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LE SCELTE PER UNA BANCA VIRTUALE E PER LE STRUTTURE DI E-COMMERCE

economia



LE SCELTE PER UNA BANCA VIRTUALE E PER LE STRUTTURE DI E-COMMERCE


Il livello di virtualizzazione di una banca


Occorre premettere che alcune incertezze sono state palesate da molti intermediari finanziari nel tratteggiare le proprie strategie "virtuali" a seguito di debolezze e fattori di fragilità che si sono presentate nella gestione de 949i89j lla banca virtuale.

Probabilmente la velocità stessa del cambiamento in atto rende impossibile muoversi "troppo presto": lo dimostrano la crescita dirompente dei canali di comunicazione a distanza, la rapida evoluzione delle abitudini del pubblico, la crescente integrazione tra i devices abilitati all'accesso in rete. E' invece possibile investire male, scegliendo in modo avventato il proprio corso d'azione entro un ventaglio di possibilità virtualmente illimitato. Lo scenario operativo dell'e-banking è così complesso che i piani industriali delle istituzioni attive in questo settore sono "intrinsecamente" sbagliati: la vastità delle opzioni possibili è infatti tale, e la disponibilità di dati passati su cui basare le scelte è così scarsa, che è praticamente inevitabile che un buon progetto strategico includa, al suo interno, uno o più passaggi errati, inadeguati o velleitari.



In un settore dove sbagliare è, per così dire, obbligatorio, diventa allora cruciale la capacità di intercettare tempestivamente i profili di fragilità delle proprie strategie, di attingere dal contesto esterno segnali per evidenziare le possibili inadeguatezze e le "ricette" per porvi rimedio. In altri termini, in un business nuovo, che richiede alle banche una continua revisione delle proprie scelte tattiche, il vero fattore critico diventa la disponibilità ad ascoltare il mercato, ad analizzare i successi e le delusioni dei concorrenti, a monitorare attitudini e preferenze della propria nascente base di clientela.



2.2 Banca virtuale "pura" e virtualizzazione della banca tradizionale


Di fronte alla sfida dell'e-banking, per una banca tradizionale sussistono a priori, distinte opzioni strategiche: creare una banca Internet "pura", rigidamente separata dalla casa madre: oppure offrire servizi su web ai clienti della propria rete fisica, cercando di trasformarli in clienti "virtuali".

Le due soluzioni possono essere alternative, ma anche complementari: in particolare, è possibile creare un'entità nuova, rivolta alla clientela maggiormente sensibile al fattore tecnologico e insieme dotare la rete tradizionale di un agile sottoinsieme di servizi su web, così da soddisfare le esigenze, meno sofisticate, del mass market. Il confronto, tuttavia, considererà la banca virtuale stand-alone e la "virtualizzazione" della banca off line come se fossero due opzioni rigidamente separate cercando di far emergere pregi e difetti.

La creazione di una banca Internet "pura" separata dalla casa-madre potrebbe sembrare, a prima vista, una soluzione stravagante, visto che conduce inevitabilmente a una certa duplicazione di strutture centrali e di costi. Eppure, tale approccio è stato seguito da molte grandi istituzioni bancarie, in tutti i principali paesi occidentali: da first Usa Bank, che eroga, attraverso la divisione Wingspan servizi di banca virtuale per una base di clientela separata, alla britannica Abbey National che controlla l'Internet Bank Cahott; da attori consolidati come la francese Cortal (una consociata di BNP Paribas, che eroga servizi bancari separatamente dalla casa madre) , alla spagnola Uno-e (controllata dal Banco di Bilbao Vizcaya Argentaria) e le italiane Xelion (gruppo Unicredito Italiano) e Imiweb (gruppo Sanpaolo Imi).

A quali esigenze risponde una simile scelta strategica?

In primo luogo, alla necessità di strutturare un'offerta rivolta a un ben preciso nucleo di clientela, particolarmente attento alle nuove tecnologie, al prezzo del servizio, alla possibilità di poter utilizzare servizi bancari anche al di fuori delle normali ore d'ufficio o quando si trova in viaggio; un segmento di clientela che richiede strumenti diversi rispetto alla filiale tradizionale (ed è disposto a pagarli) e che, inoltre, risulta di un certo interesse sotto il profilo delle disponibilità finanziarie  ( per la possibilità di rivolgersi a una clientela affluent).

In secondo luogo, senza il complesso retaggio di investimenti pregressi, costi fissi, sistemi legacy e personale in eccesso che caratterizza molte banche tradizionali: la scelta di tenere separato il business della banca virtuale consente allora di condividere da subito con i nuovi clienti i benefici derivanti dai minori oneri operativi di un intermediario on line, privo di sportelli e altre costose infrastrutture fisiche.

In terzo luogo, se la banca virtuale "pura" non è solo una divisione, ma dispone di una propria autonomia societaria, diventa possibile coinvolgere nel suo capitale altri partner di minoranza, con finalità   prettamente finanziarie (è il caso di un fondo chiuso o altri investitori istituzionali, ma anche della quotazione in borsa della nuova consociata) o tecnologiche (favorendo l'ingresso nella compagine azionaria di soggetti attivi nel settore delle comunicazioni, dell'accesso a Internet, dei portali).

Infine, una simile strategia non è solo funzionale alla valorizzazione della nuova banca (indirizzata verso una base di clientela promettente, resa indipendente nelle politiche di costo e di pricing, aperta all'apporto di nuovi partner finanziari e industriali): essa risponde anche all'esigenza di preservare le strutture preesistenti da possibili "contraccolpi" connessi all'avvento del canale virtuale. Mantenere "a distanza di braccio" le nuove attività consente infatti di porre un limite massimo all'erosione di valore che potrà prodursi a seguito di un eventuale insuccesso; inoltre, permette di isolare, in qualche misura, la clientela off line dalle politiche di prezzo aggressive praticate dalla nuova consociata ( non a caso i siti delle grandi banche on line citate in precedenza non contengono, di norma, collegamenti da e per il sito della capogruppo).



L'alternativa alla creazione di una banca stand-alone è data dalla produzione di servizi web fortemente integrati con i canali distributivi della banca tradizionale, rivolti anche (se non esclusivamente) alla base di clientela preesistente. I vantaggi di questo secondo approccio sono molteplici.

Da un lato è possibile procedere con maggiore gradualità, evitando i rilevanti investimenti iniziali connessi con l'avvio di un nuovo soggetto bancario e arricchendo a poco a poco il catalogo di prodotti sulla base delle preferenze effettivamente manifestate dalla clientela (assecondando i gusti del pubblico anziché sforzarsi di guidarli).

Dall'altro per spostare verso il canale virtuale la propria clientela captive non sono necessarie particolari campagne pubblicitarie, né politiche di prezzo aggressive; simmetricamente dal punto di vista della clientela, diventa possibile migrare verso Internet mantenendo un unico conto corrente e conservando una visione integrata di tutti i movimenti finanziari e del bilancio familiare.

Rimane ovviamente il pericolo che, una volta approdati alla banca virtuale, i correntisti si lascino conquistare dalle offerte dei concorrenti; inoltre, minaccia più credibile, vi è il rischio che la "macchina" della banca tradizionale si integri male con il nuovo canale. Ad esempio che le nuove filiali non vedano un interesse immediato nel convincere il pubblico a trasferire su Internet le operazioni più elementari e ripetitive, per paura di perdere centralità nella gestione del cliente ( e, con il tempo, di vedere imputati a un diverso centro di profitto i saldi raccolti e i prodotti classati attraverso il canale virtuale). Oppure che il centro elaborazione dati non disponga della flessibilità sufficiente per allestire in tempi brevi l'interfaccia necessaria ai servizi di e-banking, per presidiare tempestivamente le modifiche alla struttura del sito, per acquisire all'esterno le soluzioni tecnologiche più idonee a garantire stabilità e sicurezza ad ambiente software nuovi e in continua evoluzione. Ancora, vi è il rischio che la piattaforma contrattuale e retributiva della banca tradizionale non consenta di richiamare e trattenere i talenti necessari a dare vita e valore al nuovo servizio, vista l'estrema vivacità e competitività del mercato del lavoro nel comparto di Internet e del commercio elettronico.

Esiste una terza opzione che va oltre il discorso della commistione tra le due precedenti. Una banca può scegliere di non impegnarsi direttamente su Internet, ma di mettere la propria capacità tecnologica e il proprio catalogo di prodotti al servizio di un partner interessato a presidiare il nuovo canale. Ad esempio, arricchendo con servizi finanziari (informativi, ma anche transattivi) i portali degli Internet service provider, oppure fornendo servizi di back-office e di processing a una società terza per consentire di fare e-banking in nome e per conto proprio. Questa soluzione (detta white labelling, perché la banca accetta di produrre servizi "non marchiati" che verranno poi etichettati da qualcun altro, un po' come accade per gli alimentari distribuiti dalle grandi catene di supermercati) è, ad esempio, adottata da RBS Natwest, che fornisce servizi di elaborazione dati alla banca virtuale First-E ( una società di diritto francese presente anche sul mercato britannico). Tuttavia questi approcci low profile sembrano riscuotere un seguito assai limitato (anche se, a priori, possono consentire alla banca di trarre profitti certi da un ramo di attività, qual è internet, contraddistinto dalla massima incertezza): ciò pare sintomatico della volontà dei grandi intermediari bancari di svolgere un ruolo di primo piano nella "colonizzazione del cyberspazio", affrontando se necessario investimenti, sconfitte e perdite.





il capitolo fa riferimento ad alcune considerazioni espresse nel libro La banca virtuale e multicanale di Andrea Resti






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