONALI ED INTERNI.


E' con la nascita dei diritti umani e del moderno costituzionalismo (che s'ispira alla rivoluzione francese) che si pone fine al conflitto tra autorità ed individuo aventi ad oggetto le rivendicazioni del singolo delle proprie libertà; fino ad allora  compresse da parte delle autorità pubbliche.

Tra le prime enunciazioni dei diritti umani ricordiamo il documento anglosassone della Magna Charta che pone fine all'assolutismo del sovrano e lo subordina all'osservanza di una serie di regole ispirate soprattutto al rispetto delle libertà individuali. Non può essere trascurata però l'esperienza rivoluzionaria francese che ha segnato la svolta decisiva in campo dei diritti umani.

E' proprio alla rivoluzione francese ed ai suoi ideali che oggi s'ispirano i moderni stati democratici. Con la rivoluzione, i diritti umani vengono trasformati in diritti universali, sottratti agli ambiti nazionali poiché appartenenti all'uomo prima ancora che allo stato.

E' l'uomo il fulcro dello stato moderno e questo non deve interferire indebitamente nella sua sfera di libertà(libertà negative

Lo Stato diventa quindi strumentale all'individuo.

Accanto però a questo potere di non interferenza(potere negativo)dello stato, si pone un potere positivo che, soprattutto in campo politico, economico e sociale, richiede un sempre crescente intervento dello stato stesso.

Rovesciata quindi l'ottocentesca priorità dello stato (ripresa poi dal fascismo), quest'ultimo viene concepito come lo strumento a servizio dell'uomo in virtù del ruolo centrale che la persona umana riveste nella società.

Da un rapporto di contrapposizioni tra Stato e cittadino, si passa quindi ad un rapporto di fiducia ma soprattutto di cooperazione, partecipazione, solidarietà e coodecisione per il conseguimento di fini di interesse generale.

Significativa è l'espressione con la quale si sostiene che lo Stato è l'ALTER EGO dell'individuo e la sua azione è finalizzata alla protezione dei diritti della persona umana.

In passato,l'ordinamento internazionale era basato su una serie di rapporti bilaterali tra Stati sovrani indipendenti tra loro.

Si trattava cioè di uno IUS INTER POTESTATES che coordinava solo gli Stati per cui le relazioni internazionali non riguardavano i singoli individui.

Si parlava infatti di DOMESTIC JURISDICTION nel senso che lo Stato era privo di obblighi internazionali e la tutela dei diritti faceva parte del suo dominio riservato.

Non c'erano norme esterne di carattere sopranazionale o internazionale quindi il singolo era sottoposto esclusivamente allo Stato di appartenenza, massima espressione di sovranità. Ciò comportava la sottovalutazione di quelle norme generali in materia di diritti umani.

La domestic jurisdiction è stata in seguito superata.

In realtà, però, i tre elementi costitutivi dello stato sono rimasti sostanzialmente invariati:

POPOLO: insieme di persone che , in forza della loro appartenenza allo Stato,risultano sottoposte in modo permanente all'autorità di governo;

TERRITORIO: spazio geografico entro il quale lo Stato esercita la sua sovranità;

SOVRANITÀ: elemento organizzativo.

Sul piano del territorio, nulla quaestio.

I maggiori problemi sorgono relativamente al concetto di popolo e sovranità.

Riguardo al concetto di popolo, ne sono state date diverse nozioni mentre sulla sovranità c'è stata una notevole evoluzione storica.

Quando oggi parliamo di sovranità, intendiamo l'esercizio indisturbato del potere dello Stato entro un certo territorio.

Questo potere determina il diritto dello Stato a non subire le interferenze da parte degli altri Stati e obbliga questi ultimi a non ostacolare l'esercizio della sovranità degli altri.

In passato il potere sovrano apparteneva al MONARCA che lo racchiudeva nella sua stessa persona.

Tramontato l'assolutismo,oggi si parla di una CONTITOLARITA' della sovranità dello Stato in concorrenza con altri soggetti,diversi dallo Stato,come le organizzazioni internazionali ed inoltre si deve tener conto anche del sempre crescente valore dei diritti propri di entità non statuali (individui,popoli,organizzazioni nazionali non governative,minoranze).

Oggi quindi si fa avanti il concetto di SOVRANITA' LIMITATA (soft sovereignity) cioè condizionata ad una seria di precisazioni per il suo esercizio.

AUTOLIMITAZIONE VOLONTARIA, infatti, significa che lo Stato necessariamente accetta la presenza di fattori di compressione di carattere etico,politico e giuridico ed automaticamente rinuncia ad alcuni poteri sia all'interno (nei rapporti con i cittadini)e sia all'esterno (nei rapporti con gli altri soggetti di diritto internazionale).

Questo ci fa capire che lo Stato non è IURIS GENTIUM SOLUTUM ma è sottoposto ad un sempre crescente numero d'obbligazioni internazionali che delimitano la sua sovranità ma non l'aboliscono totalmente(Stato sempre più limitato dagli obblighi internazionali).

Si è detto che i limiti alla sovranità dello Stato possono essere INTERNI od ESTERNI.

LIMITI ESTERNI: es. partecipazione dello Stato alle 333i84d organizzazioni internazionali (art. 11 Cost.) .

Ciò determina rilevanti limitazioni della sovranità.

Questi limiti derivano da atti volontari dello Stato che delega ad altri enti porzioni del suo potere TENDENZIALMENTE ESCLUSIVO

LIMITI INTERNI: sono quei limiti all'imperio dello Stato nei suoi rapporti con i cittadini e con coloro che risiedono sul suo territorio (es. minoranze). Questo processo di limitazione interna abbisogna di particolari formalismi.

Il limite maggiore alla sovranità statuale è dato però dalla INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI DIRITTI UMANI che sono stati esclusi dalla domestic jurisdiction. La ratio di tal esclusione sta nell'interesse dell'individuo a non vedere soccombere tali valori al cospetto della sovranità intesa come SUPREMAZIA, ESCLUSIVITA' E PIENEZZA della competenza statuale.

La comunità internazionale (e ciò limita ancora di più la sovranità dei singoli Stati) ha il dovere ed il diritto di intervenire negli affari interni degli Stati qualora riscontri casi di violazioni estese e reiterate dei diritti umani.

L'emergere dell'esigenza di tutelare i diritti umani, ha fatto sorgere la difficoltà di contemperare questa esigenza con il principio di non intervento negli affari interni del singolo Stato,intendendo per affari interni quelli economici,politici,sociali e culturali.Tuttavia oggi viene riscontrata la priorità della tutela dei diritti umani, il che limita la giurisdizione domestica. Lo Stato tende ad assumere nuovi connotati prendendone alcuni originari e questo accade anche a causa della concorrenza di altri soggetti di diritto internazionale.

Nell'ambito delle relazioni internazionali si registra un indebitamento dell'autorità statuale, un indebolimento della concezione statocentrica che consente l'emergere di identità che vanno oltre quelle dello Stato-nazione. In questo contesto di crisi dell'idea classica di Stato, trovano ampio spazio i diritti umani, intesi come valori universali che prescindono dalla singola entità statuale e diventano valori degli ordinamenti internazionali. Ecco quindi il nuovo valore del diritto internazionale indirizzato a tutelare quei valori superiori ai singoli stati ma che li accomunano.

Diritto internazionale, come IUS GENTIUM, sempre più volto ad un processo d'UMANIZZAZIONE che pone l'uomo al centro di ogni interesse. La massima espressione di limitazione della sovranità statuale è data dal fenomeno delle organizzazioni internazionali, ovvero enti le cui funzioni sono ad esse delegate dagli Stati ai quali però esse non si sostituiscono ma concorrono nella gestione di interessi collettivi per la tutela della sicurezza umana. Oggi esiste una vasta gamma di tali organizzazioni le quali offrono, soprattutto sul piano giurisdizionale forti garanzie di controllo e tutela.

Prima del 1989 la salvaguardia dei diritti umani consisteva nel fare in modo che ciascuno Stato provvedesse ad inserire la loro tutela nell'ambito del proprio ordinamento.

Dopo il 1989 lo Stato, insieme con altri attori, con lo scopo di tutelare i diritti umani, ha dato vita ad un processo di soft sovereignity, limitando la propria sovranità. Questo ha consentito al cittadino di mantenere e tutelare la sua figura sia all'interno dell'ordinamento statuale e sia al di fuori di esso, ovvero nella comunità SOPRANAZIONALE e quindi superiore. Questo non vuol dire che la tutela dei diritti umani si sia spostata dal campo nazionale a quello internazionale. Per la loro tutela lo Stato rimane l'istituzione centrale ma non è più il solo a causa del sorgere di nuove entità giuridiche dotate di una propria soggettività.

Importante e centro di vivaci discussioni è il ruolo dell'individuo nella comunità internazionale.

Si discute cioè sulla possibilità di qualificare l'individuo come NUOVO SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE. Su questo punto nulla quaestio. La persona è un soggetto di diritto internazionale senza dubbio. Quello che suscita maggiori problemi è constatare se tale ruolo può essere svolto anche dalla collettività. La risposta è affermativa dato che sempre più, nel XX secolo si è affermata la tutela, accanto ai diritti individuali, dei diritti sociali.

I diritti sociali sono quelli che intercorrono tra l'individuo e gli altri gruppi all'interno della società.

In questo modo, quello che era lo Stato di diritto diventa lo Stato sociale di diritto.

Mentre prima si valorizzava l'individualismo, oggi si tende a valorizzare gli interessi collettivi, andando al di là di quello che è il semplice rapporto tra Stato e individuo. Accanto ai valori di libertà ed uguaglianza, spicca oggi il terzo valore che è quello della solidarietà che si concretizza in quei diritti (alla pace,al disarmo, allo sviluppo, all'ambiente, all'autodeterminazione) propugnati da quei paesi che detengono la maggioranza in seno alle N.U. Questi diritti riguardano i settori CIVILE, POLITICO, SOCIALE, CULTURALE e badano alle esigenze non solo dei singoli ma anche delle collettività.

Prima del 1989, la tutela internazionale dei diritti umani era basata sull'incorporazione di essi, da parte di ciascuno Stato nell'ambito del proprio ordinamento giuridico.

Dopo il 1989, la protezione dei diritti umani è diventata un SISTEMA al quale partecipano non più le singole entità statuali, bensì TUTTI GLI STATI mediante un processo di reciproca collaborazione.

Il singolo Stato è infatti dotato della c.d. SOFT SOVEREIGNITY (sovranità debole,flessibile) nel senso che esso non viene più in rilievo singolarmente ma è collocato in una comunità SOPRANAZIONALE,

superiore, dove esso trova comunque una sua appartenenza.

Oggi esiste quindi un nuovo concetto di SOVRANITA' NAZIONALE , evidentemente non più incentrato sulla singola figura dello Stato. Ciò non significa però sostituzione della centralità statuale nella tutela internazionale dei diritti umani. Lo Stato rimane un soggetto per la garanzia ma accanto ad esso sorgono nuove entità giuridiche che travalicano le frontiere dello Stato singolo e spingono contemporaneamente a quel vivace dibattito relativo alla soggettività internazionale dell'individuo e di altri soggetti non statuali.

La configurazione della categoria dei diritti umani richiederebbe la necessaria esistenza di un soggetto di tali diritti e nulla quaestio sorge relativamente alla soggettività di Stati,organizzazioni internazionali ed individui. La problematica sorge relativamente all'ammissibilità di potestà non solo individuali ma anche collettive. Sul piano internazionale si è sviluppato, infatti, accanto al concetto di DIRITTO INDIVIDUALE, quello di DIRITTO SOCIALE basato sulla proiezione dell'uomo in un contesto sociale, ossia quello dei suoi rapporti con gli altri soggetti. La società contemporanea risulta,pertanto, non solo come una società personalistica, ma anche pluralistica. In essa cioè vengono tutelati non solo gli individui ma anche tutte le formazioni sociali. Ciò aggiunge alla comune tutela dei diritti umani, la tutela di quelle comunità intermedie tra il singolo e lo Stato incentrate su interessi di natura collettiva.

Accanto ai diritti della tradizione individualistica,possiamo collocare quelli della tradizione socialistica.

A questi due gruppi, poi, si sono aggiunte delle SUB-CATEGORIE ma il valore emergente resta quello della SOLIDARIETA'. Ecco perché oggi parliamo di DIRITTO ALLA PACE, AL DISARMO, ALL'AMBIENTE ecc. Si tratta d'interessi misti, interessi che tutelano le esigenze dell'individuo ma anche dei popoli; ecco perché si fa spesso confusione su chi sia il loro titolare. C'è chi li definisce DIRITTI COLLETTIVI ma c'è anche, e forse ha ragione, chi li considera DIRITTI INDIVIDUALI CON MODALITA' D'ESERCIZIO COLLETTIVO.

La possibilità di attribuire all'individuo una personalità giuridica internazionale ha sempre costituito uno dei problemi maggiori per dottrina e giurisprudenza anche se c'è stato chi ha sottolineato l'irrilevanza della questione in virtù del fatto che oggi la dignità dell'essere umano è un BENE GIURIDICO PROTETTO da tutto il mondo giuridico, anche dal diritto internazionale.

Attualmente,per questo motivo, si può parlare di tendenze filopersonalistiche o meglio favorevoli alla personalità internazione dell'individuo ma non è stato sempre così, infatti, le impostazioni originarie erano prevalentemente antisoggettivistiche.

Secondo queste teorie, l'uomo, in quanto soggetto di diritto interno, non è destinatario delle norme di diritto internazionale se non attraverso l'intermediazione dello Stato.

Lo Stato quindi svolge la funzione di intermediario, di rappresentante del singolo il quale può essere solo destinatario di norme internazionali non possedendo in tale contesto una vera e propria capacità di agire. In pratica egli si troverebbe in una situazione di inferiorità rispetto alle collettività statuali.

Nella dottrina italiana, autori come Morelli,Quadri ecc.. hanno apertamente sostenuto che le norme internazionali si rivolgono agli Stati e non alle singole persone fisiche che invece restano assorbite nel concetto stesso di Stato. Allo stesso modo Conforti,Giuliano,Treves hanno affermato che nella comunità internazionale l'individuo non gode di soggettività; egli infatti non dispone di un'autorità effettiva che si possa contrapporre a quella dei governi a cui è sottoposta.

Tuttavia il problema della personalità internazionale dell'individuo presenta un carattere fortemente evolutivo che ha fatto emergere per lui una "nuova soggettività", una soggettività sui generis.

Nella più recente prassi internazionale è emersa una sempre maggiore attenzione all'individuo come tale indipendentemente dalla sua appartenenza ad un determinato Stato.

Quindi, molti degli autori che hanno negato la personalità internazionale dell'individuo, oggi hanno rivisto tale conclusione in virtù dell'evoluzione del diritto internazionale. Nulla esclude perciò che l'individuo possa diventare titolare di situazioni giuridiche rette dal diritto internazionale. Egli pertanto viene configurato come un EMERGENTE SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE e sempre più numerose sono le norme giuridiche internazionali espressamente e direttamente applicabili all'individuo. Questo però, non significa decentrare o allontanare gli individui dalle sedi nazionali che restano comunque e sempre luoghi principali di esercizio della funzione giurisdizionale.

Il POPOLO è un gruppo sociale internazionalmente rilevante. Innanzitutto, esso è elemento costitutivo dello Stato che viene spesso in rilievo quando lo Stato stesso si trova in relazione ad altri Stati. Normalmente il popolo, inteso come concetto, si compone di due elementi qualificanti:

esistenza di un gruppo etnico legato da un comune passato;

presenza attuale di costumi identici e quindi di un'identica posizione culturale nei confronti della realtà circostante.

Tuttavia non esisteva una chiara e precisa nozione di popolo e ciò è dovuto anche alle confusioni che spesso possono sorgere dal particolare differente uso terminologico ed in particolare dalle differenze tra il concetto di popolo e quello di Stato.

Nell'ambito del diritto internazionale, il popolo viene particolarmente in rilievo frazie al concetto di AUTODETERMINAZIONE

L'autodeterminazione è un diritto del popolo emerso alla luce di due valori fondamentali che sono LA LIBERTA' COLLETTIVA ed IL PROGRESSO UMANO

In particolare l'autodeterminazione si suddivide in INTERNA ed ESTERNA.

L'AUTODETERMINAZIONE INTERNA va intesa come obbligo dello Stato di assicurare ai popoli la possibilità di darsi una costituzione, di modificarla insieme al proprio regime economico,sociale e culturale.

L'AUTODETERMINAZIONE ESTERNA va intesa come diritto del popolo a conseguire l'indipendenza. Il diritto all'utodeterminazione è previsto in una serie di importanti atti internazionali, primo fra tutti lo Statuto delle N.U. che lo configura come UN FONDAMENTALE DIRITTO UMANO.

In particolare AUTODETERMINAZIONE significa LIBERA DETERMINAZIONE DELLO STATUS POLITICO DI UN POPOLO, DEL SUO LIBERO SVILUPPO ECONOMICO, SOCIALE E CULTURALE.

La Corte Internazionale di Giustizia ormai, afferma l'opponibilità erga omnes del diritto di autodeterminazione.

Da solo lo Stato non è in grado di garantire i diritti sulla sicurezza umana ed il più delle volte, infatti, è aiutato in questo compito dalle ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE (ONG) le quali, talora svolgono una funzione complementare a quella dello Stato, altre volte svolgono una funzione concorrenziale.

Sicuramente la più conosciuta di queste organizzazioni è AMNESTY INTERNATIONAL ma ce ne sono molte altre che operano nei settori dei servizi sociali internazionali.

In teoria le ONG, non possono essere rilevanti nel diritto internazionale ed i loro membri non sono soggetti di detto ordinamento. In pratica, però, è innegabile che il loro ruolo è fondamentale nella promozione e protezione dei diritti umani. Esse infatti svolgono funzioni INVESTIGATIVE e PUBBLICITARIE agevolate dallo sviluppo dei trasporti, delle tecnologie della comunicazione e diffusione che non si esaurisce al continente europeo.

Le ONG possono essere considerate come SOGGETTI DI UTILITA' INTERNAZIONALE ma è innegabile che la loro importanza negli atti internazionali è sempre crescente. In Europa nel 1991 è entrata in vigore una convenzione sul riconoscimento della personalità giuridica alle ONG. Tale convenzione stabilisce anche quelli che dovrebbero essere i loro requisiti essenziali:

ASSOGGETTAMENTO AL DIRITTO INTERNO DI UNA PARTE;

ESPLICAZIONE DELL'ATTIVITA' IN ALMENO DUE STATI;

FINALITA' NO PROFIT DI UTILITA' INTERNAZIONALE.

Tutti i compiti di tutela internazionale e protezione dei diritti dell'uomo, avvicinano sempre più le ONG a quei soggetti idonei a costituire un alter - ego degli Stati.

Non si può escludere dalla lista dei soggetti interessati alla titolarità di posizioni soggettive idonee a soddisfare interessi umani, il GRUPPO MINORITARIO

Nella complessa attuazione del programma sulla sicurezza umana, vanno ricompresse anche le minoranze la cui definizione è ancora alla ricerca di una cristallizzazione.

Prima, la dottrina prevalente, pur non negando la loro meritevolezza di tutela, non li considerava soggetti di diritto internazionale. Oggi, questo problema è stato riconsiderato. In particolare viene in rilievo il problema del conflitto di interessi tra lo Stato ed i gruppi minoritari poiché i primi tendono a resistere alle rivendicazioni dei secondi, in particolare per conservare l'integrità territoriale.

Ma quello delle minoranze, è certamente un problema di non facile soluzione, soprattutto quando il gruppo minoritario diventa una potenziale minaccia all'ordine pubblico e alla pace interna.

Particolare questione si pone relativamente alla NATURA DEI DIRITTI DELLE MINORANZE e così ci si chiede se questi debbano essere considerati DIRITTI INDIVIDUALI (degli appartenenti del gruppo) o DIRITTI COLLETTIVI (del gruppo complessivamente inteso).

Normalmente si ritiene che la titolarità dei diritti spetti alle PERSONE APPARTENENTI ALLE MINORANZE e non alle minoranze in senso stretto anche se in effetti il godimento del singolo di questi diritti viene effettuato in comune con gli altri membri del gruppo.



In ogni caso si parlerà di diritti individuali e non collettivi. Ma quali sono questi diritti?

In particolare spicca quello di consentire alle minoranze di conservare la propria cultura, la propria lingua e la propria religione. Le minoranze hanno cioè il DIRITTO FONDAMENTALE DI CONSERVARE LA LORO IDENTITA'.

In generale però si può dire che esse godono di un complesso di diritti che prescinde da qualsiasi collegamento allo Stato.

E' importantissimo fare in modo che si raggiunga un equilibrio tra il principio di sovranità dello Stato e la protezione delle minoranze perché solo in questo modo sarà possibile configurare ulteriori soggettività in campo internazionale.























CAPITOLO II.

LA SICUREZZA UMANA ED IL SUO AMBITO OGGETTIVO MULTIFUNZIONALE.


Garantire la sicurezza umana è lo scopo di un complesso di soggetti che cercano di realizzare un insieme di diritti e condizioni per fare in modo che l'esistenza dell'uomo nella società civile sia, appunto, sicura. Lo sviluppo di questi diritti della sicurezza umana, oggi si svolge in un contesto dove il concetto di statualità, è sempre più debole (SOFT SOVEREIGNITY) ed i movimenti internazionali a carattere politico-normativo, sono sempre più frequenti. Questo non significa che la sovranità statuale venga meno ma significa soltanto che il concetto di sicurezza umana va legato ad una visione NEO-STATUALISTA e quindi inserito in un contesto mondiale, democratico e pacifista.

La garanzia della sicurezza umana va oltre la sovranità nazionale e mira a raggiungere obiettivi di una SOCIETAS MAXIMA. I diritti della sicurezza umana, inoltre, dovrebbero essere garantiti non da azioni di piccoli gruppi d'individui ma da azioni sovra-statuali a carattere internazionale derivanti dalla cooperazione di più Stati, senza escludere gli apporti delle organizzazioni internazionali e di soggetti in ogni caso non statuali.

In precedenza i contenuti del diritto alla sicurezza umana erano limitati nel senso che riguardavano i soli diritti civili e politici.

Con il conseguente ingresso nelle N.U. di Paesi ex-coloniali si sono allargate le categorie di diritti tutelati e primo fra tutti è stato riconosciuto il diritto dei popoli all'autodeterminazione e sono stati consacrati i diritti ECONOMICI e SOCIALI

Si può dire che, in seno al Nuovo ordine economico internazionale, sono proprio queste due categorie di diritti ad avere la prevalenza (mentre prima la prevalenza spettava ai diritti civili e politici).

Tuttavia, la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati va ben oltre il settore economico.

Essa tratta, infatti, anche materie NON ECONOMICHE, ad es. politiche o di altro genere. In realtà,però, diritti civili,politici,economici e sociali sono strettamente collegati tra di loro tanto che rispondono al principio di INDIVISIBILITA' DEI DIRITTI UMANI.

Già infatti nella Conferenza di Vienna, si era parlato di diritti umani UNIVERSALI e cioè INDIVISIBILI,INTERDIPENDENTI,INTRINSECAMENTE CONNESSI

Lo Stato deve necessariamente tutelare tutti questi diritti insieme proprio perché è dalla loro sintesi che scaturisce la realizzazione della sicurezza internazionale.

Quando si parla di diritto alla sicurezza umana, quindi, ci si riferisce ad un concetto UNITARIO ED OMNICOMPRENSIVO.

La categoria dei diritti alla sicurezza umana,è senza dubbio APERTA cioè costantemente suscettibile di modifiche in riferimento ai nuovi bisogni dell'essere umano. Si parla infatti di una EVOLVINE LIST

Ci si chiede poi,se nell'ambito di questi diritti si possa venire a creare una GERARCHIZZAZIONE, almeno in seno a quelle che sono le MACROCATEGORIE: DIRITTI CIVILI, POLITICI, ECONOMICI , SOCIALI e CULTURALI.

Ma questo è un problema ancora in cerca di risoluzione. Tutto quello che si può dire è che, i diritti della sicurezza umana sembrano ruotare intorno ad una triade di valori fondamentali: PACE,DEMOCRAZIA e SVILUPPO.

Tradizionalmente,quando si parlava di Diritto Internazionale, si faceva riferimento ad uno IUS PACIS AC BELLIS.

Era quindi compreso anche un cd. IUS AD BELLUM considerato comprensivo di elementi quali l'autodifesa preventiva, l'intervento, l'attacco armato e la rappresaglia.

Il nuovo diritto internazionale si è liberato dello IUS AD BELLUM e per questo ci si chiede cosa debba intendersi per diritto alla pace nel contesto internazionale.

Non si può negare la forte correlazione tra la pace e i diritti dell'uomo (non ci possono essere pace e sicurezza collettiva quando si manifestano violazioni sistematiche dei diritti umani essenziali) come strumenti idonei a garantire la sicurezza internazionale.

Ma in senso stretto, come si attua questo diritto alla pace? Esso non è altro se non un insieme dinamico di rapporti di coesistenza e cooperazione tra gli Stati e all'interno di essi.

La pace si fonda sul rispetto dei diritti umani ed è una componente essenziale della giustizia.

Alcuni diritti non potrebbero esercitarsi in un contesto che non sia di pace durevole.

Ed è proprio questo requisito della durevolezza ad essere in assoluto uno dei più perseguiti, tanto che si è parlato di un obbligo fondamentale di ciascuno Stato.

Pace e sicurezza devono essere considerate da un punto di vista globale e cioè devono toccare tutti gli ambiti possibili (economico,sociale e culturale) e la loro salvaguardia contro possibili attentati alla pace è uno degli obblighi principali delle N.U.

La connessione tra pace,sicurezza internazionale e diritti umani è fornita anche dalle cd. PEACEKEEPING OPERATION Con tale espressione si vuole intendere un'insieme di attività di natura differente.

Esiste infatti il PEACEMAKING che ha una natura diplomatica nel senso di essere finalizzato alla PREVENZIONE delle crisi internazionali allo scopo di ottenere una pacifica risoluzione delle controversie.

Esiste poi il PEACEKEEPING in senso stretto che consiste in un'attività sempre rivolta ad ottenere una pacifica risoluzione delle controversie ma senza l'uso della forza armata.

C'è poi il PEACEENFORCING che consiste nell'uso eccezionale della forza armata (in deroga al principio pacifista) mediante l'uso di contingenti autorizzati dal'ONU preposti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Il PEACEBUILDING invece è coevo o successivo allo svolgimento di una crisi internazionale e consiste nella creazione di strutture amministrative terriotoriali finalizzati a garantire i diritti primari delle popolazioni interessate durante le attività militari o a conclusione delle stesse.

Dopo il 1989 è emersa una nuova nozione di sicurezza internazionale comprensiva di alcuni valori nuovi di democrazia che hanno creato una nuova prassi di ricorso alle PEACEKEEPING OPERATIONS

In particolare il successivo rilancio dell'ONU ha segnato un potenziamento del ricorso alle PEACEKEEPINGS OPERATIONS dato anche dall'allargamento progressivo della nozione di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Oggi, il ricorso a queste operazioni viene effettuato con modalità diverse rispetto al passato in particolare perché si è verificato un mutamento della tipologia del conflitto internazionale.

Prima infatti le PEACEKEEPING OPERATIONS erano basate sull'internposizione di truppe al confine tra gli Stati in conflitto.

Oggi invece, poiché la maggior parte delle guerre sono intra-statuali i compiti sono cambiati.

Le operazioni vengono svolte con fini di RICOSTRUZIONE ISTITUZIONALE E RICONCILIAZIONE NAZIONALE.

In virtù di specifici mandati, le PEACEKEEPINGS OPERATIONS hanno così cominciato ad esplicare attività di salvaguardia dei diritti umani non più, come avveniva in precedenza, come attività accessoria bensì come attività impostata ab origine. Tipico è il caso della Bosnia dove i mandati per l'attuazione di queste operazioni hanno riguardato oltre gli aspetti militari dell'accordo, anche aspetti non militari.

La prassi annovera un'altra categoria di PEACEKEEPINGS OPERATIONS ed in particolare quelle operazioni che esplicano attività umanitarie e di tutela dei diritti umani mediante piani predeterminati nel piano di pace.

I compiti multifunzionali che sono svolti oggi dalle peacekeeping operations comportano anche delle conseguenze relative alla durata delle stesse che,oltre ad essere maggiore,sarà indeterminata.

Il processo d'umanizzazione della società mondiale degli Stati,comprende al suo interno un più specifico processo di democratizzazione internazionale finalizzato a rafforzare la democrazia all'interno degli Stati.

Prima degli eventi del 1989\90 i concetti di democrazia e sicurezza democratica erano per lo più estranei al diritto internazionale.

Tuttavia non mancavano negli atti internazionali riferimenti indiretti alla democrazia politica.

La stessa Carta dell'ONU non definiva in senso assoluto il concetto di democrazia.

Si faceva riferimento ai concetti di uguaglianza tra i popoli, al loro diritto di disporre di se stessi, al principio di non intervento negli affari interni ecc.. Da ciò derivava anche per gli Stati il loro diritto alla scelta del proprio sistema politico.

A poco a poco, il concetto di democrazia si è fatto sentire sempre maggiormente tanto che in molti atti internazionali si è più volte sottolineata l'importanza della democrazia come obiettivo da raggiungere e come condizione indispensabile per la stabilità, la pace e lo sviluppo.

Soprattutto negli anni '90 si sono riconsiderati alcuni principi fondamentali del diritto internazionale in una prospettiva di costituenda democrazia internazionale.

Ad esempio, il principio di non intervento è stato riconsiderato in una prospettiva diversa e cioè come principio di intervento democratico.

Pertanto,non si tratta di trasferire la nozione di democrazia, per sua natura appartenente al diritto interno,al diritto internazionale. Si tratta solo di riconsiderare il diritto internazionale in una chiave diversa. Anche nella prassi recente l'ONU sembra fondarsi su di un corpus ben definito di criteri liberal - democratici.

All'interno invece del sistema europeo la nozione di società democratica è una nozione cardine tanto che in seno al Consiglio d'Europa, è stata istituita un'apposita commissione per la democrazia con finalità di consulenza giuridico - costituzionale la quale ha progressivamente rafforzato la sua attività in direzione della creazione di una struttura sempre più articolata.

In generale oggi si può dire che la democrazia rafforza la realizzazione dei diritti umani ed il suo contenuto diventa sempre più ampio tanto da consentire di parlare di democrazia CIVILE, POLITICA, ECONOMICA E SOCIALE. Ed è proprio il diritto alla sicurezza umana ad ampliare il contenuto lasciando spazio al pluralismo democratico in virtù del quale ciascuno Stato individua i caratteri del suo modello di democrazia.

Il diritto allo sviluppo può essere senza dubbio annoverato tra i diritti di "nuova generazione" ovvero quei diritti che il movimento internazionale tende a normativizzare.

Parte della dottrina, invece, considera il diritto allo sviluppo come un diritto umano e quindi strettamente collegato al diritto alla vita. Il diritto alla sviluppo è richiamato in diversi atti internazionali in correlazione con i concetti di pace e sicurezza.

Atti internazionali sia a livello UNIVERSALE e sia a livello REGIONALE come la CONVENZIONE INTERAMERICANA e la CARTA AFRICANA DEI DIRITTI DELL'UOMO.

Questa, in particolare stabilisce l'obbligo per gli Stati individualmente o collettivamente, di assicurare l'esercizio del diritto allo sviluppo ECONOMICO, SOCIALE e CULTURALE nel rispetto della loro libertà ed identità.

Da qui si deduce la componente plurima del diritto allo sviluppo (ECONOMICO, SOCIALE, CULTURALE e POLITICA) e ciò lo rende collegato al diritto alla sicurezza internazionale facendone una sorta di calendario del diritto all'autodeterminazione interna. E' chiaro che per poter assicurare lo sviluppo ed evitare gli ostacoli alla sua realizzazione,gli Stati devono cooperare tra di loro e, proprio perché l'essere umano è il soggetto centrale dello sviluppo, è proprio allo Stato che spetta la responsabilità nella creazione delle condizioni favorevoli alla sua realizzazione. L'assenza di una norma consuetudinaria, che obblighi gli Stati più avanzati a prestare la propria cooperazione allo sviluppo per favorire gli Stati meno avanzati ha portato alla creazione di molte risoluzioni ONU in materia di sviluppo. Ci si chiede poi se questo diritto debba essere considerato individuale o collettivo.

La maggiore dottrina lo considera un diritto "misto" ovvero un diritto dell'uomo ma allo stesso tempo della collettività. Riguardo la sua materia vanno considerate positivamente le affermazioni di chi sostiene che il diritto umano inalienabile e che abbia una natura strumentale ossia risulti essere un diritto - condizione per consentire la realizzazione di altri diritti.

Sempre in tema di sviluppo emerge un problema: quello del debito estero che si pone come fattore di limitazione e restrizione dello sviluppo. In realtà la problematica del debito estero va a toccare un raggio molto più ampio di situazioni e cioè non si limita al fattore sviluppo ma va a toccare molti altri campi, primo fra tutti quelli delle POLITICHE INTERNAZIONALI. Da questo punto di vista, infatti, il debito estero riduce il tasso di crescita dei paesi in via di sviluppo e condiziona la loro direzione di crescita.

Non è impossibile, infatti, che l'esistenza di contratti di finanziamento da parte dei paesi industrializzati, rappresenti un serio pericolo alla sovranità e all'indipendenza dei paesi debitori minandone la stabilità politica e legittimando anche, molto spesso, forme di governo anti-democratiche.

E' evidente che spesso si vengano a creare fattori di squilibrio che intaccano i principi di equità e di giustizia in seno alle relazioni internazionali, ponendo seri ostacoli al dialogo tra i Paesi e compromettendo il complessivo diritto allo sviluppo e ostacolando la creazione di un sano ambiente economico e finanziario. Ma la comunità internazionale e le istituzioni finanziarie internazionali non si sono mantenute passive rispetto a questo fenomeno. E' stato infatti creato un insieme di norme che ha consentito di creare un insieme di soluzioni alternative capaci di dilazionare e ridurre il debito dei Paesi in via di sviluppo. Invece, l'estinzione totale del debito o la sua cancellazione, in ragione della valutazione, da parte degli Stati creditor,i della sua totale inesigibilità, è stata adottata quale soluzione estrema solo per 40 paesi. Sono proprio queste misure alternative a simboleggiare come il diritto internazionale allo sviluppo cerchi di impostarsi sempre più su un regime di cooperazione nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La predisposizione delle clausole per dilazionare, ridurre od estinguere il debito, determinando la cancellazione di probabili iniquità contrattuali determinano ampie possibilità di sviluppo nel settore economico e finanziario ed inoltre sussiste un vivo controllo affinché i fondi ricevuti non siano destinati a fini diversi da quelli di carattere economico e finanziario(quali ad esempio, conflitti armati o finanziamento di gruppi terroristici).

A questo proposito, sono state disposte una serie di misure sanzionatorie per i Paesi beneficiari dei finanziamenti così da assicurare ai loro popoli il godimento dei diritti sociali fondamentali.

Nell'ultimo decennio si è verificato nel nostro ordinamento un processo d'accelerazione normativa tendente al rafforzamento della sicurezza umana basato non solo sull'adeguamento alla normativa internazionale ma anche l'attuazione di misure spesso anche più avanzate degli stessi atti giuridici internazionali. Attraverso il suo inserimento nel sistema internazionale dei diritti umani, il Governo italiano ha elaborato modalità adeguate sulle giuste forme di tutela dei diritti umani e corrette forme di garanzia integrativa o suppletiva nei casi in cui i diritti umani risultino insicuri in ragione della loro riconduzione ad ordinamenti giuridici caratterizzati da regimi non democratici o non idonei a garantire il diritto dei popoli allo sviluppo. E' proprio in questo contesto che hanno assunto rilievo due indirizzi legislativi:

PARTECIPAZIONE DELL'ITALIA AD AZIONI INTERNAZIONALI DI GARANZIA UMANITARIA POSTE ALLA BASE DELLA RICOSTRUZIONE EUROPEA POST '89, sono stati adottati quindi dei provvedimenti (sotto forma di decreti legge poi convertiti in legge) relativi  all'intervento in alcune crisi in regioni vicine all'Italia (Bosnia,Albania, Kossovo) nelle quali le operazioni di pace operate dal nostro paese sono state particolarmente attive.

ADOZIONE DELLA L. 209/00 RECANTE "MISURE PER LA RIDUZIONE DEL DEBITO ESTERO AI PAESI A PIU' BASSO REDDITO E MAGGIORMENTE INDEBITATI". Tale normativa condiziona l'annullamento dei debiti alla circostanza che "il paese interessato si impegni a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, a rinunciare alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie e a perseguire il benessere ed il pieno sviluppo sociale ed umano favorendo la riduzione della povertà". In questo modo, il legislatore italiano appare allineato al riconoscimento ed alla tutela dei nuovi e dei vecchi diritti della sicurezza umana. Oltre al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, egli persegue il diritto alla pace, alla sicurezza democratica, allo sviluppo ecc.  

























CAPITOLO III.

LA SICUREZZA "UMANA" NEI SISTEMI REGIONAL - CONTINENTALI.


E' ormai confermata la tendenza dello Stato ad indebolirsi come esclusivo garante dei diritti umani e allo stesso tempo è confermata la concessione di spazi sempre più ampi di autonomia a "soggetti" concorrenti. Per questo motivo oggi, prescindendo dalle singole entità statuali vengono in rilievo le REGIONI INTERNAZIONALI che rappresentano uno spazio di osmosi tra il sistema giuridico internazionale ed i sistemi giuridici nazionali. Con la regione internazionale ci troviamo di fronte ad un gruppo di stati limitato che presenta delle affinità caratteriali ma anche politiche.

Queste affinità si riscontrano in particolare dal punto di vista costituzionale, infatti, le singole costituzioni nazionali tendono ad omologarsi nella catalogazione dei diritti fondamentali e nella predisposizione delle forme di garanzia per la loro tutela. La particolarità è che questo fenomeno di REGIONALISMO tende in misura sempre maggiore a sovrapporsi a quello dell'UNIVERSALISMO tanto che oggi si parla appunto di una crescente regionalizzazione della sicurezza umana. In precedenza, la Dichiarazione di Teheran e la più recente Dichiarazione di Vienna, avevano sottolineato il carattere UNIVERSALE dei diritti fondamentali nel senso che questi devono essere intesi come un'OBBLIGAZIONE PER TUTTI I MEMBRI DELLA COMUNITA' INTERNAZIONALE. Ma è proprio nella dichiarazione di Vienna che si evidenzia una SPECIFICITA' REGIONALE che tende a sovrapporsi al carattere universale dei diritti umani. Qui, infatti, è sottolineato che la natura universale dei diritti e delle libertà fondamentali, è fuori questione; tuttavia è affiancata dall'affermazione dei particolarismi regionali. Tuttavia a questo punto va sottolineato un fenomeno: spesso si possono riscontrare delle DISOMOGENEITA' anche nell'ambito di una stessa regione e questo ha fatto sorgere l'esigenza di proteggere i diritti umani a livello universale nel senso che destinatari della tutela non sono i cittadini di questo o di quello Stato ma TUTTI GLI UOMINI. Resta comunque difficile, tuttavia, applicare i principi della Dichiarazione universale ai sistemi regionali ma ciò nonostante è ancora possibile sostenere che la regionalizzazione dei diritti umani è un fenomeno ancorato all'universalismo degli stessi. Dal punto di vista giurisdizionale, la protezione dei diritti umani è affidata innanzitutto al giudice statale e soltanto in via sussidiaria al giudice superiore di livello regionale. In realtà, questo meccanismo della sussidiarietà ha la funzione principale di proteggere l'ordinamento interno e fare in modo che la sovranità statuale riesca a contemperarsi con quella sovra - statuale.

Quindi, normalmente, si fa ricorso alla giurisdizione interna.

Sul versante opposto della sussidiarietà, si pone l'effetto diretto o self - executing, inteso come possibilità per i cittadini di uno stato che abbia ratificato la convenzione che lo preveda, di invocare le sue disposizioni davanti al giudice nazionale. Questo presuppone la necessità dell'incorporazione nel senso di trasformazione delle norme in diritto interno. Solo così si potrà affermare che il diritto dell'individuo deriva non immediatamente dal trattato ma dalle disposizioni interne riproduttive delle norme internazionali. E' chiaro che sono i singoli ordinamenti a definire a le modalità di incorporazione ed il rango che lo strumento convenzionale riveste nella gerarchia delle fonti del diritto.

Sul piano regionale esistono due forme di garanzia e di controllo sul rispetto, da parte degli Stati,degli obblighi da questi assunti. La prima forma di garanzia è quella giurisdizionale. Essa si propone come obiettivo principale di fornire un rimedio all'individuo rispetto alla violazione sofferta e consente allo Stato di esercitare la violazione mediante i propri organi interni nei confronti della persona danneggiata. Nell'offrire all' individuo un foro alternativo a quello domestico lo vuole un ATTORE RICONOSCIBILE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Il secondo tipo di garanzia è detta POLITICO - DIPLOMATICA e si fonda principalmente sull'istituto del RAPPORTO. Quest'ultimo può avere una duplice funzione:

PREVENTIVA: il rapporto agisce come strumento di ricognizione, da parte degli Stati, alle misure adottate per attuare i diritti garantiti negli accordi regionali;

SUCCESSIVA: il rapporto servirà ad accertare la violazione dei diritti umani (che sono sprovviste di tutela giurisdizionale).

Il rapporto svolge una fondamentale funzione d'accertamento riguardo alle obbligazioni SOFT ovvero quelle sottratte ad immediata applicabilità.

Al contrario riveste una funzione residuale per le obbligazioni di tipo HARD ossia assistite da sistemi di garanzia di tipo giudiziario. E' bene precisare che funzione residuale non è sinonimo di funzione inutile poiché se il rapporto risulta completo e veritiero, mostrerà notevoli potenzialità nella garanzia della sicurezza umana e tali potenzialità saranno complementari e non alternative a quelle svolte attraverso i sistemi di garanzia di tipo giudiziario.

La creazione di meccanismi di controllo del rispetto degli obblighi o impegni assunti dagli Stati rimane una forma di tutela ancora minoritaria poiché la garanzia dei diritti della sicurezza umana è orientata il più delle volte verso forme soft di protezione dei diritti umani. Ci si riferisce a quelle forme di tutela costituite da risoluzioni,dichiarazioni o atti convenzionali conclusi dagli Stati che seppur caratterizzati da effetti obbligatori, risultano sprovvisti di caratteri sanzionatori.

Tuttavia esistono tre sistemi di protezione (europeo, interamericano e africano) dei diritti umani, basati su forme di tutela hard. Accanto al SISTEMA DI PROTEZIONE EUROPEO si sono sviluppati dei sistemi paralleli: quello INTERAMERICANO e AFRICANO che, secondo parte della dottrina provocherebbero il rischio di frammentare troppo l'intero sistema di tutela dei diritti dell'uomo.

IL SISTEMA INTERAMERICANO trova nella CORTE l'organo che ha una competenza di natura consultiva e una di carattere giurisdizionale mentre NEL SISTEMA AFRICANO la COMMISSIONE ha una duplice funzione di garanzia: quella legata al ricevimento dei RAPPORTI (resoconti biennali degli Stati delle misure di attuazione della carta) e quella legata all'esperimento di RICORSI statuali o individuali. Non c'è nel sistema africano un organo GIURISDIZIONALE e questo fa la differenza con gli altri due sistemi paralleli. Quindi neo sistema africano si registra una prevalenza delle garanzie politico - diplomatiche su quelle giurisdizionali.



Senza assumere un approccio eurocentrico, oggi si può affermare che quello europeo costituisce l'espressione regionale più perfezionata in materia di SICUREZZA UMANA. Questa è garantita attraverso uno specifico gruppo d'organizzazioni:

CONSIGLIO D'EUROPA: deputato alla salvaguardia del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

ORGANIZZAZIONE PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA (OSCE): impegnata, in particolare, sul piano politico ad omologare valori giuridici e standards di tutela dei diritti dell'uomo;

UNIONE EUROPEA: protezione dei diritti dell'uomo.


































PARTE SECONDA:

I DIRITTI UMANI COME CARATTERE DELL'IDENTITA' REGIONALE DELLE ORGANIZZAZIONI EUROPEE E DELL'UNIONE EUROPEA.


CAPITOLO I.

LA DIMENSIONE UMANA E LA SICUREZZA GLOBALE NELL'ORGANIZZAZIONE PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA (OSCE).


Il discorso sul sistema regionale di sicurezza in Europa non può essere effettuato trascurando l'importante ruolo dell'OSCE ovvero l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

Ad un primo impatto, ci troviamo di fronte ad un'organizzazione avente natura giuridico istituzionale debole ma un'operatività ed un'effettività molto forti. Attraverso l'OSCE si è oggi avuto uno spazio di sicurezza comune ed indivisibile privo di linee e zone di demarcazione. In tale spazio di sicurezza il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertò fondamentali e la democrazia, rappresentano il nucleo centrale. La difficile sintesi tra le volontà dei 35 Stati, si è realizzata ricorrendo ad un modello debole di organizzazione internazionale ossia privo di un accordo istitutivo e di strutture fisse, manchevole di personalità giuridica internazionale e fondato su due regole principali: il consenso UNANIME e la ROTAZIONE DELLA PRESIDENZA.

Fondamentale per l'OSCE è stato il richiamo al principio VII della Dichiarazione di Helsinki fondato sul rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (inclusa la libertà di pensiero, di coscienza,religione e credo).

Il principio VII costituiva la base normativa dell'intero sistema dei diritti umani. Esso inoltre prevedeva che "gli Stati partecipanti, nel cui territorio esistono minoranze nazionali, rispettano il diritto delle persone appartenenti a tali minoranze e offrono loro la piena possibilità di godere dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali proteggendo così i loro legittimi interessi.

La tutela delle minoranze costituisce in questo modo uno strumento di rafforzamento non solo del concetto di DEMOCRAZIA ma anche DELL'INTEGRITÀ' TERRITORIALE. Inoltre nell'atto di Helsinki il terzo CESTO è dedicato alla COOPERAZIONE IN CAMPO UMANITARIO ed in particolare, questo avveniva nel capitolo dedicato ai CONTATTI UMANI. In particolare il III cesto conteneva la difficile sintesi tra la concezione occidentale dei diritti umani (concepiti come strumento idoneo a scardinare i regimi socialisti)e quella orientale (che evidenziava il mancato rispetto dei diritti economici sociali).

Da questo contenuti emergeva il rapporto tra sicurezza internazionale e diritti umani e ne nasceva un concetto di SICUREZZA GLOBALE intesa come contemperamento di sicurezza, giustizia e collaborazione fondate sul fattore essenziale del rispetto dei diritti dell'uomo. Solo in questo modo sarà possibile conseguire un certo livello di PACE, GIUSTIZIA e RELAZIONI AMICHEVOLI tra i popoli.

Ancora, per sicurezza vuole intendersi la sintesi degli aspetti politici, militari, economici,sociali e culturali. Si parla in questo caso di SICUREZZA INVISIBILE nel senso che la sicurezza di ciascuno dei partecipanti è indissolubilmente connessa a quella degli altri. Il fatto che l'OSCE assuma impegni, diritti ed obblighi attraverso modalità atipiche ( e quindi senza specifici accordi e senza una vis giuridica), non significa assenza di vincolatività o necessaria debolezza del processo. Spesso anche altri enti (ad es. il G8 sono connotati da una natura giuridico - istituzionale debole eppure godono di una effettività ed operatività piena sul piano internazionale.

Come ente garante della sicurezza globale, l'OSCE ha sviluppato una polifunzionalità della sua azione, anche grazie all'assenza di rigide previsioni normative statutarie, al sua operatività oggi cammina di pari passo con le altre organizzazioni ed istituzioni già operanti in quei settori. Anzi, l'OSCE, esercitando rilevanti funzioni di PEACEKEEPING e PEACEBUILDING , va ad arricchire la prassi su scala regionale relativa alla prevenzione della crisi ed al mantenimento della pace.

Che l'OSCE sia una comunità garante della sicurezza è ribadito in una molteplicità di atti, a partire da quello di Helsinki fino ad arrivare alla Carta di Parigi e alla Dichiarazione di Budapest.

La sicurezza garantita dall'OSCE  ci serve  ad individuare una delle caratteristiche peculiari dell'Europa soprattutto nel contesto delle relazioni internazionali. Sicurezza che assume una forte connotazione economica (in veste di sostegno al processo di riforme economiche) ma anche sicurezza contrassegnata dal principio della INDIVISIBILITA' nel senso che nessuno stato può perseguire interessi di sicurezza nazionale a discapito della sicurezza di altri Stati.

Il ruolo dell'OSCE tende ad aprirsi anche a teatri diversi da quello europeo. Tende, infatti, ad aprirsi alla collaborazione con i Paesi del Mediterraneo (Israele, Tunisia, Marocco, Egitto, Algeria) o con Paesi lontani come il Giappone.

Con la Dichiarazione di Budapest, è stato approvato un CODICE DI CONDOTTA in seno all'OSCE nel quale viene sancito il diritto di ciascuno stato partecipante di determinare i suoi interessi di sicurezza conformemente al diritto internazionale e agli obiettivi dell'OSCE . Di fronte alla difficoltà di esplicare un'azione autonoma di PEACEKEAPING, alla OSCE  sembrava spettare, in via residuale, solo un ruolo di co-azione con le altre organizzazioni internazionali europee ma oggi questa prospettiva sembra essere cambiata grazie all'importanza dell'azione dell'OSCE durante le crisi in Albania e Kossovo. E' infatti a questi interventi che si deve la riconsiderazione del ruolo dell'OSCE nella prevenzione ed eventuale gestione delle crisi. Gestione che viene effettuata sia dal punto di vista militare (controllo delle armi) che non militare(garanzia della libertà di stampa e di informazione). Importante,ai fini della definizione delle punizioni dell'OSCE è la Dichiarazione di Lisbona la quale contiene una riconferma di quei principi in materia di sicurezza già contenuti nei documenti precedenti, in particolare quelli ancorati a valori quali libertà,democrazia e cooperazione tra le nazioni sia in senso militare che non militare (es. economia). Relativamente al rapporto con le Nazioni Unite, è stata l'azione di PEACEKEAPING e PEACEBUILDING esplicata dall'OSCE a dettare la risoluzione delle N.U. intitolata

COOPERAZIONE TRA LE N.U. E L'OSCE" attraverso la quale viene riconfermato l'importante ruolo di quest'ultimo in molte zone di crisi. Pertanto, tra N.U. e OSCE esiste un rapporto sempre più forte di cooperazione, scambio di informazioni e coordinamento. Quando si parla dell'intervento dell'OSCE in zone di crisi si fa uno specifico riferimento alle crisi in Albania e in Kossovo. Nel primo caso, l'intervento è avvenuto a favore di un paese impegnato in un difficile sforzo di definizione della propria economia e dei propri fondamenti democratici. Infatti, significativi sono stati i contributi di carattere finanziario. Riguardo invece agli altri settori ed in particolare gli aiuti e l'assistenza nel processo di democratizzazione e d'istituzione ai mezzi di comunicazione,tali operazioni sono avvenute in collaborazione con il Consiglio d'Europa. Anche nella crisi del Kossovo gli interventi sono stati significativi. In particolare questi sono stati caratterizzati da una MISSIONE DI VERIFICA DISARMATA

ad opera di soggetti provenienti dagli Stati partecipanti. Essi hanno svolto un ruolo molto importante più attivo di semplici osservatori, un ruolo che si è andato amplificando col tempo e difatti si è esteso all'ASSISTENZA AI RIFUGIATI PROVENIENTI DAL KOSSOVO IN ALBANIA e alla DOCUMENTAZIONE DELLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI CONTRO I KOSSOVARI . Oggi quindi non è più posto in discussione, anzi,è confermato il ruolo di coordinamento dell'OSCE tanto che ormai essa viene riconosciuta come UNICA ORGANIZZAZIONE DI SICUREZZA EUROPEA.

Accanto alla sicurezza, l'OSCE garantisce anche la GARANZIA DELLA DIMENSIONE UMANA, espressione non limitata alla mera protezione dei diritti umani. L'espressione DIMENSIONE UMANA era stata utilizzata già nella Conferenza di Vienna del 1989, nell'Atto finale di Helsinki e negli atti successivi in materia di diritti umani e questioni umanitarie e sono proprio questi ultimi a forme sempre ulteriori specificazioni del concetto. Nel concetto di dimensione umana, vengono ricompresi dei diritti da garantire, il cui contenuto è piuttosto ampio. Non ci si riferisce solo a diritti civili e politici, ma anche a quelli ECONOMICI, SOCIALI e CULTURALI proiettati, appunto,in una dimensione umana e questo comporta l'erosione della competenza interna dello Stato.

Il sistema della dimensione umana, istituito a Vienna e perfezionato nelle riunioni di Copenaghen e Mosca comprendeva anche un sistema di cooperazione diplomatica definito MECCANISMO SULLA DIMENSIONE UMANA. Questo è stato rafforzato attraverso l'istituzione di un sistema di missioni di esperti che possono essere richiesti da uno Stato, dal Comitato di atti funzionali oppure possono intervenire per minacce particolarmente serie al rispetto delle disposizioni sulla dimensione umana.

Alla Conferenza sulla dimensione umana, succedono regolarmente seminari dedicati a temi specifici e meetings biennali ai quali si accompagnano una serie di misure per rafforzare il quadro operativo dell'OSCE. Anche nella Carta di Parigi, accanto al diritto degli Stati di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico,sociale, economico e culturale,si proclamano anche l'impegno a consolidare e rafforzare la democrazia quale unico sistema di governo delle nostre nazioni.

Appare quindi centrale, nella Carta di Parigi, il rapporto tra democrazia e diritti umani. La stessa Carta ha anche istituito un sistema di sorveglianza e riesame annuale sulla dimensione umana la quale in questo modo viene rafforzata soprattutto in relazione a fenomeni quali il NAZIONALISMO AGGRESSIVO, L'ANTISEMITISMO, LA XENOFOBIA.

Al Vertice di questo sistema vi sono alcune istituzioni che si propongono di assistere e monitorare il fenomeno della dimensione umana.

Esistono due particolari organismi che hanno la funzione di INTEGRARE l'attività del meccanismo sulla dimensione umana svolgendo un'attività di PROMOZIONE e PROTEZIONE dei diritti della sicurezza umana. Essi sono: l'Alto Commissario per le minoranze nazionali e l'ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell'uomo.

L'ALTO COMMISSARIO PER LE MINORANZE NAZIONALI è stato istituito nel 1992 dopo il Vertice di Helsinki. La sua funzione non si sostanzia nella predisposizione di uno strumento diretto di protezione dei diritti delle minoranze ma, in ragione di una lunga e notevole competenza, svolge funzioni di SEGNALAZIONE rilevando le situazioni di potenziale conflitto ed esercitando una funzione di preallarme.

Pertanto il suo compito è di identificare quelle situazioni etniche che potrebbero sfociare in un conflitto e, una volta rilevatele, portarle all'attenzione degli organi decisionali dell'OSCE, illustrando la gravità della situazione.

L'acquisizione delle informazioni relative alle minoranze può avere fonti varie quindi anche i media o le organizzazioni non governative. L'Alto Commissario svolge anche una funzione "normativa" adottando raccomandazioni da presentare sotto forma di lettera al Ministro degli Esteri dello Stato interessato e dopo la risposta di questi, da presentare alla discussione del Consiglio Permanente ed infine da pubblicizzare.

L'UFFICIO PER LE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE E I DIRITTI DELL'UOMO fu istituito a Praga nel 1990 con lo scopo di facilitare i contatti e lo scambio delle informazioni relative alle elezioni da tenere nell'area OSCE.

Poi questa sua competenza circoscritta, è andata via via amplificandosi. Oggi infatti, l'Ufficio ha un duplice tipo di competenze: la prima si dedica a tutte le attività in materia di ELEZIONI , svolgendo compiti di sorveglianza e assistenza; la seconda invece,svolge una funzione di DEMOCRATIZZAZIONE

nel senso di essere affidataria dello sviluppo dei progetti in tema di promozione della democrazia, Stato di diritto e società civile. Essa inoltre svolge una funzione di controllo sull'adempimento degli impegni sulla DIMENSIONE UMANA.

I rappresentanti dei 54 Stati parte dell'OSCE firmano un atto che determinano "CARTA PER LA SICUREZZA EUROPEA". In realtà essa è un NON BINDING AGREEMENT ovvero un accordo NON VINCOLANTE che però tuttavia non è privo di effetti. La Carta contiene un doppio set di norme:

DISPOSIZIONI CHE SI LIMITANO A RIFLETTERE PRINCIPI O CONSUETUDINI INTERNAZIONALI (per le quali non si pone quindi il problema sulla loro rilevanza giuridica);

NORME PRODUTTIVE DI OBBLIGHI O IMPEGNI OSCE che,non essendo riproduttive di norme internazionali pongono la questione della loro rilevanza giuridica;

Dal punto di vista contenutistico,la Carta rappresenta l'insieme della "filosofia" dell'OSCE comprendente la consapevolezza che la violazione delle norme e degli impegni OSCE sono una causa comune di molti conflitti.

Proprio in considerazione di ciò, la Carta conferisce una maggiore rilevanza alla dimensione umana negli sforzi per la prevenzione dei conflitti.















CAPITOLO II.

LA SICUREZZA INDIVIDUALE NELL'ORDINAMENTO EUROPEO DEI DIRITTI UMANI NEL CONSIGLIO D'EUROPA.


L'ampliamento dei soggetti facente parte del Consiglio d'Europa, ne ha mutato la fisionomia originaria sia sul piano strutturale che funzionale. In particolare, la considerazione del rispetto dei diritti dell'uomo come strumento per raggiungere la pace e la giustizia nelle relazioni tra i popoli, ha ridato una nuova linfa all'azione del Consiglio d'Europa. Oggi infatti quest'ultimo è diventato COSTRUTTORE DI DEMOCRAZIA principalmente (ma non esclusivamente) con riferimento ai Paesi ex comunisti. Più volte sono stati riconfermati gli originari principi ispiratori dell'azione del Consiglio d'Europa e sono stati inquadrati nella creazione di una società europea più libera, più tollerante e più giusta. Quindi si può dire in generale che il primo obiettivo del Consiglio d'Europa è quello di promuovere i diritti umani e rafforzare la democrazia. Sembra quasi scontato poi precisare che la salvaguardia di questi diritti fondamentali debba avvenire in un contesto che sia democratico perché solo in questo modo essi possano essere concretamente assicurati.

Si è detto che attualmente i membri del Consiglio d'Europa sono aumentati e questo ci fa riflettere sulle condizioni di ammissione al Consiglio stesso.

In particolare bisogna essere in possesso di tre requisiti fondamentali:

ESSERE EUROPEI;

RICONOSCERE IL PRINCIPIO DELLA PREMINENZA DEL DIRITTO;

RISPETTARE I DIRITTI DELL'UOMO E LE LIBERTA' FONDAMENTALI;

Tuttavia i requisiti per il conferimento della membership spesso richiedono un riesame da parte degli organi statuali: il Comitato dei Ministri(organo decisionale)e l'Assemblea Parlamentare (organo consultivo) nell'attuare la procedura di ammissione a volte si avvalgono di interpretazioni estensive, altre volte meno, ai fini dell'accertamento dei requisiti per il conferimento. Alcune volte, però, si è data la possibilità ad alcuni membri di far parte del Consiglio a titolo di special guest(inviato speciale)oppure di osservatori. Lo Statuto del Consiglio d'Europa prevede per la grave violazione dei principi della tutela dei diritti dell'uomo la sospensione dello stato della sua qualifica di membri con l'invito, da parte del Consiglio dei ministri, a ritirarsi dall'organizzazione. Qualora lo Stato in questione non dovesse adempiere all'invito verrà emanato un decreto di estinzione della membership.

Altra condizione che la dottrina prevalente ritiene importante per la qualifica di membro del Consiglio d'Europa, è la qualifica di DEMOCRAZIA PARLAMENTARE nel senso "occidentale" del termine.

Senso "occidentale" significa che ci si deve trovare in presenza di alcuni requisiti: l'esistenza di un regime costituzionale sottoposto alla disciplina e al contratto dei poteri dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario) i quali, a loro volta, si controllano reciprocamente.

Questa esperienza si è manifestata concretamente quando si è sentita la necessità per la Federazione Russa di adottare una Costituzione. All'inizio,infatti, tale Federazione non era ammessa in seno al Consiglio ma poi, in seguito al progressivo adattamento agli standards europei, si è proceduto alla sua inclusione nel Consiglio d'Europa come trentanovesimo membro,sebbene sotto la condizione che procedesse nel processo di riforme giuridiche. La stessa questione cecena ha costituito elemento di particolare attenzione da parte dell'Assemblea parlamentare infatti essa ha fatto considerare lo Stato come pacifico e rispettoso dei diritti delle minoranze. Stesso iter è Stato seguito con la richiesta di adesione della Croazia, la cui inclusione nel Consiglio d'Europa si è fondata sulle potenzialità di questo Stato di raggiungere una situazione di democrazia.

Ultimamente può dirsi che notevole è stato l'ampliamento del Consiglio d'Europa per effetto dell'inclusione delle nuove democrazie centro - orientali.

Il Consiglio d'Europa ha ampiamente utilizzato lo strumento convenzionale, tuttavia, nel suo ordinamento giuridico non è stato inserito l'accordo CEDU* ovvero "La Convenzione europea di salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali".


Questa convenzione è la risultante di una continua opera di aggiustamento attraverso l'adozione di protocolli addizionali. Essa si propone come obiettivo quello di garantire, sul piano internazionale, l'adempimento degli obblighi convenzionali, mentre, sul piano individuale, la piena protezione dei diritti dell'uomo. In ragione del forte ampliamento del Consiglio d'Europa non esiste più l'originaria omogeneità di livelli di civiltà giuridica. Infatti tale elemento appare ancora da perfezionare.


Di conseguenza sussiste una separazione tra i due sistemi di diritto internazionale.

Il catalogo dei diritti garantiti nel testo CEDU ne ha fatto una sorta di "Magna Charta" dell'Europa democratica. Nel prevedere un programma di difesa dell'uomo e dei suoi diritti essenziali, fa in modo che nessuno Stato che si ritenga democratico, possa negarlo.

Facendo un discorso ratione materiae, pur essendo due organismi separati, è inevitabile il collegamento della CEDU e dello Statuto del Consiglio d'Europa tanto che si è parlato di una sorta di reciproca immedesimazione produttiva di rilevanti effetti. Ma ciò che è più importante sottolineare è che questo collegamento ha portato all'ampliamento delle condizioni di ammissione al Consiglio d'Europa. Infatti l'adesione alla CEDU è diventata un ulteriore requisito per l'ammissione al Consiglio d'Europa. In particolare pur non essendoci una specifica ed esplicita normativa a riguardo, si può dire che di fatto la Convenzione è aperta ai soli membri del Consiglio d'Europa ed il venir meno dello status di membro del Consiglio d'Europa comporta la cessazione dello status di parte della CEDU.



Tra tutti i sistemi regionali di protezione dei diritti umani, quello delineato nella CEDU si distingue per il suo livello di perfezione sostanziale e procedurale.

In questa Convenzione è previsto il diritto di ciascun Stato a presentare un'istanza contro un altro Stato (RICORSO STATUALE) e questo è un principio importantissimo perché limita il potere assoluto di ciascuna nazione. In particolare tale ricorso viene effettuato quando si verifica la violazione di un obbligo convenzionale. Tuttavia l'elemento di maggiore significatività del sistema di protezione dei diritti dell'uomo e il diritto di azione individuale (RICORSO INDIVIDUALE) attuato dalla CEDU , che trova un sempre crescente utilizzo tanto da permetterci di parlare di una lettura individualistica della Convenzione che consente all'individuo di fare ricorso ad un organo internazionale per difendere i propri diritti.

Il catalogo dei diritti garantiti nella CEDU è in realtà molto specifico e ristretto, tanto che si parla di una LEX SPECIALIS. Tuttavia esso ha subito un progressivo ampliamento con l'aggiunta di altri diritti ad opera di Protocolli aggiuntivi. La limitatezza di questa convenzione, però, risulta compensata dalla sua concretezza contenutistica. Vengono adottati due criteri per classificare i diritti e le libertà garantiti nella CEDU : il grado di assistenza dato dalle possibilità di restrizione da parte della stessa Convenzione e il criterio contenutistico.

Nel primo caso i diritti sono raggruppabili in assoluti e non assoluti a seconda che siano derogabili nei casi previsti dalla Convenzione.

Dal punto di vista contenutistico, invece, i diritti vengono classificati a seconda che appartengano al testo originario della Convenzione o vi siano stati aggiunti successivamente mediante protocolli aggiuntivi.

Si è detto che la caratteristica principale della CEDU è data dall'attribuzione all'individuo di un diritto di ricorso individuale che nel corso degli anni è stato sempre più "depurato" dai limiti che ne circoscrivevano l'esercizio tanto che oggi si parla di un conferimento all'individuo di un locus standi davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Prima questo diritto poteva essere esercitato facoltativamente ora invece opera automaticamente ed in senso assoluto ossia gli Stati si impegnano a non impedirne in alcun modo l'esercizio effettivo. Attraverso questo diritto, l'individuo risulta sostanzialmente parificato allo Stato, divenendone un alter ego. E' chiaro che una simile situazione fa sorgere delle nuove basi sulla questione della personalità internazionale dell'individuo.

Lo scontro tra le due tesi trovava il suo fondamento proprio nel problema della soggettività internazionale dell'individuo o meglio nel suo ruolo nel contesto internazionale. All'inizio, la concessione all'individuo del diritto di adire la Corte europea era sottoposto a forti limitazioni che determinavano una condizione di disparità tra la posizione dell'individuo e quella dello Stato. Poi si è verificata una riforma. Prima, la caratteristica del ricorso individuale era la facoltatività. All'individuo al contrario dello Stato, era consentito esercitare il proprio diritto solo se la parte contraente riconosceva la competenza della Commissione in quella materia e questo era un presupposto necessario. E' chiaro che questo criterio comportava una consistente limitazione e forse la sua ratio stava nella originaria prudenza operativa. Altra caratteristica del ricorso individuale era ed è la assolutezza nel senso che gli Stati si impegnano a non ostacolare l'esercizio effettivo di questo diritto che pertanto dovrà essere garantito in ogni circostanza. Da ciò deriva l'obbligo vincolante sugli Stati di garantire tale diritto un qualsiasi situazione. Altro carattere del diritto di ricorso era ed è la sussidiarietà. Il sistema di protezione europeo è sussidiario rispetto alla protezione fornita in via primaria dai singoli Stati e cioè dai loro sistemi nazionali quali primi garanti dei diritti fondamentali dei cittadini. La funzione di supplenza del sistema europeo comporta un duplice obbligo: allo Stato spetta l'obbligo di garantire alla persona il diritto di ricorrere ad una istanza nazionale e all'individuo spetta l'obbligo del previo esaurimento delle vie di ricorso interno(ratio: consentire il funzionamento delle autorità giudiziarie dello Stato).

Tale obbligo, tuttavia, è suscettibile di alcune deroghe:

la possibilità di adire la Commissione qualora nel corso del processo in sede nazionale si siano verificati ritardi non qualificabili. In questo caso, però, la proposizione della domanda davanti alla Commissione non esercita né un effetto sospensivo, né acceleratorio nei confronti del procedimento in corso nello Stato nazionale;

quando il ricorso è inaccessibile (l'interessato non può azionare il ricorso poiché sussistono degli ostacoli all'esercizio del diritto) oppure quando il ricorso è inadeguato (il ricorso non è adeguato a conseguire il risultato sperato poiché non si può rimuovere la violazione o non si possono riparare le conseguenze).

Il diritto di azione è riconosciuto ad ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa e ogni gruppo di privati.

Riguardo le persone fisiche, la CEDU non pone limiti relativamente alla nazionalità, alla residenza, allo stato civile o alla capacità dell'individuo quindi, ad esempio, così come possono essere legittimati rifugiati e apolidi, così non vengono posti limiti neppure a minori e incapaci perché rappresentati da tutore o curatore. Stessa cosa vale per i detenuti. Il ricorrente può difendersi da sé, può farsi assistere da un avvocato, da un procuratore legale, da un professore di diritto, purchè si tratti di un giurista accettato dalla Commissione.

Il rappresentante deve essere munito di una dichiarazione scritta del ricorrente che lo autorizza ad agire nel suo nome e nel suo interesse. Non sono ricevibili ricorsi anonimi.

Lo Stato nei confronti del quale viene avanzata la pretesa non ha alcun diritto di controllo in merito al fondamento di un ricorso individuale. Legittimati al ricorso sono anche le organizzazioni non governative.

La qualifica di "non governative" sta a significare che queste organizzazioni non devono essere persone giuridiche pubbliche partecipanti all'esercizio del potere statuale. Dopo un primo orientamento piuttosto restrittivo, si sono quindi visti riconoscere il diritto di ricorso le società commerciali, i sindacati, le organizzazioni religiose, i partiti politici, le associazioni a scopo sociale o caritativo. Il diritto di ricorso spetta poi anche ai gruppi di persone ovvero associazioni informali, generalmente temporanee, di due o più individui portatori di interessi identici. Tali gruppi devono essere costituiti in maniera regolare. L'unico limite posto ai soggetti che intendono fare ricorso è che l'azione espletata si svolga nel loro interesse personale. Legittimari saranno, quindi, coloro che si pretendono vittime ovvero coloro che hanno subito la lesione di un proprio diritto da parte di un'operazione interna. Questo ci induce a riflettere sulla nozione di vittima della quale oggi viene data un'interpretazione estensiva.

Vittima è innanzitutto quella diretta ovvero la persona direttamente colpita dagli effetti dell'atto oggetto della denuncia e la sua identificazione è del tutto agevole. Ma oggi vengono fatte rientrare nel concetto di vittima anche quelle persone indirettamente coinvolte, suscettibili di subire un pregiudizio. Si è delineata in questo modo una nozione di vittima indiretta perché sussistano due presupposti:

l'esistenza di una vittima diretta(effettiva o potenziale);

la sussistenza di un legame stretto e personale tra la vittima diretta e quella indiretta.

Per questi due tipi di vittime, è facile accertare l'esistenza del nesso di causalità, più difficile è invece farlo in riferimento alle vittime potenziali o eventuali.

E' importante che la qualità di vittima sia sussistente durante tutto l'arco del processo poiché il venir meno di una potrebbe comportare un difetto di legittimazione del ricorrente.

La morte del ricorrente, non estingue automaticamente l'azione infatti è ammissibile l'ipotesi di sostituzione processuale sempre con riguardo alla natura della violazione addotta. L'entrata in vigore per l'Italia del protocollo n. 9 ha rappresentato un significativo rafforzamento della sua soggettività internazionale. Nonostante, però, venga accettata la giurisdizione della Corte in materia di ricorsi individuali, restano per l'individuo alcune limitazioni rispetto alla posizione dello Stato.

Il Protocollo n. 9, avendo carattere facoltativo, non ha richiesto e non ha avuto l'unanimità delle ratifiche per la sua entrata in vigore. Tuttavia, gli Stati che hanno ratificato hanno ampliato il sistema di tutela dell'individuo. Questo ha determinato l'effetto negativo di creare dei livelli di tutela differenziati a causa della disparità di obblighi incombenti sugli Stati a seconda che abbiano ratificato o meno il Protocollo.

Il suo ruolo ,in ogni caso, è stato significativo: esso ha posto una situazione di maggiore equilibrio tra individuo e Stato, consentendo all'individuo stesso di accedere ad un tribunale internazionale per difendere i propri diritti. Pur attribuendo importanti poteri al singolo, il Protocollo non conferiva ancora a quest'ultimo una sostanziale identità con lo Stato. Ad esempio, il diritto di iniziativa rispetto alla Corte subiva un consistente limite:la domanda doveva essere sottoposta al vaglia di un comitato che doveva valutare se accoglierla o meno. I motivi che spingevano il comitato a rifiutarla erano però spesso molto generici. Ad esempio, si sosteneva che quel caso "non sollevava alcuna questione grave sull'interpretazione o applicazione della Convenzione" e pertanto era inutile l'esame da parte della Corte. In definitiva, con il Protocollo n. 9, la posizione processuale dell'individuo risultava migliorata ma non parificata a quella dello Stato nella fase preliminare del giudizio. Infatti, la possibilità di accesso alla Corte, da parte dell'individuo, incontra la barriera preclusiva costituita dal meccanismo del "controllo preliminare". Il sistema delineato dal Protocollo n. 9, significava anche depotenziamento del comitato dei ministri. Infatti, aggiungere al diritto di ricorso individuale alla Commissione e alla Corte, anche quello al Comitato dei ministri, sarebbe stata un'ulteriore disparità nei confronti dello Stato. Sulla stessa linea di rafforzamento della posizione processuale dell'individuo, si pone ma con effetti molto più rilevanti il Protocollo n. 11 il quale ha abrogato il Protocollo n. 9 subito dopo la sua entrata in vigore. Il sistema di controllo e garanzia del rispetto dei diritti umani, poggia su un unico organo: LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI che si sostituita alla Commissione ed al Comitato dei ministri. Questo organismo si caratterizza per due caratteri: PERMANENZA (i giudici esercitano il loro mandato a tempo pieno)ed INDIPENDENZA che a sua volta è organizzativa, personale e funzionale. La Corte esercita giurisdizione per tutte le materie relative alla Convenzione ed ai suoi Protocolli addizionali , indifferentemente che i ricorsi siano statuali o individuali. La sua composizione è varia: esiste un'ASSEMBLEA PLENARIA (funzioni amministrative), dei COMITATI (di 3 giudici) che si occupano della verifica di ricevibilità dei ricorsi individuali, da una SEZIONE ( di 7 giudici) che esercita una normale funzione di giudizio rispetto ai ricorsi(sia individuali che statuali) e infine c'è una SEZIONE ALLARGATA (composta da 17 giudici) che non solo giudica le questioni più complesse ma svolge anche le funzioni di un organo di appello.

Con la riforma del Protocollo n. 11, è stato ridefinito l'assetto istituzionale ed è stata rafforzata la posizione dell'individuo che diventa così un vero e proprio ALTER EGO dello Stato, infatti l'individuo ha un diritto di azione davanti alla Corte che subisce il solo limite della preventiva verifica di ammissibilità ad opera del Comitato. Eccetto questo limite, il ricorso individuale è parificato a quello statale. Se la richiesta viene considerata ammissibile la Sezione procede ascoltando i rappresentanti  delle parti. Si potrebbe anche pervenire ad una composizione amichevole della questione ma nell'ipotesi contraria l'esame del ricorso avviene in udienza pubblica con il libero accesso ai documenti depositati in archivio. Le sentenze sono motivate e non sono definite proprio perché si può fare ricorso in appello. Se le parti richiedono il deferimento alla sezione allargata, la richiesta dovrà essere sottoposta ad un giudizio di di ammissibilità ad opera di un collegio di cinque giudici che devono verificare se il caso solleva una questione grave sull'applicazione della Convenzione o dei suoi Protocolli.

L'aspetto però più interessante riguarda il fatto che, al modificato equilibrio istituzionale corrisponde l'assimilazione della posizione processuale del ricorrente individuale a quella del ricorrente statuale seppur con i modesti limiti indicati.












CAPITOLO III.

LA SICUREZZA INDIVIDUALE COLLETTIVA NELL'ORDINAMENTO DELL'UNIONE EUROPEA.


E' evidente che anche nell'ambito dell'Unione Europea, i diritti umani sono posti al centro della sua azione. Questo non significa però che prima della sua istituzione, queste non venissero contemplati.

Si può dire ,infatti che prima della nascita dell'U.E. la tutela di tali diritti fosse ancora in fase embrionale. Tuttavia questi valori avevano carattere prevalentemente funzionale al carattere economico che restava l'obiettivo principale da raggiungere. Tuttavia questi valori avevano carattere economico, si è andato via via arricchendo di un connotato sociale volto a garantire un'unione sempre stretta tra i popoli europei, tesa ad eliminare le barriere economiche e sociali che ostacolano il progresso. Tale unione sociale era finalizzata a migliorare le condizioni di vita e di occupazione e a rafforzare la pace e la libertà. A partire degli anni '60 si è poi cominciato ad incorporare i diritti fondamentali nel sistema delle fonti del diritto comunitario ed il contenuto di tali diritti è stato riscontrato da principi desumibili dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri. Ad essi poi si sono aggiunti quelli ricavabili dagli strumenti internazionali dedicati ai diritti umani, primo fra tutti la CEDU. Con l'espressione "tradizioni costituzionali" non ci riferisce solo a quelle scritte ma vengono richiamati anche quei principi facenti capo a costituzioni non scritte. In ogni caso, la CEDU avrebbe costituito un costante punto di riferimento. Tuttavia, la sua mancata incorporazione nel diritto comunitario le ha permesso di esercitare, per lungo tempo, solo un modesto ruolo di fonte di ispirazione. Ma la sempre crescente consapevolezza, in ambito comunitario, della corrispondenza dei valori e contenuti tra CEDU e Unione Europea, ha riproposto la lexata quaestio relativa all'adesione (dell'U. E. alla CEDU ). Il Parlamento europeo, la Commissione ed il Consiglio con una Dichiarazione interistituzionale del 1977 ed ancora di più il Memorandum del 1979 della Commissione, contenevano una precisa opzione a favore dell'adesione. Tale opzione era motivata dal fatto che l'adesione avrebbe contribuito in maniera rilevante a considerare gli ideali di democrazia e libertà dando così all'Europa la possibilità di definirsi terra di democrazia e libertà. Tale propositi inoltre, non costituivano semplici intenzioni astratte ma erano suscettibili di applicazione concreta. Accettando di vincolarsi ad un catalogo scritto di diritti fondamentali avrebbe ridotto il rischio che una giurisdizione nazionale approfitti della mancanza di un catalogo scritto dei diritti fondamentali. Alla luce di questi presupposti in particolare con l'adozione del Memorandum, nel 1990 la Commissione presentò la richiesta di adesione della Comunità alla CEDU. Altrettanto favorevole si dimostrò il Parlamento Europeo. Ma questo atteggiamento di tali organi, fu contrastato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Tale posizione della Corte è stata riconfermata di recente ed ha rafforzato la posizione di quegli Stati che non avevano accolto positivamente l'iniziativa della Commissione di aderire alla CEDU per timore degli effetti negativi delle sue disposizioni negli ordinamenti interni. Ma a livello contenutistico, il rapporto tra la Comunità Europea e la CEDU è inestricabile così come dimostra il caso Mattheus c. Gran Bretagna dove la Corte , pur riconoscendo la sua incompetenza a valutare i ricorsi contro gli atti comunitari, ha poi fatto valere la sua competenza ratione materiae. Ma non si può disconoscere la forte interdipendenza degli ideali e dei valori giuridici che accomunano gli Stati membri dell'Unione Europea e quelli parte della CEDU. Essa, in futuro, potrebbe diventare comune denominatore di tutela dei diritti dell'uomo per tutti gli Stati, se non addirittura potrebbe contenere il nucleo fondamentale dei valori di una futura "costituzione europea". Anche il Trattato di Maastricht sottolinea l'importanza dei valori CEDU e lo fa indirettamente(cioè stabilendo che qualora si voglia raggiungere una vera unione politica basata su differenze sempre minori tra diritti civili, politici, sociali ed economici, bisogna richiamarsi all'esperienza comune degli Stati membri dell'Unione che è rappresentata dalla loro adesione alla CEDU) e direttamente ovvero con l'art. F n. 2 del Trattato il quale dispone che l'Unione rispetta i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e quelli che risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri quali principi generali del diritto comunitario. Seguendo l'interpretazione dottrinale dell'art. F n. 2, esisterebbe un obbligo, in capo alla Comunità d'osservanza della CEDU. Il Trattato di Amsterdam invece, esclude qualsiasi ipotesi di adesione della Comunità alla Convenzione ma tuttavia si può notare, al suo interno un impianto spiccatamente favorevole ad un rafforzamento della tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e questo lo si può riscontrare da diversi richiami normativi. Lo stesso Trattato prevede inoltre una vera e propria procedura di sorveglianza finalizzata alla constatazione di una violazione grave e preesistente da parte di uno Stato membro dei diritti fondamentali(non necessariamente di tutte e quattro le macrocategorie, ma anche di solo due di esse purchè sussistano i caratteri di gravità e persistenza).

Alla comminazione della sanzione, precede un'attività di accertamento che, qualora abbia esito positivo può provocare la sospensione di alcuni diritti derivanti allo Stato dall'applicazione del Trattato fino all'esclusione del suo rappresentante dal diritto di voto in seno al Consiglio.

Tuttavia mancano le specificazioni dei diritti sospendibili, è inesistente un criterio di identificazione dei limiti temporali della sospensione e l'omissione di una clausola che consenta di effettuare ricorso. Già da prima dell'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, il rispetto dei diritti umani era una condizione formale d'ammissione all'Unione Europea ed infatti questo requisito era già menzionato nella Dichiarazione di Copenhagen ed in quella di Stoccarla.

Si è venuto poi a considerare con Maastricht e successivamente con il Trattato di Amsterdam con il quale l'obiettivo di garantire i diritti umani diventa più concreto ed efficace. Il rispetto dei principi di democrazia, pace e stabilità sono condizioni per l'adesione da parte di nuovi Stati all'Unione.

I principi democratici, i diritti dell'uomo e le sue libertà fondamentali vengono in rilievo anche nei RAPPORTI INTERREGIONALI ovvero quei rapporti che l'Unione Europea stringe con il settore mediterraneo,asiatico o americano, quindi con culture anche differenti dalla propria. La Dichiarazione di Barcellona testimonia le relazioni euro - mediterranee. Tali relazioni sono politiche, economiche, finanziarie, sociali, culturali e umane. Lo scopo è quello di fare del Bacino del Mediterraneo una zona di dialogo, di scambi e di cooperazione. La Dichiarazione di Madrid invece, definisce le relazioni    euro - americane. Anche in questo caso lo scopo è quello di garantire una sicurezza politica, economica e culturale. Con ciò si vuole promuovere la pace, la stabilità, la democrazia e lo sviluppo, si vuole contribuire all'espansione del commercio mondiale e all'instaurazione di relazioni economiche più strette. Per questo vengono individuate le aree di crisi che necessitano di intervento e cooperazione senza però porsi come concorrenti di ONU o altre organizzazioni. Ancora, ci si propone di creare azioni finalizzate a contrastare problematiche non risolvibili su base nazionale (criminalità organizzata, terrorismo, traffico di stupefacenti, ecc.).

La Dichiarazione di Bangkok definisce il codice delle relazioni euro - asiatiche cioè intercorre tra l'Unione Europea e i Paesi membri dell' ASEAN (Associazione delle nazioni del sud est asiatico) più Cina, Giappone e Corea. La relazione si svolge sul piano economico ma con possibilità di estendersi ad altri settori quali scienza, tecnologia, cultura, lotta al terrorismo senza però porsi in maniera concorrenziale nei confronti dell' ONU o di altre organizzazioni. Queste tre armi di cooperazione hanno in comune scopi di carattere prevalentemente economico ma possono anche trascendere da questo. In ogni caso lo scopo resta quello di garantire lo sviluppo della pace ed il rispetto dei diritti umani. Oltre che condizione di ammissione all'Unione Europea e fondamento dei rapporti interregionali (euro - asiatico, euro - atlantico, euro - mediterraneo), il rispetto dei diritti umani è diventato la condicio sine qua non negli accordi (commerciali e di assistenza) con i paesi terzi.

Il rispetto dei diritti umani viene specificato in apposite clausole le quali, quindi, fungono da supporto al consolidamento della democrazia. Nasce in questo modo un rapporto di stretta interdipendenza tra cooperazione e diritti umani in particolare con i paesi ACP (Africa, Carabi, Pacifico) dove è maggiore l'esigenza di cooperazione per lo sviluppo. Tale rapporto (di cooperazione) si può rinvenire nei vari accordi di Lomè ma è in particolare nella terza convenzione che si fa richiamo diretto e tale richiamo viene poi effettuato anche nella quarta.

Il processo di creazione di un sinallagma diritti umani - cooperazione allo sviluppo, lo si può riscontrare in alcuni atti dell' U.E. ed anche nel Trattato di Maastricht ed Amsterdam.

Tra gli atti dell'U.E. va ricordata in primo luogo una risoluzione del '91 nella quale sono disposte delle misure punitive ma anche preventive: rapporto di collaborazione, attraverso l'inserimento di clausole relative ai diritti dell'uomo(definite appunto CLAUSOLE DIRITTI DELL'UOMO con le quali si pone come fondamento o elemento essenziale delle relazioni di cooperazione tra Comunità e Stati membri il rispetto dei principi democratici e dei diritti dell'uomo. Tali clausole sono poi potenziate da altre, di carattere punitivo che intervengono nei casi di grave violazione dell'accordo e pertanto costituiscono un motivo per porre fine al Trattato o sospendere la sua applicazione in tutto o in parte. Abbiamo detto, però che la disciplina sulla cooperazione allo sviluppo è confermata anche dai Trattati di Maastricht ed Amsterdam.Nonostante ci siano numerosi atti a testimoniare il collegamento sempre crescente tra diritti umani e cooperazione allo sviluppo, da un punto di vista soggettivo, non sussistono ancora identità di vedute. Lo sviluppo, infatti, continua a costituire per i Paesi in via di sviluppo, l'obiettivo primario mentre per l'Unione Europea rappresenta la condicio sine qua non per lo sviluppo complessivo dell'Unione. Il Trattato di Amsterdam, oltre a non risolvere la discussa questione dell'adesione della Comunità alla CEDU non risolve nemmeno il problema di dotare la Comunità di un autonomo catalogo di diritti fondamentali per i cittadini dell'Unione.

Tuttavia, nella fase di revisione è stata redatta una "CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI" da parte di una Commissione intergovernativa (Convention) dalla struttura molto complessa. Essa cioè si caratterizzava di rappresentanti parlamentari nazionali ed europei, rappresentanti governativi dei singoli Stati, commissari, osservatori della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Questo catalogo di diritti è in verità riassuntivo di altri preesistenti cataloghi, primo fra tutti quello CEDU ed in più è influenzato dalle tradizioni costituzionali nazionali che rendono la Carta una sintesi adeguata ed armonica di un diritto costituzionale europeo in fieri (in particolare la sintesi è agevolata dal forte connubio che si è riuscito a trovare tra le tradizioni di common law e civil law. La Carta è strutturata in un Preambolo e 7 capi.

Nel Preambolo sono contenuti, a fondamento dell'Unione i principi di libertà e democrazia già richiamati nei precedenti trattati dell'Unione ed in più sono aggiunti quelli di dignità, eguaglianza e solidarietà. Vengono poi richiamati i diritti che risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e da vari Trattati internazionali (Trattato UE, Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo, giurisprudenza della Corte di giustizia, ecc.).

I capi da 1 a 6 ruotano intorno ad alcuni valori fondamentali che ci consentono di notare come questa Carta ruoti intorno ai principi e non alla ripartizione dei diritti in civili, politici, economici e sociali.

Il principio cardine è certamente la dignità.

Nel capo I si afferma infatti l'inviolabilità della dignità umana quale funge da limite per l'esercizio degli altri diritti. Rientra nel concetto di dignità umana il divieto di tortura, pene o trattamenti degradanti, il divieto di schiavitù, ecc.

Il capo II riconosce i diritti della libertà e di sicurezza fondati sul rispetto della vita privata e personale e sul diritto di sposarsi e fondare una famiglia, sulla libertà di pensiero, coscienza e religione, libertà d'espressione e informazione, di riunione e associazione, arti e scienze, diritto all'educazione, di proprietà, all'asilo politico e protezione in caso d'allontanamento ed espulsione. Molti di questi principi riprendono quelli già contenuti nella CEDU.

Il capo III ruota intorno al principio di uguaglianza e non discriminazione, fondato sul rispetto delle diversità culturali,religiose linguistiche,sessuali.Vengono altresì riconosciuti i diritti dei bambini, il diritto all'integrazione sociale, professionale e civile di persone con handicap o anziani.

Il capo IV riconosce in particolare i diritti dei lavoratori, ad esempio quello contro il licenziamento ingiustificato, il diritto ad un lavoro giusto ed equo, alla protezione dei giovani in campo lavorativo e scolastico, all'assistenza sociale, sindacale ecc.

Il capo V si riferisce al diritto di voto sia in sede nazionale che in riferimento al Parlamento europeo.

Inoltre viene esplicato il diritto ad una buona amministrazione e alla neutralità dell'azione pubblica.

Tali diritti portano come corollario il diritto al risarcimento danni causato da istituzioni ed il diritto ad indirizzarsi alle istituzioni dell'U.E. ricevendone risposta. Seguono poi la libertà di circolazione e di soggiorno.

Il capo VI fa poi riferimento ai diritti giudiziari: il diritto di fare ricorso effettivo presso un tribunale imparziale, presunzione d'innocenza, garanzia dei diritti alla difesa, principio di legalità e proporzionalità dei delitti e delle pene.

Nel capo VII sono poi contenute delle disposizioni generali, come ad esempio, quella che delimita il campo di applicazione della Carta in riferimento alle sole istituzioni dell'Unione ed ai suoi Stati membri. Inoltre è espressamente fissato il limite massimo dei diritti tutelati che non può scendere al di sotto di quelli previsti nella CEDU

Al di là dei contenuti materiali della Carta, il problema maggiore è determinato dalla sua natura giuridica.

Essa potrebbe essere considerata una dichiarazione politica, un protocollo, la prima parte di un nuovo Trattato (opzione prevalente) ed è chiaro che a ciascuna delle opzioni corrispondono diverse conseguenze giuridiche.

In realtà tutti questi interrogativi sono destinati a rimanere senza risposta almeno fino al Consiglio europeo di Nizza.

L'approvazione della Carta rende ancora più attuale il dibattito sull'esistenza di una Costituzione europea. La Carta infatti potrebbe svolgere questa funzione ma solo in maniera graduata nel tempo.

Infatti occorrerà innanzitutto porla alla pari con gli altri strumenti internazionali ed europei di tutela dei diritti umani. Perché se queste varie realtà continuassero a sussistere separatamente non si avrebbe più una visione sistematica dei diritti umani nel continente europeo.

Bisognerà pertanto cercare di ridurre queste visioni ad unità ma è evidente che tale compito non è semplice. 

























































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