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Quesiti del giorno

economia



Quesiti del giorno



1. E' consentito a più imprenditori individuali costituire una società cooperativa con scopo consortile?


Dal combinato disposto degli articoli 2247, 2511 e 2615ter del codice civile si desume che gli scopi per i quali è consentita la costituzione di società sono: lo scopo lucrativo, lo scopo mutualistico e lo scopo consortile.

Per scopo lucrativo si intende, ex art. 2247, lo scopo di dividere gli utili derivanti dall'esercizio di un'attività economica svolta in comune da due o più persone.

Lo scopo mutualistico consiste nella volontà dei soci di realizzare un risultato economico ed un proprio vantaggio patrimoniale attraverso lo svolgimento di un'attività d'impresa. Il risultato economico perseguito non è però la più elevata remunerazione possibile del capitale investito (lucro soggettivo), ma quello di soddisfare un comune, preesistente bisogno economico (bisogno di lavoro, di generi di consumo, di credito e così via) e di soddisfarlo conseguendo un risparmio di spesa per i beni o servizi acquistati dalla propria società(cooperativa di consumo), o una maggiore retribuzione per i propri beni o servizi alla stessa ceduti (cooperativa di produzione e di lavoro).



Lo scopo consortile consiste invece nello svolgimento in comune, da parte di più imprenditori, di determinate fasi delle rispettive imprese.

In corrispondenza dello scopo per cui viene costituita, la società sarà sottoposta a regole particolari e diverse: quando l'intento dei soci è lucrativo si applicheranno le regole indicate negli artt.2247 e ss., quando lo scopo è mutualistico la società sarà una società cooperativa e sarà soggetta alle norme indicate negli artt.2511 e ss.; se invece lo scopo è consortile si avrà una società consortile soggetta alle norme indicate negli artt. 2615ter e ss., che richiamano il titolo V del codice, dedicato alle società lucrative.

Da quanto detto si deve ritenere che più imprenditori individuali che si prefiggono uno scopo consortile, ossia che intendano disciplinare o svolgere in comune determinate fasi delle rispettive imprese, dovranno costituire un consorzio e non una società cooperativa, diretta invece a realizzare scopi diversi.



2. E' consentito esercitare un'impresa collettiva applicando le regole della comunione e non quelle delle società?


Il legislatore stabilisce che "la comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del titolo VII del libro III"(art.2248 c.c.); vale a dire dalle norme in tema di comunione e non da quelle sulle società.

Carattere distintivo delle società rispetto alla comunione è innanzitutto il tipo di attività esercitata, che non è produttiva e imprenditoriale, ma di mero godimento, ed inoltre l'esistenza di un patrimonio separato, che non può invece non esserci nelle società.

E', quindi, la presenza o meno di un'attività comune d'impresa che deve fungere da discriminante.

L'esercizio in comune di attività di impresa non è mai mero godimento, ed essendo quest'ultimo sottratto dall'art. 2248 alle norme societarie, si deve anche ritenere che sia vera l'affermazione "inversa". Non è possibile, quindi, esercitare un'impresa collettiva applicando le regole della comunione: necessario e sufficiente perché una comunione si "trasformi" in società di fatto è che i comproprietari si servano dei beni relativi per l'esercizio di una comune attività di impresa, anche in assenza di un accordo fra le parti; infatti, un contratto di società può essere concluso anche per fatti   

concludenti e per fatti concludenti può avvenire anche il conferimento.






3. Confronta le norme della società semplice o della società in nome collettivo e quelle della comunione.




SOCIETA' SEMPLICE- SOCIETA' IN NOME COLLETTIVO

COMUNIONE

RAPPORTO BENI-ATTIVITA'

I beni sono un mezzo per lo svolgimento dell'attività d'impresa

L'attività è un mezzo per assicurare la conservazione della cosa comune e consentirne il migliore godimento individuale

REGIME PATRIMONIALE

Autonomia patrimoniale: i beni facenti parte di un patrimonio sociale sono affetti da un vincolo di stabile destinazione (per la durata della società ) allo svolgimento dell'attività d'impresa, vincolo che opera tanto nei rapporti fra i soci quanto nei confronti dei terzi.

Principi cardine:

1.    646b15g     646b15g   il singolo socio non può liberamente servirsi delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei allo svolgimento dell'attività d'impresa programmata ( art. 2256 );

2.    646b15g     646b15g   il singolo socio non può provocare a sua discrezione lo scioglimento anticipato della società  e la conseguente divisione del patrimonio sociale ( artt. 2272 e 2448 );

3.    646b15g     646b15g   i creditori personali dei soci non possono soddisfarsi, o quanto meno  non possono soddisfarsi direttamente ( art. 2270 ), sul patrimonio della società. Questo è aggredibile solo dai creditori sociali.

Mancanza di autonomia patrimoniale: manca un vincolo di destinazione nei rapporti interni ed esterni.

Principi cardine:

1.    646b15g     646b15g   ciascun comproprietario può liberamente servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la naturale destinazione e non impedisca agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto (art.1102);

2.    646b15g     646b15g   ciascuno dei comproprietari può in ogni momento chiedere lo scioglimento della comunione (art.1111);

3.    646b15g     646b15g   i creditori personali dei singoli comproprietari possono liberamente aggredire anche la cosa comune per soddisfare il proprio credito (artt.599, 1° comma e 600, 1°comma c.p.c.)








4. Confronta le norme delle associazioni e quelle della società semplice o della società in nome collettivo.




ASSOCIAZIONE

(art.14 e seg.)

SOCIETA' SEMPLICE (art. 2251 e seg.)

SOCIETA' IN NOME COLLETTIVO (art. 2291 e seg.)

Natura dell'attività

Produttiva ma non con metodo economico

Economico produttiva, solo attività non commerciale[1]

Economico produttiva, attività commerciale o non commerciale[2]

Scopo o fine perseguibile

Ideale o altruistico (eterodestinazione dei risultati)

Lucrativo o economico (autodestinazione dei risultati)

Lucrativo (autodestinazione dei risultati)

Forma costitutiva

Atto pubblico ed anche testamento per le ass. riconosciute, non è richiesta forma (anche verbalmente o scrittura privata autenticata) per le ass. non riconosciute

Atto non soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti.

Atto pubblico o scrittura privata autenticata, ma solo ai fini della registrazione della società

Tipo di pubblicità


Notizia (iscrizione al registro delle imprese)

Legale (iscrizione al registro delle imprese per le soc. commerciali

Autonomia patrimoniale e tipo di responsabilità

Perfetta per le ass. riconosciute.

Imperfetta per le ass. non riconosciute.




Responsabilità solidale ed illimitata dei soci per le obbligazioni sociali[3]

Organi

Assemblea dei soci

Amministratori









Risposte ai quesiti del 27/10/01



Quesito A


A, b, c, conferiscono 200 milioni ciascuno nella s.n.c che costituiscono.

Subito dopo si accorgono che per avviare l'impresa sono necessari altri 200 milioni, e invitano d ad entrare in società versando questa somma.

D accetta, ma impone che gli venga attribuito il diritto al 40% degli utili, mentre ad ognuno degli altri soci ne toccherà il 20%. Questa clausola è valida?




Diciamo subito che questo patto è ammesso dal legislatore e che al riguardo si possono fare due considerazioni; la prima è che vi è un atteggiamento liberista da parte del legislatore: egli non è interessato all'equità dei contratti, nel senso che non impedisce che vi siano contratti con prestazioni non perfettamente bilanciate. Potrebbe sembrare ingiusto che vi sia una disparità di trattamenti, ma è anche vero che, almeno in un'economia di mercato, la legge non può correggere tutti gli squilibri.

La seconda osservazione è che esistono dei limiti a questa libertà, limiti sanciti dal patto leonino. Dall'art. 2265 c.c. si desume infatti che è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite; principio questo che si può desumere in parte anche dall'art. 2247 c.c., che disciplina il contratto di società; con questo contratto infatti due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili.

Anche dall'art. 2295 n.8, c.c. si desume che i soci possono stabilire liberamente le modalità di ripartizione degli utili e delle perdite; infatti, essi devono indicare nell'atto costitutivo " le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite".

Inoltre, se nell'atto costitutivo non viene indicato nulla sulle modalità di ripartizione di utili e perdite, esse si presumono proporzionali ai conferimenti effettuati di ciascun socio.

Con l'art 2265 c.c. il legislatore vieta il costituirsi di società aventi come obbiettivo quello di aiutare terze persone, come ad esempio una società formata da padre e figli, dove il padre effettua il conferimento (e forse amministra), ma non partecipa agli utili che vengono invece ripartiti solo fra i figli.

Per concludere, l'art.2265 c.c. potrebbe essere interpretato in maniera esclusivamente letterale, nel senso che la legge si disinteressa dell'equità del contratto ed interviene nel caso in cui vi è totale assenza dalla partecipazione agli utili ( perdite).

Questa interpretazione, se pur di facile e sicura applicazione, si rivela piuttosto insoddisfacente. Si potrebbe invece affermare che l'art.2265 c.c. deve essere applicato anche quando vi è una "sostanziale" privazione degli utili (perdite). Si capisce però immediatamente che l'espressione "sostanziale" possa creare incertezze nell'applicazione del divieto.









Quesito B


In un secondo momento A, B e C privano D del potere di amministrare la società adducendo che egli vi è entrato in un secondo momento, che dunque è stato nominato amministratore con atto separato, che pertanto essi possono revocarlo liberamente. Può avvenire la revoca in questo caso?


Il potere amministrativo del socio deriva dal contratto sociale o da atto separato. Di conseguenza anche la revoca seguirà due regimi diversi.

Nel primo caso, secondo l'art. 2259 c.c., "la revoca dell'amministratore nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa". Inoltre, essendo essa una modifica dell'atto costitutivo, dovrà avvenire all'unanimità, non contando il socio escluso, come recita l'art.2252, e non a maggioranza.

Nel secondo caso, invece, il 2° co. dell'art. 2259 c.c. stabilisce che l'amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul mandato. Si ritiene che siano applicabili le norme riguardanti il mandato collettivo (art. 1726 c.c.), secondo cui se il mandato è stato conferito da più persone con un unico atto, e per un affare di interesse comune, la revoca non ha effetto qualora non sia fatta da tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa.

Per ciò che riguarda il quesito, dobbiamo considerare i rapporti che sussistono fra D e gli altri soci, dobbiamo vedere se i soci hanno considerato la nomina del socio amministratore, D, come clausola contrattuale o come pattuizione esterna al contratto sociale e quindi oggetto di atto separato. Dobbiamo cioè vedere se il socio D aveva interesse ad amministrare la società o meno, cioè se ha voluto porre questa clausola come condizione del suo ingresso in società o meno. Se sussiste l'interesse, allora la revoca sarà possibile solo se vi è una giusta causa, in quanto si applicheranno le norme sulla revoca di amministratore nominato nel contratto sociale (e io ritengo che l'art.2259, co.1, c.c. corrisponda alla regola generale di cui all'art.1723, co.2, c.c., riguardante il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario). Se invece il socio D, non aveva interesse nella amministrazione della società, ma voleva solo stipulare detto contratto, e i soci hanno deciso di inserire la sua nomina come oggetto di un'altra pattuizione, esterna al contratto (per atto separato, appunto), allora egli potrà essere liberamente revocato da tutti loro, secondo l'art. 1725 c.c.

Concludendo posso dire che la revoca in questo caso dipende dalle pattuizioni decise dai soci pre-esistenti e dalle intenzioni manifestate dal nuovo socio al momento del suo ingresso in società.



Quesito C


Di fronte a tale comportamento, che egli giudica inaccettabile, D decide di recedere dalla società. Può farlo?




Per rispondere a questo quesito è necessario prima domandarci se la società è stato contratta a tempo determinato o indeterminato.

Una volta stabilito ciò, possiamo rifarci all' art. 2285 c.c. dal quale si evince che "ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci.

Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa.  

Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi."

Perché la legge attribuisce ai soci il diritto potestativo di uscire dalla società, spesso anche danneggiandola?

La motivazione risiede nel fatto che il legislatore non tollera che vengano assunti impegni particolarmente vincolanti o la cui durata è rimessa alla volontà di altri. Si parla qui di libertà di iniziativa economica e la legge non vuole che ci si privi di essa per periodi di tempo eccessivamente lunghi.

Non è necessaria la giusta causa nemmeno nel caso in cui la società è stata contratta per tutta la vita. Anche in questo caso il socio sarà vincolato come in un contratto a tempo indeterminato ed egli potrà uscire dando un preavviso di almeno tre mesi.La stessa cosa dicasi se la durata è superiore alle aspettative di vita del socio ( ad esempio durata 100 anni).

Se invece la società è stata contratta a tempo determinato (es. 10 anni) per poter recedere il socio dovrà fornire una giusta causa. Bisogna peraltro riconoscere che la linea di separazione tra giusta e ingiusta causa può essere di difficile individuazione.

Nel nostro quesito i tre soci hanno privato D del potere di amministrare. Ciò potrebbe aver incrinato i rapporti sociali; ma basta questo rilievo perché vi sia una giusta causa di recesso dalla società?

Si potrebbe rispondere affermativamente: anche se tale revoca è illegittima, e il socio D può continuare a svolgere le funzioni di amministratore, egli ha ugualmente il diritto di recedere dalla società adducendo come giusta causa il conflitto con gli altri soci.

Ma io preferisco una risposta diversa, e ritengo che il semplice dissenso tra soci o la mancanza di fiducia non sono condizioni sufficienti per determinare una giusta causa.



Quesiti del 15 novembre 2001





Quesito n.1

In quali casi è annullabile la partecipazione del socio alla s.p.a.? E con quali conseguenze?


La partecipazione del socio alla s.p.a. è annullabile per incapacità o per i vizi della volontà secondo i principi di diritto comune, ma l'invalidità della partecipazione, anche se essenziale, non determinerà nullità della società. Non troverà quindi applicazione l'articolo 1446 del codice civile rubricato 'annullabilità nel contratto plurilaterale'. Inoltre, la dichiarazione di invalidità della singola partecipazione non ha effetto retroattivo, il socio avrà diritto alla liquidazione della sua partecipazione, in base alla situazione patrimoniale della società al momento in cui la partecipazione è dichiarata annullata.



Quesito n.2

Qual è la differenza fra i conferimenti in natura e le prestazioni accessorie di cui l'articolo 2345?


Oltre all'obbligo dei conferimenti, l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci, di tutti i soci o di alcuni di essi, di eseguire prestazioni accessorie che non consistono in denaro. Per esempio prestare la propria attività lavorativa o professionale nella società oppure in un obbligo di effettuare forniture periodiche di materie prime o di merci. Si tratta di prestazioni ulteriori e distinte rispetto all'obbligo di conferimento, non vanno quindi imputate a capitale, ma l'atto costitutivo ne deve determinare il contenuto, la durata, le modalità, il compenso, con eventuali sanzioni nel caso di inadempimenti. Le prestazione accessorie sono uno strumento utile per vincolare in modo stabile i soci ed effettuare a favore della società prestazioni che non possono essere oggetto di conferimento. Con esse viene introdotto un elemento personalistico nella partecipazione sociale, per il rilievo che viene dato alle qualità personali del socio che si impegna ad eseguirle.



Quesito n. 3

Che regole applicare se il conservatore si rifiuta di iscrivere nel registro delle imprese una s.p.a. che ha già avviato l'esercizio dell'impresa?




Quesito n.4

Gli azionisti di risparmio sono davvero soci della s.p.a.?


L'azionista di risparmio è colui che detiene azioni di risparmio, le quali sono state introdotte con la legge 216/1974. Si realizza così una sostanziale distinzione fra azionisti imprenditori e azionisti risparmiatori. Con le azioni di risparmio, più che privare l'azionista della qualità di socio, lo si priva dell'esercizio di alcuni diritti che sono invece riconosciuti ai detentori delle azioni ordinarie. Le azioni di risparmio sono prive del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie, conservano però tutti gli altri diritti amministrativi propri delle azioni ordinarie, quali il diritto di intervento, il diritto di chiedere la convocazione dell' assemblea (prima esclusi con la legge 216/1974) e hanno il diritto di impugnare le delibere assembleari invalide. Ciò in quanto non è contestabile che anche gli azionisti di risparmio sono azionisti, sicché per quanto non espressamente previsto la loro posizione deve essere equiparata a quella degli azionisti ordinari, Le azioni di risparmio sono azioni privilegiate sotto il profilo patrimoniale e la legge 216/1974 fissava i contenuti e la misura minima dei privilegi che dovevano essere inderogabilmente riconosciuti alle azioni di risparmio, ma la riforma del 1998 ha cancellato la rigida disciplina legislativa dei privilegi patrimoniali.





Risposte ai quesiti del 23/11/2001



Quesito a


Con la complicità degli amministratori, A ottiene che sul libro dei soci della S.p.A. venga ingiustamente annotato a suo favore il trasferimento di 100 azioni (non emesse) spettanti a B. Poi A vende le azioni a C. Esamina la posizione di C.



In questa circostanza il libro dei soci attesta un trasferimento che in realtà non c'è mai stato. L'iscrizione nel libro dei soci della S.p.A. non è di per sé causa di trasferimento delle azioni; non esiste infatti alcuna norma nel codice civile che ci autorizza a pensare il contrario; tale iscrizione ha valore solo documentale e di conseguenza essa non ha nessun potere di rendere validi atti che in realtà non lo sono.

Si desume, di conseguenza, che A non è mai divenuto socio effettivo della S.p.A. pur comparendo come tale nel libro dei soci.

Successivamente il socio A vende le azioni non emesse a C; questi può ben essere in buona fede in quanto ha consultato il libro dei soci.

Per esaminare la posizione del potenziale nuovo socio bisogna fare una premessa.

Il trasferimento dei beni mobili può avvenire secondo due distinte modalità: o trasferimento a titolo originario, quando la proprietà del bene non viene trasmessa dall'alienante all'acquirente, oppure acquisto (trasferimento) a titolo derivativo quando l'alienante vende un bene di cui possiede il titolo.

Il nostro caso non rientra in nessuna di queste due circostanze. Non si può applicare l'art. 1994 c.c. "possesso vale titolo" in quanto il titolo di credito neanche esiste: le azioni, infatti, non sono state mai emesse; ciò significa che non esiste niente, nello specifico, che potrà essere posseduto da C. Egli potrà solo agire per inadempimento del contratto.

Da ciò si capisce come i titoli di credito siano stati inventati proprio per risolvere queste situazioni d'incertezza nella circolazione delle partecipazioni societarie.




Quesito B


Con la complicità degli amministratori, A ottiene che sui titoli che egli stesso ha fatto rubare a B e sul registro della società venga annotato il trasferimento a suo favore.

Poi vende le sue azioni a C. Esamina la posizione di C.


A differenza del caso precedente, questa volta le azioni esistono, ed A riesce con l'inganno a farsi fare una girata sui titoli di credito (firma falsa) e a fare annotare il suo nome dagli amministratori sul libro dei soci.



A, in realtà, non ha mai stipulato questo contratto con B perciò egli non è socio, a prescindere da ciò che risulta dal libro dei soci o dai titoli di credito.

In questo caso, però, la situazione del socio C è diversa rispetto al quesito a, in quanto possiamo applicare l'art. 1994 c.c. poiché i titoli di credito sono stati emessi e perciò esistono.

Concludiamo dicendo che C diviene socio a tutti gli effetti della S.p.A. in base all'art. 1994 c.c. per il quale: "Chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione non è soggetto a rivendicazione".

Questi due esempi ci mostrano l'utilità dei titoli di credito che ci permettono, tra l'altro, di applicare l'art.1994 c.c.



Quesito C


F, azionista moroso e decaduto, a norma dell' art. 2344 c.c., vende a G i titoli di cui è rimasto in possesso.

Esamina la posizione di G immaginando, ora che le azioni siano state estinte, ora che siano state rimesse in circolazione.


Esaminiamo il contenuto dell' art. 2344 c.c. inerente al mancato pagamento delle quote:

"Se il socio non esegue il pagamento delle quote dovute, gli amministratori, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, possono fare vendere le sue azioni a suo rischio e per suo conto a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito.

Qualora la vendita non possa aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo risarcimento dei maggiori danni.

Le azioni non vendute, se non possono essere rimesse in circolazione entro l'esercizio in cui fu pronunciata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale.

Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto."


E' perciò possibile vendere azioni per incarico della società se il suo socio non è d'accordo?

Può qualcuno vendere i beni di un altro?

L'art. 2344 c.c. è chiaro in merito: esso infatti conferisce il potere alla società di espropriare le azioni ai soci.

La società però non ha il potere o i mezzi idonei per riprendere materialmente le azioni del socio moroso. Si prevede perciò che la società emetta nuove azioni, ma quelle vecchie rimarranno in mano al vecchio socio che, se disonesto, potrà rivendere.

Nel caso in cui la società riuscirà a trovare un altro acquirente si avrà una doppia vendita.

Si possono avere tre soluzioni: la prima sfavorisce l'acquirente che ha acquistato dal socio moroso decaduto. Ciò si può giustificare adducendo che egli poteva informarsi tramite la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Di conseguenza, i titoli venduti dall'azionista moroso all'acquirente, anche se questi è in buona fede, non sono più validi, ma sono semplici pezzi di carta. Saranno valide, invece, le azioni vendute dalla società.

L'altra soluzione potrebbe essere quella di mantenere valide ugualmente le azioni facendo diventare titolare il nuovo acquirente del socio moroso. Così facendo la società avrà un azionista in più e ciò si ripercuoterà, tra l'altro, al momento della ripartizione degli utili. Questa duplicazione della azioni perciò coinvolgerà anche tutti gli altri soci.

Una terza possibilità potrebbe essere quella che vede nascere un conflitto d'interessi tra l'acquirente della società e acquirente del socio moroso. Tra i due ne dovrà prevalere uno solo.

Ma chi dei due? Forse chi ha acquistato per primo?

Tale problema non ha ancora trovato una valida risoluzione e ciò costituisce un pregiudizio per la circolazione delle azioni non ancora liberate.







Quesito D


Con la complicità dell'intermediario finanziario, l'ex marito di Zeta vende le azioni dematerializzate della moglie e ne incassa il presso. Esamina la posizione dell' acquirente P.



Il trasferimento delle azioni dematerializzate immesse nel sistema può essere effettuato dai titolari solo tramite intermediari autorizzati i quali, una volta concluso il trasferimento, dovranno registrare lo stesso nel conto del proprio cliente (art. 30 decreto legislativo 213/98).

La registrazione produce effetti equivalenti a quelli determinati dal trasferimento secondo la disciplina dei titoli di credito. Colui che ha ottenuto la registrazione in suo favore, in base a titolo idoneo e in buona fede, nel nostro caso l'acquirente P, non è soggetto a pretese o azioni da parte dei precedenti titolari secondo il disposto dell' art. 32 II comma c.c. ed ha la legittimazione piena ed esclusiva ad esercitare i relativi diritti (art. 32 I comma del sopra citato decreto).

L'emittente può opporre a P solo le eccezioni a lui personali e quelle comuni a tutti gli altri titolari degli stessi diritti ( art.33).




QUESITI DEL 24/11/01



Quesito 1

Individua ed esamina alcune norme volte a risolvere i conflitti tra soci di s.p.a.


Il legislatore ha ritenuto opportuno disciplinare taluni conflitti tra soci nella S.p.A. L'obiettivo principale è la tutela dei soci che non dispongono di una partecipazione dominante nella società e che, quindi, possono subire la prepotenza dei soci di maggioranza.

Un intervento normativo più intenso in tale direzione risale agli anni '70, quando il legislatore ha compreso la necessità di sostenere più decisamente l'investimento diretto del pubblico nel capitale delle imprese.

L'assenza di regolamentazione potrebbe provocare una perdita di interesse dei risparmiatori nei confronti di partecipazioni azionarie minori e, di conseguenza, limitare il mercato di quelle azioni e il valore di mercato di tutte. Bisogna inoltre aggiungere che nel caso di deliberazione di aumento del capitale sociale, la società potrebbe trovare delle difficoltà nel convincere i soci a sottoscrivere l'aumento, se il loro trattamento non è stato apprezzabile.

In sintesi, il legislatore ha ritenuto che per sostenere la crescita economica del paese, la partecipazione diretta del privato nelle imprese fosse fondamentale e che, quindi, una qualche forma di regolamentazione necessaria affinché tale partecipazione non venga disincentivata.

Si analizzano di seguito alcune le norme a tal fine emanate:

- La prepotenza dei soci di maggioranza si può manifestare sin in sede di costituzione della società. Infatti, un socio di maggioranza potrebbe conferire beni di valore inferiore rispetto al valore delle azioni sottoscritte. Ciò può accadere senza che i restanti soci protestino, ad esempio, perché la presenza del socio in questione in azienda è ritenuta fondamentale, oppure perché inconsapevoli. In ogni caso i restanti soci ne risultano danneggiati, sia per quanto riguarda la conseguente ingiusta distribuzione degli utili, sia in sede di restituzione del capitale.

Per evitare ciò, la norma sopra citata stabilisce che i conferimenti in natura e in crediti devono essere accompagnati da una relazione giurata di un esperto designato dal presidente del tribunale indicante, oltre alla descrizione degli stessi, l'attestazione che i beni non hanno un valore inferiore al valore nominale delle azioni sottoscritte.


2343-bis - I soci di maggioranza potrebbero inoltre imporsi negli atti di gestione rilevanti costringendo (il socio di maggioranza può, in virtù delle azioni possedute, farsi nominare amministratore della società) o convincendo gli amministratori (il socio di maggioranza ha un forte potere di influenza sugli amministratori, possedendo la maggior parte dei voti in assemblea) ad acquistare per conto della società un suo bene ad un prezzo superiore al suo valore effettivo. Il legislatore ha quindi aggiunto la norma 2343-bis per evitare che, successivamente alla costituzione della società, il socio di maggioranza possa ottenere quanto vietato dalla norma precedente, cioè vendere alla società un bene, attribuendogli un valore superiore rispetto al suo valore effettivo. La norma, dunque, prevede che:

- se la società acquista beni o crediti da promotori, fondatori, soci o amministratori

e

- se tali beni hanno un valore pari o superiore ad un decimo del capitale sociale,

l'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria sulla base della relazione giurata di un esperto designato dal presidente del tribunale che l'alienante deve presentare.

Questa norma si applica, però, solo nei due anni che seguono l'iscrizione della società nel registro delle imprese. Il limite temporale deve essere considerato come un compromesso giustificato dall'impossibilità di sottoporre per sempre a controllo tali atti di acquisto.


- I soci fondatori possono inserire nell'atto costitutivo una clausola "ad personam" sulla partecipazione agli utili, purché non superiore ad un decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo massimo di cinque anni. Questo è l'unico beneficio stipulabile del quale si possa avvantaggiare un particolare socio. Ciò si desume non solo dall'ultimo comma del 2340, che è esplicito in tal senso, ma anche dal 2348 1°c. che attribuisce alle azioni uguale valore e uguali diritti,e dal 2350 che fissa il principio di proporzionalità nella distribuzione degli utili. E' vero che l'atto costitutivo può prevedere categorie di azioni fornite di diritti diversi, ma non ad personam.

Queste norme sono quindi dirette ad impedire che i soci di maggioranza possano, in virtù del loro potere, prevedere una particolare ripartizione degli utili o altri privilegi a loro vantaggio, confidando sulla disponibilità o timore dei soci di minoranza.


2357-ter - Anche questa norma può farsi rientrare tra quelle previste per risolvere i conflitti tra soci. Infatti, il socio di maggioranza potrebbe direttamente (se socio amministratore) o indirettamente (attraverso il suo potere di influenza nei confronti degli amministratori) ordinare l'acquisto di azioni proprie da parte della società, al fine di acquistare un maggior diritto di voto in assemblea. La norma lo impedisce perché prevede la sospensione del diritto di voto delle azioni acquistate e il loro computo nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell'assemblea.


- Questo articolo, al primo comma, dispone che il diritto di voto non può essere esercitato dal socio nelle deliberazioni in cui egli ha per conto proprio o di terzi un interesse in conflitto con quello della società. Ad esempio, l'assemblea che sia chiamata a deliberare sull'acquisto di un immobile di proprietà del socio o sul compenso al socio-amministratore o ancora sulla concessione di fideiussione a favore di altra società composta dagli stessi soci. In tali situazioni, il diritto di voto non può essere esercitato dal socio. Il secondo comma dello stesso articolo dice che in caso di inosservanza della disposizione di cui al comma precedente, la deliberazione, qualora possa recare danno alla società, è impugnabile a norma dell'art. 2377 se, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza.

Si può verificare che una deliberazione sia adottata dalla maggioranza per danneggiare non la società, bensì i soci di minoranza. Ad esempio si può deliberare di aumentare il capitale sociale a pagamento, al solo fine di ridurre la quota di partecipazione di un socio di minoranza impossibilitato a sottoscrivere l'aumento. Ancora si può deliberare di non distribuire dividendi per deprimere il valore di mercato delle azioni e, costringere il socio di minoranza a svendere i propri titoli. Altro caso classico è quando la maggioranza delibera lo scioglimento anticipato della società per ricostituirne subito dopo un'altra senza il socio sgradito. E' opinione corretta che in tutti questi casi l'art.2373 non è invocabile, dato che la società non subisce alcun danno patrimoniale, né attuale né potenziale. Dottrina e giurisprudenza non sono però insensibili all'esigenza di reprimere gli abusi della maggioranza e desumono dai principi generali un ulteriore limite alla libertà di voto: l'art. 1375 che invoca il principio di correttezza e buona fede nell'attuazione del contratto. Si perviene così ad affermare l'annullabilità della delibera quando la stessa sia ispirata dal solo scopo di danneggiare singoli soci.


- Nella s.p.a. con azioni diffuse tra il pubblico dei risparmiatori le assemblee sono dominate stabilmente da gruppi minoritari che detengono un certo ammontare di capitale sociale. Con tale ammontare succede spesso che è tale gruppo che nomina amministratori, sindaci e decide direttamente o indirettamente le sorti della società. In verità ci sono dei mezzi per risolvere tali conflitti. In base all'art.2409, se si è in presenza di gravi irregolarità da parte degli amministratori o dei sindaci, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale possono promuovere un controllo della gestione da parte dell'autorità giudiziaria.


Quesito 2

Individua ed esamina le norme volte a tutelare i creditori della s.p.a.


1. L'art.2394 c. c. intitolato "responsabilità verso i creditori sociali", dispone che gli amministratori sono responsabili nei confronti dei creditori sociali se violano gli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. Il secondo comma stabilisce che i creditori sociali possono agire contro gli amministratori, ma solo quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti; l'azione si prescrive in cinque anni come detto anche nell'art. 2949 c. c.

2. Nelle società per azioni è ammessa la riduzione del capitale sociale, quando questo risulta eccessivo, nel corso della vita della società, rispetto alle esigenze poste dal conseguimento dell'oggetto sociale (art. 2445 c. c.). Si tratta di una operazione potenzialmente pericolosa per i creditori sociali: riduce, infatti, la consistenza del patrimonio netto. Visto questo il legislatore ha posto dei vincoli sostanziali e procedimentali.

Dal punto di visto sostanziale occorrono delle circostanze oggettive che dimostrino l'esuberanza del capitale sociale rispetto a quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale.

Per quanto riguarda i limiti procedimentali, l'art. 2445 c. c. dispone che la deliberazione può essere fatta solo dopo che siano passati 3 mesi dall'iscrizione nel registro delle imprese, purché entro tale termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione. Poiché tale operazione può rendere meno agevole la realizzazione del credito, il legislatore dà ai creditori 3 mesi di tempo per opporsi.

Inoltre, tale operazione non può far scendere il capitale al di sotto del limite legale (art. 2327 c. c.); ed in presenza di prestiti obbligazionari il capitale si può ridurre solo in proporzione alle obbligazioni già rimborsate (art.2412 c. c.).




Studente Patti Giuseppe Fabio


1)    646b15g    Individua ed esamina alcune norme volte a risolvere i conflitti fra i soci.


Nelle s.p.a con azioni diffuse fra il pubblico dei risparmiatori le assemblee sono spesso dominate stabilmente da gruppi che detengono un ammontare di capitale sociale sufficiente per nominare amministratori e sindaci e decidere direttamente o indirettamente le sorti della società.

In verità ci sono dei mezzi per risolvere i conflitti che vengono a crearsi fra questi e gli altri soci, come ad esempio l'art. 2409 c.c. in base al quale: "se si è in presenza di gravi irregolarità da parte degli amministratori o dei sindaci, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale possono promuovere un controllo della gestione da parte dell'autorità giudiziaria.

Ma può anche accadere che si deliberi di aumentare il capitale sociale a pagamento al solo fine di ridurre la quota di partecipazione del socio di minoranza, oppure si delibera con frequenza di non distribuire dividendi per abbassare il valore di mercato delle azioni e costringere il socio di minoranza a svendere le proprie azioni, o ancora la maggioranza delibera lo scioglimento anticipato della società per ricostituirne una nuova senza il socio non bene accetto.

In un primo momento si potrebbe pensare di applicare l'art. 2373 (conflitto d'interessi) per risolvere tali conflitti, ma possiamo subito escluderlo dato che la società non subisce alcun danno patrimoniale. Si ritiene allora di applicare l'art. 1375, cosi da affermare l'annullabilità della delibera, quando la stessa sia ispirata ad uno scopo arbitrariamente predeterminato dai soci di maggioranza per ledere i diritti degli altri soci.

E' possibile inoltre citare l'art 2343 bis: "l'acquisto da parte della società per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese deve essere autorizzata dall'assemblea ordinaria. Inoltre l'alienante deve presentare prima che l'assemblea decida una relazione giurata di un esperto designato dal presidente del tribunale.




2). Individua ed esamina alcune norme volte a tutelare i creditori sociali.

Per quando riguarda la tutela dei creditori posso citare la norma che regola la disciplina dell'effettività e dell'integrità del capitale sociale, infatti secondo l'art. 2342 nella s.p.a i conferimenti devono essere fatti in danaro se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente. Perciò nel silenzio dello stesso l'intero capitale deve essere versato in danaro. Per garantire sin dalla costituzione della società l'effettività almeno parziale del capitale è richiesto l'obbligo di versamento immediato presso un istituto di credito dei tre decimi dei conferimenti in danaro (art. 2329) Una seconda norma volta a tutelare i creditori è quella che fa riferimento all'informazione contabile periodica sulla situazione patrimoniale e sui risultati economici della società. Infatti secondo l'art. 2423 gli amministratori devono redigere il bilancio d'esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa; il secondo comma dice: " il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio. Inoltre se le informazioni non sono sufficienti la norma riconosce la possibilità di un'integrazione delle informazioni in modo da garantire la maggior trasparenza della situazione patrimoniale ed economica della società.


Quesito del 6/12/01


Disposizioni in materia di privatizzazione del patrimonio immobiliare



Le amministrazioni pubbliche possiedono un ampissimo patrimonio immobiliare. Di tale patrimonio non esiste ancora un rendiconto. Alcune vendite di beni del patrimonio immobiliare dello Stato e degli Enti pubblici erano state annunciate ma mai realizzate sia per l'inerzia della burocrazia, sia per le difficoltà di carattere urbanistico ed edilizio. A prescindere dal vincolo di carattere storico o artistico, la mancanza di specifiche prescrizioni per l'edificazione dei beni da dismettere avrebbe reso difficile, all'acquirente, l'utilizzo del bene stesso. In questo contesto, il decreto legge n° 351 del 25 settembre 2001 mira ai seguenti tre obiettivi:

-    646b15g     646b15g     646b15g valorizzare il patrimonio e migliorarne la gestione

-    646b15g     646b15g     646b15g ridurre l'indebitamento netto assicurando immediatamente un'entrata all'erario

-    646b15g     646b15g     646b15g diffondere la proprietà immobiliare, contribuendo a delineare un quadro normativo più chiaro in materia di vendita di immobili pubblici.

Il decreto prevede che in una prima fase sia l'Agenzia del demanio ad effettuare la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico (sarà stilato un elenco, in base ai documenti esistenti dei beni demaniali, distinguendo tra patrimonio disponibile e patrimonio indisponibile), mentre in una seconda fase il Ministero dell'economia e finanze individuerà gli immobili da vendere tra quelli appartenenti all'amministrazione Statale, agli Enti pubblici non territoriali e alle società a totale partecipazione pubblica. Successivamente, il decreto prevede che gli immobili saranno ceduti a una o più società veicolo, appositamente costituite, che finanzieranno l'acquisto attraverso un'operazione di cartolarizzazione, versando quindi l'importo raccolto con tale operazione, a titolo di prezzo iniziale, ai proprietari cedenti.

Tale operazione di cartolarizzazione consiste in un'emissione di titoli obbligazionari sul mercato, il rimborso dei quali sarà assicurato dalla gestione e dalla successiva vendita degli immobili stessi: i flussi derivanti dalla gestione e dalla successiva vendita degli immobili, dopo il rimborso del debito per capitale e interessi, degli altri oneri accessori e degli altri costi dell'operazione, saranno corrisposti ai proprietari originari degli immobili, sotto forma di "prezzo differito."

Le operazioni di cartolarizzazione potranno essere più di una; per ciascuna dovranno essere individuati i relativi beni immobili, che costituiranno patrimoni separati della società veicolo. La società risponde nei confronti dei portatori dei titoli esclusivamente con il patrimonio separato ad essa conferito. Su tali beni non sono ammesse azioni di qualsiasi creditore diverso dai portatori dei titoli emessi dalla società e dai finanziatori, al fine di tutelare gli interessi di questi ultimi nei confronti degli altri creditori. Allo stesso fine, al comma 3 dell'articolo 2 del decreto, è previsto che lo Stato possa garantire, in tutto o in parte, i finanziamenti o i titoli emessi dalla stessa società veicolo. Questa si avvarrà di alcune agevolazioni fiscali; il decreto legge prevede, infatti, che il reddito riguardante il patrimonio separato della società veicolo non verrà assoggettato ad imposte sui redditi e all'IRAP e che tutti gli atti, contratti e trasferimenti posti in essere per il perfezionamento delle operazioni di cartolarizzazione saranno esenti da bollo, registro e ogni altra imposta indiretta.








Quesiti del 7/12/01



1.    646b15g   Spiega se e perché la percentuale di azioni necessarie per esercitare effettivamente il controllo di una società può cambiare di società in società e nella stessa società nel corso del tempo.



La maggioranza assoluta (50% delle azioni più una) fornisce al suo possessore il controllo della società e quindi la possibilità di decidere in materia di approvazione di bilancio, nomina degli amministratori, distribuzione degli utili oltre che un peso nell'influenzare (seppure in modo informale) gli amministratori nella loro attività di gestione.

Purtuttavia per potere influenzare le delibere assembleari non necessariamente occorre possedere questa porzione di partecipazioni azionarie; basta infatti avere una quantità di titoli che consente la maggioranza all'interno dell'assemblea, quantità che varia al variare della distribuzione azionaria tra i soci da azienda in azienda. Più questa sarà diffusa tra il pubblico, minore sarà la quota necessaria per avere una posizione dominante; viceversa quando vi sono pochi soci e la distribuzione è quasi paritaria occorre un ingente pacchetto azionario per ottenere l'effettivo e stabile controllo della società.

E naturalmente, potendo variare il modo in cui le azioni sono ripartite tra i soci può variare nel corso del tempo anche la percentuale necessaria all'effettivo controllo della stessa.


Se la soglia di cui all'art. 106 t.u.f. fosse portata al 25% le società sarebbero più contendibili o meno contendibili? E se fosse abrogato l'art. 104 t.u.f.?




Come sappiamo la soglia del 30% è una soglia arbitraria: prima del t.u.f. del 28/02/1998, n° 58 la Consob stabiliva la soglia di controllo, periodicamente, per ogni società. Con la riforma del 1998 la soglia è stata fissata uniformemente al 30%.

Tale norma rende le società meno contendibili poiché costringe colui che ha acquistato il controllo a lanciare una O.P.A. sulle restanti azioni. In tal modo, prescindendosi dal fatto che la percentuale che sia del 30 o del 25%, l'articolo pone un grosso fardello sulle spalle di colui che ha acquistato il controllo superando la soglia, consistente nell'obbligo di lanciare una O.P.A. sulle restanti azioni.


L'art.104 recita: 'salvo autorizzazione dell'assemblea ordinaria o di quella straordinaria per le delibere di competenza, le società italiane le cui azioni oggetto dell'offerta sono quotate in mercati regolamentati italiani...si astengono dal compiere atti e operazioni che possono contrastare il conseguimento degli obiettivi dell'offerta'. Da questo si evince che l'art. 104 che fa sì che gli amministratori delle società bersaglio debbano astenersi dal compiere gli atti che contrastino il conseguimento degli obiettivi dell'offerta. Tale divieto può essere rimosso ma è necessaria una delibera dell' assemblea ordinaria o straordinaria appositamente convocata in pendenza dell'O.P.A.; inoltre è richiesta una maggioranza elevata ovvero il 30% del capitale sociale.

Resta ferma la responsabilità degli amministratori per gli atti e le operazioni compiute.

Eliminando l'art. 104 probabilmente le società diventerebbe meno contendibile poiché gli amministratori potrebbero compiere degli atti contrari alla buona riuscita dell'offerta senza che per questa sia necessaria l'autorizzazione dell'assemblea.


2.    646b15g   Quali regole si applicano se acquisto il controllo di una società non quotata che controlla una società quotata?

A cura di Alberto Marchica, matr 533165


Risposta di Greco Irene, matr. 214033


Se viene acquistato il controllo di una società non quotata in genere non c'è l'obbligo dell'O.P.A.; tuttavia qualora tale società controlli a sua volta una società quotata, la regola subisce un'eccezione per via di quanto stabilisce il regolamento della CONSOB; quest'ultimo infatti, all'art.13 stabilisce che l'O.P.A. sui titoli della società quotata "acquisita indirettamente" (ciò che avviene appunto nel nostro caso) deve essere lanciata sia da chi acquista una partecipazione di controllo in una società capogruppo non quotata, sia da chi acquista una partecipazione superiore al 30% in una società capogruppo quotata. Nel caso poi in cui si abbia il controllo indiretto di più società quotate, l'O.P.A. riguarda solo le società il cui valore rappresenta almeno il 30% del totale delle partecipazione detenute dalla società controllante.


3.    646b15g   Quali regole si applicano se acquisto il 30% di una società quotata di cui altri detiene il 51%

A cura di Alberto Marchica, matr 533165


Risposta di Scuderi Loredana, matr. 209758


Si applicano l'art. 106 comma 5 : "La Consob stabilisce con regolamento i casi in cui il superamento della partecipazione indicata nel comma 1 non comporta l'obbligo di offerta ove sia realizzato in presenza di altri soci che detengono il controllo..".


4.    646b15g   Chi ha aderito ad un O.P.A. può tornare indietro e trattenere i suoi titoli?

A cura di Alberto Marchica, matr 533165


Risposta di Acciarito Alessandra, matr 214701

Papa Armando, matr 167440


A nostro parere sulla revocabilità dell'adesione vanno coordinate due disposizioni: l'art. 12 comma 6 del "Regolamento Consob" con i principi generali di cui all'art 1326 c.c. dai quali deriva l'irrevocabilità dell'adesione negoziale (il contratto si conclude quando il proponente ha conoscenza dell'accettazione).

La disposizione regolamentare sancisce un'eccezione ai principi, prevedendo che in caso di un'offerta concorrente o di un rilancio è consentito al destinatario dell'offerta di modificare la volontà di adesione.

In proposito appare necessaria un'espressa dichiarazione di revoca nella stessa forma dell'atto di adesione, in modo da rendere conoscibile all'offerente il venir meno dell'adesione stessa.


5.    646b15g   Avviene mai che un azionista sia obbligato a vender i suoi titoli?

La risposta al quesito è sì. Poiché l'art. 111 del t.u.f. ha introdotto nel nostro ordinamento un diritto potestativo di acquisto (diritto di call o squeeze-out) delle azioni residue rimaste sul mercato. Titolare del diritto di call è chiunque, a seguito di un'O.P.A. (volontaria o obbligatoria) totalitaria sulle azioni con diritto di voto, venga a detenere più del 98% di tali azioni. Il diritto di acquisto sulle azioni residue può essere esercitato entro quattro mesi dalla chiusura della precedente offerta totalitaria la quale abbia lasciato sul mercato una percentuale inferiore al 2% delle azioni con diritto di voto, a condizione che l'offerente abbia dichiarato la propria intenzione di volersi avvalere di tale diritto nel precedente documento di offerta.

Il diritto potestativo di acquisto è condizionato al soddisfacimento di un onere di pubblicità posto a carico dell'offerente, ed a tutela degli azionisti di minoranza l'offerente deve manifestare il suo intento di voler procedere all'eventuale successivo acquisto coattivo già nel documento di offerta relativo alla precedente O.P.A. totalitaria.


6.    646b15g   Spiega quale operazione finanziaria riguardante la Juventus è in corso.


Il 19 Luglio è partita l'operazione di quotazione in borsa della Juventus.

Sponsor e coordinatore dell'operazione Banca IMI.

L'operazione si struttura come segue:

essa consiste in un offerta globale suddivisa in un offerta pubblica di vendita e sottoscrizione al pubblico e in collocamento riservato agli investitori professionali italiani ed esteri.

L'operazione dovrebbe richiedere il collocamento di oltre il 35% del capitale sociale derivante in parte da aumento di capitale a pagamento, in parte da cessione di azioni.

L'assemblea ha approvato il frazionamento delle azioni ordinarie della Società; nel rapporto di 5 nuove azioni ognuna, riducendo il valore nominale da 0,5 Euro a 0,1 Euro in conseguenza di questa operazione il numero delle azioni aumenterà.

Inoltre si è deliberato un aumento del capitale sociale mediante emissione di azioni ordinarie.

L'operazione è stata decisa anche sulla base del risultato ottenuto dalla società che ha chiuso in utile gli ultimi tre bilanci.





(es. imprenditore agricolo), non soggetta a fallimento e alle norme dello statuto dell'imprenditore commerciale.

Soggetta allo statuto dell'imprenditore commerciale.

Non è ammesso patto contrario.












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