Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Roberto Romano, Marco Soresina - HOMO FABER

economia



Roberto Romano, Marco Soresina

HOMO FABER


Per industria si potrebbe intendere quel ramo di attività che produce beni tramite la trasformazione di materie prime tratte dal mondo naturale, o di semilavorati che hanno già subito una parziale lavorazione.

Se definiamo il concetto di industria per esclusione (cioè quell'attività produttiva che non è né agricoltura o allevamento, né commercio), la sua presenza è riscontrabile nel corso di millenni: da quando l'uomo smise di dedicarsi esclusivamente alla caccia o alla raccolta di prodotti vegetali, non è mai esistita una società in cui l'unico lavoro fosse quello agricolo.

E' noto che dalla rivoluzione industriale in poi molto è cambiato nell'industria, si può dire che da allora sia sorta veramente l'industria.E' dunque indispensabile delimitare la sfera di significato assunta dalla parola dopo la rivoluzione e dare una definizione di industria moderna sulla base della compresenza di 4 caratteristiche:

  1. produzione per il mercato a fini di profitto in un'impresa di tipo capitalistico;
  2. concentrazione di lavoratori salariati in un unico luogo;
  3. utilizzazione di macchine mosse da energia inanimata;
  4. lavorazione continua lungo tutto l'arco dell'anno.



L'avvento dell'industria moderna ha registrato una notevole discontinuità rispetto al passato. Almeno inizialmente a cambiare non erano i prodotti industriali ma il modo con cui venivano fabbricati; era il nuovo modo di produrre a costituire un autentico salto di qualità e non solo una variazione quantitativa..

Bisogna comunque tener presente che nel lungo percorso di 15 secoli la strada dell'industria ha conosciuto improvvisi dislivelli che hanno totalmente mutato lo scenario e le regole del gioco.


Il concetto di industria moderna individua una singola impresa ma non ci dice nulla dell'economia in cui quell'impresa è inserita.

La verità è che neppure la meccanizzazione del processo produttivo di un certo numero di aziende può essere in grado di trasformare l'intera economia: si consideri il caso del mulino da seta, per torcere il filato di seta. Questa tecnologia si diffuse molto lentamente e le altre fasi della lavorazione rimasero disperse e manuali, cosicché ancora a Ottocento inoltrato il settore serico rimaneva uno dei più arretrati. La macchina non innescò alcuna rivoluzione. In realtà la seta era ed è una fibra tessile per ricchi: il suo mercato era inevitabilmente limitato.

La meccanizzazione, invece, per sua stessa natura, in quanto aumenta enormemente la produzione, richiede un consumo di massa: non è un caso che la rivoluzione industriale inglese partisse proprio dal settore cotoniero che produceva articoli a basso costo, adatti alle classi più povere, ma anche a quelle benestanti.

Del resto l'abbigliamento fa parte, assieme all'alimentazione e alla casa, dei consumi primari.

L'industria moderna, e la connessa meccanizzazione, hanno dunque necessità di un mercato di massa. Un mercato, cioè una situazione in cui esiste una domanda di merci. E' allora indispensabile che l'autoconsumo si riduca e si formi una domanda tale da assorbire l'accresciuta produzione dell'industria moderna. La meccanizzazione riduce essa stessa l'autoconsumo: producendo, infatti, a prezzi sempre più bassi finisce per scoraggiare la fabbricazione domestica di chi in questo modo pensava di risparmiare rispetto ai prezzi di mercato.

La meccanizzazione richiede capitali e quindi un capitalista-imprenditore, un individuo dotato di risorse finanziarie e contemporaneamente in grado di gestire e dirigere un processo produttivo. L'imprenditore industriale non è molto comune in quanto è costretto a immobilizzare una parte notevole de suo capitale. E' quindi necessario che sorgano nuove figure professionali disposte a correre questo rischio. L'industria moderna richiede pertanto la diffusione di particolari attori economici non presenti in precedenza.

Nell'industria moderna l'imprenditore utilizza lavoratori salariati, perchè le macchine compiono meccanicamente i movimenti manuali dell'operaio tradizionale e non esigono speciali abilità. L'industria moderna si è retta sin dagli inizi sul lavoro salariato che solo con essa è divenuto autonomo fattore della produzione, tanto che il suo costo, il salario, si è rivelato uno degli elementi fondamentali delle prestazioni economiche dell'impresa. Ma il lavoro salariato non era una merce presente in abbondanza nelle società preindustriali e in quanto fattore scarso ci si sarebbe aspettati che alle origini dell'industrializzazione il suo prezzo fosse relativamente alto, in realtà si verificò esattamente l'opposto e i salari si mantennero per lungo tempo bassi. Infatti, sebbene i salariati di professione fossero poco numerosi nelle società preindustriali, esistevano larghe fasce di popolazione, contadina o artigiana, perennemente sottoccupata o con redditi nettamente insufficienti a una sopravvivenza dignitosa. In questo senso il serbatoio di manodopera potenziale si rivelò assai ampio. Tuttavia furono necessarie notevoli trasformazioni economiche e sociali perché il nascente capitalismo industriale potesse disporre pienamente della forza lavoro presente tra le pieghe della società tradizionale. E ciononostante questo processo sempre più impetuoso e globale di liberazione della manodopera potenziale, costituiva una novità straordinaria.

Questo moderno tipo d'industria creò, fino agli anni 60-70 del XX secolo, una quota continuamente crescente del Prodotto Nazionale Lordo, ossia della ricchezza prodotta, dei paesi che si erano industrializzati. La vera svolta e quindi la discontinuità è costituita dal fatto che dalla rivoluzione industriale in poi il prodotto nazionale e il prodotto procapite, hanno manifestato una permanente tendenza all'aumento. Anche questo è un fenomeno totalmente inedito. Solo dopo la rivoluzione industriale, la tendenza alla crescita continua diventa endogena alla struttura economica e irreversibile, indipendentemente dalla sua dislocazione geografica.


Tale radicale trasformazione delle modalità di sviluppo è dovuta alla diffusione dell'industria moderna. Il modello industriale è un insieme di criteri di gestione e di organizzazione di validità universale: ricerca del profitto, organizzazione razionale della produzione, meccanizzazione e automazione, utilizzo ottimale della forza lavoro, spinta all'innovazione di prodotto e di processo, individuazione di nuovi mercati, strategia di investimenti, ricerca del minor costo di produzione. A poco a poco il modello industriale di efficienza produttiva si è spinto agli altri settori.

L'industria moderna è stata un potente fattore di crescita dell'economia nel suo insieme e in tutti i suoi rami.



Il carattere invasivo e globale dell'industria moderna non poteva non ripercuotersi sulla società in cu era immersa e spingerla a crescere e a modificarsi man mano che l'industria innervava di sé l'intera economia. Quanto più l'economia diventava industriale, tanto più la società si poteva chiamare industriale.Le relazioni economiche infatti sono anche relazioni sociali e non può quindi sussistere un'economia separata dalla società.

L'industria moderna sconvolse le strutture sociali tradizionali. Si produsse una duplice polarizzazione: una all 222f54c 'interno delle aree industriali, tra nuovi poveri e nuovi ricchi, e una tra i paesi industrializzati e quelli che non lo erano,

Nei successivi sviluppi dell'industria moderna, alla duplice polarizzazione è succeduta una particolare omogeneizzazione perché a livello di consumi i gusti e le preferenze, pur nella loro mutevolezza, tendono a uniformarsi, e anche se i poveri non riescono a consumare proprio come e quanto i ricchi, tuttavia aspirerebbero a farlo.

Ma omogeneizzazione significa anche la straordinaria capacità di assimilare e riformulare, ai fini dell'industria moderna, culture e tradizioni apparentemente lontane, se non opposte, da modello industriale.

E omogeneizzazione è anche il fatto che i paesi poveri attribuiscano il loro sottosviluppo proprio all'insufficiente industrializzazione e desiderino assomigliare al Primo Mondo, ripercorrendo le sue traiettorie di sviluppo.

Lo sconvolgimento dell'ambiente operato dall'industria moderna in circa 2 secoli è uno sconvolgimento che non ha eguali nella storia. Attualmente si è arrivati a condizioni di rischio per l'intero pianeta, dove l'inquinamento è totalmente di origine industriale, sia che provenga dai processi di fabbricazione, sia che derivi dall'uso di prodotti industriali.


Il Medioevo rappresenta indubbiamente per l'Occidente una rottura rispetto all'età classica, se non altro per la vistosa contrazione degli scambi e i grandissimi mutamenti di tipo culturale- istituzionale seguiti alla scomparsa dell'Impero romano, fanno pensare che la decisione di cominciare da quest'epoca sia ragionevole.

Oltre a insistere sulle discontinuità è bene mettere in rilievo le continuità. Parliamo di un percorso, un intreccio complicato di continuità, discontinuità e permanenze dove queste sono sinonimo di stabilità e assenza di mutamento.


L'età di mezzo: secoli V-XV


Cap. 1 ECONOMIA E SOCIETA'


Persistenze e mutamenti


Per l'economia europea il V secolo si situava al centro di una fase di decadenza, apertasi con le migrazioni e le invasioni barbariche del secolo IV e protrattasi fino al secolo VIII.

Dal punto di vista demografico il blocco di quasi mille anni dell'età di mezzo fu caratterizzato da un ritmo molto ridotto di crescita della popolazione europea.

Tra il secolo IV e il secolo VII, le continue migrazioni di popoli, le invasioni, le guerre e le epidemie che si succedettero incessantemente provocarono una flessione demografica; a determinare il calo demografico sul lungo periodo furono soprattutto fenomeni epidemici, le epidemie inoltre interagirono con la crisi della produzione agricola e accentuarono il declino demografico, creando un circolo vizioso di decadenza.

Quando la situazione si stabilizzò, intorno al secolo IX, la popolazione tornò a crescere, ma lo sviluppo demografico fu nuovamente e bruscamente interrotto dalla serie di epidemie di peste della prima metà del secolo XIV, culminata con il flagello del 1347-1351 che uccise oltre il 25% della popolazione.. Seguì un calo di stagnazione demografica che invertì la sua tendenza solo verso la fine del 400, quando si registrarono i primi indizi di ripresa della crescita demografica.

Nei secoli di mezzo l'agricoltura restava la principale risorsa economica, e i sistemi di coltivazione rimasero per secoli quelli già utilizzati nell'evo antico. La lenta diffusione di innovazioni tecniche consentì, a partire dai secoli X-XI, un incremento delle risorse alimentari disponibili.

L'espansione dell'economia tardomedievale si basava, dunque, sull'agricoltura.

La principale frattura dell'evoluzione economica dell'età di mezzo fu la rinascita urbana. LE città medievali, organismi generalmente autonomi, furono l'espressione di un sistema economico nuovo che stava nascendo, basato sul lavoro libero e votato allo scambio, aperto all'arricchimento tramite il commercio, indirizzato a una fluidità dei ruoli sociali. Intanto la borghesia, il settore più dinamico degli abitanti dei borghi e delle città, si affacciava alla ribalta del sistema economico del mondo occidentale, destinata a diventarne la protagonista nei secoli successivi.

Lo sviluppo demografico, la crescita del numero, delle dimensioni e della potenza delle città, la ripresa dei traffici e di una economia monetaria, cioè gli indicatori dell'espansione economica, risultano particolarmente significativi nel periodo racchiuso tra i secoli XII e XIV, prima della grande frattura demografica della peste. Però è più corretto parlare di un lungo e progressivo periodo di crescita, prolungatosi dal secolo XIII alla metà del XIV. Nessuna rivoluzione ma una lenta evoluzione. L'espansione medievale non si può esattamente definire una fase di sviluppo, infatti la crescita assoluta dei beni prodotti non si tradusse nella crescita del reddito procapite dei produttori; inoltre la centralità della produzione agricola non fu scalzata, ma solo affiancata dallo sviluppo manifatturiero urbano, né si verificò un cambiamento epocale e irreversibile del rapporto tra uomini e capitali impiegati nel settore agrario e quelli impiegati nel settore manifatturiero e dei servizi.


La terra e l'economia rurale


La crisi dell'agricoltura e il progressivo abbandono di terre coltivabili erano fenomeni iniziati nel tardo impero romano, che continuarono nei primi secoli del medioevo. Questo contesto di complessivo peggioramento delle condizioni di produzione e di vita a spinto gli storici a definire "secoli bui" il periodo tra la caduta di Roma e il secolo VIII.

L'attività agricola era organizzata in unità molto varie. Le famiglie di contadini lavoravano in genere appezzamenti di terreno chiamati mansi, che potevano essere di proprietà della famiglia coltivatrice, oppure erano concessi in affitto in cambio di parte del raccolto e di prestazioni di lavoro, corvées, sulle terre gestite direttamente dal signore terriero.. I vari mansi dipendevano dalla curtis del signore, cioè dal nucleo centrale della proprietà terriera, dove stava la villa del padrone, che era il centro organizzativo e gestionale dell'intera comunità. Questo era il sistema curtense.

La curtis altomedievale tipica era in genere divisa in due parti distinte: la pars dominica era gestita direttamente dal proprietario, prima con manodopera schiava e, in seguito, soprattutto con le corvées dei contadini che ottenevano in concessione gli appezzamenti della pars massaricia, da mansi, della proprietà. Pars dominica e massaricia erano 2 elementi complementari della grande azienda curtense. I poteri del proprietario si estendevano talvolta anche all'amministrazione della giustizia.

La curtis era un centro di produzione orientato a fornire i beni necessari per i consumi del proprietario, non era però un organismo rigidamente autarchico o assolutamente chiuso all'economia di scambio, anzi, col tempo, i proprietari spinsero per estendere la terra coltivata, allo scopo di immettere sul mercato un'eccedenza di prodotti con i cui proventi acquistare generi di lusso e armi, che l'autosufficienza curtense non era in grado di produrre. Anche nei secoli bui quindi si commerciava e i consumi della nobiltà terriera sarebbero stati uno degli elementi di una ripresa economica.

La lunga fase ascendente del trend demografico, tra i secoli V e XIV, fu sostenuta in primo luogo dall'espandersi delle coltivazioni e dall'intensificazione del lavoro umano; venne inoltre facilitata dall'affermarsi di nuove tecniche di sfruttamento della terra e dall'adozione di più efficaci attrezzi agricoli. In termini economici, l'equilibrio tra popolazione e risorse venne mantenuto grazie alla crescita prolungata di tutti i fattori produttivi: la terra, il lavoro, il capitale, oltre che dall'innovazione delle tecniche produttive e dalla loro diffusione.

Il processo di dissodamento e colonizzazione di nuove terre, comunque fu particolarmente intenso tra i secoli X e XI, in tutta Europa, raggiunse il suo culmine nel secolo XI e XIII, ma continuò fino al XIV. L'iniziativa della nobiltà fu determinante per conquistare nuovi terreni agricoli.

In generale vennero intrapresi usi più razionali delle terre coltivabili. In alcune aree dell'Europa settentrionale venne adottata la rotazione triennale dei campi in luogo di quella biennale: il contadino divideva la terra in tre campi, uno dei quali veniva lasciato a riposo per rigenerarsi, in un altro si seminava frumento o segale, mentre nel terzo si potevano seminare in primavera avena, orzo o legumi, che avevano la proprietà di arricchire il terreno. Ogni anno la coltivazione scalava di un campo e la porzione più sfruttata veniva lasciata riposare. Era una prima forma di agricoltura intensiva dai molti vantaggi: solo un terzo delle terre veniva lasciato a riposo, si rendeva inoltre disponibile una maggiore quantità di foraggio per nutrire gli animali, si diminuivano i rischi di cattivo raccolto dovuto a condizioni atmosferiche sfavorevoli.

Importanti innovazioni interessarono anche l'aratro. Nelle pianure alluvionali dell'Europa centro settentrionale e poi anche in alcune zone della pianura Padana, si diffuse l'aratro pesante a versoio, il quale permetteva di arare più profondamente, consentendo un maggior ricambio di sostanze azotate nella terra, che diveniva più fertile. L'efficienza dell'aratro venne ulteriormente migliorata dall'uso di ruote che stabilizzavano l'andatura dell'attrezzo.

Il più moderno aratro di metallo disegnava una nuova forma caratteristica dei campi nelle zone a grano dell'Europa settentrionale.

Queste innovazioni, laddove furono introdotte, provocarono un incremento dei rendimenti agricoli, cioè una quantità mediamente più alta di raccolto, per unità di semente coltivata. Si trattava però di aumenti modesti. Più che la produttività dell'agricoltura cresceva la produzione complessiva.

La commercializzazione dei prodotti agricoli e la collegata ascesa dei prezzi, sommata agli effetti della crescente pressione demografica, determinarono delle trasformazioni nelle relazioni tra i coltivatori e i proprietari terrieri: si accelerò il processo di frazionamento dei mansi e le corvées sparirono progressivamente, riscattate collettivamente dalle comunità rurali, e sostituite, nei terreni padronali, dall'utilizzo di manodopera salariata. Questi cambiamenti furono rilevati soprattutto nelle aree cerealicole settentrionali, dapprima in Francia, per proseguire poi anche in Germania e in Inghilterra.


Commerci e manifatture


Il periodo tra i secoli V e IX fu per l'Europa una crisi del commercio e delle manifatture, una crisi che aveva le sue radici nel tardo Impero Romano e che le continue guerre e invasioni contribuirono ad aggravare. Furono particolarmente i continui commerci internazionali a contrarsi in modo netto, anche a causa della fine dell'egemonia europea sul Mediterraneo, a seguito dell'espansione araba.

L'economia commerciale altomedievale ripiegò in transazioni di più corto raggio, in ambito locale, ma occasioni di scambi interregionali di una certa importanza erano comunque le fiere. Le merci, derrate agricole e manufatti artigianali, viaggiavano soprattutto lungo corsi d'acqua e venivano radunate per la vendita all'ingrosso nelle principali città sede di fiere internazionali

Nell'ambito delle fiere gli scambi avvenivano su base monetaria, anche se complessivamente, nel corso dell'alto medioevo, la circolazione delle monete si ridusse molto.

Parallelamente la produzione manifatturiera per il commercio subì un notevole decremento e il settore mercantile divenne esile e disperso.

A partire dal secolo XI l'aumento della produttività agricola consentì a un numero crescente di persone di dedicarsi non solo al lavoro della terra, m a anche ad attività artigianali e mercantili. L'attività manifatturiera si intensificò nell'ambito dei castelli signorili e nei villaggi, ma soprattutto si concentrò nelle città, dove si affermò un ceto di artigiani specializzati e organizzati in associazioni di mestiere. Il settore produttivo in più forte espansione era quello tessile e in particolare quello laniero, i cui centri principali erano situati nella Francia Nordorientale, nelle Fiandre, in Inghilterra e nell'Italia centrosettentrionale. In seguito si sviluppò anche la produzione della seta e la lavorazione del cotone importato per lo più dal Mediterraneo orientale.

La maggior disponibilità di beni ad un costo decrescente alimentò i commerci in ambito sia locale, sia internazionale. Il Mediterraneo tornò ad essere un ambito prioritario del commercio europeo. Dall'oriente arrivarono soprattutto spezie, coloranti, seta pregiata, pietre preziose, mentre gli europei esportavano legname per le navi, armi e manufatti tessili. Gli arabi furono i protagonisti di questa ripresa dei commerci tra Europa e Oriente, ma nel secolo XI, però, iniziò l'ascesa di molti commercianti europei. In particolare le città marinare italiane, Genova e Venezia acquisirono nel secolo XII un vero e proprio monopolio dei commerci mediterranei.

Tra i secoli XII e XIII si sviluppò un'altra area commerciale attiva intorno al mar Baltico e al mare del Nord, collegando la Scandinavia e i vasti entroterra della Polonia e della Russia, con i centri manifatturieri dell'Europa nordoccidentale: ferro, legname, cera, pellicce, ambra, cereali, lana, manufatti tessili erano le merci che alimentavano i commerci in quest'area.

Le Fiandre rappresentavano il luogo privilegiato di convergenza dei traffici commerciali dei Mari settentrionali con quelli provenienti dal bacino del Mediterraneo e dall'Oriente.

Intorno al secolo XIII si era delineata una pluralità di centri e di aree commercialmente complementari, ognuna con una sua specializzazione produttiva, che collegavano l'intera Europa in u n sistema economico tendenzialmente unitario.

L'intensificarsi delle attività economiche pose progressivamente fine al disordine monetario che aveva caratterizzato i secoli dell'Alto Medioevo e trai secoli XII e XIII, a partire dall'Italia, numerose zecche ripresero la coniazione di monete in lega d'argento di peso e titolo più stabili e nello stesso periodo ricominciò, dopo secoli, anche la coniazione di monete d'oro, le uniche che, con il loro valore stabile, erano accettate per i commerci a lunga distanza. .

La lega e il peso delle monete d'oro tornavano dunque a essere garantiti da uno stato centrale, relativamente solido economicamente e prestigioso, che imprimeva i suoi marchi sulle monete.

La ripresa economica del Basso Medioevo si valse inoltre di altri strumenti di pagamento, come la lettera di cambio, che consentiva di trasferire denaro da una piazza commerciale all'altra senza spostare materialmente le monete, evitandone così i rischi connessi.

La crescente circolazione di monete e titoli di credito diversi richiedeva operazioni finanziarie specifiche; nei vari mercati si delinearono così nuove attività economiche specializzate. I cambiatori di valute e i banchieri acquistarono un'importanza crescente poiché, disponendo di parecchio denaro liquido, erano in grado anche di fare anticipazioni e prestiti a mercanti, signori e principi.


Peste, fame e guerra


La lunga fase di crescita economica e di trasformazione sociale medievale fu rallentata da una crisi brusca e drammatica, che durò per gran parte del secolo XIV fino ai primi decenni del secolo successivo. Tuttavia la crisi del Trecento non provocò un arresto definitivo dello sviluppo dell'economia europea, né un arretramento su condizioni precedenti.

Già intorno ai primi decenni del secolo XIV l'Europa fu investita da una crisi di sussistenza. Una serie di annate climaticamente sfavorevoli provocarono cattivi raccolti, provocando una sproporzione tra le risorse disponibili e le bocche da sfamare: ne seguì un rallentamento demografico che si protrasse per vari anni. L'impatto demografico delle carestie fu aggravato dalla diffusione della peste, tra il 1347 e il 1351. Il bacillo arrivava dall'India e penetrò in Europa tramite i mercantili italiani che dal Mar Nero ritornavano a Genova; molto rapidamente il contagio seguì le vie commerciali, si estese in Italia, nell'Europa meridionale e centrale, e in seguito anche nella parte orientale e settentrionale del continente.

La riduzione della popolazione europea fu drastica anche perché altri fenomeni di decadenza demografica interagirono con le pestilenze; le guerre innanzitutto e soprattutto quella dei Cent'anni che devastò la Francia.

Il calo demografico accelerò l'abbandono di molte terre; tuttavia la coltivazione si concentrò sulle terre più fertili, dove l'agricoltura era in grado di sviluppare una maggiore produttività e specializzazione colturale. Quindi i prezzi dei generi agricoli diminuirono sul lungo periodo e con essi anche le rendite signorili.

Nelle città si registro un drastico calo della produzione manifatturiera, a cui si collegò la riduzione degli scambi. La rarefazione di artigiani e manodopera comportò un innalzamento dei salari, nonostante il decremento dell'attività manifatturiera.

Paradossalmente si può notare che il flagello della peste e il conseguente calo demografico, permisero il miglioramento della situazione economica dei sopravvissuti.


Il Rinascimento tra crisi e ripresa


Per rinascimento si intende quella fase della storia culturale europea, tra i secoli XIV e XVI, caratterizzata dallo sviluppo straordinario delle belle arti, delle lettere e delle scienze.

Ma il Rinascimento che ebbe in Italia la sua genesi, e la sua massima fioritura, coincise in parte con il periodo della decadenza politica e militare degli stati italiani nel secolo XVI.. Il periodo rinascimentale fu anche interessato dalla lunga crisi del Trecento.

La crisi del secolo XIV era stata in realtà soprattutto un grande processo di trasformazione dell'economia. La specializzazione produttiva dell'agricoltura si intensificò per aree regionali, interessò anche l'allevamento e comportò un inizio di integrazione tra agricoltura, allevamento e settore di produzione alimentare che sarebbe stato uno dei motori del progresso accelerato di alcune zone. La produzione manifatturiera tornò a svilupparsi sulla base di un'accentuata diversificazione delle merci. Si trattava di merci di pregio che caratterizzavano la produzione di alcune città negli scambi internazionali, oppure di oggetti di uso comune a prezzi bassi e accessibili a una clientela più vasta.


I fattori culturali e lo sviluppo economico


Nell'età medievale, in un clima culturale più ricettivo alle innovazioni e a ridurre la separazione tra scienza e tecnologia che aveva caratterizzato l'età classica, crebbe la volontà di trasformare la natura, di piegarla alle proprie esigenze; si preparava lo sviluppo del moderno concetto di scienza.

Anche il pensiero cristiano contribuì alla rivalutazione culturale del lavoro e dell'attività trasformatrice dell'uomo (nel secolo VI san Benedetto da Norcia scrisse la Regola). I monaci ebbero una grande influenza sulla società medievale, e con il loro esempio contribuirono alla diffusione della convinzione che il lavoro manuale fosse opera degna di virtù. Presto molti monasteri divennero centri di produzione, in parte orientati al commercio, oltre che laboratori di scienza e di elaborazione di conoscenze utili per l'agronomia e per la meccanica.. L'influenza del monachesimo fu assai importante nella creazione di un clima culturale nuovo, che avrebbe favorito il progresso tecnologico e la sua diffusione attraverso il contatto tra classi colte e classi produttive.

La dinamica economica delle città fece sorgere la necessità di notai, scrivani, contabili, uomini di legge e interpreti, stimolando dunque l'accrescimento del livello di istruzione anche tra i laici impegnati nell'industria e nel commercio. In molte città mercantili si andarono così creando, a partire dal secolo XII, scuole private che insegnavano a leggere e a scrivere, e impartivano i primi rudimenti aritmetici utili nella pratica commerciale.

Nel corso del Medioevo tuttavia, l'istruzione non divenne mai un fenomeno di massa e gran parte della popolazione rimaneva esclusa anche dalle nozioni di base della lettura e della scrittura.

Tra le classi abbienti si svilupparono, a partire dal secolo XII, gli Studi Generali, dedicati all'istruzione superiore nelle scienze, nel diritto e nella teologia. Questi studi erano retti da associazioni di studenti e insegnanti, dette universitates, che avevano un'organizzazione di tipo corporativo come quello delle Arti e controllavano alcune professioni intellettuali. Tra le più antiche e prestigiose università vi fu quella di Bologna, comunque alla fine del secolo XIII si contavano in Europa una ventina di università. .

La base di insegnamento nelle università medievali era la scolastica; il termine designava un complesso culturale sulla teologia e la filosofia cattolica, ma aperto alla riscoperta dei classici del pensiero antico e agli studi naturali.

La rinascita delle città e la nascita di una borghesia urbana desiderosa di istruirsi ebbero importanti influenze anche sul piano culturale. Il movimento chiamato umanesimo ebbe origine nell'Italia urbana del tardo Trecento, come una ricerca di nuovi modelli di formazione umana che rispondessero alle esigenze e alle domande della società come si stava sviluppando. Quella degli umanisti era la ricerca di una nuova identità che si fondava sulla ripresa degli studi dei classici latini e greci, come base per un rinascimento culturale imperniato sulla centralità dell'uomo.. L'affermazione della ragione come strumento di indagine, proprio degli umanisti, ebbe notevole influsso anche sul pensiero scientifico.

Una caratteristica nuova della tarda età medievale fu l'influenza esercitata dalla politica sulla vita economica, e dall'economia sulla politica. A partire dal secolo XIII la protezione dell'economia cittadina fu perseguita con misure restrittive dell'importazione di manufatti, con l'imposizione di dazi e divieti, ma anche con incentivi allo sviluppo dell'industria locale, tramite la promozione della diffusione delle innovazioni tecniche provenienti dall'esterno.



Cap.2 I GRANDI TEMI


Le borghesie urbane



  • Le città nel Medioevo

All'origine del rifiorire della vita urbana dopo l'anno Mille, vi erano numerosi fattori che si combinarono in modi diversi dando origine a variegate tipologie di città. Nell'Italia centrosettentrionale e nei territori della Francia e della Germania già urbanizzati dai romani, le città risorsero intorno all'amministrazione vescovile o nell'area dell'antico accampamento romano; altre nacquero dall'evoluzione i senso urbano di castelli signorili, altre furono l'evoluzione di centri di mercati o di fiere permanenti, Ciò diede luogo a sistemazioni urbanistiche differenti. Alcune città medievali conservarono la pianta quadrangolare dell'accampamento romano, come Parigi o Londra, altre erano state arricchite nel corso dei secoli da edifici monumentali. Un elemento comune a tutte erano le mura, la cinta fortificata che serviva per difesa della popolazione e rappresentava il simbolo della potenza della città nei confronti della campagna. Col passare del tempo le mura si ampliarono, per accogliere anche i nuovi immigrati, gli abitanti che si erano concentrati ai margini della città.

Dentro le mura vi era un mondo animato di botteghe, case affollate, vie strette, ma anche orti e giardini, prati e animali, una o più piazze centrali per il mercato, chiese e conventi. Le città non erano molto grandi e spesso la densità della popolazione era molto elevata.


  • Le borghesie

La città ha sempre avuto un duplice aspetto: è un aggregato di case, botteghe, chiese, mura e anche una forma dell'organizzazione della convivenza sociale tra i suoi abitanti. Nel basso medioevo la stratificazione sociale fece emergere un ceto produttivo particolare: la borghesia cittadina, protagonista decisiva della rinascita e dello sviluppo della civiltà europea.

A partire dal secolo XI gli abitanti delle città aumentarono di numero, soprattutto sotto la spinta dell'inurbamento dalle campagne delle popolazioni rurali. La nuova immigrazione urbana si stabiliva dapprima nei borghi che sorgevano ai piedi delle mura, lungo le vie di accesso al centro fortificato delle città: i borghesi erano appunto gli abitanti dei borghi. Il termine indicava più che una condizione sociale, uno stato giuridico, cioè l'emancipazione dall'autorità del signore rurale compiuta dall'immigrato che diveniva cittadino. L'immigrazione dei borghesi era un processo contemporaneo a quell' dell'emancipazione giuridica delle città, che ottenevano la concessione di autonomie dai monarchi e dai signori locali e si evolvevano verso forme di autodeterminazione come il Comune. L'evoluzione delle città e del suo governo portarono anche a un'evoluzione del significato di borghese. I borghi fuori le mura divennero luoghi dinamici, vi si insidiarono artigiani e commercianti, chierici e piccoli esponenti della nobiltà rurale; col tempo la città accolse i borghi nelle sue mura e borghesi divennero tutti gli abitanti della città in contrapposizione al mondo signorile e contadino delle campagne.

Già nel basso Medioevo il cittadino era un attore economico, sociale e politico. Il borghese però non pensava di far parte di un unico ceto sociale in qualche modo contrapposto agli altri ceti: era piuttosto attento a curare i propri interessi insieme a chi gli era professionalmente affine e a raggiungere se poteva, uno status sociale e uno stile di vita simile a quello della ricca nobiltà. In città i ricchi borghesi facevano vita sociale e politica con i nobili proprietari inurbati, con i funzionari dei principi e dei vescovi, con gli esponenti delle arti liberali, e insieme costituivano il patriziato cittadino, un composito gruppo sociale che teneva le fila dell'amministrazione del Comune.

Diversa era la situazione nelle altre aree europee di rinascita della vita cittadina, nella Francia settentrionale, nelle Fiandre e nel Brabante, in Germania erano quasi esclusivamente i ceti mercantili costituire l'ossatura produttiva e politica delle città.


  • Le forze sociali e il governo delle città in Italia

Fino al secolo XII le città italiane erano organismi retti dai ceti aristocratici, legati ai vescovi, alla proprietà terriera, alla tradizione militare e cavalleresca. I consoli erano i sommi magistrati delle città, venivano eletti dalla cittadinanza e ad essa prestavano giuramento; alle magistrature ufficiali si affiancavano assemblee cittadine, di cui potevano far parte i maschi adulti maggiorenni, cristiani e in gradi di pagare una tassa di ammissione. La rappresentanza politica comprendeva dunque non più del 20-25% della popolazione adulta. La reale gestione del potere poi era ancora più ristretta: dei piccoli consigli che, di fatto, rappresentavano solo gli interessi della classe dominante.

Nella seconda parte del Duecento, il protagonismo politico del popolo spingeva per la creazione di governi più largamente rappresentativi, che sfociarono talvolta nelle egemonia popolare sul Comune. Intorno alla fine del Duecento i governi popolari si erano affermati nelle principali città italiane, che si caratterizzavano dal punto di vista politico e fiscale per la loro legislazione antimagnatizia.

A partire dalla seconda metà del secolo XIII, la risposta all'instabilità istituzionale dei Comuni fu l'affermazione di forma monocratiche di governo. Il potere tese a concentrarsi nelle mani di alcune personalità energiche e militarmente capaci, spesso provenienti da antiche famiglie di proprietari fondiari. L'incarico a questi aristocratici di reggere il Comune per pacificarlo, era inizialmente conferito per un tempo limitato, ma progressivamente i signori più forti e autorevoli, ottennero mandati vitalizi e alcuni acquisirono la facoltà specifica di nominare un successore. Con l'introduzione del principio ereditario si crearono vere e proprie dinastie signorili, il cui potere fu poi rafforzato dall'investitura imperiale.

La svolta oligarchica interesso anche quelle città ce formalmente non trasformarono il comune in una signoria urbana, in cui i grandi mercanti e banchieri costituirono il nuovo patriziato urbano..

Le cariche all'interno dei Comuni venivano distribuite all'interno di oligarchie ristrette ed elaborati meccanismi di selezione e di controllo impedivano l'accesso di uomini nuovi, limitando il ricambio sociale e politico nel ceto di governo urbano.


La ripresa dell'innovazione tecnologica


Durante il Medioevo la produzione, prima quella agricola e poi anche quella manifatturiera, fu interessata dall'introduzione di numerose innovazioni tecniche. I progressi si concentrarono soprattutto sulla tecnologia meccanica.


  • I caratteri generali della ripresa tecnologica

Lo sviluppo tecnologico si sostanziò non tanto in clamorose invenzioni, ma in continui successivi perfezionamenti. Lo stimolo principale all'innovazione veniva dalla necessità di ridefinire la relazione fra i fattori di produzione utilizzati, l'input, e i risultati che venivano ottenuti, l'output. Il problema dunque era quello di aumentare la produttività specifica dei fattori mediante un miglioramento dell'utilizzo dell'energia.

Risultati importanti vennero ottenuti in campo agricolo in talune aree europee con l'introduzione dell'aratro pesante, e nel settore manifatturiero con la diffusione del mulino che rese utilizzabile l'energia idraulica e in taluni luoghi quella eolica.

Si introdussero cambiamenti importanti anche nelle tecniche siderurgiche, con l'applicazione dell'energia idraulica, e nella costruzione e velatura delle navi, che consentirono uno sfruttamento migliore e più razionale dell'energia eolica..Ciò ebbe ricadute sull'utensileria in ferro che divenne più conveniente e si diffuse maggiormente, e sui trasporti e gli scambi che divennero più rapidi e si intensificarono.

Un altro fattore importante della rinascita tecnologica medievale, fu la grande ricettività del mondo occidentale all'innovazione. Molte novità tecniche, infatti, come il mulino ad acqua, erano già conosciute nel mondo classico e furono riprese e introdotte nella produzione grazie a significativi miglioramenti tecnici. Dal mondo orientale, cinese e islamico, l'occidente apprese nuove tecniche e nuovi processi produttivi, come la preparazione della carta, più raffinate tipologie di tessuti e più avanzati processi di acciaiatura; se ne appropriò e li sviluppò fino a fondare sulle proprie capacità di sviluppo tecnologico la sua supremazia tecnologica su tutto il resto del mondo.

L'uomo europeo fu per eccellenza homo faber, non solo perché seppe creare, ma anche perché seppe imitare o adattare e dalla fusione di questi apporti riuscì a costruire una nuova civiltà della tecnica.


  • La trasformazione dell'energia: i mulini

Con il mulino la storia delle macchine e della loro applicazione conobbe un'accelerazione. Il primo mulino ad affermarsi fu la ruota ad acqua, una macchina che converte l'energia dell'acqua in modo da renderla utilizzabile dall'uomo. La prima applicazione della ruota idraulica ai processi produttivi interessò la macinazione dei cereali. Più complesso fu l'adattamento della ruota idraulica alle macchi ne impiegate nella produzione del settore tessile, metallurgico o della carta.

Col tempo dalla forza dell'acqua trassero beneficio molti settori produttivi, dalle segherie alla fabbricazione del cemento, dalla trebbiatura dei cereali alla molatura. L'energia idraulica, trasformata dalla ruota verticale del mulino, surrogava quella umana e animale, con un rendimento orario superiore di 10-50 volte a quello dell'uomo e circa triplo di quello animale.



L'importanza economica dell'innovazione spinse a investire anche nel campo dell'ingegneria idraulica, per adattare i corsi dei fiumi allo sfruttamento con le ruote idrauliche.

Dove il flusso delle acque non era sufficiente o regolabile, fu adottata una diversa soluzione con la costruzione di mulini a vento. Fu soprattutto nelle regioni pianeggianti dell'Europa settentrionale, dove i corsi d'acqua d'inverno ghiacciano e i venti sono costanti e prevedibili, che i mulini a vento ebbero un'importante diffusione e furono utilizzati per svolgere tutte le funzioni delle ruote ad acqua. Queste macchine si affermarono in Europa a partire dalla seconda metà del secolo XII. I mulini a vento dell'età moderna giunsero a erogare un'energia superiore del doppio o del triplo rispetto alle ruote ad acqua.


  • Innovazioni nei processi produttivi: il settore tessile

Nell'industria tessile le innovazioni riguardano l'introduzione nella produzione di nuove materie prime, come la seta e il cotone, e lo sviluppo di metodi di lavorazione basati su nuove macchine.

Sviluppi importanti si ebbero innanzitutto nel settore della lana, con l'utilizzo del telaio orizzontale, intorno all'anno Mille. Le Fiandre furono all'avanguardia nell'introduzione di questa innovazione, già utilizzata in Cina e nel mondo arabo, che porto alla produzione di un tipo di panno nuovo, molto più compatto. Con il telaio orizzontale si otteneva un tessuto molto più regolare e fitto di quello prodotto con il telaio verticale. L'innovazione migliorò la qualità dei pannilani e la produttività del lavoro.

Tra i secoli XI e XIII la produzione laniera conobbe un intenso fermento innovativo. L'area più d'avanguardia in questa fase fu l'Italia settentrionale, che ottenne significativi aumenti di produttività soprattutto con l'utilizzo del filatoio a ruota, anch'esso conosciuto già da secoli in Oriente, e la diffusione della gualchiera idraulica per la follatura. Il primo faceva si che le due operazioni di filatura e avvolgimento del filo in matassa avvenissero contemporaneamente, con il lavoro di un solo addetto; la seconda era molto costosa, ma sostituiva il lavoro di almeno trenta follatori che pestavano i panni con i piedi.

La produzione massiccia di tessuti e indumenti di seta iniziò in Europa intorno ai secoli X-XI. L'esempio della coltivazione dei bachi e della lavorazione serica veniva dall'Oriente. L'innovazione tecnologica più rilevante avvenne nella fase della torcitura, con la diffusione, a partire dalla metà del secolo XIII, del torcitoio circolare, già conosciuto in Persia e in Cina.il torcitoio meccanico era una macchina inizialmente di dimensioni compatibili con un uso domestico; a partire dal secolo XIII, tuttavia apparvero in Italia centrale alcuni grossi torcitoi, azionati da ruote idrauliche, e per contenere le nuove grosse macchine si costruirono appositi edifici, nei quali lavoravano alcune decine di operai.

Il cotone, una pianta proveniente dall'Oriente, cominciò a essere ampiamente lavorato in Europa solo intorno al secolo XI. Le innovazioni più importanti in questo settore si ebbero soprattutto nella qualità del prodotto; in particolare si diffusero i fustagni, tessuti grossi e resistenti, i genere misti a lino, adatti ad un consumo più vasto perché relativamente poco costosi.


  • Innovazioni nei processi produttivi: la siderurgia

Tutte queste macchine erano costruite in legno e così le gru che svettavano nei porti delle Fiandre, le navi, i carrelli e le rotaie che trasportavano i minerali nelle miniere. Nel Medioevo europeo il ferro disponibile per la lavorazione era relativamente scarso e utilizzato particolarmente nelle produzione di armi. Fu solo verso il secolo XIII che i primi esperimenti di fusione indiretta dei minerali di ferro per ottenere un metallo lavorabile aprirono lentamente la strada a un utilizzo più massiccio del ferro. La fusione indiretta cominciò a diffondersi solo nel 500, a partire soprattutto dall'Europa settentrionale. La scoperta del metodo indiretto metteva la siderurgia sulla strada della costruzione di un nuovo tipo di fornace per la produzione della ghisa dal minerale di ferro, l'altoforno. Ne derivava un netto incremento della produttività del forno e quindi della disponibilità di metallo lavorabile.


  • Tecnologia navale e navigazione

Nel basso Medioevo si introdussero importanti innovazioni anche nella costruzione delle navi e negli strumenti per orientare la navigazione. A partire dal secolo XIV gli arsenali dell'Europa settentrionale cominciarono a fabbricare un nuovo tipo di nave, la cocca, dalla forma arrotondata. Le cocche erano molto leggere; la loro costruzione costava relativamente poco perché impiegava meno legno rispetto alle tecniche tradizionali e permetteva dunque di realizzare navigli di maggiore stazza. Ulteriori evoluzioni della cocca furono, tra 400 e 500, la caravella e la caracca, che risultavano adatte anche alla navigazione d'alto mare.

Nel secolo XIII entrarono nell'uso dei naviganti le carte nautiche ei portolani che descrivevano con discreta precisione le coste Mediterranee, del Mar Nero e i tratti più frequentati delle coste dell'Atlantico settentrionale; per la determinazione della posizione del naviglio si introdusse l'uso di primitive bussole e dell'astrolabio che forniva la latitudine all'osservatore.


  • Nuove industrie: la carta e la stampa

Il procedimento per la preparazione della carta fu un'innovazione che proveniva dall'Oriente. In Europa fino al secolo XIII gli scrivani utilizzavano le pergamene. In Europa come nel mondo arabo, la materia prima principale per la produzione della carta erano i cenci di lino e gli scarti della produzione tessile.

In Occidente la crescente richiesta del nuovo prodotto stimolò la meccanizzazione e per il processo di battitura si introdusse presto l'uso sistematico dell'energia idraulica che azionava i magli; grosse cartiere sorsero soprattutto in Italia, presso i fiumi dell'area centrosettentrionale.

L'invenzione della stampa a caratteri mobili avrebbe ulteriormente incrementato le dimensioni della domanda di mercato della carta. Alla metà del 400 il tedesco Gutenberg, perfezionò le tecniche tipografiche del tempo e stampò una Bibbia in latino, facendo uso di caratteri mobili. Le conseguenze dell'introduzione dei caratteri mobili sulla diffusione del sapere furono rilevantissime. La nuova tecnica consentiva, infatti, la riproducibilità di qualsiasi testo in tempi rapidi e con costi molto più contenuti rispetto a quelli degli amanuensi, e il minor prezzo dei libri stimolo la domanda sempre più vasta del pubblico, costituito principalmente dalle borghesie urbane. Di conseguenza sorsero in Europa numerose tipografie.


  • Le scienze

Le scienze furono oggetto di un rinnovato interesse culturale, alimentato dall'influenza araba e soprattutto dalla riscoperta della scienza dell'antichità classica.

In medicina si ebbero importanti progressi di metodo; in particolare fu la scuola medica di Salerno a introdurre dalla metà del secolo XIII, lo studio dell'anatomia tramite la dissezione di cadaveri umani. Fu innanzitutto la chirurgia a giovarsi di più precise cognizioni anatomiche e significativi progressi li compì anche grazie alla diffusione di una strumentistica in acciaio più precisa e durevole, bisturi, trapani, aghi da sutura.

In astronomia il Medioevo aderì complessivamente alla teoria geocentrica di Tolomeo. Tuttavia l'importanza che si cominciò a riconoscere all'esperienza, indusse gli astronomi a ipotizzare qualche modifica al sistema tolemaico, pur senza mettere in discussione l'idea che la Terra, immobile, occupasse il centro dell'universo. Si svilupparono anche discussioni intorno alla forma del nostro pianeta; la sfericità della Terra era stata ipotizzata e dalla maggior parte degli studiosi della Greci classica e accettata dallo stesso Tolomeo; tuttavia nell'alto Medioevo, aveva preso il sopravvento l'idea che la Terra fosse piatta. Astronomi e naviganti cominciarono però a intuire, sulla base delle osservazioni empiriche, la sfericità del pianeta.

La rinascita cittadina stimolò gli sviluppi dell'architettura. Le innovazioni costruttive introdotte furono poche e consistevano soprattutto in un maggior utilizzo dei mattoni e del calcestruzzo in luogo del legno, e nella diffusione dell'intonaco per l'isolamento delle abitazioni.

Inoltre il disegno tecnico e i principi della progettazione architettonica ebbero importanti evoluzioni, soprattutto con l'introduzione della prospettiva e la diffusione della conoscenza della geometria tra gli architetti.



La modernità del tempo.  Nascita e sviluppi dell'orologio meccanico.


Le società agricole avevano scarso interesse per le misurazioni del tempo: era la natura, con l'alternarsi dei giorni e delle notti, delle stagioni e degli anni, a scandire la vita quotidiana e i tempi di lavoro.. il rifiorire medievale delle città propose alla popolazione urbanizzata la nuova esigenza di dividere la giornata di lavoro. Inoltre la chiesa manifestava una particolare attenzione a una precisa determinazione del tempo, per ordinare le preghiere previste nell'arco della giornata. Questo complesso di motivazioni culturali costituì il pretesto per lo sviluppo, a partire dagli ultimi decenni del secolo XIII, degli orologi meccanici. Ciò va collegato alla disposizione degli artigiani europei del Basso Medioevo per la creazione meccanica e l'innovazione tecnologica.

La storia conosceva già diverse soluzioni per segnare il tempo giornaliero: la meridiana, che però poteva funzionare solo quando c'era il sole e risultava poco precisa in relazione al cambio delle stagioni e quindi al mutare dell'asse terrestre rispetto al sole. Maggiore precisione era garantita dalle clessidre e la civiltà cinese, che nei secoli corrispondenti al Medioevo europeo disponeva di una tecnologia molto più avanzata di quella occidentale, realizzò delle ingegnose clessidre ad acqua, piuttosto precise ma poco pratiche, difficilmente trasportabili e richiedeva continui aggiustamenti.

L'orologio meccanico fu una scoperta europea. Risulta arduo attribuirla ad un'unica persona; alla base vi stava un progresso tecnologico, frutto di continue sperimentazioni e intuizioni di molti artigiani sparsi un po' ovunque. Furono soprattutto gli artigiani esperti nella lavorazione dei metalli ad applicarsi nelle sperimentazioni in questo campo.

Nella prima fase della tecnologia dell'orologeria meccanica l'innovazione fondamentale fu lo scappamento a verga con foliot, che comparve verso la fine del secolo XIII. Il meccanismo, pur subendo numerosi perfezionamenti, non fu modificato nella sostanza per secoli, il principio oscillatorio è alla base anche della cronometria dei nostri tempi.

Per un paio di secoli dopo l'introduzione dello scappamento a verga, l'orologio meccanico rimase un oggetto costoso di sofisticata tecnologia con un mercato molto limitato. Gli artigiani orologiai, francesi, tedeschi, italiani e poi anche inglesi, giravano per l'Europa invitati dalle autorità cittadine che intendevano munirsi di un orologio, la cui costruzione, il montaggio spesso su una torre, un campanile, il palazzo del governo o del sovrano, e la messa a punto, erano operazioni che duravano mesi. A rendere difficoltosa l'espansione del mercato erano la scarsità degli artigiani orologiai e gli alti costi di realizzazione degli orologi.

Le potenzialità di un'industria orologiera erano grandi: non richiedeva una particolare localizzazione presso giacimenti di materie prime e non necessitava di particolari fonti di energia; il fattore umano, l'abilità dell'artigiano, era l'elemento determinante. Tuttavia per un allargamento del mercato bisognava superare degli ostacoli tecnologici.

Nel corso del secolo XIV gli orologiai lavorarono alla miniaturizzazione dei meccanismi e introdussero come motore la molla a spirale piana in luogo dei pesi, ma la nuova forza motrice pose dei problemi poiché non esercitava una spinta costante e per regolarizzare nel tempo l'erogazione di energia si escogitò l'impiego di un conoide, che faceva girare regolarmente l'orologio..

Contemporaneamente l'evoluzione della società con l'espansione della borghesia urbana, apriva nuove prospettive anche sul fronte della domanda di orologi, come simboli di prestigio e come oggetti di utilità pratica.  Nel corso del tardo 500 l'industria orologiera assunse una più precisa fisionomia con l'affermazione di centri di eccellenza in Francia a Blois e a Parigi, a Norimberga e ad Augusta in Germania, e nel secolo XVII emersero anche a Londra e a Ginevra, dove si svilupparono metodi di produzione serializzata e specializzata di alcuni componenti.

A incrementare il mercato erano anche le nuove esigenze emerse con la grande stagione delle scoperte geografiche e del commercio transoceanico del 600: gli orologi erano una delle poche merci europee gradite in Oriente per le loro fattezze e l'ingegnosità dei meccanismi; la navigazione oceanica necessitava di orologi affidabili per il calcolo della longitudine.

La rivoluzione scientifica seicentesca ebbe un'immediata ricaduta sulla tecnologia degli orologi. Gli scienziati studiarono le proprietà dei metalli e delle leghe, resistenza, dilatazione tecnica, elasticità, e gli artigiani fecero tesoro di questi studi per migliorare la precisione e l'affidabilità dei loro manufatti. Tra le grandi innovazioni tecnologiche del periodo cruciale fu il pendolo, come scappamento al posto della verga con foliot. Fu l'olandese C. Huygens a costruire i primi orologi a pendolo intorno al 1660, aprendo l'era degli strumenti di precisione e segnando una discontinuità nella tecnologia della misurazione del tempo. Si passò a un margine di errore standard di almeno 15 minuti nell'arco della giornata a quello di 10-15 secondi col pendolo.

Il nuovo tipo di orologio non era però trasportabile e non risolveva il problema della determinazione della longitudine per i naviganti. L'innovazione fondamentale per risolvere questi problemi fu escogitata intorno alla fine del 600, con l'adozione del bilanciere a molla. Il margine d'errore degli orologi portatili si ridusse intorno ai 5 minuti al giorno, ancora troppo per la navigazione oceanica, ma la tecnologia degli orologi portatili aveva preso la strada giusta per avvicinarsi alla precisione del pendolo.

Ulteriori significativi perfezionamenti si sarebbero realizzati solo a partire dalla fine del secolo XIX con l'utilizzo della corrente elettrica.


Autonomie e vincoli dell'artigianato


Per tutto il medioevo l'occupazione predominante restò l'agricoltura; la terra, infatti, era al centro della vita economica e il suo possesso, da parte dei signori feudali o dei sovrani, si traduceva in un potere politico e dava luogo ad una gerarchia sociale con al grado più basso il contadino.

Nell'artigianato e nel commercio urbano del Basso Medioevo questo rapporto di subordinazione assumeva connotati diversi: l'attività manifatturiera si sviluppava come un'attività indipendente e autonoma. Questa libertà riguardava però la sfera giuridica e istituzionale. Perché l'artigiano urbano era comunque inserito in una trama di legami molto dinamici. A condizionare in primo luogo l'artigiano era il procacciamento delle materie prime e il settore degli scambi e il ruolo di chi li controlla risultano strettamente intrecciati alle attività artigianali e cruciali per la loro sopravvivenza. Anche nella società urbana medievale, chi aveva il dominio del ferro e del denaro aveva anche il potere politico, controllava le risorse e l'economia. Quindi nella maggior parte dei casi erano i mercanti a controllare la città e la produzione manifatturiera, non i produttori.


  • Città e produzione industriale

A partire dal secolo XI, le città europee tornarono a popolarsi e a rifiorire di attività produttive; ad abitarle e a rilanciarle furono soprattutto commercianti e artigiani. Le città del Basso Medioevo si caratterizzarono come città di produttori che lavoravano per il mercato rurale e per l'esportazione anche a lunga distanza. La concentrazione urbana della produzione industriale accentuò la specializzazione dei mestieri: per sopravvivere economicamente ed emergere nelle città dei mercanti e degli artigiani era necessario che ogni produttore si dedicasse preferibilmente alla lavorazione in cui eccelleva. La proliferazione dei mestieri e degli artigiani si accompagnava alla rinascita o alla fondazioni di molte corporazioni.

Il centro della vita produttiva e commerciale dell'artigianato urbano era sempre la bottega. Nella maggioranza dei casi l'artigiano era imprenditore, cioè padrone dei mezzi di produzione, bottega, strumenti e materia prima, produttore e commerciante dei propri prodotti. La figura più tipica dell'aiutante del maestro artigiano era l'apprendista, che a dieci o quindici anni di età entrava in bottega per imparare il mestiere; con lo sviluppo dell'organizzazione corporativa dei mestieri, l'apprendista veniva assunto secondo le regole stabilite dalla corporazione. L'apprendistato aveva durata variabile a seconda del mestiere; solo quando aveva imparato abbastanza il mestiere da risultare produttivo, cominciava a percepire un salario. Terminato l'apprendistato il garzone diveniva lavorante, e il suo ruolo e il suo salario erano stabiliti dalle regole della corporazione di cui era entrato a far parte; poteva dunque sperare di ascendere nella gerarchia diventando maestro, il che gli avrebbe concesso di esercitare autonomamente il mestiere. Non tutti i lavoranti riuscivano a diventare maestri e non tutti i garzoni compivano correttamente il loro apprendistato fino a entrare nei ranghi della corporazione; questi lavoratori si offrivano così sul mercato professionale, impiegandosi come salariati presso qualche maestro. Il loro rapporto con l'artigiano titolare era un semplice rapporto di lavoro contro salario: nasceva così un proletariato urbano, destinato ad accrescersi nel corso dei secoli XIV e XV, quando queste figure di lavoratori subordinati si diedero anche autonome forme organizzative e promossero degli scioperi per l'aumento dei salari.

Per tutti l'orario di lavoro in bottega durava dall'alba al tramonto.

La bottega era la forma più tipica dell'artigianato cittadino, ma la produzione manifatturiera medievale aveva anche forme più complesse. Un primo caso era quello che si verificava quando la funzione mercantile si separava da quella lavorativa e imprenditoriale dell'artigianato; in questo caso la produzione della bottega avveniva su ordinazione di uno o più commercianti che la vendevano in altre città. Questo sistema si sviluppo soprattutto nell'industria tessile, a partire dalla produzione dei pannilani, la cui lavorazione era complessa e le varie fasi erano compiute da artigiani in botteghe diverse, nel contesto di un processo produttivo che era possibile grazie all'esistenza di un mercante imprenditore in grado di finanziare e coordinare tutte queste operazioni e spostamenti del semilavorato. Questo sistema, Verlagssystem, stava cambiando qualcosa nell'organizzazione produttiva dell'artigianato: l'artigiano, infatti, tendeva a specializzarsi in una sola fase della produzione.

L'artigiano rimaneva comunque un produttore indipendente e la sua indipendenza e forza contrattuale erano garantite, nei riguardi dei salariati e dei mercanti, dalla sua appartenenza a una corporazione.

Nel settore tessile, anche gli imprenditori-commercianti provenivano dal mondo artigiano e si erano arricchiti fino a sviluppare la loro funzione di imprenditori rispetto a quella di produttori.

Verso la fine del secolo XIII, quando si diffusero le gualchiere, nei centri tessili delle Fiandre e della Francia del Nord, le corporazioni dei follatori si opposero all'introduzione di queste macchine, con il timore che ciò avrebbe falsato le condizioni di uguaglianza in cui i follatori dovevano esercitare la loro arte: chi aveva i capitali poteva comprarsi la gualchiera e migliorare e incrementare la produzione dei pannilana, alcuni colleghi al contempo avrebbero perso il lavoro.


  • La manifattura accentrata

Anche nel Medioevo esistevano delle industrie accentrate, caratterizzate dalla presenza contemporanea nello stesso luogo di molto lavoratori, sotto la direzione di un supervisore. Si trattava comunque di casi eccezionali nel contesto di un tessuto produttivo diffuso e incentrato sulla bottega artigiana.

Prima della rivoluzione industriale, l'edilizia era una delle attività produttive non agricole più rilevanti. Nell'edilizia però la concentrazione della manodopera era solo temporanea, finalizzata al compimento di una determinata opera; solo per un tempo limitato gli artigiani che perdevano la loro autonomia e si assoggettavano a un capomastro che dirigeva i lavori, mentre a sua volta ogni artigiano comandava la sua squadra di lavoro, composta da lavoratori salariati. I compensi per i maestri artigiani erano pagati a cottimo dal committente, cioè in base al lavoro portato a termine, e i singoli artigiani si occupavano di pagare il salario ai rispettivi dipendenti.

Anche nel lavoro delle miniere si realizzavano delle manifatture accentrate. La presenza di un grande numero di lavoratori in un complesso minerario era soprattutto dovuto alla compartecipazione di numerose imprese artigiane indipendenti, che compivano le diverse fasi della estrazione e prima lavorazione del minerale avevano ottenuto collettivamente i primi diritti di sfruttamento minerario tramite la loro corporazione.

Gli arsenali erano l'esempio più tipico di manifattura accentrata in ambito medioevale. Alla costruzione delle grandi navi commerciali e da battagli, attendevano centinaia di lavoratori; la costruzione di grandi navigli richiedeva grandi capitali, che provenivano da imprenditori privati o dallo Stato; la lavorazione era condotta da artigiani esperti che mettevano a disposizione le loro abilità e specializzazione in una determinata fase o procedimento dell'armatura della nave o nella creazione di complementi accessori, contro un compenso pattuito.


  • L'organizzazione corporativa

A partire dal secolo XIII, la maggior parte degli artigiani urbani addetti ai mestieri principali, così come gli esponenti delle professioni liberali, giuristi, medici, notai, erano organizzati in associazioni professionali e di mestiere.

Le corporazioni erano patti associativi tra uguali, cioè tra uomini che svolgevano lo stesso mestiere e avevano interessi comuni da difendere; la loro organizzazione tuttavia era aristocratica, infatti, solo i maestri eleggevano la direzione collegiale della corporazione, che esercitava il potere disciplinare sui membri e la vigilanza sul mestiere.

Per rendere più salda la solidarietà sociale tra i membri e la fedeltà ai propositi comuni, le corporazioni adottavano un proprio cerimoniale.

Le corporazioni medievali fornivano diverse forme di assistenza ai loro membri e la fedeltà ai propositi comuni., ma la loro funzione principale era quella di difendere il mestiere nel suo complesso attraverso la regolamentazione della produzione e il controllo dell'accesso all'Arte. I regolamenti corporativi che gli affiliati giuravano di rispettare, comprendevano innanzitutto l'obbligo di non divulgare a estranei il segreto del mestiere, cioè le tecniche di lavorazione; vi erano inoltre norme in tema di controllo della qualità; anche la formazione di scorte di materie prime da parte degli artigiani era sottoposta a regolamento, come anche l'impiego di lavoranti salariati e apprendisti. L'intendimento era quello di mantenere la concordia e l'uguaglianza tra i membri, evitando che qualche bottega si ingrandisse troppo e che qualche artigiano si arricchisse più degli altri. Sotto l'influsso dei regolamenti corporativi, tutte le botteghe di una stessa città seguivano quindi gli stessi metodi di lavorazione e ogni città si distingueva dalle altre per lo standard delle sue merci.

L'altra principale funzione delle corporazioni era la limitazione e il controllo della professione, per preservare gli artigiani corporati dalla concorrenza. l'ingresso in una corporazione comportava il pagamento di una tassa, oltre alle imposte dovute allo stato per tenere la bottega. L'accettazione di un nuovo membro era comunque subordinata al gradimento della corporazione; infatti, i forestieri dovevano pagare tasse di ingresso più alte e l'immigrazione in città di lavoratori non qualificati era contrastata in ogni modo. Sempre per preservare il monopolio della produzione e i segreti dell'Arte, la corporazione vietava ai membri l'esercizio del mestiere fuori dalle mura della città.

L'accettazione dell'iscrizione alle Arti anche dei lavoranti salariati, che si diffuse a partire dalla fine del secolo XIII, nasceva dall'ambizione di controllare in modo monopolistico anche questo mercato.

Le corporazioni influenzarono la produzione industriale e l'economia fino a gran parte del secolo XVIII. Inizialmente esse ebbero il merito di sviluppare un'organizzazione della produzione che salvaguardava i livelli di qualità dei prodotti e anche, sul piano sociale, di contribuire a inserire i ceti produttivi nella dialettica politica del governo della città. L'ambizione monopolistica delle Arti e i numerosi vincoli imposti erano però di ostacolo alla diffusione delle innovazioni tecnologiche, all'incremento della produttività, alla separazione tra commercio e produzione, alla formazione di un ceto di imprenditori capitalistici.

La razionalità economica e politica delle corporazioni venne meno con lo sviluppo del capitalismo mercantile e con la rapida crescita della domanda dei beni.


  • Il lavoro delle donne

Nella produzione industriale anche le donne medievali avevano un ruolo rilevante.

Il lavoro manifatturiero e commerciale femminile era prevalentemente non istituzionalizzato, prestato in aiuto o in surroga ai maschi della famiglia. La presenza femminile era frequente nel piccolo commercio al dettaglio, specie ambulante, nelle osterie e negli alberghi e, per quanto riguarda la produzione manifatturiera, soprattutto nel settore tessile. Nella filatura in particolare le forze lavorative erano prevalentemente femminili; la presenza femminile era importante anche nella tessitura e nelle lavorazioni di finitura (cucitura, ricamo, sartoria).

Come sempre poi, le donne lavoravano per la famiglia come addette ai lavori domestici.


Civiltà economiche a confronto


  • Centri e periferie in Europa

Tra i secoli V e XV l'Europa cristiana del medioevo era caratterizzata particolarismo politico e frammentazione; l'Europa potava essere un'entità geografica e culturale ben diversa a seconda di dove un osservatore si poneva. Alle fratture politiche, linguistiche, geografiche, si sommavano quelle economiche; l'Occidente non costituiva un tutto economico.

Fin dal secolo XI, le Fiandre e l'Italia settentrionale e centrale erano i due più grandi poli di sviluppo dell'Occidente. Le loro economie erano in parte concorrenziali e in parte complementari; entrambi i poli avevano sviluppato fiorenti industrie tessili, più avanzata nel settore laniero quella delle Fiandre, che dipendeva molto dall'importazione di lane inglesi e produceva prodotti di alta qualità, più incentrata e sviluppata nel segmento delle operazioni finali di tintura e rifinitura dei pannilani, sulla tessitura del cotone e poi della seta quella dell'Italia. A livello commerciale la complementarità tra le due economie era spiccata: i prodotti tessili delle Fiandre erano commercializzati nell'Europa settentrionale da mercanti itineranti, mentre l'esportazione verso l'Europa mediterranea e il Levante, era opera degli italiani, i quali rifornivano le fiandre e le regioni da esse influenzate economicamente, Germania settentrionale e Francia nordoccidentale con le piante tintorie per l'industria tessile.

Punto d'incontro e di scambio erano le fiere della regione francese della Champagne. Dal secolo XIII però, il centro del commercio tra nord e sud Europa, divenne la città fiamminga di Bruges, dove grazie agli investimenti dei commercianti e dei manifattori locali, venne costruito un sistema di canali che la collegavano al Mare del Nord e ne facevano un porto efficiente e sicuro. Bruges, sede di rappresentanza commerciale delle città germaniche e italiane, francesi e catalane, si affermò come il principale centro commerciale europeo fino a tutto il secolo XV.

Nelle gerarchie economiche l'Italia, per gran parte del Medioevo, non mostrò segni di decadenza; Genova e Venezia dominavano rispettivamente il Mediterraneo occidentale e quello orientale ma la crisi demografica e la recessione economica del secolo XIV preparava, però, una diversa dislocazione dei poli di sviluppo europei, che in età moderna si sarebbero consolidati.

Nell'Europa settentrionale la crisi aprì le porte a uno sviluppo intensivo dell'agricoltura e alla sua integrazione con l'allevamento e l'industria alimentare, nel contesto di una dissoluzione dei residui legami di servitù contadina in contratti di godimento della terra. Fu in questa fase che emerse per la prima volta la potenzialità economica dell'Inghilterra, un paese in cui la scarsità della popolazione e l'abbondanza di terra consentirono un netto miglioramento della vita materiale dei coltivatori, lo sviluppo dell'attività agricola e dell'allevamento. Si resero così disponibili nuovi capitali da immettere nel circuito economico, promovendo la crescita e lo sviluppo del commercio.

Nell'Europa meridionale l'orientamento della produzione agricola fu meno marcato e concentrato solo in alcune aree, tra cui la Lombardia. Le città italiane cominciarono quindi a perdere terreno sui mercati settentrionali.

Nei traffici con l'Oriente gli italiani erano ancora in posizione preminente ma l'avanzata turca e la presa di Costantinopoli, 1453, costrinse veneziani e genovesi ad abbandonare il Mar Nero, ridimensionando l'impero coloniale-commerciale italiano. Con i portoghesi che, con la seconda metà del secolo XV, avevano raggiunto le Indie, circumnavigando l'Africa, aggirando il pericolo turco, il centro di gravità del commercio Europeo meridionale stava spostandosi verso ovest; la scoperta delle terre oltre l'Atlantico avrebbe segnato il definitivo arretramento dell'Italia centrosettentrionale nella gerarchia economica dell'Europa.


  • L'altra parte del Mediterraneo: l'Islam


Glia arabi erano originariamente una popolazione dedita alla pastorizia e al commercio; consolidando il loro impero tra i secolo VII e VIII, divennero però una civiltà di tipo urbano. Le città erano, infatti, il cuore pulsante della vita culturale, religiosa e d economica dell'Islam. Il territorio assoggettato dall'impero arabo era prevalentemente desertico e quindi non adatto all'agricoltura.

In generale il mondo islamico non costituì mai un'economia unificata; ciascuna regione seguì autonomi percorsi di sviluppo, senza una vera specializzazione produttiva, e allacciò rapporti commerciali indipendenti con altre regioni arabe o con il mondo cristiano.

Gli arabi viaggiavano e commerciavano per mare e per terra. Lunghe carovane di migliaia di cammelli attraversavano le zone desertiche, cariche di mercanzie, tra Oriente e Occidente e viceversa, mentre le flotte mercantili musulmane dominavano la parte settentrionale dell'oceano Indiano, e solcavano il Mediterraneo a scopo di commercio o pirateria. Le tecniche commerciali arabe erano evolute, si basavano su una contabilità complessa, che a fine Medioevo sarebbe penetrata anche in Europa, e utilizzavano per le transazioni sia monete d'oro, sia lettere di credito.

I rapporti dell'Islam con l'Europa furono conflittuali sul piano politico e militare, ma gli scambi commerciali non si interruppero mai. Gli stati islamici furono per secoli i principali intermediari tra Europa e Asia. Grazie alla intermediazione araba inoltre, molti elementi della tecnologia cinese raggiunsero l'Europa, dove si diffusero anche nuove coltivazioni di importazione come il riso, la canna da zucchero e molte specie di frutta e ortaggi provenienti dall'Asia orientale, dall'India o dall'Africa. La chiesa romana ufficialmente proibiva i commerci coi musulmani, ma il divieto rimaneva sostanzialmente inascoltato e i rapporti delle città mercantili cristiane, in particolare Genova, Pisa e Venezia, con arabi e ottomani, erano intensi.

Con la conquista ottomana però molte cose cambiarono nei rapporti italiani e Levante musulmano. Genovesi e veneziani al momento della conquista ottomana ottennero una serie di privilegi anche a Istanbul, privilegi esclusivamente commerciali; Venezia dopo la caduta di Costantinopoli, entrò in un conflitto permanente con gli ottomani per mantenere i suoi privilegi territoriali e Genova perse le sue colonie sul Mar Nero.


La Cina: un confronto con l'Europa


La base dell'economia cinese era l'agricoltura irrigua a d alta intensità di lavoro, perfezionata intorno all'anno Mille dall'introduzione di una nuova varietà di riso che poteva essere seminato e raccolto due volte in un anno nella stessa risaia, cosa che consentiva dunque un'altissima produttività della terra e permetteva di sostenere la notevole crescita demografica. L'agricoltura fu in seguito migliorata con imponenti opere del governo delle acque irrigatorie. Nelle campagne cinesi l'aratro in ferro si diffuse dal secolo VII; dal secolo XIII si utilizzarono nuovi concimi e si effettuarono disinfestazioni periodiche dagli insetti con agenti chimici e biologici.

L'alta produttività dell'agricoltura permise la crescita urbana e lo sviluppo di parecchie manifatture specializzate. I cinesi avevano cominciato a fondere il ferro con il metodo indiretto almeno un migliaio di anni prima che in Europa, ed erano in grado di produrre acciai sofisticati e funzionali.

La manifattura della seta nacque in Cina, e gli antichi romani ne vennero a conoscenza attraverso gli scambi commerciali che già esistevano tra i due mondi lungo la via della seta. L'industria chimica produceva lacche, solfati di rame come insetticidi, prodotti medicinali a base di erbe, esplosivi. Anche la carta, la stampa, la porcellana, la balestra, il compasso magnetico, erano invenzioni cinesi: alcune penetrarono in Occidente attraverso gli arabi, altre furono reinventate dagli europei in periodi successivi.

Nel secolo XV la Cina non pareva lontana dall'industrializzazione, almeno dal punto di vista della tecnologia disponibile. Ciò nonostante la Cina non avrebbe mai realizzato quel salto di qualità nella tecnologia e nei rapporti di produzione che potesse dare avvio a un'era industriale.

I motivi per cui la Cina, partita da posizioni di vantaggio, fu poi superata dall'Europa nello sviluppo economico sono vari; innanzitutto è da rilevare il fatto che fu l'Europa, tra i secoli XII e XVIII, a espandersi con ritmi alti; l'economia cinese continuò comunque a crescere, ma a ritmi lenti, soprattutto attraverso il commercio interno e la colonizzazione delle province meridionali che vennero messe a coltura.

I modelli dell'espansione cinese e europea erano diversi. L'economia cinese si basava, infatti, sulla produzione di riso: tramite disboscamenti e bonifiche estese la superficie coltivabile e la utilizzò sfruttando il lavoro umano in modo sempre più intensivo. Anche gli europei conobbero questa fase, ma passarono a poco a poco a un diverso impiego delle risorse per incrementare la produzione, attraverso il risparmio di lavoro e terra. E soprattutto a partire dal Medioevo, cominciarono a concepire la tecnologia come un elemento di sviluppo per l'economia.

Il confucianesimo, diffusosi sin dal secolo V a. C., rappresentava il fondamento filosofico della civiltà cinese. Si trattava di una serie di precetti morali che esaltavano sopra ogni altra virtù l'ordine, l'obbedienza e la sottomissione gerarchica. Ne sarebbe derivata una struttura sociale bloccata, con l'imperatore considerato di origine divina, un ristretto strato di aristocratici latifondisti e la massa enorme di contadini poveri e sottomessi. La produzione industriale, quindi, non poteva svilupparsi perché non aveva sufficiente mercato e un'estesa produzione di utensili non serviva in presenza di grandi quantità di manodopera. Neanche il commercio era molto reputato dalla dottrina confuciana.

In Cina per secoli, l'innovazione e la ricerca scientifica erano state promosse soprattutto dallo stato, dall'imperatore e dalle sue articolazioni locali, piuttosto che essere frutto dell'iniziativa privata. Gli imperatori illuminanti dell'ultima dinastia mongola e i primi imperatori della dinastia Ming incoraggiarono, per esempio, le esplorazioni via mare. Si svilupparono quindi avanzatissime tecnologie di costruzione delle navi, di velatura e di navigazione, che portarono i marinai e i coloni cinesi in India, Giappone, Filippine e sulle coste orientali dell'Africa. Nel secolo XV però gli imperatori imposero il divieto di costruire grosse navi oceaniche, e la fine della colonizzazione. Ciò per motivi di politica interna, con l'intenzione di limitare l'arricchimento e lo sviluppo dei ceti commerciali che avrebbero potuto incrinare gli equilibri politici generali, minando il potere dell'imperatore e della sua vasta e corrotta burocrazia. Tale inversione di rotta ebbe effetti sfavorevoli sull'espansione commerciale cinese e sulla crescita complessiva del paese.































L'età dell'espansione europea: dal secolo XVI alla metà del XVIII


Cap. 3 ECONOMIA E SOCIETA'


L'Europa e il mondo


I circa 250 anni trascorsi tra la scoperta europea dell'America e le prime avvisaglie della rivoluzione industriale, non rappresentarono, per la storia economica europea, un blocco unico. A momenti di espansione della popolazione, della produzione e dei prezzi, seguirono fasi di ripiegamento o addirittura di crisi. Tuttavia il secolo XVI come tornante di svolta di una nuova era ha un significato valido anche dal punto di vista della storia economica; il Cinquecento, infatti, segnò l'inizio di un processo economico che pose l'Europa al centro del mondo, sino alla formazione di una vera e propria economia mondiale. Per il momento però l'Europa non dominava il mondo.

Gli europei collegavano le economie del mondo ma dominavano solo quella dell'America centromeridionale, che avevano occupata, mentre l'Africa centrale era utilizzata, dagli europei e dagli ottomani, come territorio di rapina di manodopera schiava.

Il complesso processo di espansione del commercio europeo nel mondo avviò alcune importanti trasformazioni nelle economie del continente, la più rilevante delle quali fu lo spostamento dei principali poli di sviluppo verso i paesi affacciati sull'Atlantico; Portogallo e Spagna furono i primi protagonisti dell'espansione geografica e i primi a trarne benefici economici, ma furono presto soppiantati dall'Olanda e dall'Inghilterra.

Dal punto di vista della produzione agricola e industriale, le più significative evoluzioni di lungo periodo furono il progresso dell'agricoltura intensiva e una delocalizzazione delle industrie dalle città alle campagne, dove la produzione poteva sfuggire alle strette dei regolamenti corporativi. I grandi protagonisti dell'espansione economica europea furono soprattutto i mercanti: un capitalismo commerciale sempre più evoluto e più intraprendente pose l'Europa al centro della rete mondiale dei commerci, con il favore e l'appoggio dei governi degli stati nazionali, che si consolidarono nel corso dell'età moderna.


L'Europa colonizzatrice e le sue motivazioni


A spingere gli europei verso l'esplorazione di nuove terre e la navigazione di mari sconosciuti fu un complesso di ragioni di ordine culturale, che avevano radici antiche, e di fattori contingenti di ordine prevalentemente economico. In particolare, nel secolo XV, il forte espansionismo ottomano in Medio Oriente e nell'Africa settentrionale minacciava le tradizionali vie commerciali per le Indie, imponendo agli europei il ricorso a intermediari arabi. Le prime direttrici dell'esplorazione portoghese erano volte, infatti, ad aggirare il mondo musulmano da sud, circumnavigando l'Africa.

Prima che si prendesse cognizione della scoperta di un nuovo mondo, si era già accesa la rivalità tra Spagna e Portogallo per il possesso di nuovo approdi d'oltreoceano stabiliti dagli esploratori. Nel 1494 i due paesi siglarono il trattato di Tordesillas, con il quale venivano spartite le rispettive aree di influenza nei territori atlantici. Gli iberici concentrarono la loro colonizzazione nell'America centrale e meridionale. La Spagna puntò presto sulla costituzione di un grande impero coloniale basato sull'insediamento permanente nelle terre conquistate, mentre i portoghesi cercarono soprattutto di stabilizzare i loro domini, posti strategicamente lungo la via commerciale marittima per le Indie; a partire dal 1500 però anche il Portogallo si stabilizzò nell'America meridionale, nel territorio dell'odierno Brasile.

L'America settentrionale divenne oggetto della colonizzazione europea a partire dal secolo XVI; se ne interessarono gli olandesi, i francesi, e soprattutto gli inglesi. La presenza colonizzatrice degli inglesi fu molto numerosa e vitale.



L'espansione demografica


A partire dalla seconda metà del secolo XV, la popolazione riprese a crescere con un ritmo significativo. Tra i grandi stati europei quello più popolato era la Francia, che alla fine del secolo XVI contava 18-20 milioni di abitanti, seguita dalla Russia e dall'Impero asburgico con circa 14-16 milioni di abitanti, circa 10 milioni di abitanti popolavano gli stati iberici, mentre la penisola italiana mantenne per tutto il 500 una popolazione stabile intorno ai 10-12 milioni. Lo stesso trend di crescita interessò anche il resto della popolazione mondiale, stimata in oltre 400 milioni di individui intorno alla fine del secolo XVI.

Su tutto il mondo ebbe un effetto benefico il miglioramento climatico che durò per tutta la seconda metà del 500, con temperature miti che favorirono l'agricoltura, consentendo raccolti più abbondanti e regolari.

La pressione demografica stimolò lo sviluppo dell'agricoltura ma si trattò di uno sviluppo prevalentemente estensivo, determinato dall'allargamento della superficie coltivata, più che di un'evoluzione delle tecniche di coltivazione; nel corso del 5-600 non si registrarono significativi progressi tecnologici in campo agricolo e il lavoro umano rimase ancora a lungo il fattore produttivo fondamentale.

L'estensione delle coltivazioni alle terre marginali e poco fertili e la mancanza, tra i contadini, dei capitali necessari per acquistare sementi meglio selezionate e concimi, erano le cause principali di questa stagnazione dello sviluppo tecnico in agricoltura.


Caratteri e conseguenze dell'espansione commerciale


Le prime navi iberiche che toccarono l'America rientrarono in Europa importando quei prodotti dell'agricoltura americana che avrebbero trasformato, nel corso dei secoli, le abitudini alimentari, le economie agricole e le mode del vecchio continente. Per contro i colonizzatori europei introdussero in America alcune specie vegetali prima sconosciute, ma adatte a quei climi, e ne avviarono la coltivazione intensiva.

L'espansione geografica egli europei determinò un grande aumento del volume delle merci scambiate; il valore più rilevante fu costituito dalla importazione in Europa di oro e argento americani che, nel corso del 500, consentì di triplicare le scorte europee di metalli preziosi adatti per coniare monete. Un tale incremento della disponibilità di metallo prezioso comportò un aumento della liquidità internazionale e favorì lo sviluppo degli scambi.

Di importanza cruciale per l'economia europea fu soprattutto l'importazione di argento. Infatti, la produzione delle miniere d'argento consentiva flussi costanti e consistenti. Nel 500 le miniere d'argento dell'Europa centrale erano sfruttate secondo sistemi abbastanza avanzati, con ampio impiego di manodopera salariata e l'utilizzo di macchine: nel 1560 le stesse tecniche furono introdotte dagli spagnoli nelle miniere della Bolivia e del Messico settentrionale.

Nella seconda metà del secolo XVI, l'abbondanza di argento in Europa facilitò i commerci con l'Oriente, dove il metallo era raro e quindi molto costoso.

L'espansione monetaria contribuì all'aumento dei prezzi dei generi agricoli e manifatturieri che si riscontrò per l'intero secolo XVI, anche se ciò fu determinato anche dalla crescita demografica e dalle esigenze degli stati che determinarono una maggiore domanda di beni.

La tendenza dei prezzi al rialzo causò una ridistribuzione della ricchezza: se ne avvantaggiarono quelle categorie che godevano di redditi elastici rispetto ai prezzi, come i commercianti e i grandi proprietari terrieri soprattutto, ma anche gli artigiani indipendenti di alcuni settori. Chi invece disponeva di redditi fissi, come i salariati, fu svantaggiato.

La popolazione cresceva più rapidamente della produzione agricola, quindi il prezzo dei generi alimentari aumentava più dei salari reali; inoltre l'offerta di lavoro era più elevata della domanda, sicché non c'era sufficiente possibilità di occupazione per tutti, con conseguenze sui salari. Dunque i salari monetari furono sopravanzati dai prezzi e quindi i salari reali diminuirono.

Inoltre in seguito alla crescita demografica, il numero dei contadini si moltiplicava, mentre la terra disponibile per ciascuno diminuiva. Conseguenza fu l'allontanamento dal contado di ampie fasce della popolazione e la loro emigrazione nelle città, alla ricerca di un lavoro salariato.


Il capitalismo commerciale


Capitalismo è un termine che nacque nella seconda metà dell'800 per designare una forma di economia di mercato caratterizzata dalla produzione industriale basata su un consistente impiego di capitali fissi di provenienza privata, nonché sull'impiego esteso di manodopera salariata.

Protagonisti dell'espansione economica dell'Europa cinquecentesca furono comunque imprenditori che avevano già parecchie di quelle caratteristiche di modernità e dinamicità proprie del capitalismo del mondo industriale. Certo più che nelle industrie investivano nel commercio a distanza, con una prevalenza degli impieghi monetari del capitale. Comunque i capitalisti dell'età moderna svilupparono una mentalità nuova, propensa al rischi e al calcolo economico, e contribuirono all'accumulazione di ricchezza.

Nel 500 i capitalisti cominciarono ad associarsi e a formare società commerciali, anche giovandosi dell'appoggio degli stati. A partire dalla seconda metà del secolo XVI, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e poi in Francia e nei paesi baltici, nacquero diverse compagnie detentrici di privilegi commerciali monopolistici, concessi dalle autorità nazionali: la più famosa fu l'East India Company, fondata nel 1600 e protagonista della penetrazione prima commerciale e poi coloniale dell'Inghilterra in India. Queste compagnie commerciali nascevano spesso come società di più finanziatori, ognuno dei quali partecipava con una propria quota al capitale dell'impresa, che veniva posto sotto un'amministrazione comune; la novità era costituita dal fatto che il contratto che legava i soci non era limitato a un solo viaggio, ma in genere era concluso per un periodo di diversi anni.

Un'altra istituzione del nascente sistema del capitalismo commerciale fu la Borsa. Con l'aumentare delle merci in vendita e il moltiplicarsi delle società di capitali, gli uomini d'affari avevano bisogno di sedi dedicate per le loro transazioni. Nel 1531 Anversa, inaugurò la sua Borsa. Le principali borse in età moderna erano quelle di Londra, sorta nel 1571, e quella di Amsterdam, 1611. le borse erano associazioni private, dove i mercanti trattavano la compravendita di merci, gli uomini d'affari potevano comprare e vendere le carature delle compagnie commerciali e le obbligazioni emesse dagli stati o dai privati per ottenere denaro in prestito. L'incontro della domanda e dell'offerta portava dunque alla formazione del prezzo all'ingrosso delle merci, delle quote societarie e delle valute.


La fine del "secolo d'oro" (e d'argento)


Per la storiografia spagnola il 500 fu il secolo d'oro grazie alla grande espansione dei domini iberici nel mondo americano e alle straordinarie ricchezze che vennero importate in Europa, e dell'argento, grande strumento del commercio con l'Oriente e concausa dell'impennata dei prezzi. Tuttavia ai primi anni del secolo XVII le miniere americane fornirono l'argento in quantità sempre minori, innescando una fase di riflusso, caratterizzata anche dalla diminuzione dei prezzi. All'espansione cinquecentesca fece seguito un periodo di rallentamento che durò fino ai primi decenni del settecento; il declino interessò l'agricoltura e il commercio e fu evidente anche nell'industria.

A innescare e ad aggravare il ristagno economico contribuirono numerosi fattori: l'instabilità politica dell'Europa, la scarsa sicurezza delle rotte commerciali atlantiche, e soprattutto un rallentamento demografico.

A determinare il calo demografico contribuirono le guerre e le conseguenti carestie.

In mancanza di significativi progressi delle tecniche agricole, nel corso del seicento. In molti paesi la produttività dell'agricoltura diminuì; la carenza di mezzi di sussistenza provocò una mutazione dei costumi matrimoniali e sessuali, innalzando l'età media dei matrimoni riducendo il numero di figli per famiglia.

Questa fase di arretramento dell'economia ebbe andamenti e risultati diversi nei vari stati del continente. Spagna e Portogallo dilapidarono le ricchezze accumulate nel periodo del loro predominio commerciale; molto più dinamiche erano le economie dell'Inghilterra, anche grazie al sostegno dello stato, e dell'Olanda, dove c'era una forte integrazione tra la produzione agricola specializzata, l'industria e il commercio. Verso la fine del secolo XVII anche la Francia si attrezzò per una ripresa economica, con l'adozione di una politica di intervento statale sull'economia.

Nel seicento dunque si avviarono processi di differenziazione economica e di trasformazione politica delle varie aree dell'Europa: si trattò di un crisi di crescita e non di una decadenza complessiva dell'Europa. Dopo il secolo XVII l'Europa confermò, infatti, la sua centralità nel mondo, rimasta tale fino alla metà del secolo XX.

All'interno del continente mutarono però gli equilibri, con l'emergere di Olanda e Inghilterra come nuove protagoniste dello sviluppo commerciale e economico.


Le politiche economiche


L'obiettivo di rafforzamento e della maggior potenza, anche militare, indusse i governi a prestare particolare attenzione all'economia.

Il tema dello sviluppo economico dello stato portò a partire dal XVII secolo, all'elaborazione di un complesso di dottrine sugli interessi economici degli stati e sui modi di perseguirli, che prese il nome di mercantilismo. Il mercantilismo non fu una politica economica unitaria, ma una collezione di indirizzi e di provvedimenti di politica economica, con l'intento di accrescere la ricchezza dello stato, come presupposto a una politica di potenza e di espansione territoriale.

A ispirare le politiche mercantiliste era la concezione della ricchezza del mondo, per la quale era importante la massa di metalli preziosi disponibili, come una quantità fissa e immodificabile.: i singoli stati dovevano quindi agire per conquistarne il più possibile a scapito degli altri paesi. La via seguita era quella dell'accumulazione di metalli preziosi tramite ostacoli protezionistici alle importazioni di merci e incentivi alle esportazioni; lo scopo era quello di vendere molto e comprare poco. Gli stati istituirono così monopoli commerciali tra madrepatria e colonie, vietarono ai commercianti stranieri di introdurre alcune merci nel territorio nazionale, lo sviluppo dell'industria nazionale fu incentivato con la concessione di monopoli temporanei per la produzione di determinati beni o l'applicazione di processi produttivi innovativi, chiamati privative.

Il mercantilismo era una forma di politica di potenza basata sullo sviluppo economico e sulle esportazioni.

La possibilità per i governi europei di incidere sullo sviluppo economico, derivava dal grado di controllo del governo sul paese, sulle diverse forze sociali e sugli interessi economici contrastanti dei sudditi.

La figura emblematica del mercantilismo francese fu Colbert, il plenipotenziario nelle politiche economiche sotto Luigi XIV. I suoi principali obiettivi erano il rafforzamento del potere assoluto del sovrano e l'autosufficienza della Francia dal punto di vista economico. Per tutelare la crescita dei settori economici francesi, Colbert introdusse una serie di dazi protettivi nel 1664, che misero la Francia in contrasto militare con l'Olanda, principale pater commerciale; una serie di editti, culminati nel 1673, regolarono con un unico corpus normativo nazionali le disposizioni vigenti in campo manifatturiero e commerciale. ; gli editti istituirono inoltre un sistema centralizzato di controlli sulla qualità dei controlli francesi, che aveva lo scopo di migliorare lo standard delle merci nazionali. Misure dello stesso segno interessarono anche il mondo rurale; l'intento comune era quello di evitare l'interferenza tra i diversi settori economici. Colbert istituì poi le manifatture regie, cioè industrie protette dal monopolio e sostenute da ingenti finanziamenti statali, nei settori delle merci di lusso e nella produzione di armi, e anche numerose imprese private vennero incoraggiate con sovvenzioni statali. Per sviluppare il commercio internazionale e coloniale, venne promossa la creazione di compagnie azionarie monopolistiche.

Complessivamente l'interventismo dirigista di Colbert nell'economia francese ebbe risultati limitati, non riuscì cioè a risanare le disastrate finanze pubbliche della Corona e non incise molto sullo sviluppo economico del paese. Del resto nell'età di Luigi XIV, la Francia attraversava una grave crisi economica, causata dalle numerose guerre. Il dinamismo economico del paese venne poi ulteriormente ridotto dall'espatrio forzato di circa 200.000 protestanti francesi. Appartenenti all'élite intellettuale, tecnica ed economica, in seguito alla revoca dell'editto di Nantes del 1685 e alla ripresa delle persecuzioni degli ugonotti.

In Inghilterra la preminenza del Parlamento sugli interessi della Corona, affermatasi definitivamente dopo la Glorious Revolution del 1688, rese possibile il perseguimento di una politica coerente di sviluppo economico-militare. La politica economica si indirizzò verso lo sviluppo della potenza nazionale, con il contributo dei diversi interessi di gruppi sociali che avevano rappresentanza in Parlamento.

La rigorosa politica di ispirazione mercantilistica inglese ebbe la sua massima espressione negli Atti di Navigazione, che dal 1651 ebbero lo scopo di proteggere la marina mercantile nazionale e di strappare agli olandesi il predominio delle spedizioni marittime e della pesca in acque inglesi.

Diversamente che in Francia, lo Stato non esercitò un rigido controllo dell'economia interna. I controlli sulla qualità dei prodotti e sui prezzi, erano meno efficaci che in Francia, ma questo consentì agli imprenditori inglesi di godere di una maggiore libertà; inoltre l'immigrazione degli artigiani specializzati dagli altri paesi fu incentivata e con essa la diffusione delle innovazioni tecnologiche.


La preindustrializzazione e le premesse di uno sviluppo industriale


Resistere alla depressione seicentesca e incrementare lo sviluppo economico fu possibile per quelle aree che reagirono con innovazioni nell'organizzazione della produzione industriale.

Uno di questi fu l'estensione massiccia del Verlagssystem nelle campagne, cioè dell'industria a domicilio diretta da mercanti-imprenditori del settore tessile. Tra 600 e 700 la circolazione commerciale dei prodotti dell'industria a domicilio dell'età moderna era ormai su scala mondiale, in una situazione che offriva agli imprenditori una maggiore ampiezza e stabilità della domanda e consentiva un'applicazione più vasta e continuativa dell'attività produttiva. La manodopera non veniva più reclutata tra gli artigiani cittadini ma, nelle campagne più povere, dove i salari potevano essere più bassi, eludendo l'influenza delle corporazioni cittadine e dei numerosi vincoli da esse imposte alla produzione, e gli imprenditori traevano quindi maggiori utili.

L'industria a domicilio rurale si diffuse quasi esclusivamente nel settore tessile, per la produzione di panni a buon mercato di cui c'era grande richiesta sui mercati cittadini e internazionali.

L'industria a domicilio rurale tuttavia, non fu necessariamente un preludio all'industrializzazione: molte aree da essa interessata decaddero nei secoli XVIII e XIX, senza che vi si sviluppasse un'industria moderna, basata sul sistema di fabbrica e la meccanizzazione dei processi produttivi. Il Verlagssystem rurale rimase per un paio di secoli come una forma di produzione parallela all'industrializzazione.

L'industria come produzione artigianale per il mercato, ara nata grazie alla disponibilità di un surplus alimentare prodotto dall'agricoltura. La precondizione necessaria per lo sviluppo dell'industria e di nuove forme di organizzazione manifatturiera era, dunque, un'agricoltura in grado di aumentare i rendimenti, per nutrire più persone con meno lavoro. Fu l'Inghilterra la protagonista di una Rivoluzione Agricola nel 700.

A partire dagli ultimi decenni del secolo XVII, l'Inghilterra meridionale cominciò ad applicare metodi più sofisticati all'agricoltura in un contesto diverso, caratterizzato cioè da una popolazione relativamente scarsa e da una maggiore disponibilità di terra. Questo processo di trasformazione agricola si estese a gran parte del paese, intorno alla metà del Settecento, e interagì con la Rivoluzione Industriale.

Le componenti fondamentali della Rivoluzione Agricola inglese furono la ricomposizione della proprietà fondiaria, la rotazione permanente delle colture, l'estensione delle terre coltivate, l'integrazione stretta e completa con l'allevamento. In Inghilterra si diffuse la ricomposizione degli appezzamenti sparsi di terra coltivabile in grandi campi contigui e recintati, sui quali agli inizi del 700 comparvero anche le prime macchine agricole. Le terre coltivate vennero estese con bonifiche e sui campi venne introdotta una forma di rotazione delle colture su base poliennale, che consentiva di non lasciare mai a riposo la terra, ma di rigenerarla con la combinazione di vegetali adatti all'alimentazione animale. Si sviluppò così, l'allevamento intensivo di un bestiame sempre più selezionato secondo le capacità produttive e riproduttive. La produzione e la produttività agricola in Inghilterra crebbero rapidamente, e dalla metà del 700 furono in gradi di sostenere una forte espansione demografica.

La crescita della popolazione e di un'agricoltura in grado di sostenerla sono due condizioni favorevoli per avviare uno sviluppo industriale, ma non sufficienti. Oltre al problema del reperimento della manodopera, si pongono, infatti, anche quelli della disponibilità di capitale da investire, delle fonti di energia e dell'incremento dei trasporti per collocare sul mercato i prodotti industriali. Una delle conseguenze della Gloriosa Rivoluzione, fu di mettere la finanza pubblica del regno sotto il controllo del Parlamento; ne derivò una riduzione del debito pubblico e una minore pressione fiscale sui ceti superiori. Si liberarono così i capitali, che potevano essere investiti direttamente nel commercio e nell'industria, o che più frequentemente furono investiti nella costruzione di infrastrutture nel settore dei trasporti, che indirettamente facilitava il futuro processo di industrializzazione.

Nel mondo preindustriale le principali fonti di energia erano acqua e legno. Fu in particolare la progressiva scarsità di legname e quindi il suo lato costo, a indirizzare le industrie e i consumi privati verso combustibili alternativi. Dall'inizio del secolo XVII si iniziarono a sfruttare su larga scala i combustibili fossili, cioè il carbone e la torba. L'importanza dei combustibili fossili sarebbe diventata determinante nell'industria a partire dalla metà del 700, quando cominciò a diffondersi il processo di diffusione del coke, una forma quasi pura di carbone, adatta all'utilizzo negli altiforni.


Cap.4 I GRANDI TEMI


Nuove visioni del mondo e nuove abitudini


  • Mentalità e sviluppo economico

Il protestantesimo causò una rottura nell'unità religiosa, culturale e sociale dell'Europa cristiana e fu uno degli elementi che determinarono le diverse evoluzioni politiche di alcuni stati europei in età moderna. La diversa evoluzione politica degli stati finì per orientare le caratteristiche di sviluppo delle economie nazionali; l'intero complesso della cultura, religione compresa, ebbe un'influenza indiretta sull'economia. Resta però la questione se le confessioni riformate esercitarono un'influenza diretta sullo sviluppo del capitalismo. Il sociologo Max Weber, nell'opera L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1905, afferma che lo sviluppo delle dottrine protestanti, e in particolare del calvinismo orientarono gli uomini verso un modo di pensare razionale e prepararono il terreno allo sviluppo del capitalismo; per Weber, infatti, lo spirito del capitalismo è un atteggiamento mentale che orienta razionalmente ogni atto verso una progressiva accumulazione della ricchezza. Secondo la teologia protestante, l'uomo non può influire con opere esteriori sulla decisione di Dio di salvare o dannare l'anima: ne deriva una condotta di vita basata sulla laboriosità, l'ordine e la modestia, lontana dalla fastosità e dai lussi e orientata a preservare e incrementare la ricchezza, anch'essa un dono di Dio e della sua predilezione.

Si diffuse così una nuova mentalità, secondo la quale l'accrescimento della ricchezza materiale e la potenza economica divennero obiettivi desiderabili e perseguibili, per i singoli individui e per gli stati nazionali.

In questo ambito culturale furono concepite e si diffusero le politiche economiche mercantiliste, mentre questi orizzonti cominciarono a penetrare anche nelle culture contadine, contribuendo a coinvolgere il mondo rurale nell'economia monetaria nel mercato. Alcune innovazioni fondamentali per l'espansione economica europea, come l'introduzione dell'agricoltura intensiva, la diffusione della coltura del mais, l'estensione del lavoro industriale a domicilio nelle campagne, comportarono un'intensificazione e un prolungamento del tempo dedicato al lavoro dai contadini. Ciò fu possibile perché esisteva una massa di contadini, che spinti dal bisogno e dalla povertà, si prestarono all'intensificazione del lavoro, supportati però da una nuova mentalità che li spingeva ad apprezzare anche i vantaggi del reddito monetario rispetto al riposo e al tempo libero.





  • La rivoluzione scientifica

Tra i fattori culturali che influenzarono la nuova stagione della crescita economica un ruolo determinante fu svolto dalla rivoluzione scientifica.

Insieme alla concezione moderna della scienza si realizzò l'istituzionalizzazione del ruolo dello scienziato. Dal punto di vista economico l'impatto della rivoluzione scientifica fu soprattutto a livello di mentalità, con la diffusine di uno spirito razionale e sperimentale. Praticamente però l'apporto della scienza alla tecnologia produttiva non fu inizialmente molto significativo; l'eccezione più rilevante fu il cannocchiale, realizzato nei primi anni del 600 e diffusosi come sussidio per la navigazione. In generale, le innovazioni continuarono a essere realizzate dai pratici più che dagli scienziati, tuttavia la scienza moderna diffuse la sensazione di poter giungere alla conoscenza della natura e al suo controllo, anche allo scopo di aumentare la produzione materiale.

Il processo di affermazione della scienza moderna vide concentrarsi nel secolo XVII il massimo numero di svolte e scoperte determinanti, soprattutto nelle scienze fisiche e matematiche.

Il punto di partenza dell'astronomia moderna è da far risalire alla meta del 500, quando Niccolò Copernico concepì la sua teoria eliocentrica, secondo la quale il sole è posto al centro di un sistema di pianeti, tra i quali vi è la terra. Una prima dimostrazione della teoria matematica della teoria eliocentrica derivò dalle osservazioni dell'astronomo Keplero, che nel 1906 enunciò le leggi che regolano le orbite dei pianeti intorno al sole.

Una radicale rivoluzione dell'astronomia venne poi stimolata dal metodo sperimentale di Galileo Galilei. Servendosi di un cannocchiale Galilei scoprì i crateri lunari e le macchie solari e sfatò il mito, che era stato anche di Copernico e Keplero, dell'incorruttibilità dei cieli, svelando che anche che i pianeti e le stelle sono corpi fisici e non astratti e incorporei punti luminosi.

L'altro grande artefice dello statuto moderno della scienza fu il fisico inglese Isaac Newton, che nel 1687 formulò per la prima volta una trattazione sistematica della meccanica razionale e della teoria di gravitazione universale.


  • I nuovi prodotti, nuove diete

Il contatto con il nuovo mondo e l'intensificazione dei commerci internazionali ebbero importanti influenze sulle abitudini alimentari degli europei. La diffusine di due nuovi prodotti provenienti dall'America, il mais e la patata, ebbe un grande impatto.

Il mais si diffuse nel corso del 600 nell'Europa mediterranea, dove trovava quel clima caldo e umido necessario per la sua coltivazione. La nuova coltura aumentò la produttività dell'agricoltura grazie alle sue alte rese, superiori da 2 a 4 volte a quelle del frumento e della segale.  Questo cereale divenne rapidamente una componente importante dell'alimentazione sia animale, sia umana. Tra i secolo XVII e XVIII l'introduzione del mais aumentò di circa il 50% le disponibilità alimentari della Francia meridionale e della Pianura Padana, dove veniva più intensamente coltivato.

Nell'Europa settentrionale l'introduzione della patata costituì una rivoluzione alimentare parallela a quella del mais nella parte meridionale del continente. Dai primi decenni del 700, il consumo di tuberi cominciò a diffondersi, dapprima tra le classi povere, fino a divenire i n seguito, uno degli elementi caratteristici dell'alimentazione di tutti i ceti sociali dell'Europa settentrionale, anche ai giorni nostri.

Tra la fine del 600 e i primi decenni del 700 la rivoluzione alimentare europea si arricchì di nuovi aspetti e nuovi prodotti, di scarsa importanza sotto il profilo alimentare ma protagonisti del commercio internazionale.

Il decollo nel commercio della canna da zucchero, proveniente dal Bengala, cominciò intorno alla metà del 500, quando spagnoli e portoghesi la introdussero nelle isole del mare dei Carabi e in Brasile, dove veniva coltivata in piantagioni molto estese. In Europa lo zucchero di canna soppiantò progressivamente il miele e in Inghilterra e nelle colonie, venne massicciamente usata per distillare il rum, che ebbe successo di mercato e consumo.

Più lenta fu la penetrazione di alimenti come tè, caffè e cacao, decisamente più costosi. Il tè proveniva dall'Asia orientale e il suo commercio era esercitato dapprima dai portoghesi, poi da Olanda e Inghilterra: fu proprio in questi due ultimi paesi che si diffuse più massicciamente la nuova bevanda, a partire dai primi decenni del 700. Il consumo del caffè, che aveva origine dagli altipiani del Corno d'Africa, si generalizzò in Europa tra sei e settecento, quando i prezzi scesero sensibilmente grazie alle grandi quantità prodotte dall'America centrale e meridionale, dove era stato introdotto dai colonizzatori. A un consumo di élite fu invece sempre riservato il cacao, un prodotto originario dell'america. Americane erano anche le origini del tabacco, che dal 600 fu accolto rapidamente dai consumatori di tutta Europa.


Il predominio tecnologico dell'Europa



Agli albori del secolo XVI l'Europa cominciava la sua espansione economica nel mondo; a rendere possibile questi sviluppi era anche la superiorità tecnologica che i paesi europei avevano acquisito rispetto alle grandi civiltà mediterranee e asiatiche sulle terre di nuova scoperta. Il segreto della superiorità tecnologica europea non era racchiuso in qualche nuova grande invenzione, ma nel costante miglioramento e adattamento delle tecniche sviluppate in età medievale, frutto di una mentalità aperta e versata al rischio e alla sperimentazione.


Perfezionamenti e nuove idee


L'epoca moderna portò al successo e alla diffusione macchine e accorgimenti tecnici che erano stati escogitati tra i secoli XIV e XV. Ad accelerare la sperimentazione e l'applicazione di nuove tecniche, era soprattutto la diffusione di una mentalità che apprezzava i profitti derivanti da un progresso tecnologico in grado di abbassare i costi di produzione.

Alcuni governi si orientarono alla protezione dei diritti degli inventori e dei brevetti, concedendo posizioni temporanee di monopolio e sfruttamento delle innovazioni, per remunerare lo sforzo inventivo e incoraggiare la sperimentazione e il progresso tecnologico.Questa pratica si diffuse in Europa nel secolo XVII e nel 1624 venne promulgato in Inghilterra lo Statuto del monopolio, la normativa più nota ed efficace in materia di brevetti.

Nel campo dell'energia furono perfezionate le tecniche di progettazione e di costruzione dei mulini a vento. L'ingegneria olandese in particolare lavorò per l'applicazione dei mulini a vento nell'industria. Ancor più vasto era l'ambito di applicazione delle ruote idrauliche. Le ruote dei mulini divenivano più grandi e i meccanismi per la trasmissione del moto vennero adattati alle funzioni più diverse. Vi erano però degli impedimenti al decollo della produzione dell'energia idraulica, dovute all'uso di legno anziché del ferro nella costruzione di mulini e all'impossibilità di trasportare l'energia nelle zone lontane dai corsi d'acqua.

Le principali fonti d'energia in età moderna rimanevano, dunque, il legname e gli animali. Il legno oltre che il principale materiale di costruzione, era la principale fonte di energia per il riscaldamento e per le industrie, nella produzione di mattoni e di ceramiche, nelle fabbriche di birra, nella fusione dei metalli. In età moderale esigenze delle popolazioni in crescita e delle industrie provocarono una scarsità di legname, i cui prezzi aumentarono considerevolmente; per far fronte a questo problema, si sperimentarono nuovi combustibili fossili.

Così come il carbone di legna, anche i carboni fossili sono sostanze costituite prevalentemente da carbonio non combinato, derivate dalla decomposizione di materie organiche, per lo più vegetali. La carbonificazione della legna è però un processo artificiale, ottenuto con il riscaldamento in assenza d'aria, mentre i carboni fossili sono frutto di processi naturali durati diversi millenni; più è antica la loro origine, e più sono ricchi di carbonio e quindi producono maggiore energia termica.

Dalla fine del 500 gli olandesi cominciarono lo sfruttamento intensivo della torba, un carbone fossile di più recente formazione, di cui esistevano estesi giacimenti nelle aree delle paludi che anticamente coprivano la regione. In Inghilterra invece, si sfruttarono i giacimenti di carbone fossile esistenti nella parte nordorientale del paese; l'Inghilterra basò ampiamente la sua rincorsa al primato economico sullo sfruttamento del carbone fossile, la cui produzione crebbe di dieci volte nel giro di 150 anni; nel 700 gli inglesi erano i maggiori produttori e i principali consumatori di questa fonte di energia.

Il carbone fossile trovò ampio utilizzo nella produzione del sale, del vetro, dello zucchero, del sapone, dei mattoni, della polvere da sparo, ma fino al 700 interessò solo le industrie di limitate aree europee. Il carbone fossile veniva usato, talvolta, anche per riscaldare il ferro durante la forgiatura; non si prestava per un utilizzo nella fusione del ferro, la fase più dispendiosa dal punto di vista energetico dell'industria siderurgica. Il carbone fossile, infatti, contiene una percentuale sia pur minima di altre sostanze che combinandosi col minerale di ferro danno origine a un prodotto scadente. Per risolvere il problema si deve raffinare il carbone fossile con un processo analogo a quello utilizzato per il carbone di legna; è necessario riscaldare il carbone in assenza di aria, in modo da eliminare le sostanze e ottenere un combustibile, il coke, composto quasi interamente di carbonio.

Intorno al 1710 Abraham Darby introdusse il coke negli altiforni e nei decenni successivi, il processo di codificazione fu rapidamente migliorato nelle ferriere dei Darby a Coalbrookdale, con l'utilizzo di grossi forni chiusi in muratura, in luogo delle tradizionali carbonaie all'aperto. Da quel momento la nuova fonte di energia si diffuse abbastanza rapidamente nella siderurgia inglese che, verso il 1760, produceva ormai dal 30 al 40% della ghisa con l'uso del coke.

Tra i secoli XVI e XVIII, precedentemente all'introduzione del coke nella produzione siderurgica, si fecero altri sensibili progressi nella costruzione e nella conduzione degli altiforni, aumentandone la produttività. I perfezionamenti interessarono il potenziamento dei sistemi di ventilazione, il che consentì di costruire forni più alti, in cui era possibile caricare maggiori quantità di carbone e ferro.

La produzione di ghisa con l'altoforno rimaneva un processo molto costoso. La manutenzione degli altiforni e la loro costruzione era assai onerosa e grandissime erano le quantità di combustibile necessarie per la fusione.

Notevoli progressi in età moderna furono fatti anche nella metallurgia dell'argento, grazie all'introduzione del procedimento dell'amalgamazione al mercurio, che consentì di valorizzare pienamente le miniere argentifere dell'America Latina.

Sin dall'antichità l'argento, che è raro allo stato nativo, veniva estratto dalla galena, con il metodo della coppellazione; il sistema però, per le alte temperature necessarie, richiedeva l'utilizzo di molto combustibile ed era, quindi, molto costoso e adatto per lo sfruttamento di minerali molto ricchi di argento. Lo sfruttamento di minerali meno ricchi d'argento divenne redditizio con la diffusione e il perfezionamento del sistema dell'amalgama, che consentiva significativi risparmi di combustibile. Il processo si basa sulla proprietà del mercurio di sciogliere molti metalli, formando appunto un amalgama. Nel secolo XVII si diffuse, in America e in Europa, anche il metodo di amalgamazione di argento e mercurio caldo, in caldaie di rame, un procedimento molto più rapido ma più costoso.



Rilevanti perfezionamenti tecnologici interessarono l'ingegneria idraulica. Il ruolo dell'energia idraulica era strategico, perché le sue innovazioni tecnologiche avevano una ricaduta su settori importantissimi, come l'energia, i trasporti e le miniere. Nel 600 vennero realizzate importanti opere di canalizzazione, grazie al perfezionamento del sistema delle chiuse, con lo scopo di realizzare canali navigabili e di deviare corsi d'acqua per alimentare i mulini delle segherie, delle fabbriche di vetro, delle ferriere e delle industrie tessili.

Anche per il settore tessile l'età moderna fu un'epoca di continui perfezionamenti che aumentarono la produttività e ridussero i costi di produzione. Un aspetto rilevante per la produzione tessile fu la diffusione della gualchiera, un'invenzione medievale che prese piede nel 600; la follatura meccanica, con altre innovazioni nella tessitura, ridusse il tempo di lavorazione dei pannilani, nel secolo XVII, ameno della metà di quello che veniva impiegato 200 anni prima.

Analogo sviluppo ebbero i torcitoi meccanici per la seta, che alla fine del 600 avevano raggiunto grosse dimensioni e mettevano in funzione anche migliaia di ruote, occupando un numero considerevole di operai appositamente costruiti.

I progressi tecnologici furono resi possibili dai contemporanei perfezionamenti delle tecniche di lavorazione artigiana, che a loro volta trovarono stimoli positivi nell'incremento della domanda di macchine utensili. Comunque nei secoli XVI e XVII la produzione di strumenti di precisione e di macchine non era standardizzata e rimaneva dipendente dall'abilità dell'artigiano, il quale costruiva su commissione pezzi unici per le diverse esigenze.

La svolta della metà del secolo XVIII, con il decollo della rivoluzione industriale, sarebbe stata resa possibile anche dall'approntamento di strumenti meccanici e macchine utensili in grado di tramutare le idee in macchine affidabili e soprattutto riproducibili.


Primi utilizzi delle macchine a vapore


L'idea di ricavare il movimento dal vapore già era nota agli antichi, tuttavia fino al secolo XVII non si fecero tentativi seri per sviluppare questa tecnologia. La prima macchina a vapore progettata per un'applicazione pratica, fu quella progettata da Thomas Savery intorno al 1968, per il pompaggio dell'acqua. Il perfezionamento del sistema di pompaggio dell'acqua con macchine a vapore continuò negli anni successivi. Nel 1712, in una miniera di carbone nei pressi di Wolvehampton, in Inghilterra, fu istallata la prima macchina costruita da Thomas Neewcomen, destinata ad avere grande successo per oltre un cinquantennio. La macchina era molto ingombrante e costosa, comportava qualche difficoltà costruttiva, qualche rischio di esplosione, ma da un punto di vista economico era la prima efficace trasformazione dell'energia termica in energia cinetica. Lungo quella via si sarebbero compiuti grandi progressi fino a James Watt, il cui nome è legato alla successiva evoluzione della macchina a vapore.


Ambiente e industria


Ogni attività economica umana ha un impatto sull'ambiente e avvicinandoci alla rivoluzione industriale il problema ecologico ha acquisito caratteri simili a quelli oggi a noi ben noti, anche se più circoscritti.

Gli sviluppi delle industrie metallurgiche causarono il disboscamento delle aree pedemontane, dove erano prevalentemente situate le ferriere, con il risultato di deteriorare l'ambiente delle pianure circostanti, facilitando le alluvioni e la formazione di acque stagnanti che favorivano la diffusione della malaria. Le vetrerie scaricavano vetriolo nei corsi d'acqua, nei quali finivano anche i sottoprodotti tossici delle concerie di pelli, delle tintorie di tessuti, ecc.: e l'acqua era uno dei principali veicoli di malattie gastrointestinali.

Quando si diffuse l'uso del carbone fossile per il riscaldamento domestico e poi per scopi industriali, l'inquinamento atmosferico si arricchì di agenti nuovi e terribili, che già allora venivano considerati con preoccupazione.

Tecnologia e potenza militare


La potenza delle armi e degli eserciti fu una delle manifestazioni della supremazia degli stati europei, espressione, nello stesso tempo, di potenza tecnologica, commerciale e militare. Però la caratteristica più rilevante dell'evoluzione della guerra in età moderna fu l'aumento costante del numero dei soldati.

Anche per quanto riguarda la tecnologia applicata alla guerra, l'età moderna non fu avara di novità.. la polvere da sparo era stata un'invenzione cinese, risalente probabilmente al secolo IX; fu tuttavia in Europa che a partire dai primi decenni del Trecento venne impiegata per sviluppare nuove armi, provocando una veloce trasformazione delle tecniche di guerra e un rapido sviluppo della produzione bellica. La preparazione della polvere da sparo era un procedimento difficile, abbastanza costoso e molto richiesto dagli eserciti di tutta Europa; e la domanda di mercato si ampliò presto, poiché a partire dal Cinquecento si cominciò a fare uso della polvere da sparo anche per aprire varchi nelle miniere.

All'inizio del secolo XVI L'Europa era all'avanguardia nella tecnica dei cannoni. I motivi della superiorità tecnologica dell'armamento europeo erano l'evoluta tecnologia metallurgica del bronzo e della ghisa, l'avanzamento degli studi di balistica, l'addestramento dei cannonieri, la perizia nella giusta miscela della polvere da sparo utilizzata.

Tra i secolo XV e XVIII furono compiuti grandi progressi anche nell'armamento leggero. In principio si diffuse l'archibugio, una specie di cannoncino portatile che richiedeva comunque due uomini per il trasporto e sparava un colpo ogni cinque minuti. Nei primi anni del Seicento si diffuse il moschetto, un'arma più maneggevole dell'archibugio, pesava comunque 8-10 chili, in grado di sparare una palla al minuto a una distanza considerevole. La successiva importante innovazione fu il fucile, utilizzato a partire dagli ultimi decenni del Seicento; si trattava di un'arma leggera, 4-5 chili, che aveva una capacità di sparo di 2-3 colpi al minuto, una gittata massima di 200-300 metri.

L'artiglieria e le armi stimolarono lo sviluppo della produzione metallurgica. Dapprima se ne giovarono le industrie di rame, perché i cannoni erano costruiti in bronzo, ma dal Cinquecento furono soprattutto le ferriere sfornare armi pesanti, quando si scoprì che la ghisa era un materiale ottimo e relativamente poco costoso per costruire cannoni.la diffusione delle armi leggere e quindi dell'armamento individuale dei soldati appartenenti ai corpi di fucileria costituì, tra Sei e Settecento, un ulteriore incremento della domanda per la produzione bellica.

Più ancora degli eserciti, fu la supremazia sui mari il principale strumento dell'espansione e della potenza europea. Le basi di questa espansione si crearono tra Cinquecento e Seicento, quando gli stati d'Europa investirono massicciamente nello sviluppo della marina. Le innovazioni nelle tecniche di costruzione e navigazione non furono vistose, ma consentirono un progresso sostanziale nella questione cruciale della riduzione dei costi di trasporto.

L'artiglieria venne presto adattata per l'istallazione sulle navi. Si costruirono navi gigantesche, i galeoni, pesanti anche più di mille tonnellate, dotate di portelli laterali da cui potevano sparare diverse decine di cannoni.

Le esigenze della navigazione portarono anche a un miglioramento della cartografia nautica. In particolare, la proiezione attribuita al cartografo Mercatore, forniva una rappresentazione grafica del mondo nella quale le latitudini erano deformate con lo stesso rapporto con cui la sfericità della terra modificava le longitudini.


Artigiani, operai a domicilio, schiavi, poveri


Deurbanizzazione della produzione manifatturiera, aumento dell'intensità del lavoro, impiego degli schiavi sono le tre caratteristiche dell'innovazione nel mondo del lavoro in età moderna. Ogni sviluppo, poi, produce esclusi che si riversano nelle città alla ricerca della carità o di un impiego marginale, contribuendo a incrementare il fenomeno dell'urbanesimo.


Le città del lavoro e della marginalità sociale


Anche nell'età moderna a ogni fase di crescita dell'economia, si accompagno un'esplosione urbana; da allora l'urbanesimo, cioè la tendenza della popolazione all'accentramento nelle città, divenne un fenomeno sempre più intenso, una caratteristica della modernità della società europea, fino all'epoca contemporanea.

Nella fase espansiva del secolo XVI l'urbanesimo interessò in generale tutte le città per poi concentrarsi soprattutto, nel secolo successivo, nelle grandi capitali, dove lo stato moderno accentrava e moltiplicava le funzioni politiche e amministrative.

Spesso la città d'età moderna era sede del principale mercato nazionale, talvolta poteva anche essere il centro amministrativo dello Stato. Vi si concentravano dunque le funzioni pubbliche, il grande commercio e le attività bancarie e imprenditoriali, che creavano e distribuivano ricchezza e lavoro.

Dal punto di vista della composizione professionale, vi prevalevano condizioni e mestieri all'ingrosso e al dettaglio, professionisti, funzionari, soldati, preti e domestici costituivano la maggior parte della popolazione attiva urbana. Non mancavano comunque gli addetti al settore del secondario: le città non abbandonarono, infatti, la loro tradizionale politica di sviluppo che consisteva nel reclutare maestri e artigiani dalle campagne, dai borghi rurali e dalle altre città per assicurarsene i servigi. La migrazione degli artigiani fu una caratteristica saliente dello sviluppo dell'industria nella fase precedente alla rivoluzione industriale, perché consenti la propagazione delle innovazioni tecniche.

L'immigrazione della manodopera veniva in genere vista con favore, incentivata protetta dall'ostilità degli artigiani locali che ne temevano la concorrenza; così nell'intollerante Europa delle persecuzioni religiose e delle guerre, gli artigiani profughi erano accolti con favore in molti stati, indipendentemente dalla loro fede, con un grande interesse per le loro capacità.

La repressione degli ugonotti in Francia, soprattutto dopo la revoca dell'editto di Nantes, spinse i protestanti francesi verso l'Olanda e l'Inghilterra, che accolsero anche i profughi valloni, cioè cattolici, provenienti dai Paesi Bassi meridionali, dopo la repressione delle truppe spagnole in seguito alla rivolta della seconda metà del Cinquecento, e i metallurghi italiani, esperti nella conduzione degli altiforni. Furono gli esuli francesi a portare in Inghilterra le industrie del vetro, della seta e degli orologi, i valloni a introdurre procedimenti meccanizzati per battere la lana segare il legno, tedeschi gli artigiani che lavoravano nelle cartiere. L'emigrazione della manodopera specializzata fu, dunque, una grande fonte di ricchezza e sviluppo per gli stati che seppero approfittarne.

L'altra faccia dell'urbanesimo è la marginalità sociale. A partire dal Cinquecento i poveri aumentarono e il pauperismo cominciò a venire considerato come un problema sociale degli stati. Alle figure più tradizionali della povertà, si aggiungevano coloro che cadevano nell'indigenza; poveri cronici e poveri congiunturali si riversavano nelle città, vivendo di espedienti.

Nell'Europa cinquecentesca i mendichi e i vagabondi erano percepiti come potenziali criminali e diffusori di epidemie; si moltiplicarono quindi le iniziative degli stati, delle chiese e della beneficenza privata che tendevano ad assistere i poveri ma anche ad isolarli dal resto della società e a tenerli sotto controllo. Nell'Europa centrosettentrionale, calvinista e luterana, la risposta all'incremento della povertà si ispirò all'etica protestante, che assegnava grande valore al lavoro e alla responsabilità personale, e tendeva a giudicare severamente poveri e vagabondi. Alla fine del secolo XVI in Inghilterra furono emanate le poor laws, che stabilivano l'internamento dei poveri fisicamente adatti al lavoro, in apposite work-houses, dove la dura disciplina e l'obbligo al lavoro mirava alla rieducazione sociale degli indigenti.

La cronica insufficienza delle risorse disponibili per la repressione e l'assistenza dei poveri, fece sì che il problema del pauperismo rimanesse una delle più rilevanti emergenze sociali per tutta l'età moderna.


L'organizzazione del lavoro manifatturiero


Tra le novità nell'organizzazione del lavoro sviluppatesi dal Seicento vi è la diffusione dell'industria a domicilio rurale, che coinvolgeva il contadino nella produzione manifatturiera per il mercato. Il Verlagssystem dettava nuovi ritmi di lavoro e imponeva una maggiore produttività. ; con questi nuovi ritmi doveva fare i conti la famigli contadina che era la cellula produttiva di base della manifattura domestica; tutti i membri della famiglia vi si dedicavano compatibilmente con l'attività agricola; nella stagione dei lavori agrari invece erano i vecchi e i bambini a portare avanti la produzione manifatturiera.

La produzione dell'industria rurale era indirizzata soprattutto verso la new drapery, i panni di basso prezzo e modesta qualità.


Fattore lavoro e produttività


La produttività dipende dalla combinazione ottimale dei fattori di produzione: il lavoro umano, il capitale investito nella produzione e le materie prime. La produttività industriale dell'età moderna restava piuttosto bassa.

Importanti progressi nella produttività derivarono dagli sviluppi tecnologici, ma il fattore di produzione determinante fu il lavoro e la sua elasticità. La produzione tessile nel mondo rurale aumentò l'intensità del lavoro dei contadini-operai, e lo stesso avvenne in altri settori. Nel corso della seconda metà del Cinquecento, nei paesi della riforma protestante, furono ridotte le feste religiose, che causavano l'interruzione del lavoro dei salariati del settore secondario e degli artigiani, cosa a cui nel Seicento anche i paesi cattolici si adeguarono, facendo sì che tra i secoli XVI e XVIII il numero delle giornate di lavoro crebbe in Europa di circa il 15%.

Per quanto riguarda l'età dei lavoratori industriali, in età moderna, nelle corporazioni cittadine l'ammissione partiva dai 7 anni di età e raramente superava i 16. Il lavoro minorile era quindi molto diffuso anche prima della rivoluzione industriale, e quello delle donne poi, in alcuni settori era prevalente.


Le schiavitù e il lavoro obbligato nel nuovo mondo


Si possono individuare tre fasi nell'utilizzo del lavoro degli schiavi per lo sfruttamento del Nuovo Mondo: inizialmente il lavoro coatto fu imposto agli indigeni, ma a partire dalla seconda metà del Cinquecento gli stati europei e le compagnie commerciali aprirono nuove strade per procacciare la manodopera necessaria alla colonizzazione; una era quella dell'importazione dei lavoratori europei, arruolati forzatamente o comunque cacciati dalla patria in quanto membri di minoranze religiose perseguitate; l'altra era l'importazione di lavoratori neri, rapiti o acquistati in Africa.

Nella produzione manifatturiera il lavoro degli schiavi ebbe sempre un'importanza ridotta. Diverso era il caso dell'agricoltura, soprattutto quella estensiva impiantata dagli europei in America. Nelle piantagioni di canna da zucchero e di cotone le operazioni da compiere erano tanto semplici quanto faticose, adatte per essere svolte da schiavi robusti, e senza alcuna conoscenza delle tecniche agricole.

Nella produzione minerari gli schiavi vennero utilizzati in grande numero al di fuori dell'agricoltura. Nei primi decenni del Cinquecento i lavori superficiali di sterro e il trasporto dei detriti e del materiale delle miniere d'argento americane, erano compiute dagli indigeni, in stato di schiavitù. Con l'introduzione del processo di amalgamazione, nella seconda metà del secolo XVI, anche nel trattamento delle sabbie argentee con il mercurio fu utilizzata la manodopera coatta degli indigeni; essi subirono dunque il pericoloso avvelenamento dovuto al mercurio. L'alta mortalità dovuta alle condizioni di vita estremamente difficili delle zone minerarie messicane e peruviane, posero il problema della scarsità di manodopera per lo sfruttamento minerario.

Nella disperata ricerca di manodopera per le loro colonie delle Antille e dell'America settentrionale, Francia e Inghilterra utilizzarono mezzi coercitivi anche nei confronti dei loro stessi sudditi europei; le retate nei quartieri popolari, gli arruolamenti forzati nelle bettole o le condanne dei criminali al lavoro coatto nelle colonie erano sistemi comunemente usati. I lavoratori ingaggiati in questi modi venivano deportati in America e venduti ai piantatori. Tale pratica continuò fino ai primi anni del Settecento, ma requisizioni ben più cospicue di schiavi venivano compiute intanto nell'Africa nera.

Per compiere la traversata dall'Africa all'America venivano stivati a decine sulle navi dei negrieri, dove il 15-25% di loro moriva prima di raggiungere il nuovo mondo. A differenza dei lavoratori bianchi a ingaggio coatto, la schiavitù dei neri era perpetua e si estendeva anche alle generazioni successive. Gli schiavi costituivano un capitale indispensabile per l'economia agricola di piantagione.


I nuovi equilibri intraeuropei e il dominio mondiale dell'Europa


Nord e Sud in Europa


Tra Cinquecento e Settecento si consumo un ribaltamento del baricentro dell'economia europea, che dall'area Mediterranea si spostò verso il mare del nord. A rafforzarsi furono soprattutto l'Olanda, l'Inghilterra e seppur in misura minore, la Francia settentrionale e alcune zone della Germania e della Svezia.

Il declino dell'Europa mediterranea e il decollo di quella occidentale, fu accelerato dalle scoperte geografiche e dal conseguente mutamento delle vie di traffico; tuttavia accanto allo spostamento degli assi commerciali verso l'Atlantico, bisogna tenere conto del settore primario, la produttività dell'agricoltura, e di quello secondario, disponibilità di capitali per l'industria, nuova organizzazione del lavoro, disponibilità di fonti di energia, innovazioni tecnologiche, cioè dell'economia nel suo complesso.

A livello regionale le disparità di sviluppo erano molto sensibili, anche all'interno di uno stesso stato. La principale distinzione era tra città e campagna; tutte le città preindustriali erano a predominanza agricola, le campagne, dunque, sostenevano lo sviluppo e la prosperità delle città, ma erano le città ad assurgere a protagoniste e artefici dello sviluppo di alcune aree.


L'effimera supremazia iberica


La fortuna cinquecentesca del Portogallo fu costruita sul commercio tra l'Europa e l'Oriente; anziché la via breve, i portoghesi seguirono le vie più lunghe della circumnavigazione del globo o dell'Africa, ma le loro merci erano quelle tradizionali, il pepe e le altre spezie.

Lisbona divenne un porto importantissimo, ma le fortune del Portogallo dipendevano strettamente da altre aree europee: i capitali, l'oro e l'argento per finanziare le spedizioni marittime venivano dai banchieri tedeschi, da quelli genovesi o fiorentini, dalla colonia degli ebrei cacciati dalla Spagna e insediatosi a Lisbona, poi dalla stessa Spagna che sfruttava le miniere d'argento americane.

Il Portogallo fu il detonatore dell'espansione geografica e commerciale dell'Europa ma con l'annessione alla Spagna, tra il 1580 e il 1640, la sua decadenza fu poi accelerata. Quando riconquistò la sua indipendenza, aveva perso l'effimero predominio commerciale sulle rotte con l'oriente a vantaggio degli olandesi e degli inglesi.

La Spagna si arricchì enormemente dalla metà del secolo XVI, grazie alle importazioni dell'argento e dell'oro americano. La grande disponibilità di ricchezze stimolò la domanda, a cui però non fece seguito l'aumento dell'offerta a causa di alcune debolezze strutturali dell'economia spagnola. Di conseguenza i prezzi crebbero e larga parte della domanda si riversò sui mercati stranieri. L'oro e l'argento americano dunque venivano importati dalla Spagna, ma finivano all'estero, dove alimentavano lo sviluppo economico dei Paesi Bassi e dell'Inghilterra, di alcune regioni francesi, italiane e svedesi.

A fine Cinquecento il debole apparato manifatturiero spagnolo entrò in una fase recessiva, a causa della concorrenza estera, e al declino industriale si accompagnò la stagnazione dell'agricoltura, dovuta anche al massiccio abbandono delle campagne da parte dei contadini. A indebolire l'economia spagnola contribuirono le numerose guerre degli Asburgo per il predominio europeo. Nel corso del Seicento si ridusse anche l'afflusso di metalli preziosi dall'America, in buona parte a causa del contrabbando di inglesi e olandesi, che deviarono verso i loro paesi le esportazioni delle colonie spagnole in America e sostituirono la stessa Spagna come principale esportatore dei manufatti di cui vi era ampia richiesta nel nuovo mondo. Nel secolo XVII la Spagna, nonostante le sue enormi colonie, era già divenuto un paese marginale nell'economia mondiale.


Il declino italiano


Nel corso dell'età moderna le economie della penisola italiana persero definitivamente il ruolo di guida dell'economia europea. La sua economia seguì comunque, nei secoli successivi, le stesse rotte delle economie più vitali del continente, semplicemente movendosi a un ritmo più lento.

Il primo grave colpo all'economia della penisola fu dato dalle guerre che la devastarono a partire dal 1494 per tutta la prima metà del Cinquecento, causando un netto calo della produzione agricola, delle manifatture e dei commerci. Dopo la pace di Caveau-Cambresis, 1559, nella parte centrosettentrionale della penisola si verificò una ripresa della produzione industriale. La ripresa fu però viziata dalla grande influenza delle corporazioni e dai vincoli che esse ponevano nella produzione industriale. Il protezionismo corporativo incise mantenendo alto il costo del lavoro e ostacolando la produzione di merci a buon mercato.

La recessione europea di inizio Seicento colpì duramente la struttura manifatturiera italiana; la caduta della domanda per merci di lusso provocò della produzione nei comparti della lana e della seta, che erano sostenuti soprattutto dall'esportazione.

La deurbanizzazione dell'industria, con la diffusione del Verlagssystem, fu una delle risposte alla crisi, ma in Italia l'influenza e l'autorità delle corporazioni si estendevano spesso anche nelle campagne, ostacolando la riduzione del costo del lavoro. Altre iniziative furono la diffusione della coltivazione del mais, e l'intensificarsi della gelsibachicoltura. L'Italia settentrionale divenne un'importante esportatrice di seta grezza o ritorta verso i mercati francesi e inglesi.

La perdita del primato nell'economia continentale, coincise, per l'Italia, con l'approfondirsi di una frattura tra la parte centrosettentrionale della penisola e il Meridione, che nei secoli divenne una caratteristica strutturale dell'economia italiana.


Il "miracolo economico" dell'Olanda


Nel corso della seconda metà del Cinquecento, i Paesi Bassi meridionali subirono gli effetti della guerra di indipendenza contro i sovrani spagnoli. La città di Anversa centro commerciale e finanziario, fu devastata dalla guerra e enormi danni furono recati ai centri di produzione tessile, fiore all'occhiello dell'industria delle Fiandre, ai raccolti e agli allevamenti di bestiame. Le province settentrionali invece, l'Olanda, riuscirono a respingere dal loro territorio gli spagnoli conquistando l'indipendenza e, nel secolo XVII, raccolsero la palma dello stato economicamente più progredito d'Europa.

L'Olanda, divenuto paese indipendente e tollerante dal punto di vista religioso, era meta dell'immigrazione di manodopera specializzata, di competenze tecniche, di spirito imprenditoriale e di capitali da tutta l'Europa. Questo importante capitale umano fu alla base di uno straordinario sviluppo economico, che si basò soprattutto sul commercio internazionale, ma che vantava anche settori manifatturieri di primo piano, e l'agricoltura specializzata più produttiva d'Europa.

La flotta olandese era più grande di tutte le altre flotte commerciali europee messe assieme e le sue attività spaziavano in tutto il mondo. Nei traffici con l'estremo oriente gli olandesi avevano preso il posto dei portoghesi; sull'Atlantico, tra Europa e America, gli olandesi esercitavano il contrabbando delle colonie iberiche; i mercanti e le navi olandesi erano inoltre presenti anche nel Mediterraneo.

Lo sviluppo della navigazione commerciale stimolava anche l'industria cantieristica. Il commercio sosteneva poi lo sviluppo di altri settori produttivi, basati sull'importazione di materie prime e l'esportazione di lavorati e semilavorati; così l'Olanda primeggiava per la produzione di zucchero e di carta, la costruzione delle armi e la produzione di panni leggeri a buon mercato.

Il settore secondario olandese accresceva la sua ricchezza anche in virtù della grande disponibilità di denaro a bassi tassi di interesse e di una moderna attenzione per la riduzione dei costi di produzione, attuati soprattutto con un costante miglioramento degli espedienti tecnici e con l'uso massiccio delle risorse energetiche di cui il paese disponeva; in mancanza di legname o di corsi d'acqua adeguati, l'Olanda sfruttava, infatti, i giacimenti di torba come combustibile e l'energia eolica con i mulini a vento, applicando queste fonti di energia alla produzione meccanizzata di moltissimi settori.


Il Sud del mondo: le economie di colonizzati e colonizzatori in America


All'epoca della conquista di Cortés, la civiltà degli Aztechi, nell'odierno Messico, era sostenuta da un'economia fiorente, basata sull'agricoltura, la caccia, la lavorazione artigianale dell'oro e dell'argento. Gli Aztechi però non avevano armi da fuoco, né spade in acciaio, e non conoscevano il cavallo, così che la loro resistenza militare innanzi ai colonizzatori fu molto debole.

Il sostentamento della popolazione Maya, tra la penisola delloYucatan e l'odierno Guatemala, era assicurato dalla coltivazione del mais e l'agricoltura si basava sullo sfruttamento semischiavistico dei contadini. L'architettura di templi e piramidi testimonia dell'esistenza di un significativo surplus agricolo, che veniva impiegato per finanziare l'architettura monumentale.

Le risorse economiche degli Incas, sulla costa del Pacifico, tra gli odierni Ecuador, Perù e Argentina, provenivano dalla tessitura della lana, dall'artigianato in oro e soprattutto dall'agricoltura. L'organizzazione dell'agricoltura irrigua comporto la realizzazione di imponenti opere di terrazzamento delle montagne e la costruzione di canali irrigatori.

Le Antille, cioè le isole del Mare dei Carabi, furono tra le più rapide e ambite conquiste del colonialismo europeo per il loro clima, adatto alla coltivazione estensiva, e per la facilità degli approdi. Se le spartirono soprattutto gli spagnoli (Cuba, Porto Rico), gli inglesi (Giamaica, Bahamas, e altre), e i francesi (Martinica, Guadalupa e altre). Le agricolture locali, povere ma diversificate, furono soppiantate dalle monocolture per l'esportazione; la popolazione indigena fu rapidamente in schiavitù e le isole caraibiche divennero le principali importatrici di schiavi dall'Africa nera.

Le principali risorse delle popolazioni indiane dell'America settentrionale erano la caccia, la pesca e talune forme primitive di agricoltura irrigua. Pur basandosi su un economia povera e su un agricoltura poco produttiva, gli indiani erano prevalentemente popolazioni sedentarie e in taluni villaggi le case erano costruite in muratura. Fu l'avanzare della colonizzazione europea a spingere gli indigeni verso ovest, costringendoli al nomadismo e a fare della caccia al bisonte la loro attività economica primaria.

All'epoca della scoperta europea, l'America contava tra i cinquanta e i sessanta milioni di abitanti, per la quasi totalità concentrati nella parte centrale e meridionale del continente, cioè in quella che diventerà l'America Latina. L'impatto con i conquistatori spagnoli e portoghesi, sconvolse bruscamente la stabilità delle economie precolombiane dei paesi più popolati e innesco un drastico declino demografico; intorno al 1650 l'America Latina contava, infatti, solo dieci milioni di abitanti.un complesso di fattori determinò questa crisi demografica, tra cui la diffusione di malattie prima sconosciute come il morbillo, il vaiolo, l'influenza, e il lavoro forzato degli indigeni nelle miniere e nelle piantagioni. Tuttavia a partire dalla metà del Seicento il trend demografico si invertì in virtù di una più consistente immigrazione dall'Europa, dell'afflusso degli schiavi africani e della progressiva integrazione degli indigeni nella società coloniale.

Lo sfruttamento economico delle colonie spagnole in America avveniva sulla base delle encomienda, cioè l'affidamento ai conquistatori e ai loro discendenti di enormi appezzamenti di terra e degli indigeni che vi vivevano e che erano tenuti a lavoro. In cambio di queste concessioni. Lo stato spagnolo richiedeva il pagamento di tributi, l'obbligo di provvedere alla difesa militare della colonia, e l'impegno a evangelizzare gli indigeni dati in affidamento. Le encomendias dovevano fornire materie prime e diventare un mercato di prodotti finiti provenienti dalla Spagna o da altri paesi d'Europa, ma commercializzati in regime di monopolio da navi spagnole. Il progetto di interscambio però fallì quasi completamente.

Nel Seicento l'agricoltura delle colonie spagnole riprese slancio, valendosi di una manodopera indigena e meticcia non più formalmente schiava; inoltre l'aumento dell'immigrazione europea portò alla formazione, nel corso del Settecento, di un ceto dirigente locale composto da creoli, cioè nativi discendenti dai coloni bianchi, che diedero vitalità all'artigianato e ai commerci e cominciarono a pensare all'autonomia delle colonie americane dalla madrepatria spagnola.

Lo sfruttamento del Brasile da parte dei coloni portoghesi che vi si insediarono fu molto precoce, ma il suo inserimento nel mercato mondiale cominciò tardi e i primi artefici ne furono gli olandesi. Furono gli olandesi a diffondere in Brasile le coltivazioni di canna da zucchero, destinata all'esportazione, e a dare inizio a una massiccia importazione di schiavi dall'Africa.

L'esportazione di zucchero si accrebbe nella seconda metà del seicento, sotto la dominazione dei portoghesi, che incentivarono anche la coltivazione estensiva di cacao, caffè e cotone.

Nelle colonie inglesi dell'America settentrionale non si realizzò un'economia di sfruttamento della forza lavoro indigena come era avvenuto nelle colonie spagnole e portoghesi, al contrario gli indiani furono lasciati fuori dal sistema coloniale e spinti verso le regioni occidentali e meridionali.

Dal punto di vista dei rapporti con la madrepatria, le colonie inglesi si trovavano in uno stato di subordinazione economica simile a quello che legava l'America Latina alla Spagna: erano un serbatoio di materie prime e un potenziale mercato per le merci dell'Inghilterra, che conservava il monopolio dei commerci. L'economia delle varie colonie nordamericane si era però evoluta in modo diverso.

Quelle di più antico insediamento della nuova Inghilterra, il nord-est degli odierni Stati Uniti d'America, erano abitate da coltivatori diretti, artigiani e mercanti, uomini liberi e indipendenti, che avevano nella fede protestante un importante motivo di coesione. In quelle colonie si era sviluppata un'economia articolata e autosufficiente, sia sul piano agricolo, sia su quello manifatturiero. Gli insediamenti coloniali del sud, erano invece stati creati, su concessione della madrepatria, da proprietari latifondisti che avevano attirato nelle loro grandi piantagioni di tabacco, riso, cotone, le fasce più povere della manodopera contadina europea e facevano un uso sempre più massiccio di schiavi neri importati dall'Africa. L'economia delle piantagioni del Sud risultava dunque strettamente funzionale all'industria e al mercato della madrepatria, verso la quale i prodotti venivano esportati.


Il Sud del mondo: l'Africa nel "commercio triangolare"


La maggior parte dell'Africa rimase estranea all'economia fino all'Ottocento. Fu proprio con la deportazione degli schiavi che l'Africa nera entrò, come vittima, in quel particolare ed efficiente commercio triangolare praticato dai negrieri tra il Cinquecento e la metà dell'Ottocento. Gli altri vertici di questo triangolo erano l'Europa, che comprava dai capi tribù africani uomini e donne in cambio di tessuti, armi, prodotti finiti di poco valore, e i latifondisti americani, che necessitavano di braccia per l'agricoltura e fornivano in cambio prodotti coloniali da trasportare e commercializzare in Europa. Il mercato degli schiavi costituì un buon affare per gli armatori iberici, olandesi, francesi e soprattutto inglesi, e divenne un elemento fondamentale nello sviluppo economico europeo. In poco più di tre secoli l'Africa esportò verso l'America 10 o 15 milioni di schiavi. Nel nuovo mondo gli schiavi africani si riproducevano e venivano comprati e venduti in un mercato interno della manodopera, che perpetuava la condizione di schiavitù dei neri.

La destinazione principale degli schiavi erano le isole dei Carabi, da dove venivano smerciati alle colonie spagnole dell'America centromeridionale, e inoltrati verso le piantagioni dell'America anglofoba. Dopo i Carabi il principale importatore di schiavi africani era il Brasile, verso il quale le deportazioni di neri si accrebbero nell'Ottocento, quando le altre potenze europee e le loro colonie ed ex colonie, avevano già abolito la tratta degli schiavi.


I grandi paesi asiatici tra isolazionismo e contatti con l'Occidente


L'apogeo della potenza ottomana si colloca intorno agli inizi del XVI secolo, quando la sua capitale, Istanbul, aveva una popolazione superiore ai 600.000 abitanti, ed era il centro dei commerci e dell'amministrazione di un vasto impero. La situazione economica dei vari territori dell'Impero ottomano era tuttavia molto diversificata, anche poiché molti paesi, l'Egitto in particolare, ancorché formalmente dipendenti da Istanbul, si amministravano in modo autonomo. La centralità dell'Impero come cerniera commerciale tra Oriente e Occidente, venne meno con la scoperta della rotta marittima verso l'Asia; ciò innesco un progressivo declino degli scambi con i paesi europei, che fu accentuato dall'orientamento del commercio del vecchio continente verso l'Atlantico, Le difficoltà economiche erano causate anche dal declino delle manifatture locali, sulle quali pesavano le rigide regolamentazioni corporative, la concorrenza delle merci europee e il degrado della situazione politica.

In Cina, nel corso del XVI secolo, l'impero dei Ming entrò in crisi; la risposta dell'imperatore e delle gerarchie mandarine fu l'instaurazione di una rigida politica isolazionistica, che intendeva chiudere il paese ai contatti culturali e commerciali con l'estero. La crisi aprì la strada all'invasione dai manciù nel 1644, popoli guerrieri provenienti dalla Manciuria, che imposero la nuova dinastia imperiale dei Qing; questa attuò una politica di apertura nei riguardi del mondo esterno, concedendo approdi stabili agli europei, e tollerando la penetrazione nel paese dei missionari gesuiti. Per circa 150 anni la Cina visse un periodo di crescita economica e di relativa prosperità, testimoniata anche dalla consistente crescita demografica, quasi 300 milioni di abitanti alla metà del secolo XVIII.

L'Impero dei Moghul, costituitosi nel corso del XVI secolo nel subcontinente indiano, conobbe il momento di massimo splendore durante il regno di Aurangzeb, conosciuto in Europa come il Gran Mogol. L'India entrò in quel periodo nel circuito del commercio internazionale, esportando cotone, tessuti di poco prezzo, spezie verso l'Europa, per il tramite prima dei mercanti portoghesi, ma intorno alla metà del Settecento gli inglesi li soppiantarono, come preludio al dominio diretto britannico sull'India.

L'Impero Giapponese conobbe una svolta politica ed economica nel 1603, quando Tokugawa assunse la carica di shogun, cioè capo del governo centrale imperiale. Durante l'era Tokugawa, che durò fino al 1868, la figura dell'imperatore fu relegata a un ruolo secondario dal grande attivismo degli shogun, impegnati nella costruzione di un sistema di governo accentrato. Fu un lungo periodo di pace interna e di positivi sviluppi per l'economia. Il Giappone però optò per una politica di rigido isolamento dal resto del mondo, rifiutando i contatti con le spedizioni commerciali europee e cacciando le missioni di portoghesi e spagnoli che nel secolo XVI si erano insediate nel paese.






Privacy




Articolo informazione


Hits: 2834
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024