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Diritto Commerciale - "Esclusione del socio"

economia



Diritto Commerciale

"Esclusione del socio".

L'esclusione del socio, secondo quanto stabilisce l'art. 2287 deve essere deliberata dalla maggioranza dei soci non computandosi nel numero di questi il socio da escludere. Quindi si tratta di maggioranza numerica e non per quote. Il codice, invece, nulla dice a proposito delle modalità da osservarsi per l'assunzione della suddetta decisione. Di conseguenza, dottrina e giurisprudenza prevalenti affermano che nel caso delle società di persone la maggioran 838i87i za, in qualsiasi modo formata, sia idonea a vincolare l'intera collettività societaria. E in effetti se si dovesse richiedere il consenso unanime di tutti i soci per il compimento di un qualsiasi atto, come dovrebbe essere in base alla normativa generale in tema di contratti, si provocherebbe una paralisi dell'attività sociale.



Quale contropartita al suddetto potere della maggioranza, la legge stessa offre quale rimedio quello del recesso per giusta causa pur dovendo riconoscere che lo stesso non è del tutto esaustivo, in quanto:

a)  la quota che verrà liquidata al socio uscente non corrisponde esattamente al valore effettivo dei beni costituenti il patrimonio sociale;

b)  esiste un diritto soggettivo del socio a conservare tale status, diritto tutelato anche in sede di esclusione come risulta dalla disciplina della opposizione all'esclusione.

Quattro diversi ordini di argomentazioni vengono addotte dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti per giustificare la non applicabilità del metodo collegiale nelle società di persone:

a)  la collegialità costituirebbe un inutile intralcio all'attività delle società di persone che può essere, invece, assai agile e snella;

b)  collegialità tipica delle collettività personificate;

c)  potere della maggioranza quale limite ad un equivalente diritto o potere del singolo socio;

d)  il potere della maggioranza avrebbe la sua fonte nelle stesse norme che lo prevedono.

I summenzionati inconvenienti possono essere in realtà ridimensionati e comunque non sono tali da giustificare il sacrificio delle posizioni individuali.

Il fatto che nelle società di persone un potere spettante a titolo originario a tutti i soci venga esercitato dalla maggioranza è da qualificare come una "delega" di poteri che trova la sua fonte nello stesso contratto di società e che è "ad incertam personam", visto che all'atto della costituzione della società non è possibile conoscere quali saranno i soci che formeranno la maggioranza e che, anzi, potranno variare di volta in volta.

Ma proprio perché si tratta di una delega ad incertam personam occorre verificare che i soggetti che hanno concorso a formare la maggioranza erano anche legittimati a decidere vincolando in tal modo l'intera collettività. Ebbene l'unico modo per effettuare tale verifica è proprio l'osservanza del metodo collegiale che unitamente al principio di maggioranza deve pertanto costituire la regola che presiede al funzionamento anche delle società di persone.


"Approvazione del rendiconto a maggioranza".

Due sono le questioni che si pongono al riguardo:

a)  se il rendiconto deve o meno essere approvato;

b)  se detta approvazione debba avvenire a maggioranza o all'unanimità.

Sulla necessità della approvazione si deve senz'altro rispondere positivamente come risulta tra l'altro, dalla normativa generale sull'agire per conto altrui (v. rendiconto che deve essere reso dal mandatario a conclusione dell'incarico affidatogli).

Prima di rispondere alla 2^ questione, occorre preliminarmente chiarire la nozione di "rendiconto" e osservare a questo proposito che il rendiconto che deve essere reso dagli amministratori di una società di persone è un documento ben diverso dal rendiconto del mandatario: quest'ultimo ha una mera funzione ricognitiva venendo redatto solo a conclusione dell'incarico e anche quando l'incarico si protrae per più "esercizi" la sua struttura rimane tale essendo l'attività del mandatario una mera attività di amministrazione di un bene o di un patrimonio.

Diversamente il rendiconto che deve essere redatto dai soci amministratori di una società di persone è un documento assai più complesso dovendo dallo stesso figurare il risultato dell'esercizio di una determinata attività economica.

I due documenti (rendiconto del mandatario e rendiconto degli amministratori) coinciderebbero solo nell'ipotesi, peraltro di assai rara verificazione, di una società costituita per il compimento di un unico affare o per un periodo di tempo coincidente con un esercizio annuale.

Conclusione: rendiconto di cui agli artt. 2261 e 2262 e bilancio sono la stessa cosa dovendo adempiere alla medesima funzione.

Rendiconto e bilancio o, il che è lo stesso, il bilancio delle società di persone e quello delle società di capitali, pur dovendo adempiere alla medesima funzione non devono necessariamente avere un contenuto identico poiché l'art. 2217 a proposito del bilancio delle società di persone si limita a richiamare solo i criteri di valutazione previsti per il bilancio delle società di capitali. Il fatto che solo in quest'ultimo tipo di società il bilancio sia minuziosamente disciplinato anche riguardo al suo contenuto si spiega con la circostanza che in queste società il patrimonio sociale costituisce l'unica garanzia per i creditori, motivo per cui occorre determinarne la consistenza con estrema precisione. Nelle società di persone, viceversa, la presenza della responsabilità personale ed illimitata dei soci attenua l'essenzialità del patrimonio sociale e quindi consente, sia pure nel rispetto dei principi dell'evidenza e della verità, una maggiore elasticità nella redazione del documento contabile.

Abbiamo appena detto che in entrambi i casi (ripeto sia per il bilancio o rendiconto delle società di persone sia per quello delle società di capitali) devono essere identici i criteri di valutazione a cui occorre attenersi nella formazione del documento contabile. Il rispetto dei suddetti tipizzati criteri di valutazione non consente tuttavia di eliminare quella discrezionalità che è insita in qualsiasi procedimento di valutazione e che non viene meno neanche con il rinvio ai c.d. "principi contabili" che servono da un lato ad esplicitare le disposizioni normative in materia e dall'altro ad integrarne il contenuto onde colmarne eventuali lacune.

A proposito della discrezionalità delle valutazioni, e tenuta presente la clausola generale di "chiarezza e verità" del bilancio, taluni hanno ritenuto di poter qualificare gli amministratori incaricati della sua redazione come "terzi" designati per la determinazione dell'oggetto della prestazione che, secondo un'opinione ormai pacifica, devono operare nell'ambito del c.d. "arbitrium boni viri" ossia dell'equo apprezzamento non quindi del mero arbitrio e che, nella specie, l'osservanza dei principi contabili varrebbe a legittimare il procedimento di valutazione e a rendere conseguentemente valida la relativa deliberazione assembleare di approvazione del bilancio.

Quando viceversa i suddetti principi contabili non vengano osservati, non potendo ravvisare nella loro violazione una causa di nullità poiché la stessa non è specificamente prevista dalla normativa vigente, si deve propendere, proprio invocando la violazione dell'arbitrium boni viri, per l'annullabilità della deliberazione assembleare approvativa del bilancio.

(N.B.: l'inosservanza dell'art. 2424 sul contenuto del bilancio e dell'art. 2426 sui criteri di valutazione è causa di nullità della deliberazione assembleare di approvazione del bilancio).

In mancanza di una norma espressa che sancisca le modalità da osservarsi nella approvazione del rendiconto delle società di persone occorre risalire ai principi generali dell'ordinamento societario e in particolare a quello di "conservazione della società" alla luce del quale è possibile affermare che l'unico modo per perseguire un tale risultato (evitando quindi una possibile paralisi dell'attività sociale) è quello di ritenere applicabile anche all'approvazione del rendiconto il principio di maggioranza. La tutela del singolo socio sarebbe comunque garantita oltre che dalla necessità che la decisione della maggioranza sia adottata nel rispetto del metodo collegiale dalla possibilità di impugnare quelle deliberazioni di approvazione del rendiconto non conformi alla legge.




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