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Patti Lateranensi - TRATTATO FRA LA SANTA SEDE E L'ITALIA

diritto



Patti Lateranensi

Denominazione sotto cui è noto il trattato stipulato (11. 2. 1929) tra il governo italiano e la Santa Sede.

L'annessione al Regno d'Italia dei territori appartenenti allo Stato Pontificio, culminata nella presa di Roma
(20. 9. 1870), aveva aperto un lungo periodo di dissidio tra il papato e il governo italiano.

All'indomani dell'occupazione di Roma lo Stato volle regolare i rapporti con la Chiesa per mezzo della cosiddetta legge delle guarentigie (13. 5. 1871), con la quale si assicurava al pontefice il libero esercizio delle sue funzioni di capo della Chiesa cattolica, riconoscendogli prerogative sovrane, tra le quali il diritto di legazione attiva e passiva, e assegnandogli una cospicua dotazione annua.

La legge delle guarentigie costituiva tuttavia un atto unilaterale del governo italiano, e papa Pio IX rifiutò di accettarla, non riconoscendo la situazione di fatto creatasi dopo l'occupazione della capitale da parte delle truppe italiane.



Si aprì così, tra Chiesa e Stato, un periodo di forti tensioni, che avrebbe largamente influenzato la vita politica del Regno d'Italia, creando una difficile situazione nazionale e internazionale. Agli atteggiamenti anticlericali di alcune forze politiche del paese si contrapponeva l'irrigidimento delle gerarchie ecclesiastiche, culminato nella formula "né eletti né elettori", con la quale si proibiva ai cattolici di prendere parte alla vita politica.

Alcuni tentativi di comporre il dissidio tra Chiesa e Stato, messi in atto durante il pontificato di Leone XIII (1878-1903), non ebbero successo, malgrado le molte speranze suscitate.
La situazione subì un mutamento solo verso la fine dell'Ottocento.

Durante il governo di G. Giolitti iniziò infatti un progressivo riavvicinamento tra le due parti, determinato, fra l'altro, dalla comune preoccupazione di fronte alle affermazioni elettorali socialiste. Con il patto concordato da V.O. Gentiloni (1913) i cattolici diedero il loro voto ai candidati liberali, che avevano aderito ad alcuni punti programmatici (libertà della scuola, opposizione al divorzio ecc.). Il processo di distensione continuò dopo la prima guerra mondiale con l'abrogazione ufficiale del non expedit e la revoca (1920) delle disposizioni vaticane relative alle visite dei capi di Stato cattolici a Roma.

Si era giunti ormai alle soglie della conciliazione. Un primo progetto di soluzione concordataria fu trattato in forma ufficiosa tra il presidente del Consiglio V.E. Orlando e monsignor B. Cerretti, 434i82e in margine alla conferenza di Versailles (28.6.1919). Tali trattative fallirono però per la caduta del gabinetto Orlando e soprattutto per la ferma opposizione del re Vittorio Emanuele III, fedele alla vecchia formula separatista.

Dopo l'avvento del regime fascista, una lettera di papa Pio XI al segretario di Stato cardinale P. Gasparri manifestò (1926), sia pure in forma implicita, la disponibilità del pontefice ad aprire trattative per risolvere l'annosa questione.

Le trattative, condotte dall'avvocato F. Pacelli per il Vaticano e da B. Mussolini e A. Rocco per il Governo italiano, portarono, attraverso l'elaborazione di vari schemi, al testo definitivo del 1929.

Gli accordi del Laterano, firmati da B. Mussolini e da P. Gasparri (11.2.1929) e quindi ratificati con una apposita legge (27.5.1929, n. 810), consistono di due protocolli: un trattato con annessa una convenzione finanziaria e un concordato.
Il trattato (in ventisette articoli e una premessa, cui seguono quattro allegati) riconosce la necessità, "per assicurare
alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza", di costituire un territorio autonomo sul quale il pontefice possa esercitare la sua piena sovranità. Veniva così creato lo Stato della Città del Vaticano. Si confermava inoltre
l'articolo 1 dello Statuto albertino, in virtù del quale "la religione cattolica, apostolica e romana" era considerata
la sola religione dello Stato.

La persona del papa era dichiarata sacra e inviolabile, particolari privilegi venivano concessi alle persone residenti nella Città del Vaticano, e il patrimonio immobiliare della Santa Sede (di cui veniva fornito un elenco dettagliato) godeva di numerose esenzioni specie dal punto di vista tributario. La convenzione finanziaria liquidava le pendenze economiche fra le due parti mediante un cospicuo versamento da parte del governo italiano e la cessione di una congrua quantità di titoli azionari quale indennizzo dei danni subiti dalla Santa Sede con l'annessione degli Stati ex pontifici all'Italia e la conseguente liquidazione di gran parte dell'asse patrimoniale ecclesiastico.

Il concordato (quarantacinque articoli e una premessa), destinato a regolare i rapporti tra la Chiesa e lo Stato,
assicura alla Chiesa la libertà nell'esercizio del potere spirituale, garantendo alcuni privilegi agli ecclesiastici (esonero dalla leva militare, speciale trattamento penale ecc.); riconosce gli effetti civili del matrimonio religioso e delle
sentenze di nullità dei tribunali ecclesiastici; assicura infine l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali
di ogni ordine e grado, come pure l'assistenza spirituale alle forze armate e agli ospedali.

La stipulazione dei patti lateranensi   venne accolta favorevolmente da larga parte dell'opinione pubblica italiana e straniera. Chiari dissensi furono però manifestati da gruppi liberali (celebre l'intervento di B. Croce durante la discussione in Senato) e dai cattolici antifascisti S. Jacini, L. Sturzo).

I patti lateranensi  vennero ratificati nel maggio 1929, dopo un momento di ulteriore tensione fra le parti, dovuto in particolare alla divergente interpretazione di B. Mussolini e di Pio XI sull'effettiva portata delle norme concordatarie. La conciliazione tra Chiesa e Stato fu accolta e confermata dalla Costituzione repubblicana del 1947 che all'art. VII dichiara: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai patti lateranensi».

Le trattative, in corso dal 1969 fra il Vaticano e il Governo italiano per una revisione e un adattamento del concordato, sono arrivate a una ratifica il 3 giugno 1985 dopo numerosi tentativi di revisione a partire dal 1976.

Il nuovo concordato, che cerca di salvaguardare la libertà religiosa e la libertà della Chiesa cattolica, oltre ad aver
reso facoltativo l'insegnamento della religione cattolica, ha abolito la congrua al clero.

LE   LEGGI  DEI PATTI  LATERANENSI

L. 27 maggio 1929, n. 810.
Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi al Concordato,
sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e I'Italia, l'11 febbraio 1929.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 5 giugno 1929, n. 130].

Sezione 1
STATO E CHIESA CATTOLICA

1. Piena ed intera esecuzione è data al Trattato, ai quattro allegati annessi, e al Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929 (1)

La Corte costituzionale: ha dichiarato l'inammissibilità della richiesta di referendum abrogativo dell'art. 1, limitatamente al contenuto degli artt. 1, 10, 17 e 23 del Trattato c all'intero contenuto del Concordato, con sentenza 2-7 febbraio 1978, n. 16 (infra, p. 684); ne ha dichiarato la parziale illegittimità, nella parte in cui dà esecuzione ai commi 4° 5° e 6° dell'art. 34 conc., con sentenza 22 genaio-2 febbraio 1982, n. 18 (infra, p. 688 s.); ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità nella parte concernente l'art. 16, comma 2° del Trattato, con ordinanza 24-30 gennaio 1985, n. 26 (infra, p. 692); ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni di legittimità nella parte concernente l'art. 11 del Trattato con sentenza 6-8 giugno 1988, n. 609 (infra, p. 700).

2. Le opere e le espropriazioni da compiersi in esecuzione del Trattato e del Concordato sono dichiarate di pubblica utilità.
Per le espropriazioni da compiersi entro i limiti del piano regolatore di Roma sono applicabili le norme vigenti per le espropriazioni dipendenti dall'esecuzione del piano stesso.
La indennità dovuta agli espropriandi sarà determinata in base a stima redatta dai competenti uffici dell'Amministrazione del lavori pubblici ed approvata dal Ministro.
In caso di mancata accettazione della stima da parte del proprietari, la indennità sarà fissata inappellabilmente da un collegio di tre membri, dei quali uno sarà nominato dal Ministro per i lavori pubblici, uno dall'interessato e il terzo dal primo presidente della Corte di appello di Roma.
Qualora l'interessato, dopo aver negata l'accettazione della indennità, ometta di designare il suo rappresentante entro un mese dall'avvenuta opposizione alla stima, questa s'intenderà definitivamente accettata (1).

R.D.L. 3 ottobre 1929, n. 1882 (in Gazz. Uff. 4 novembre 1929, n. 256) convertito in legge 30 dicembre 1929, n. 2328, ha cosi integrato l'art. 2: " Articolo unico. Tra le opere ed espropriazioni considerate dall'art. 2 della legge 27 maggio 1929, n. 810, sono comprese anche quelle occorrenti per la sistemazione della Rappresentanza diplomatica del Regno d'Italia presso la Santa Sede".


3. Con regio decreto su proposta del Ministro per le finanze, saranno adottati i provvedimenti finanziari occorrenti per l'esecuzione del Trattato e del Concordato, e saranno introdotte in bilancio le necessarie variazioni.


4. La presente legge entrerà in vigore con lo scambio delle ratifiche del Trattato e del Concordato (1).

Lo scambio delle ratifiche è avvenuto il 7 giugno 1929 (vedasi Gazz. Uff. 8 giugno 1929, n. 133).

TRATTATO FRA LA SANTA SEDE E L'ITALIA

IN NOME DELLA SANTISSIMA TRINITA'.
Premesso:

Che la Santa Sede e l'Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l'addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia conforme a giustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando alla Santa Sede in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale Le garantisca l'assoluta indipendenza per l'adempimento della Sua alta missione nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in modo definitivo ed irrevocabile la "questione romana ", sorta nel 1870 con l'annessione di Roma al Regno d'Italia sotto la dinastia di Casa Savoia;
Che dovendosi, per assicurare alla Santa Sede l'assoluta e visibile indipendenza, garentirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana;
Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XI e Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d'Italia, hanno risoluto di stipulare un Trattato, nominando a tale effetto due Plenipotenziari, cioè, per parte di Sua Santità, Sua Eminenza Reverendissima il signor Cardinale Pietro Gasparri, Suo Segretario di Stato, e, per parte di Sua Maestà, Sua Eccellenza il signor Cavaliere Benito Mussolini, Primo Ministro e Capo del Governo; i quali, scambiati i loro rispettivi pieni poteri e trovatili in buona e dovuta forma, hanno convenuto negli articoli seguenti:

1. L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell'art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato (1).

Il principio è considerato non più in vigore dal n. 1 del Protocollo addizionale all'Accordo del 18 febbraio 1984 (infra, p. 244).

2. L'Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo.

3. L'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com'è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano per gli speciali fini e con le modalità di cui al presente Trattato. I confini di detta Città sono indicati nella pianta che costituisce l'allegato 1 del presente Trattato, del quale forma parte integrante.
Resta peraltro inteso che la Piazza di San Pietro, pur facendo parte della Città del Vaticano, continuerà ad essere normalmente aperta al pubblico e soggetta ai poteri di polizia delle autorità italiane; le quali si arresteranno ai piedi della scalinata della Basilica, sebbene questa continui ad essere destinata al culto pubblico, e si asterranno perciò dal montare ed accedere alla detta Basilica, salvo che siano invitate ad intervenire dall'autorità competente.
Quando la Santa Sede, in vista di particolari funzioni, credesse di sottrarre temporaneamente la piazza di San Pietro al libero transito del pubblico, le autorità italiane, a meno che non fossero invitate dall'autorità competente a rimanere, si ritireranno al di là delle linee esterne del colonnato berniniano e del loro prolungamento.

4. La sovranità e la giurisdizione esclusiva, che l'Italia riconosce alla Santa Sede sulla Città del Vaticano, importa che nella medesima non possa esplicarsi alcuna ingerenza da parte del Governo italiano e che non vi sia altra autorità che quella della Santa Sede.

5. Per l'esecuzione di quanto è stabilito nell'articolo precedente, prima dell'entrata in vigore dei presente Trattato, il territorio costituente la Città del Vaticano dovrà essere, a cura del Governo italiano, reso libero da ogni vincolo e da eventuali occupatori. La Santa Sede provvederà a chiuderne gli accessi, recingendo le parti aperte, tranne la piazza di San Pietro.
Resta per altro convenuto che, per quanto riflette gli immobili ivi esistenti, appartenenti ad istituti od enti religiosi, provvederà direttamente la Santa Sede a regolare i suoi rapporti con questi. disinteressandosene lo Stato italiano.

6. L'Italia provvederà, a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati, che alla Città del Vaticano sia assicurata un'adeguata dotazione di acque in proprietà.
Provvederà, inoltre, alla comunicazione con le ferrovie dello Stato mediante la costruzione di una stazione ferroviaria nella Città del Vaticano, nella località indicata nell'allegata pianta (allegato 1) e mediante la circolazione di veicoli propri del Vaticano sulle ferrovie italiane (1).
Provvederà altresì al collegamento, direttamente anche cogli altri Stati, dei servizi telegrafici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali nella Città del Vaticano (2).
Provvederà infine anche al coordinamento degli altri servizi pubblici (3).
A tutto quanto sopra si provvederà a spese dello Stato italiano e nel termine di un anno dall'entrata in vigore del presente Trattato.
La Santa Sede provvederà, a sue spese, alla sistemazione degli accessi del Vaticano già esistenti e degli altri che in seguito credesse di aprire.
Saranno presi accordi tra la Santa Sede e lo Stato italiano per la circolazione nel territorio di quest'ultimo dei veicoli terrestri e degli aeromobili della Città del Vaticano (4).

) Si veda il R.D. 5 luglio 1934, n. 1350, che ha dato esecutorietà alla Convenzione ferroviaria stipulata fra la Santa Sede e l'Italia il 20 dicembre 1933; lo scambio delle ratifiche ebbe luogo il 12 settembre 1934.
(
) Si vedano: la Convenzione per la esecuzione dei servizi postali, firmata in Roma il 29 luglio 1929, e la Convenzione per la esecuzione dei servizi telegrafici e telefonici, firmata in Roma il 18 novembre 1929, rese esecutive con R.D. 9 giugno 1930, n. 1182; l'Accordo addizionale fra la Santa Sede e l'Italia in materia di servizi radiofonici del 5 aprile 1939; il D.M. 15 gennaio 1952, di adeguarnento delle tariffe postali con la Città del Vaticano; la legge 13 giugno 1952, n. 680, di ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra la Santa Sede e l'Italia per gli impianti radio-vaticani a Santa Maria di Galeria ed a Castel Romano, concluso nel Palazzo Apostolico Vaticano l'8 ottobre 1951; lo Scambio di Note tra Italia e Santa Sede relativo al Passetto di Borgo del 18 maggio 1991.
(
) Si vedano: il R.D. 19 ottobre 1934, n. 1725, di approvazione della Convenzione ospedaliera fra la Santa Sede e l'Italia del 4 ottobre 1934, con efficaciaretro attiva al 10 ottobre; il R.D. 16 giugno 1938, n. 1055, di approvazione deIla Convenzione stipulata in Roma, fra la Santa Sede e il regno d'Italia, il 28 aprile 1938, concernente il servizio di polizia mortuaria. La materia monetaria è stata regolata da convenzioni successive di durata decennale, l'ultima delle quali, conclusa nello Stato Città del Vaticano il 9 agosto 1971, è stata ratificata ed eseguita con legge 12 aprile 1973, n. 196.
(
) Si veda la Convenzione per disciplinare la circolazione degli autoveicoli nei territori dello Stato Città del Vaticano e del Regno d'Italia, firmata in Roma il 28 novembre 1929, resa esecutiva con R.D. 9 giugno 1930, n. 1182.

7. Nel territorio italiano intorno alla Città del Vaticano il Governo si impegna a non permettere nuove costruzioni, che costituiscano introspetto, ed a provvedere, per lo stesso fine, alla parziale demolizione di quelle già esistenti da Porta Cavalleggeri e lungo la via Aurelia ed il viale Vaticano. In conformità alle norme del diritto internazionale, è vietato agli aeromobili di qualsiasi specie di trasvolare sul territorio del Vaticano.
Nella piazza Rusticucci e nelle zone adiacenti al colonnato, ove non si estende la extraterritorialità di cui all'art. 15, qualsiasi mutamento edilizio o stradale, che possa interessare la Città del Vaticano, si farà di comune accordo.

8. L'Italia, considerando sacra ed inviolabile la persona del Sommo Pontefice, dichiara punibile l'attentato contro di Essa e la provocazione a commetterlo con le stesse pene stabilite per l'attentato e la provocazione a commetterlo contro la persona del Presidente della Repubblica.
Le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel territorio Italiano contro la persona del Sommo Pontefice con discorsi, con fatti e con scritti, sono punite come le offese e le ingiurie alla persona del Presidente della Repubblica (1).

) Cfr. artt. 276, 277, 278 c.p.

9. In conformità alle norme del diritto internazionale sono soggette alla sovranità della Santa Sede tutte le persone aventi stabile residenza nella Città del Vaticano. Tale residenza non si perde per il semplice fatto di una temporanea dimora altrove, non accompagnata dalla perdita dell'abitazione nella Città stessa o da altre circostanze comprovanti l'abbandono di detta residenza (1).
Cessando di essere soggette alla sovranità della Santa Sede, le persone menzionate nel comma precedente, ove a termini della legge italiana, indipendentemente dalle circostanze di fatto sopra previste, non siano da ritenere munite di altra cittadinanza, saranno in Italia considerate senz'altro cittadini italiani.
Alle persone stesse, mentre sono soggette alla sovranità della Santa Sede, saranno applicabili nel territorio della Repubblica italiana, anche nelle materie in cui deve essere osservata la legge personale (quando non siano regolate da norme emanate dalla Santa Sede), quelle della legislazione italiana, e, ove si tratti di persona che sia da ritenere munita di altra cittadinanza, quelle dello Stato cui essa appartiene.

) Si veda lo scambio di note diplomatiche 23 luglio-17 agosto 1940, che rende applicabile la norma anche ai cittadini italiani facenti parte delle rappresentanze pontificie all'estero, compresi in appositi ruoli della Santa Sede, per la durata del loro ufficio all'estero, considerati a tal fine come se avessero stabile residenza nella Città del Vaticano.

10. I dignitari della Chiesa e le persone appartenenti alla Corte Pontificia, che verranno indicati in un elenco da concordarsi fra le Alte Parti contraenti, anche quando non fossero cittadini del Vaticano, saranno sempre ed in ogni caso rispetto all'Italia esenti dal servizio militare, dalla giuria e da ogni prestazione di carattere personale (1).
Questa disposizione si applica pure ai funzionari di ruolo dichiarati dalla Santa Sede indispensabili, addetti in modo stabile e con stipendio fisso agli uffici della Santa Sede, nonché ai dicasteri ed agli uffici indicati appresso negli artt. 13, 14, 15 e 16, esistenti fuori della Città del Vaticano. Tali funzionari saranno indicati in altro elenco, da concordarsi come sopra è detto e che annualmente sarà aggiornato dalla Santa Sede.
Gli ecclesiastici che, per ragione di ufficio, partecipano fuori della Città del Vaticano all'emanazione degli atti della Santa Sede, non sono soggetti per cagione di essi a nessun impedimento, investigazione o molestia da parte delle autorità italiane.
Ogni persona straniera investita di ufficio ecclesiastico in Roma gode delle garanzie personali competenti ai cittadini italiani in virtù delle leggi della Repubblica.

) Si veda il R.D. 27 ottobre 1932, n. 1422, di esecuzione del Protocollo stipulato in Roma il 6 settembre 1932, fra la Santa Sede e il Governo del regno d'Italia.

11. Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili (1).

) Si vedano l'art. 2 del Protocollo del 15 novembre 1984 ed il punto 111 della lettera del Prefetto del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, infra, rispettivamente p. 249 e p. 252 s. La Corte costituzionale con sentenza 6-8 giugno 1988, n. 609 (infra, p. 700) ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità della norma.

12. L'Italia riconosce alla Santa Sede il diritto di legazione attivo e passivo secondo le regole generali del diritto internazionale
Gli inviati dei Governi esteri presso la Santa Sede continuano a godere nella Repubblica di tutte le prerogative ed immunità, che spettano agli agenti diplomatici secondo il diritto internazionale, e le loro sedi potranno continuare a rimanere nel territorio italiano godendo delle immunità loro dovute a norma del diritto internazionale, anche se i loro Stati non abbiano rapporti diplomatici con l'Italia.
Resta inteso che l'Italia si impegna a lasciare sempre ed in ogni caso libera la corrispondenza da tutti gli Stati, compresi i belligeranti, alla Santa Sede e viceversa, nonché il libero accesso dei Vescovi di tutto il mondo alla Sede Apostolica.
Le Alte Parti contraenti si impegnano a stabilire fra loro normali rapporti diplomatici, mediante accreditamento di un Ambasciatore italiano presso la Santa Sede e di un Nunzio pontificio presso l'Italia, il quale sarà il decano del Corpo diplomatico, a termini del diritto consuetudinario riconosciuto dal Congresso di Vienna con atto del 9 giugno 1815 (1).
Per effetto della riconosciuta sovranità e senza pregiudizio di quanto è disposto nel successivo art. 19, i diplomatici della Santa Sede ed i corrieri spediti in nome del Sommo Pontefice godono nel territorio italiano, anche in tempo di guerra, dello stesso trattamento dovuto ai diplomatici ed ai corrieri di gabinetto degli altri Governi esteri, secondo le norme del diritto internazionale.

) R.D. 17 giugno 1929, n. 1146, ha istituito l'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede.
In ordine al decanato si vedano ora anche gli artt. 14 e 16, n. 3, della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961, sottoscritta dall'Italia il 14 marzo 1962, ratificata ed eseguita con legge 9 agosto 1967, n. 804.

13. L'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà delle Basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di San Paolo, cogli edifici annessi (allegato II, 1, 2 e 3).
Lo Stato trasferisce alla Santa Sede la libera gestione ed amministrazione della detta Basilica di San Paolo e dell'annesso Monastero, versando altresì alla Santa Sede i capitali corrispondenti alle somme stanziate annualmente nel bilancio del Ministero della pubblica istruzione perla detta Basilica.
Resta del pari inteso che la Santa Sede è libera proprietaria del dipendente edificio di San Callisto presso Santa Maria in Trastevere (allegato 11, 9).

14. L'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà del palazzo pontificio di Castel Gandolfo con tutte le dotazioni, attinenze e dipendenze (allegato 11, 4), quali ora si trovano già in possesso della Santa Sede medesima, nonché si obbliga a cederLe, parimenti in piena proprietà, effettuandone la consegna entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente Trattato, la Villa Barberini in Castel Gandolfò con tutte le dotazioni attinenze e dipendenze (II, 5) (1).
Per integrare la proprietà degli immobili siti nel lato nord del Colle Gianicolense appartenenti Ala Sacra Congregazione di Propaganda Fide e ad altri Istituti ecclesiastici e prospicienti verso i palazzi vaticani, lo Stato si impegna a trasferire alla Santa Sede od agli enti che saranno da Essa indicati gli immobili di proprietà dello Stato o di terzi esistenti in detta zona. Gli immobili appartenenti alla detta Congregazione e ad altri Istituti e quelli da trasferire sono indicati nell'allegata pianta (allegato II, 12).
L'Italia, infine, trasferisce alla Santa Sede in piena e libera proprietà gli edifici ex-conventuali in Roma annessi alla Basilica dei Santi XII Apostoli ed alle chiese di Sant'Andrea della Valle e di San Carlo ai Catinari, con tutti gli annessi e dipendenze (allegato III, 3, 4 e 5), e da consegnarsi liberi da occupatori entro un anno dall'entrata in vigore del presente Trattato.

) Modificato dalla legge 21 marzo 1950, n. 178, di ratifica e di esecuzione dell'Accordo fra la Santa Sede e l'Italia per una nuova delimitazione della zona extraterritoriale costituita dalle Ville Pontificie in Castel Gandolfo - Albano Laziale, concluso nel Palazzo Apostolico Vaticano il 24 aprile 1948.

15. Gli immobili indicati nell'art. 13 e negli alinea primo e secondo dell'art. 14, nonché i palazzi della Dataria, della Cancelleria, di Propaganda Fide in Piazza di Spagna, il palazzo del Sant'Offizio ed adiacenze, quello dei Convertendi (ora Congregazione per la Chiesa Orientale) in piazza Scossacavalli (1), il palazzo del Vicariato (allegato II, 6, 7, 8, 10 e 11), e gli altri edifici nei quali la Santa Sede in avvenire crederà di sistemare altri suoi Dicasteri, benché facenti parte del territorio dello Stato italiano, godranno delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri.
Le stesse immunità si applicano pure nei riguardi delle altre chiese, anche fuori di Roma, durante il tempo in cui vengano nelle medesime, senza essere aperte al pubblico, celebrate funzioni coll'intervento del Sommo Pontefice.

) Alcune modifiche sono state apportate con: scambio di note 25-30 gennaio 1937; D.Lgs.C.P.S. 18 marzo 1947, n. 664; D.Lgs.vo 10 aprile 1948, n. 1080; legge 25 ottobre 1982, n. 884; scambio di note 8 agosto-7 settembre 1987; scambio di note 18 maggio 1991. Si veda, inoltre, la nota 1 all'art. 14.

16. Gli immobili indicati nei tre articoli precedenti, nonché quelli adibiti a sedi dei seguenti Istituti pontifici, Università Gregoriana, Istituto Biblico, Orientale, Archeologico, Seminario Russo, Collegio Lombardo, i due palazzi di Sant'Apollinare e la Casa degli esercizi per il Clero di San Giovanni e Paolo (allegato III, 1, 1-bis, 2, 6, 7, 8), non saranno mai assoggettati a vincoli o ad espropriazioni per causa di pubblica utilità, se non previo accordo con la Santa Sede, e saranno esenti da tributi sia ordinari chè straordinari tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente (1).
E' in facoltà della Santa Sede di dare a tutti i suddetti immobili, indicati nel presente articolo e nei tre articoli precedenti, l'assetto che creda, senza bisogno di autorizzazioni o consensi da parte di autorità governative, provinciali e comunali Italiane, le quali possono all'uopo fare sicuro assegnamento sulle nobili tradizioni artistiche che vanta la Chiesa Cattolica (1).

) Si veda l'art. 2 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie) nonché, da ultimo, l'art. 7.4, lett. c, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) e l'art. 7.1 lett. e) del D.Lgs.vo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421). Inoltre, si segnala che gli immobili di cui agli artt. 13-16 non sono soggetti all'accertamento generale dei fabbricati, ai sensi degli artt. 6.3, lett. e del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (supra, p. 46) e 38.2, lett. b, del D. P. R. 1 ' dicembre 1949, n. 1142 (supra, p. 54 s.).
(
) La Corte costituzionale, con ordinanza 24-30 gennaio 1985, n. 26, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità del secondo comma. Vedasi infra, p. 692.

17. Le retribuzioni, di qualsiasi natura, dovute dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa Cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede anche fuori di Roma, a dignita, impiegati e salariati, anche non stabili, saranno nel territorio italiano esenti, a decorrere dal l° gennaio 1929, da qualsiasi tributo tanto verso lo Stato quanto verso ogni altro ente (1).

) Si veda l'art. 3 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601.

18. 1 tesori d'arte e di scienza esistenti nella Città del Vaticano e nel Palazzo Lateranense rimarranno visibili agli studiosi ed ai visitatori, pur essendo riservata alla Santa Sede piena libertà di regolare l'accesso del pubblico.

19. I diplomatici e gli inviati della Santa Sede, i diplomatici e gli inviati dei Governi esteri presso la Santa Sede e i dignitari della Chiesa provenienti dall'estero diretti alla Città del Vaticano e muniti di passaporti degli Stati di provenienza, vistati dai rappresentanti pontifici all'estero, potranno senz'altra formalità accedere alla medesima attraverso il territorio italiano. Altrettanto dicasi per le suddette persone, le quali munite di regolare passaporto pontificio si recheranno dalla Città del Vaticano all'estero.

20. Le merci provenienti dall'estero e dirette alla Città del Vaticano, o, fuori della medesima, ad istituzioni od uffici della Santa Sede, saranno sempre ammesse da qualunque punto del confine italiano ed in qualunque porto della Repubblica al transito per il territorio italiano con piena esenzione dai diritti doganali e daziari (1)

) Si vedano le circolari Min. Finanze e Min. Comunicazioni 28 luglio 1930, che hanno dato esecuzione alla Convenzione doganale tra lo Stato italiano e lo Stato della Città del Vaticano del 30 giugno 1930, entrata in vigore il l' agosto successivo, ed integrata con Accordo del 17-31 novembre 1949. Si veda anche l'art. 71 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto).

21. Tutti i Cardinali godono in Italia degli onori dovuti ai Principi del sangue: quelli residenti in Roma, anche fuori della Città del Vaticano, sono, a tutti gli effetti, cittadini della medesima (1).
Durante la vacanza della Sede Pontificia, l'Italia provvede in modo speciale a che non sia ostacolato il libero transito ed accesso dei Cardinali attraverso il territorio italiano al Vaticano, e che non si ponga impedimento o limitazione alla libertà personale dei medesimi.
Cura, inoltre, l'Italia che nel suo territorio all'intorno della Città del Vaticano non vengano commessi atti, che comunque possano turbare le adunanze del Conclave.
Le dette norme valgono anche Per i Conclavi che si tenessero fuori della Città del Vaticano, nonché per i Concili presieduti dal Sommo Pontefice o dai suoi Legati e nei riguardi dei Vescovi chiamati a parteciparvi.

) Si vedano l'art. 105 disp. att. c.p.c. (Forma speciale di esame testimoniale) e l'art. 351 c.c. (Dispensa dall'ufficio tutelare). Gli artt. 356 (Norme relativi all'assunzione di determinati testimoni) e 453 (Casi in cui i testimoni o i periti possono assumersi a domicilio) del c.p.p. del 1930, nelle parti relative all'assunzione delle testimonianze dei Cardinali, non trovano riscontro nel codice vigente.
Si segnala altresì che a norma dell'art. 16 del D.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782 il personale della Polizia di Stato ed i reparti inquadrati sono tenuti a rendere il saluto al Sommo Pontefice. Inoltre l'art. 40 prescrive in generale che i servizi di rappresentanza sono disposti o autorizzati dai Prefetti anche nelle cerimonie religiose.

22. A richiesta della Santa Sede e per delegazione che potrà essere data dalla medesima o nei singoli casi o in modo permanente, l'Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo quando l'autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano, nel qual caso si procederà senz'altro contro di lui a norma delle leggi italiane.
La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone, che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputate di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati (1)
Analogamente si provvederà per le persone imputate di delitti che si fossero rifugiate negli immobili dichiarati immuni nell'art. 15, a meno che i preposti ai detti immobili preferiscano invitare gli agenti italiani ad entrarvi per arrestarle.

) In forza degli artt. 4 s. della legge 7 giugno 1929, n. II dello Stato della Città del Vaticano sulle Fonti del diritto è ivi ancora vigente il codice penale del Regno d'Italia (R.D. 30 giugno 1889, n. 6133).

23. Per l'esecuzione nella Repubblica delle sentenze emanate dai tribunali della Città del Vaticano si applicheranno le norme del diritto internazionale (1).
Avranno invece senz'altro piena efficacia giuridica, anche a tutti gli effetti civili, in Italia le sentenze ed i provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche ed ufficialmente comunicati alle autorità civili, circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari (2).

) Si veda la legge 13 aprile 1933, n. 379, per la esecutorietà della Convenzione con dichiarazione annessa, stipulata in Roma tra la Santa Sede e l'Italia il 6 settembre 1932, per la notificazione degli atti in materia civile e commerciale.
(
) Si veda, al riguardo, il n. 2, lett. c), del Protocollo addizionale all'Accordo del 18 febbraio 1984 (infra, p. 244).

24. La Santa Sede, in relazione alla sovranità che Le compete anche nel campo internazionale, dichiara che Essa vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai Congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale.
In conseguenza di ciò la Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed inviolabile.

25. Con speciale convenzione sottoscritta unitamente al presente Trattato, la quale costituisce l'Allegato IV al medesimo e ne forma parte integrante, si provvede alla liquidazione dei crediti della Santa Sede verso l'Italia.

26. La Santa Sede ritiene che con gli accordi, i quali sono oggi sottoscritti, Le viene assicurato adeguatamente quanto Le occorre per provvedere con la dovuta libertà ed indipendenza al governo pastorale della Diocesi di Roma e della Chiesa Cattolica in Italia e nel mondo; dichiara definitivamente ed irrevocabilmente composta e quindi eliminata la " questione romana " e riconosce il Regno d'Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano (1).
Alla sua volta l'Italia riconosce lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del Sommo Pontefice.
E' abrogata la legge 13 maggio 1871, n. 214, e qualunque altra disposizione contraria al presente Trattato.

) Del mutamento della forma istituzionale dello Stato venne dato atto con lo scambio di note fra la Santa Sede e l'Italia del 9-21 agosto 1946, con il quale fu modificato l'art. 20 del Concordato.

27. Il presente Trattato, non oltre quattro mesi dalla firma, sarà sottoposto alla ratifica del Sommo Pontefice e del Re d'Italia ed entrerà in vigore all'atto stesso dello scambio delle ratifiche.

Roma, addì undici febbraio millenovecentoventinove.

Seguono:
Allegato I: Pianta del territorio dello Stato della Città del Vaticano.
Allegato II: Piante degli immobili . con privilegio di extraterritorialità e con esenzione da espropriazione e da tributi (Tavole XII).
Allegato III: Piante degli Immobili esenti da espropriazione e da tributi' (Tavole VIII).
Allegato IV: Convenzione finanziaria. (Si omettono le piante allegate).

ALLEGATO IV. - CONVENZIONE FINANZIARIA

[Con r.d. 27 maggio 1929, n. 851, sono state dettate le norme per la esecuzione della Convenzione finanziaria].

IN NOME DELLA SANTISSIMA TRINITÀ.

Si premette:

Che la Santa Sede e l'Italia, a seguito della stipulazione del Trattato, col quale è stata definitivamente composta la " questione romana ", hanno ritenuto necessario regolare con una convenzione distinta, ma formante parte integrante del medesimo, i loro rapporti finanziari;
Che il Sommo Pontefice, considerando da un lato i danni ingenti subiti dalla Sede Apostolica per la perdita del patrimonio di San Pietro, costituito dagli antichi Stati Pontifici, e dei beni degli enti ecclesiastici, e dall'altro i bisogni sempre crescenti della Chiesa pur soltanto nella città di Roma, e tuttavia avendo anche presente la situazione finanziaria dello Stato e le condizioni economiche del popolo italiano specialmente dopo la guerra, ha ritenuto di limitare allo stretto necessario la richiesta di indennizzo, domandando una somma, parte in contanti e parte in consolidato, la quale è in valore di molto inferiore a quella che a tutt'oggi lo Stato avrebbe dovuto sborsare alla Santa Sede medesima anche solo in esecuzione dell'impegno assunto con la legge 13 maggio 1871;
Che lo Stato italiano, apprezzando i paterni sentimenti del Sommo Pontefice, ha creduto doveroso aderire alla richiesta del pagamento di detta somma;
Le due Alte Parti, rappresentate dai medesimi Plenipotenziari, hanno convenuto:

l. L'Italia si obbliga a versare, allo scambio delle ratifiche del Trattato, alla Santa Sede la somma di lire 750.000.000 (settecento cinquanta milioni) ed a consegnare contemporaneamente alla medesima tanto consolidato italiano 5 per cento al portatore (col cupone scadente al 30 giugno p.v.) del valore nominale di lire italiane 1.000.000.000 (un miliardo).

2. La Santa Sede dichiara di accettare quanto sopra a definitiva sistemazione dei suoi rapporti finanziari con l'Italia in dipendenza degli avvenimenti del 1870.

3. Tutti gli atti da compiere per l'esecuzione del Trattato, della presente Convenzione e del Concordato, saranno esenti da ogni tributo.

Roma, undici febbraio millenovecentoventinove.

Concordato fra la Santa Sede e l'Italia.

[Le disposizioni del Concordato non riprodotte nel testo dell'Accordo del 18 febbraio 1984 (infra, p. 232 s.) devono intendersi abrogate, come previsto dal n. 1 dell'art. 13 di quest'ultimo, dalla data dello scambio degli strumenti di ratifica avvenuto il 3 giugno 1985. Si veda infra, p. 281 il testo dell'art. 27].

L. 27 maggio 1929, n. 847
Disposizioni per l'applicazione del Concordato dell'11 febbraio 1929
fra la Santa Sede e l'Italia, nella parte relativa al matrimonio (1).

[Pubblicata nella Gazz. Uff 8 giugno 1929, n. 133.


La presente legge cesserà di spiegare ogni effetto dalla data di entrata in vigore della emananda legge di attuazione dell'art. 8 dell'Accordo del 18 febbraio 1984; si veda il relativo disegno di legge, infra, p. 347 s. è fatta salva la disciplina transitoria (dettata dalla lett. c), n. 4, del Protocollo addizionale, infra, p. 245) per i matrimoni celebrati anteriormente all'entrata in vigore dell'Accordo].

) Si riproduce il testo dell'art. 34 dei concordato del 1929:
" 34. Lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili.
Le pubblicazioni del matrimonio come sopra saranno effettuate, oltre che nella chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale.
Subito dopo la celebrazione il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi e redigerà l'atto di matrimonio, dei quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al comune, affinché venga trascritto nei registri dello stato civile.
Le cause concernenti la nullità del matrimonio [e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato] sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici.
[I provvedimenti e] le sentenze relative, quando siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme dei diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti.
[I provvedimenti e] le sentenze relative, quando siano divenute definitive coi relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla Corte di appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in camera di consiglio, li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano annotati nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio.
Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall'autorità giudiziaria civile ".


CAPO I.
Modificazioni al Titolo V del Libro I del codice civile.


) Abrogati dall'art. 115 disp. trans. c.c. vigente.

CAPO II.
Disposizioni relative ai matrimoni celebrati davanti i ministri del culto cattolico.

5. Il matrimonio celebrato davanti un ministro del culto cattolico, secondo le norme del diritto canonico, produce, dal giorno della celebrazione, gli stessi effetti

6. Le pubblicazioni debbono essere fatte a norma degli artt. 70 e seguenti del codice civile e degli artt. 65 e ss. del R.D. 15 novembre 1865, n. 2602, per l'ordinamento dello stato civile (1).
La richiesta delle pubblicazioni, oltre che dalle persone indicate nell'art. 73 del codice Civile (2), deve esser fatta anche dal parroco, davanti al quale il matrimonio sarà celebrato.

) Vedi ora artt. 93 ss. c.c. vigente (infra, p. 628 s.) ed artt. 95 ss. R.D. 9 luglio1939, n. 1238.
(
) Ora, art. 96 c.c. vigente (infra, p. 629).

7. Trascorsi tre giorni successivi alla seconda ovvero all'unica pubblicazione, l'ufficiale dello stato civile, ove non gli sia stata notificata alcuna opposizione e nulla gli consti ostare al matrimonio, rilascia un certificato, in cui dichiara che non risulta l'esistenza di cause, le quali si oppongano alla celebrazione di un matrimonio valido agli effetti civili.
Qualora gli sia stata notificata opposizione a norma dell'art. 89 del codice civile (1), l'ufficiale dello stato civile non può rilasciare il certificato e deve comunicare al parroco la opposizione.
L'autorità giudiziaria decide sull'opposizione soltanto quando questa sia fondata su alcuna delle cause indicate negli artt. 56 e 61 prima parte del codice civile (2). In ogni altro caso pronuncia sentenza di non luogo a deliberare (3).

) Ora, art. 103 c.c. vigente (infra, p. 631 s.).
(
) Ora, artt. 85 e 86 c.c. vigente (infra, p. 626). ) La Corte costituzionale con sentenza 24 febbraio-1° marzo 1971, n. 31, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del terzo ed ultimo comma; successivamente, con sentenza 13 gennaio-2 febbraio 1982, n. 16, ha dichiarato l'illegittimità parziale del terzo comma; da ultimo, con ordinanza 30 settembre-8 ottobre 1987, n. 313 ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo perché riesamini la rilevanza della questione alla luce dello jus superveniens (Accordo 18 febbraio 1984, art. 8 e Protocollo addizionale, n. 4). Vedasi infra, p. 676, p. 687, p. 697.

8. Il ministro del culto, davanti al quale è celebrato il matrimonio deve spiegare agli sposi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli artt. 130, 131 e 132 del codice civile (1).
L'atto di matrimonio è compilato immediatamente dopo la celebrazione, in doppio originale. Uno di questi viene subito trasmesso all'ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio è stato celebrato e, in ogni caso, non oltre cinque giorni dalla celebrazione.

) Ora, artt. 143, 144 e 147 c.c. vigente (infra, p. 638 s.).

9. L'ufficiale dello stato civile, ricevuto l'atto di matrimonio, ne cura la trascrizione nei registri' dello stato civile, in modo che risultino le seguenti indicazioni:
il nome e cognome, l'età e la Professione, iI luogo di nascita, il domicilio o la residenza degli sposi;
il nome e cognome, il domicilio o la residenza dei loro genitori;
la data delle eseguite pubblicazioni o il decreto di dispensa;
il luogo e la data in cui seguì la celebrazione del matrimonio;
il nome e cognome del parroco o di chi altri per lui abbia assistito alla celebrazione del matrimonio.
L'ufficiale dello stato civile deve dare avviso al procuratore della Repubblica nei casi e per gli effetti indicati nell'art. 104 del R.D. 15 novembre 1865 per l'ordinamento dello stato civile (1).

) Ora, art. 132 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238.

10. Se l'atto di matrimonio non sia stato trasmesso in originale, ovvero se questo non contenga le indicazioni prescritte dall'art. 9 e la menzione dell'eseguita lettura degli artt. 130, 131 e 132 del codice civile (1) prescritta dall'art. 8, l'ufficiale dello stato civile sospende la trascrizione e rinvia l'atto per la sua regolarizzazione.
Quando l'atto sia regolare, la trascrizione deve essere eseguita entro ventiquattro ore dal ricevimento, e nelle successive ventiquattro ore deve esserne trasmessa notizia al parroco con l'indicazione della data, in cui è stata effettuata.

) Ora, art. 143, 144 e 147 c.c. vigente (infra, p. 638 s.).

11. La trascrizione dell'atto riconosciuto regolare deve essere eseguita, quando sia stato rilasciato il certificato di cui all'art. 7, anche se l'ufficiale dello stato civile abbia notizia di qualcuna delle circostanze indicate nell'articolo seguente, ma in tal caso egli deve prontamente informare il procuratore della Repubblica, il quale, ove occorra, provvede a norma dell'art. 16.

12. Quando la celebrazione del matrimonio non sia stata preceduta dal rilascio del certificato di cui all'art. 7, si fa egualmente luogo alla trascrizione, tranne nei casi seguenti:
1) se anche una sola delle persone unite in matrimonio risulti legata da altro matrimonio valido agli effetti civili, in qualunque forma celebrato;
2) se le persone unite in matrimonio risultino già legate tra loro da matrimonio valido agli effetti' civili, in qualunque forma celebrato;
3) se il matrimonio sia stato contratto da un interdetto per infermità di mente (1).

) La Corte costituzionale con sentenza 13 gennaio-2 febbraio 1982, n. 16, ne ha dichiarato la parziale illegittimità. Vedasi infra, p. 687.

13. Se la celebrazione del matrimonio non sia stata preceduta dalle pubblicazioni o dalla dispensa, la trascrizione può aver luogo soltanto dopo l'accertamento che non esiste alcuna delle circostanze indicate nel precedente art. 12.
A questo scopo l'ufficiale dello stato civile, oltre a richiedere i documenti' occorrenti e a fare le indagini che riterrà opportune, affigge alla porta della casa comunale avviso della celebrazione del matrimonio da trascrivere, con l'indicazione delle generalità degli sposi, della data, del luogo di celebrazione e del Ministro del culto avanti al quale è avvenuta.
L'avviso resterà affisso per dieci giorni consecutivi, durante i quali possono opporsi' alla trascrizione del matrimoni . o, per una delle cause indicate nel precedente art. 12, coloro che, a norma del codice civile, avrebbero potuto fare opposizione al matrimonio.
L'opposizione sospende la trascrizione ed è regolata dalle disposizioni degli' artt. 89 e seguenti del codice civile civ. (1), in quanto applicabili.

) Ora, artt. 102 s. c.c. vigente (infra, p. 631 s.).

14. La trascrizione dell'atto di matrimonio che per qualsiasi causa sia stata omessa può essere richiesta in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, quando le condizioni stabilite dalla legge sussistevano al momento della celebrazione del matrimonio e non siano venute meno successivamente.
La trascrizione può essere richiesta anche nel caso preveduto nel n. 3 dell'art. 12, se la coabitazione continuò per tre mesi (1) dopo revocata l'interdizione.
Qualora la trascrizione sia richiesta trascorsi i cinque giorni dalla celebrazione, essa non pregiudica i diritti legittimamente acquisiti dai terzi.

) Ora un anno, a norma dell'art. 119 c.c. vigente (infra, p. 633).

15. Se l'ufficiale dello stato civile non creda di poter procedere alla trascrizione. si osserva la disposizione dell'art. 75 del codice civile

) Ora, art. 98 c.c. vigente (infra, p. 630).

16. La trascrizione del matrimonio può essere impugnata per una delle cause menzionate nell'art. 12 della presente legge.
A tali impugnazioni si applicano le disposizioni degli artt. 104, 112, 113 e 114 del codice civile (1).

) Ora, artt. 117, 119, 124 e 125 c.c. vigente (infra, p. 632 s.). Con sentenza 24 febbraio-1° marzo 1971, n. 32, la Corte costituzionale ne ha dichiarato la parziale illegittimità, Vedasi infra, p. 677.

17. La sentenza del tribunale ecclesiastico, che pronuncia la nullità del matrimonio, [o il provvedimento, col quale è accordata la dispensa dal matrimonio rato e non consumato], dopo che sia intervenuto il decreto del Supremo Tribunale della Segnatura, preveduto dall'art. 34 del Concordato dell'11 febbraio 1929, fra l'Italia e la Santa Sede, sono presentati in forma autentica alla Corte di appello della circoscrizione a cui appartiene ìl comune, presso il quale fu trascritto l'atto di celebrazione del matrimonio.
La Corte di appello, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio, rende esecutiva la sentenza [o il provvedimento di dispensa dal matrimonio celebrato davanti un ministro del culto cattolico e trascritto nel registro dello stato civile] e ne ordina la annotazione a margine dell'atto di matrimonio (1).

) La Corte costituzionale con sentenza 22 gennaio-2 febbraio 1982, n. 18, ne ha dichiarato la parziale illegittimità (infra, p. 688 s.). Si vedano, inoltre, le pronunzie n. 34 del 1971, n. 176 del 1973, n. 169 del 1974, n. 1 e n. 2 del 1977, n. 17 e n. 138 del 1982, infra, rispettivamente alle pp. 677, 679 s., 680, 683, 684, 687 s., 690 s.). Con riguardo all'ultimo comma, si vedano l'articolo unico della legge 10 febbraio 1982, n. 34, per la modifica delle annotazioni da riportare negli estratti per riassunto degli atti di nascita, nonché la legge 12 giugno 1930, n. 826, in materia di esenzioni fiscali degli atti del procedimento.

18. La disposizione dell'art. 116 del codice civile (1) è applicabile anche nel caso di annullamento della trascrizione del matrimonio, e in quello in cui, a sensi del precedente art. 17, venga resa esecutiva la sentenza che dichiari la nullità del matrimonio celebrato davanti al ministro del culto cattolico.

) Ora, art. 128 c.c. vigente (infra, p. 635 s.).

19. Le disposizioni del codice civile relative alla separazione dei coniugi restano ferme anche per t matrimoni celebrati davanti un ministro del culto cattolico, quando siano stati trascritti.
In pendenza del giudizio di nullità davanti i tribunali ecclesiastici, può essere richiesta al tribunale civile la separazione temporanea dei coniugi a norma dell'art. 115 del codice civile (1). La domanda può essere proposta dal pubblico ministero, se ambedue i coniugi o uno di essi sia minore di età. La sentenza di separazione, quando sia passata in cosa giudicata, è comunicata all'autorità ecclesiastica.

) Ora, art. 126 c.c. vigente (infra, p. 635).

CAPO III
Disposizioni generali e transitorie.

20. Agli effetti dell'art. 124 del codice civile (1) è parificato alla celebrazione del matrimonio i1 rilascio del certificato di cui all'art. 7.
Incorre nella multa stabilita nell'art. 124 del codice civile (1) l'ufficiale dello stato civile, che ometta di eseguire prontamente la trascrizione dell'atto di matrimonio, quando ricorrano le condizioni previste dalla legge, o che esegua la trascrizione quando questa non sia ammessa.

) Ora, artt. 136 e 137 c.c. vigente infra, p. 637).

21. La trascrizione del matrimonio celebrato davanti un ministro del culto cattolico anteriormente all'entrata in vigore della presente legge può essere disposta dalla Corte di appello su ricorso di entrambe le parti, con ordinanza pronunziata in camera di consiglio, dopo di aver accertato che al tempo del matrimonio sussistevano le condizioni richieste dal codice civile per contrarre matrimonio, e che posteriormente non siasi verificata alcuna delle circostanze indicate nel precedente art. 12.
Operata la trascrizione, gli effetti civili del matrimonio sì producono dal giorno della medesima (1).

) Si veda la legge 12 giugno 1930, n. 826.

22. Nel caso, in cui sia stata o venga pronunziata la nullità del matrimonio celebrato davanti un ministro del culto cattolico prima dell'attuazione della presente legge, la sentenza produce il suo effetto anche riguardo al matrimonio civile contratto fra le stesse persone, quando, osservate le formalità di cui all'art. 17 della presente legge, la Corte di appello, su domanda di una delle parti, abbia accertato che la nullità fu pronunziata per una causa ammessa anche nel codice civile (1).
[La dispensa dal matrimonio rato e non consumato, quando siano osservate le formalità di cui al medesimo art. 17, produce, sulla domanda di ambedue le Parti, lo scioglimento del matrimonio civile contratto fra le stesse persone prima dell'entrata in vigore della presente legge].

) Si veda la legge 12 giugno 1930, n. 826.

23. Nulla è innovato alla delegazione contenuta nell'art, 3 della legge 24 dicembre 1925, n. 2260, anche per le norme relative al matrimonio.
La presente legge andrà in vigore sessanta giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.



L. 27 maggio 1929, n. 848
Disposizioni sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni
civili dei patrimoni destinati a fini di culto.
[Pubblicata nella Gazz. Uff. 8 giugno 1929, n. 133.


Le disposizioni non espressamente richiamate dalla legge 20 maggio 1985, n. 222, sono abrogate ai sensi dell'art. 74 della medesima (infra, p. 282).
E fatta salva, peraltro, la ultrattività delle stesse per le ipotesi in cui operano in via transitoria, secondo le comuni regole del diritto intertemporale.
Si veda infra il testo degli artt. 18 (p. 276), 15 e 16 (p. 281), 6, 7 e 8 (p. 282)].


L. 25 marzo 1985, n. 121
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo, con protocollo addizionale,
firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense
dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 10 aprile 1985, n. 85].

l. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

2. Piena e intera esecuzione è data all'accordo con protocollo addizionale di cui all'articolo precedente a decorrere dalla sua entrata in vigore in conformità all'articolo 13, n. 1, dell'accordo stesso.

ACCORDO
LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA

tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II;
avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico;
considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale;
hanno riconosciuto l'opportunità di addivenire alle seguenti Modificazioni consensuali del Concordato lateranense:

l. La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese.

2. 1) La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonchè della giurisdizione in materia ecclesiastica.
2) è ugualmente assicurata la reciproca libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le Conferenze episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa (1).
3) è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (1).
4) La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità.

) Si vedano: la legge 5 agosto 1981, n. 416 (supra, p, 77 s.) e la legge 6 agosto 1990, n. 223 (supra, p. 93 s. e infra, p. 663).

3. 1) La circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie è liberamente determinata dall'autorità ecclesiastica. La Santa Sede si impegna a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di altro Stato (1).
2) La nomina dei titolari di uffici ecclesiastici è liberamente effettuata dall'autorità ecclesiastica. Quest'ultima dà comunicazione alle competenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e Vescovi diocesani, dei Coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territoriale, così come dei Parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici rilevanti per l'ordinamento dello Stato (2).
3) Salvo che per la diocesi di Roma e per quelle suburbicarie, non saranno nominati agli uffici di cui al presente articolo, ecclesiastici che non siano cittadini italiani.

) Quanto alla indicazione dei confini territoriali delle diocesi si veda l'art. 18 D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 323).
(
) Sul punto si veda lo scambio di note del 23 dicembre 1985 (infra, p. 308 s.).

4. 1) I sacerdoti, i diaconi ed i religiosi che hanno emesso i voti hanno facoltà di ottenere, a loro richiesta, di essere esonerati dal servizio militare oppure assegnati al servizio civile sostitutivo (1).
2) In caso di mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati alla cura d'anime sono chiamati ad esercitare il ministero religioso fra le truppe, oppure, subordinatamente, assegnati ai servizi sanitari.
3) Gli studenti di teologia, quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia ed i novizi degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica possono usufruire degli stessi rinvii dal servizio militare accordati agli studenti delle università italiane (2).
4) Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie.di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero (3).

) Il servizio civile sostitutivo è disciplinato dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza) e dalle successive norme di modificazione e di attuazione (infra, p. 657 s.); si veda altresì l'art, 2 legge 24 dicembre 1986, n. 958.
(
) Si vedano gli artt. 19 ss. della legge 31 maggio 1975, n. 191, e l'integrazione di cui all'art. 10 della legge n. 958 dei 1986.
(
) Si vedano gli artt. 200 e 256 del Codice di procedura penale, riprodotti supra, p. 85 s. e l'art. 249 del Codice di procedura civile, richiamato infra, p. 651.

5. 1) Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati , espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica.
2) Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l'esercizio delle sue,funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all'autorità ecclesiastica.
3) L'autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali (1).

) Si vedano gli artt. 53 e 74 della legge n. 222 del 1985 (infra, rispettivamente p. 274 s. e p. 282). Si vedano, altresì, le disposizioni della legge 17 agosto 1942, n. 1150, riprodotte supra, p. 50 s., nonché gli artt. 9-12 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (supra, p. 94 s.).

6. La Repubblica italiana riconosce come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività religiose determinate d'intesa fra le Parti (1).

) Si veda il D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792 (infra, p. 309 s.).

7. 1) La Repubblica italiana, richiamandosi al principio enunciato dall'articolo 20 della Costituzione, riafferma che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
2) Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda dell'autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto.
Analogamente si procederà per il riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi.
3) Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione (1).
Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono Soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività (2) e al regime tributario previsto per le medesime (3).
4) Gli edifici aperti al culto, le pubblicazioni di atti, le affissioni all'interno o all'ingresso degli edifici di culto o ecclesiastici, e le collette effettuate nei predetti edifici, continueranno ad essere soggetti al regime vigente (4).
5) L'amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico (5). Gli acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche (6).
6) All'atto della firma del presente Accordo, le Parti istituiscono una Commissione paritetica per la formulazione delle norme da sottoporre alla loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici (7).
In via transitoria e fino all'entrata in. vigore della nuova disciplina restano applicabili gli articoli 17, comma terzo, 18, 27, 29 e 30 del precedente testo concordatario.

) Si veda l'art. 6, lett. h, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie).
(
) Per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano l'assistenza ospedaliera si vedano: le disposizioni della legge 23 dicembre 1978, n. 833, riprodotte supra, p. 70 s. ed i richiami ivi effettuati.
(
) Ai fini fiscali, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti vanno ascritti alla categoria degli " enti non commerciali " (art. 87, lett. c, del D.P.R. n. 917 del 1986), per la cui disciplina si vedano i richiami normativi operati infra, p. 669 s.
(
) Quanto agli edifici di culto il secondo comma dell'art. 831 c.c. dispone: " Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano ".
Quanto alle pubblicazioni di atti, alle affissioni e alle collette si vedano l'art. 664 c.p. (infra, p. 648 s.), l'art. 14 della legge 5 agosto 1981, n. 416 (suPra, p. 77), nonché i richiami legislativi operati infra, p. 650.
Quanto al regime fiscale degli edifici di culto, si vedano l'art. 25 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (INNAM.), infra, p. 667 s., l'art. 33 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.II.DD.), modificato dall'art. 23.1, lett. b), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (I.R.PE.F.), gli artt. 89 (I.R.PE.G.) e 118 (LLO.R.) del succitato T.U.Il.DD., l'art. 7.4 lett. b) del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 (l.S.I.), nonché l'art. 7.1. lett. d) del D.Lgs.vo 30 dicembre 1992, n. 504 (l.C.I.), infra, p. 670.
Inoltre per la normativa catastale si vedano il R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (supra, p. 46) e il D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142 (supra, p. 54 s.). Si veda altresì la Circ. Min. Fin. 9 aprile 1988.
(
) Si veda il cari. 1273 C.J.C. Il primo comma dell'art. 831 c.c. già statuiva: " I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano ".
(
) Si vedano gli artt. 17 della legge n. 222 del 1985 e 9 ss. del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 259 e p. 318 s.).

Si intendono richiamati i seguenti articoli del codice civile:
" 17. (Acquisto di immobili e accettazione di donazioni, eredità e legati). - La persona giuridica non può acquistare beni immobili, né accettare donazioni o eredità, né conseguire legati senza autorizzazione governativa.
Senza questa autorizzazione, l'acquisto e l'accettazione non hanno effetto ".
" 473. (Eredità dovolute a persone giuridiche). - L'accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche non può farsi che col beneficio d'inventario, osservate le disposizioni della legge circa l'autorizzazione governativa.
Questo articolo non si applica alle società ".
" 600. (Enti non riconosciuti). - Le disposizioni a favore di un ente non riconosciuto non hanno efficacia, se entro un anno dal giorno in cui il testamento è eseguibile non è fatta l'istanza per ottenere il riconoscimento.
Fino a quando l'ente non è costituito possono essere promossi gli opportuni provvedimenti conservativi ".
" 782. (Forma della donazione). - (Omissis)
Se la donazione è fatta a una persona giuridica, il donante non può revocare la sua dichiarazione dopo che gli è stata notificata la domanda diretta a ottenere dall'autorità governativa l'autorizzazione ad accettare, Trascorso un anno dalla notificazione senza che l'autorizzazione sia stata concessa, la dichiarazione può essere revocata ".
" 786. (Donazione a ente non riconosciuto), - La donazione a favore di un ente non riconosciuto non ha efficacia, se entro un anno non è notificata al donante l'istanza per ottenere il riconoscimento. La notificazione produce gli effetti indicati dall'ultimo comma dell'art. 782.
Salvo diversa disposizione del donante i frutti maturati prima del riconoscimento sono riservati al donatario ".

Si vedano, altresi, gli artt. 1, 3, 5, 6, 7 disp. att. c.c., nonché il D.M. 16 luglio 1992 (Delega ai prefetti della Repubblica per l'esercizio delle facoltà attribuite all'autorità governativa relativamente all'autorizzazione all'acquisto di beni immobili e all'accettazione di donazioni, eredità, legati, il cui valore non superi L. 500.000.000, da parte degli enti dotati di personalità giuridica che svolgono la loro attività nell'ambito di una provincia), in Gazz. Uff. 28 luglio 1992, n. 176. Si segnala che il regime dell'autorizzazione agli acquisti di cui alla legge 5 giugno 1850, n. 1037 è stato abrogato per le Regioni e le province autonome dalla legge 10 aprile 1991, n. 123.

) Si veda il Protocollo del 15 novembre 1984 (infra, p. 248 s.).

8. 1) Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l'atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi (1) e redigerà quindi, in doppio originale, l'atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile (2).
La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:
a) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l'età richiesta per la celebrazione (3)
b) quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile.
La trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l'azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta (4).
La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. L'ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, la effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al parroco.
Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione anche se l'ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto.
La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi (5).
2) Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte di appello competente, quando questa accerti:
a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo;
b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano (6);
c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere
La Corte di appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia (7).
3) Nell'accedere al presente regolamento della materia matrimoniale la Santa Sede sente l'esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società (8).

) Si vedano gli artt. 143, 144 e 147 c.c. (infra, p. 638 s.).
(
) Si vedano gli artt. 162, secondo comma, e 283 c.c., nonché l'art. 126 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile). Per l'applicazione di tale decreto, cui è fatto riferimento implicito nel testo e nel n. 4 del Protocollo addizionale, si veda ora il D.M. 17 dicembre 1987 (Nuovi moduli e formule per gli atti dello stato civile).
Per la modulistica confessionale si vedano il Prontuario per le domande di licenza o dispensa matrimoniale e il Formulario per l'istruttoria matrimoniale predisposti dalla CEI contestualmente al Decreto richiamato infra nella nota 8.
(
) Si veda l'art. 84 c.c. In relazione alla previgente disciplina si veda la sentenza n. 16 del 1982 della Corte costituzionale (infra, p. 687).
In materia si veda altresi la Delibera n. 10, promulgata con decreto del Presidente della CEI del 23 dicembre 1983 (in Notiziario CEI, n. 7/1983).
(
) Si vedano gli artt. 117 e 125 c.c. (infra, p. 632 s. e p. 635).
(
) Si vedano le " Istruzioni agli ufficiali dello Stato civile per l'applicazione, allo stato, dell'art. 8, n. 1 dell'accordo fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121 " emanate dal Ministero di Grazia e Giustizia il 26 febbraio 1986.
(
) In relazione alla previgente disciplina si veda la sentenza n. 18 del 1982 della Corte costituzionale (infra, p. 688 s.).
(
) Si vedano gli arti. 128, 129 e 129-bis c.c. (infra, p. 635 s.).
) Si veda, da ultimo, il Decreto generale sul matrimonio canonico, promulgato il 5 novembre 1990 (in Notiziario CEI, n. 10/1990), a seguito della prescritta recognitio della Santa Sede, che ha disposto, in concomitanza con l'entrata in vigore del Decreto (17 febbraio 1991), l'abrogazione " quatenus opus sit " delle Istruzioni della Sacra Congregazione peri sacramenti del 1° luglio 1929 e del l° agosto 1930.

9. 1) La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della scuola e dell'insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione.
A tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l'esame di Stato (1).
2) La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado (2).
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento (3).
All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione (3).

) Si vedano le sentenze della Corte costituzionale n. 36 del 1958 e n. 438 del 1988, nonché la sentenza n. 36 del 1982 e le ordinanze n. 556 del 1987, n. 668 del 1988 e n. 332 del 1989 (infra, p. 673, p. 699 s., p. 690, p. 697 s., p. 700 s. e p. 704).
(
) Si vedano: il D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751, come modificato dal D.P.R. 23 giugno 1990, n. 202; A D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539; il D.P.R. 8 maggio 1987, n. 204; i DD.PPAR. 21 luglio 1987, n. 339 e n. 350 (infra, p. 290 s., p. 332 s., p. 312, p. 331 s.).
(
) Si vedano: l'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449 (infra, p. 447 s.); l'Intesa con la Tavola valdese, del 3 aprile 1986 (infra, p. 457 s.); la legge 18 giugno 1986, n. 281 (supra, p. 80); l'art. 11 della legge 22 novembre 1988, n. 516 (infra, p. 508 s.); l'art. 8 della legge 22 novembre 1988, n. 517 (infra, p. 526); l'art. 11 della legge 8 marzo 1989, n. io i (infra, p. 563).
Si vedano altresì le sentenze della Corte costituzionale n. 363 del 1985, n. 203 del 1989, n. 13 del 1991 e n. 290 del 1992 (infra, p. 694, p. 704, p. 708 e p. 709 s.).

10. 1) Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a dipendere unicamente dall'autorità ecclesiastica (1)
2) I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche, determinate d'accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato.
Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteconomia (2).
3) Le nomine dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica.

) Si vedano: i canoni 232 s. e 807 s. C.J.C.; l'art. 32 della legge 19 gennaio 1942, n. 86. Qualora sia un ente ecclesiastico il gestore di istituti che intendono ottenere il riconoscimento di cui all'art. 3 della legge 18 febbraio 1989, n, 56, relativo ai corsi di formazione all'esercizio dell'attività psicoterapeutica, si veda il D.M. 12 ottobre 1992.
(
) Le lauree nelle discipline ecclesiastiche indicate dalla Circ. Min. P.I. 2 ottobre 1971 consentono fin d'ora la partecipazione ai concorsi per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento nelle sole scuole dipendenti dalle autorità ecclesiastiche; agli stessi fini i laureati in diritto canonico ed in utroque iure sono ammessi a partecipare al concorso per la classe relativa alle " Discipline giuridiche ed economiche " (art. 3.6 D.M. Pubbl. Istr. 23 marzo 1990, in Gazz. Uff., 4a serie sp., 10 luglio 1990, n. 54-bis). In forza della Circ. INPS 9 novembre 1992, n. 259, a coloro che siano in possesso dei titoli accademici idonei a far conseguire l'abilitazione all'insegnamento nelle scuole dipendenti dalle autorità ecclesiastiche è riconosciuta la facoltà di riscatto del periodo di corso legale di laurea ex art. 2-novies della legge 16 aprile 1974, n. 114. Si veda altresii il D.M. Univ. 2 gennaio 1990 sull'ammissione all'esame di stato per l'esercizio della professione di psicologo dei titolari di licenza e di dottorato, rilasciati dalla pontificia università salesiana di Roma, facoltà di scienze dell'educazione.

11. 1) La Repubblica italiana assicura che l'appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell'esercizio della libertà religiosa e nell'adempimento delle pratiche di culto dei cattolici (1).
2) L'assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell'autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l'organico e le modalità stabiliti d'intesa fra tali autorità (2).

) Si vedano, in materia, la legge 1 giugno 1961, n. 512 (Stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell'assistenza spirituale alle Forze armate dello Stato), come modificata dalla legge 22 novembre 1973, n. 873; la legge 5 marzo 1963, n. 323 (Istituzione di un posto di Ispettore dei cappellani); la legge 26 luglio 1975, n. 354 (supra, p. 65 s.); il D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 (supra, p. 67 s., e i richiami ivi effettuati); la legge 11 luglio 1978, n. 382 (supra, p. 69 s.); la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (supra, p. 70 s., e i richiami ivi effettuati); la legge 1 aprile 1981, n. 121 (supra, p. 75 s., e i richiami ivi effettuati); la legge 4 marzo 1982, n. 68 (Trattamento giuridico ed economico dei cappellani); il D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 (supra, p. 83 s.); la legge 23 gennaio 1989, n. 19 (Modifica dell'articolo 3 della legge 4 marzo 1982, n. 68, concernente il limite di età per la nomina a cappellano degli istituti di prevenzione e di pena).
(
) Si veda il D.P.R. 17 gennaio 1991, n. 92 (infra, p. 335 s.).

12. 1) La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico.
Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni,culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche (1).
La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti (2).
2) La Santa Sede conserva la disponibilità delle catacombe cristiane esistenti nel suolo di Roma e nelle altre parti del territorio italiano con l'onere conseguente della custodia, della manutenzione e della conservazione, rinunciando alla disponibilità delle altre catacombe (3).
Con l'osservanza delle leggi dello Stato e fatti salvi gli eventuali diritti di terzi, la Santa Sede può procedere agli scavi occorrenti ed al trasferimento delle sacre reliquie.

) Si veda anche l'art. 8 della legge l° giugno 1939, n. 1089 (supra, p. 46, con i richiami ivi effettuati), e la Circ. Min. Beni Cult. Amb. 1 luglio 1992. Per la normativa confessionale si vedano i richiami operati dalla CEI nel documento I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti e norme (in Notiziario CEI, n. 9/ 1992) .
(
) Si veda la legge 5 giugno 1986, n. 253 (supra, p. 78 s. con i richiami ivi effettuati).
(
) Si veda l'art. 17.3 della legge 8 marzo 1989, n. 101 (infra, p. 566).

13. 1) Le disposizioni precedenti costituiscono modificazioni del Concordato lateranense accettate dalle due Parti, ed entreranno in vigore alla data dello scambio degli strumenti di ratifica (1). Salvo quanto previsto dall'articolo 7, n. 6, le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate.
2) Ulteriori materie per le quali si manifesti l'esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.

) Lo scambio degli strumenti di ratifica è avvenuto il 3 giugno 1985 (vedasi Gazz. Uff. 20 giugno 1985, n. 144)

14. Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un'amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata.

Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.


PROTOCOLLO ADDIZIONALE

Al momento della firma dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica Italiana, desiderose di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione dei Patti Lateranensi e delle convenute modificazioni, e di evitare ogni difficoltà di interpretazione, dichiarano di comune intesa:

l. In relazione all'articolo 1
Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano (1).

) Si vedano le pronunzie della Corte costituzionale n. 363 del 1985, n. 147 del 1987, n. 925 del 1988 e nn. 52, 54, 479 del 1989 (infra, p. 694, p. 696, p. 702 s. e p. 706).

2. In relazione all'articolo 4.
a) Con riferimento al n. 2, si considerano in cura d'anime gli ordinari, i parroci, i vicari parrocchiali, i rettori di chiese aperte al culto ed i Sacerdoti stabilmente addetti ai servizi di assistenza spirituale di cui all'articolo 1 l.
b) La Repubblica italiana assicura che l'autorità giudiziaria darà comunicazione all'autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici (1).
c) La Santa Sede prende occasione dalla modificazione del Concordato lateranense per dichiararsi d'accordo, senza pregiudizio dell'ordinamento canonico, con l'interpretazione che lo Stato italiano dà dell'articolo 23, secondo comma, del Trattato lateranense, secondo la quale gli effetti civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche, previsti da tale disposizione, vanno intesi in armonia con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani.

) Si veda l'art. 129.2 del D.Lgs.vo 28 luglio 1989, n. 271 (supra, p. 87).

3. In relazione all'articolo 7.
a) La Repubblica italiana assicura che resterà escluso l'obbligo per gli enti ecclesiastici di procedere alla conversione di beni immobili, salvo accordi presi di volta in volta tra le competenti autorità governative ed ecclesiastiche, qualora ricorrano particolari ragioni.
b) La Commissione paritetica, di cui al n. 6, dovrà terminare i suoi lavori entro e non oltre sei mesi dalla firma del presente Accordo. 1,

4. In relazione all'artico1o 8
a) Ai fini dell'applicazione del n. 1, lettera b), si intendono come impedimenti inderogabili della legge civile:
1) l'essere uno dei contraenti interdetto per infermità di mente;
2) la sussistenza tra gli sposi di altro matrimonio valido agli effetti civili;
3) gli impedimenti derivanti da delitto oda affinità in linea retta.
b) Con riferimento al n. 2, ai fini dell'applicazione degli articoli 796 e 797 del codice italiano di procedura civile (1) si dovrà tener conto della specificità dell'ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine. In particolare:
1) si dovrà tener conto che i richiami fatti dalla legge italiana alla legge del. luogo in cui si è svolto il giudizio si intendono fatti al diritto canonico;
2) si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico;
3) si intende che in ogni caso non si procederà al riesame del merito.
c) Le disposizioni del n. 2 si applicano anche ai matrimoni celebrati, prima dell'entrata in vigore del presente Accordo, in conformità alle norme dell'articolo 34 del Concordato lateranense e della legge 27 maggio 1929, n. 847, per i quali non sia stato iniziato il procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria civile, previsto dalle norme stesse.

) Si riportano gli articoli richiamati:
" 796. (Giudice competente). - Chi vuol far valere nella Repubblica una sentenza straniera deve proporre domanda mediante citazione davanti alla corte d'appello del luogo in cui la sentenza deve avere attuazione.
La dichiarazione di efficacia può essere chiesta in via diplomatica, quando ciò è consentito dalle convenzioni internazionali oppure dalla reciprocità. In questo caso, se la parte interessata non ha costituito un procuratore, il presidente della corte d'appello, su richiesta del pubblico ministero, nomina un curatore speciale per proporre la domanda.
L'intervento del pubblico ministero è sempre necessario ".
" 797. (Condizioni per la dichiarazione di efficacia). - La corte d'appello dichiara con sentenza l'efficacia nella Repubblica della sentenza straniera quando accerta:
1) che il giudice dello Stato nel quale la sentenza è stata pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale vigenti nell'ordinamento italiano;
2) che la citazione è stata notificata in conformità alla legge del luogo dove si è svolto il giudizio ed è stato in essa assegnato un congruo termine a comparire;
3) che le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo o la contumacia è stata accertata e dichiarata validamente in conformità della stessa legge;
4) che la sentenza è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata;
5) che essa non è contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano;
6) che non è pendente davanti a un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera;
7) che la sentenza non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano.
Ai fini dell'attuazione il titolo è costituito dalla sentenza straniera e da quella della corte d'appello che ne dichiara l'efficacia ".

5. In relazione all'articolo 9.
a) L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito - in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni - da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica.
Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.
b) Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1) i programmi dell'insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini e gradì delle scuole pubbliche;
2) le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni;
3) i criteri per la scelta dei libri di testo;
4) i profili della qualificazione professionale degli insegnanti (1).
c) Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente nelle regioni di confine nelle quali la materia è disciplinata da norme particolari (2).

) Si vedano supra le note 2 e 3 di p. 240 s.
(
) Si vedano: gli artt. 24 ss. del D.P.R. 4 dicembre 1981, n. 761; gli artt. 35 ss. del D.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; gli artt. 21 ss. del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 405.

6. In relazione all'articolo 10.
La Repubblica italiana, nell'interpretazione del n. 3 - che non innova l'articolo 38 del Concordato dell'1 1 febbraio 1929 -si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte costituzionale relativa al medesimo articolo (1).

) Vedasi infra, p. 678 s.

7. In relazione all'articolo 13, n. 1
Le Parti procederanno ad opportune consultazioni per l'attuazione, nel rispettivo ordine, delle disposizioni del presente Accordo (1).
Il presente Protocollo addizionale fa parte integrante dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense contestualmente firmato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana.

) Si vedano gli scambi di note del 13 febbraio 1987, del 20 dicembre 1989 e del 31 dicembre 1992, infra, p, 339.

Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.


LAVORI PREPARATORI


Senato della Repubblica (atto n. 848):
Presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Craxi) il 17 luglio 1984.
Assegnato alla 3 a commissione (Affari esteri), in sede referente, il 19 luglio 1984, con pareri delle commissioni la, 2a, 5a, 6a e 7a.
Esaminato dalla 3a commissione il 26 luglio 1984 e I' agosto 1984.
Relazione scritta annunciata il 2 agosto 1984 (atto n. 848/A).
Esaminato in aula e approvato il 3 agosto 1984.

Camera dei deputati (atto n. 2021):
Assegnato alla I commissione (Affari costituzionali), in sede referente, il 18 settembre 1984, con pareri delle commissioni Il, III, IV, VI e VIII.
Assegnato nuovamente alla III commissione (Affari esteri), in sede referente, il 25 settembre 1984, con pareri delle commissioni 1, Il, IV, V, VI e VIII.
Esaminato dalla III commissione il 3 ottobre 1984, 5 dicembre 1984, 31 gennaio 1985 e 6 febbraio 1985.
Relazione scritta annunciata A 15 marzo 1985 (atto n. 2021/A).
Esaminato in aula il 18 marzo 1985, 19 marzo 1985 e approvato il 20 marzo 1985. 


L. 20 maggio 1985, n. 206
Ratifica ed esecuzione del protocollo, firmato a Roma il 15 novembre 1984,
che approva le norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici
formulate dalla commissione paritetica istituita dall'articolo 7, n. 6, dell'accordo,
con protocollo addizionale, dei 18 febbraio 1984 che ha apportato modificazioni
al concordato lateranense del 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 27 maggio 1985, n. 123].

l. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il protocollo firmato a Roma il 15 novembre 1984 che approva le norme previste dall'articolo 7, n. 6, dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984 tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

2. Piena e intera esecuzione sarà data al protocollo di cui all'articolo precedente con le modalità e con la decorrenza di cui agli articoli 4 e 5 del protocollo stesso.

PROTOCOLLO

Il Cardinale Segretario di Stato e Prefetto del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Agostino Casaroli, e il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, Onorevole Bettino Craxi, esaminate le norme formulate dalla Commissione paritetica, istituita a norma dell'articolo 7, n. 6, dell'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana del 18 febbraio 1984, e sottoposte all'approvazione delle Alte Parti in data 8 agosto dello stesso anno, preso atto che le norme predette rientrano nell'ambito del mandato conferito alla Commissione paritetica, considerato che le medesime norme sono rispondenti ai principi ed ai criteri enunciati nel preambolo dell'Accordo del 18 febbraio 1984 e sono idonee a modificare gli articoli 17, comma terzo, 18, 27, 29 e 30 del testo concordatario dell'11 febbraio 1929 e le relative disposizioni applicative, tenuto conto di quanto concordato con lo scambio di lettere tra loro intercorso in data odierna (allegato 1), con particolare riguardo alle modificazioni relative agli articoli 46, 47, 50 e 51 delle predette norme, convengono, a nome rispettivamente della Santa Sede e della Repubblica Italiana, su quanto segue:

l. Le norme presentate alle Alte Parti dalla Commissione paritetica per gli enti ecclesiastici, istituita a norma dell'articolo 7, n. 6, dell'Accordo tra la Santa Sede e l'Italia del 18 febbraio 1984, sono approvate nella formulazione del testo firmato dalla Commissione paritetica in data 8 agosto 1984, con le modifiche concordate con le lettere di cui all'allegato I.

2. Resta inteso che tali norme non concernono la condizione giuridica della Santa Sede e dei suoi organi (1).

) Si veda l'art. 11 del Trattato, supra, p. 217.

3. Resta inoltre inteso che sono applicabili alle materie disciplinate dalle norme predette le disposizioni degli articoli 13, n. 2 e 14, dell'Accordo 18 febbraio 1984.

4. Le Parti daranno piena ed intera esecuzione al presente Protocollo emanando, con gli strumenti giuridici propri dei rispettivi ordinamenti, le norme approvate in data odierna.

5. Il presente Protocollo e le norme predette entreranno in vigore alla data dello scambio degli strumenti di ratifica dell'Accordo del 18 febbraio 1984 e del Protocollo medesimo (1).

) Lo scambio degli strumenti di ratifica è avvenuto il 3 giugno 1985 (vedasi Gazz. Uff. 20 giugno 1985, n. 144).

Roma, 15 novembre 1984.

CONSIGLIO PER GLI AFFARI PUBBLICI DELLA CHIESA

IL PREFETTO N. 7126/84

Signor Presidente del Consiglio,
La Commissione paritetica istituita all'atto della firma dell'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana del 18 febbraio 1984, ha sottoposto all'approvazione delle Alte Parti, il giorno 8 agosto stesso anno, a compimento del suo mandato, le norme da essa formulate circa gli enti ed i beni ecclesiastici in Italia e circa la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici.
Prima di procedere all'approvazione di dette norme, la Santa Sede - attesi anche i rilievi ad essa esposti in merito dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana - ritiene di dover proporre al Governo italiano la modificazione di talune disposizioni delle norme stesse e l'interpretazione di altre: ciò al fine di garantire la possibilità stessa di dare l'avvio al nuovo sistema amministrativo ecclesiastico proposto dalla Commissione paritetica e di rendere l'applicazione delle nuove norme sicura e rispondente alla concorde volontà delle Alte Parti.

I. - Si tratta, anzitutto, delle disposizioni relative ai seguenti articoli, la cui proposta modificazione viene indicata con sottolineatura:

1) Articolo 46, comma 1:
" A decorrere dal periodo d'imposta 1989 le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito complessivo le erogazioni liberali in denaro, fino all'importo di due milioni, a favore dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana ".

2) Articolo 47, comma 1:
" Le somme da corrispondere a far tempo dal l' gennaio 1987 e sino a tutto il 1989 alla Conferenza Episcopale Italiana e al Fondo edifici di culto in forza delle presenti norme sono iscritte in appositi capitoli dello stato di previsione del Ministero del tesoro, verso contestuale soppressione del capitolo n. 4493 del medesimo stato di previsione, dei capitoli n. 2001, n. 2002, n. 2031 e n. 2071 dello stato di previsione del Ministero dell'interno, nonché del capitolo n. 7871 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici ".

3) Articolo 50:
" I contributi e concorsi nelle spese a favore delle Amministrazioni del Fondo Culto e del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma di cui al capitolo n. 4493 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno finanziario 1984, gli assegni al personale ecclesiastico ex palatino, le spese concernenti l'inventario degli stati patrimoniali degli istituti ecclesiastici e il contributo per integrare i redditi dei Patrimoni riuniti ex economali destinati a sovvenire il clero particolarmente benemerito e bisognoso e a favorire scopi di culto, di beneficenza e di istruzione, iscritti, rispettivamente ai capitoli n. 2001, n. 2002, n. 2031 e n. 2071 dello stato di previsione del Ministero dell'interno per l'anno finanziario 1984, nonché le spese di concorso dello Stato nella costruzione e ricostruzione di chiese di cui al capitolo n. 7871 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici per l'anno finanziario 1984, sono corrisposti, per gli anni finanziari 1985 e 1986, negli stessi importi risultanti dalle previsioni finali dei predetti capitoli per l'anno 1984, al netto di eventuali riassegnazioni per il pagamento di residui passivi perenti. Lo stanziamento del suddetto capitolo n. 4493 nello stato di previsione del Ministero del tesoro sarà comunque integrato dell'importo necessario per assicurare negli anni 1985 e 1986 le maggiorazioni conseguenti alle variazioni dell'indennità integrativa speciale, di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni e ìntegrazioni, che si registreranno negli anni medesimi.
Per gli anni 1985 e 1986 i suddetti contributi, concorsi, assegni e spese continuano ad essere corrisposti nelle misure di cui al comma precedente, rispettivamente alle Amministrazioni del Fondo per il Culto, del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma e dei Patrimoni riuniti ex economali, nonché al Ministero dei lavori pubblici per la costruzione e la ricostruzione di chiese.
Per ciascuno degli anni 1987, 1988, 1989 gli stessi contributi, concorsi, assegni e spese, aumentati del 5%, rispetto all'importo dell'anno precedente, sono invece corrisposti alla Conferenza Episcopale Italiana, ad eccezione della somma di lire 3.500 milioni annui che verrà corrisposta, a decorrere dall'anno 1987, al Fondo edifici di culto di cui all'articolo 55 delle presenti norme.
Le erogazioni alla Conferenza Episcopale Italiana, da effettuarsi in unica soluzione entro il 20 gennaio di ciascun anno, avvengono secondo modalità che sono determinate con decreto del Ministro del tesoro. Tali modalità devono, comunque, consentire l'adempimento degli obblighi di cui al successivo articolo 51 e il finanziamento dell'attività dell'Istituto di cui all'articolo 21, comma terzo.
Resta a carico del bilancio dello Stato il pagamento delle residue annualità dei limiti di impegno iscritti, sino a tutto l'anno finanziario 1984, sul capitolo n. 7872 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici ".

4) Articolo 51, commi 1 e 2:
" Le disposizioni di cui al regio decreto 29 maggio 1931, n. 227, e successive modifiche e integrazioni sono abrogate dal l° gennaio 1985, salvo quanto stabilito nel precedente articolo 50.
Le somme liquidate per l'anno 1984 a titolo di supplemento di congrua, onorari e spese di culto continuano ad essere corrisposte, in favore dei medesimi titolari, nel medesimo ammontare e con il medesimo regime fiscale, previdenziale e assistenziale per il periodo 1° gennaio 1985-31 dicembre 1986, aumentate delle maggiorazioni di cui al primo comma del precedente articolo 50, conseguenti alle variazioni dell'indennità integrativa speciale per gli anni 1985 e 1986. Il pagamento viene effettuato in rate mensili posticipate con scadenza il giorno 25 di ciascun mese e il giorno 20 del mese di dicembre ".

II. - Ritengo opportuno, inoltre, allegare l'unanime dichiarazione messa a verbale dalla Commissione paritetica all'atto conclusivo dei lavori, circa la retta interpretazione degli articoli 41, 42, 46, 47 e 50 delle norme predette.

III. - Data la natura del tutto sui generis della personalità giuridica della Santa Sede e delle sue peculiari esigenze, la Santa Sede propone di inserire nel protocollo di approvazione una disposizione che chiarisca che le nuove norme non concernono la condizione giuridica della Santa Sede e dei suoi organi.
La Santa Sede conferma la sua disponibilità ad esaminare col Governo italiano questioni riguardanti le attività in Italia dell'Istituto per le Opere di Religione.
Nel sottoporre alla Sua considerazione quanto sopra, sono a chiederLe, Signor Presidente, a nome della Santa Sede, il consenso del Governo italiano alla corrispondente modificazione ed interpretazione delle norme da approvare.
Gradisca, Signor Presidente, i sensi della mia più alta considerazione.

Agostino Cardinal Casaroli

ALLEGATO

" La Commissione ha ritenuto superfluo formulare apposita norma per chiarire che non sono oggetto di imposizione fiscale le somme che alla Conferenza episcopale italiana perverranno in virtù degli articoli 47 e 50.
La Commissione ritiene, infatti, sulla base dei principi generali dell'ordinamento giuridico italiano, che i trasferimenti di cui agli articoli 41, 42, 46, 47 e 50 sono per loro natura esclusi da ogni tributo, difettando i presupposti per l'imposizione in virtù della effettiva destinazione delle somme.
Va considerato, comunque, che la tassazione avviene, come disposto dall'articolo 25, nella fase finale a carico dei sacerdoti percipienti la remunerazione, ovvero, sulla base dei principi generali, quando le somme predette costituiscano o producano reddito imponibile ".


A sua Eccellenza
l'Onorevole Signore BETTINO CRAXI
Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana
ROMA

Roma, 15 novembre 1984

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Eminenza Reverendissima,
ho l'onore di accusare ricevuta della lettera dell'E.V. in data odierna n. 7126/84.
Il Governo italiano ha esaminato le norme formulate dalla Commissione paritetica istituita ai sensi dell'articolo 7, n. 6, dell'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana del 18 febbraio 1984 e sottoposte all'approvazione delle Alte Parti in data 8 agosto dello stesso anno.
Preso atto che le norme formulate dalla Commissione paritetica rientrano nell'ambito del mandato ad essa affidato, il Governo italiano ritiene che dette norme sono rispondenti ai principi ed ai criteri enunciati nel preambolo dell'Accordo del 18 febbraio 1984 e idonee a modificare gli articoli 17, comma terzo, 18, 27, 29 e 30 del testo concordatario dell'11 febbraio 1929 e le relative disposizioni applicative.
In vista dell'approvazione di dette norme il Governo italiano, nell'intento di favorire l'avvio del nuovo sistema amministrativo ecclesiastico proposto dalla Commissione paritetica, ritiene di accettare le modifiche degli articoli 46, 47, 50 e 51 e le interpretazioni proposte dalla Santa Sede con la predetta lettera della Eminenza Vostra.
Colgo l'occasione, Eminenza Reverendissima, per presentarLe i sensi della mia più alta considerazione.

L. 20 maggio 1985, n. 222
Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastíci in Italia
e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi.
[Pubblicata nel Suppl. ord. Gazz. Uff. 3 giugno 1985, n. 129].


TITOLO I
ENTI ECCLESIASTICI CIVILMENTE RICONOSCIUTI

l. Gli enti costituiti o approvati dall'autorità ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili con decreto dei Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato (1).

) Si vedano: art. 12 c.c.; artt. 1-3 disp. att. c.c.

2. Sono considerati aventi fine di religione o di culto gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari
Per altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che non abbiano personalità giuridica nell'ordìnamento della Chiesa, il fine di religione o di culto è accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell'articolo 16.
L'accertamento di cui al comma precedente è diretto a verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell'ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico.

3. Il riconoscimento della personalità giuridica è concesso su domanda di chi rappresenta l'ente secondo il diritto canonico, previo assenso dell'autorità ecclesiastica competente, ovvero su domanda di questa (1).

) Si vedano gli artt. 2 s. del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 316 s.).

4. Gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell'ordinamento dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

5. Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono iscriversi nel registro delle persone giuridiche.
Nel registro, con le indicazioni prescritte dagli articoli 33 e 34 del codice civile, devono risultare le norme di funzionamento e i poteri degli organi di rappresentanza dell'ente. Agli enti ecclesiastici non può comunque essere fatto, ai fini della registrazione, un trattamento diverso da quello previsto per le persone giuridiche private (1).
I provvedimenti previsti dagli articoli 19 e 20 delle presenti norme sono trasmessi d'ufficio per l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche.

) Il testo degli articoli del codice civile è il seguente:
" 33. (Registrazione delle persone giuridiche). - In ogni provincia è istituito un pubblico registro delle persone giuridiche.
Nel registro devono indicarsi la data dell'atto costitutivo e quella del decreto di riconoscimento, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica e il cognome e il nome degli amministratori con la menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza.
La registrazione può essere disposta anche d'ufficio.
Gli amministratori di un'associazione o di una fondazione non registrata, benché riconosciuta, rispondono personalmente e solidalmente, insieme con la persona giuridica, delle obbligazioni assunte ".
" 34. (Registrazione di alti). - Nel registro devono iscriversi anche le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto, dopo che sono state approvate dal l'autorità governativa, il trasferimento della sede e l'istituzione di sedi secondarie, la sostituzione degli amministratori con indicazione di quelli ai quali spetta la appresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o dichiarano l'estinzione, il cognome e il nome dei liquidatori.
Se l'iscrizione non ha avuto luogo, i fatti indicati non possono essere opposti ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza ".
Si vedano altresì gli artt. 15 e 43 del D.PA. n. 33 del 1987 (infra, p. 321 e p. 330 s. ed i richiami ivi effettuati).

6. Gli enti ecclesiastici già riconosciuti devono richiedere l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche entro due anni dalla entrata in vigore delle presenti norme.
La Conferenza episcopale italiana deve richiedere l'iscrizione entro il 30 settembre 1986.
Gli Istituti per il sostentamento del clero, le diocesi e le parrocchie devono richiedere l'iscrizione entro il 31 dicembre 1989.
Decorsi tali termini, gli enti ecclesiastici di cui ai commi precedenti potranno concludere negozi giuridici solo previa iscrizione nel registro predetto (1).

) Si vedano i richiami effettuati nella nota all'articolo precedente.

7. Gli istituti religiosi e le società di vita apostolica non possono essere riconosciuti se non hanno la sede principale in Italia.
Le province italiane di istituti religiosi e di società di vita apostolica non possono essere riconosciute se la loro attività non è limitata al territorio dello Stato o a territori di missione.
Gli enti di cui ai commi precedenti e le loro case non possono essere riconosciuti se non sono rappresentati, giuridicamente e di fatto, da cittadini italiani aventi il domicilio in Italia. Questa disposizione non si applica alle case generalizie e alle procure degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica.
Resta salvo quanto dispone l'articolo 9.

8. Gli istituti religiosi di diritto diocesano possono essere riconosciuti soltanto previo assenso della Santa Sede e sempre che sussistano garanzie di stabilità (1).

) Si veda l'art. 3.2 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 317).

9. Le società di vita apostolica e le associazioni pubbliche di fedeli possono essere riconosciute soltanto previo assenso della Santa Sede e sempre che non abbiano carattere locale (1).

) Si veda l'art. 3.3 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 317).

10. Le associazioni costituite o approvate dall'autorità ecclesiastica non riconoscibili a norma dell'articolo precedente, possono essere riconosciute alle condizioni previste dal codice civile.
Esse restano in tutto regolate dalle leggi civili, salvi la competenza dell'autorità ecclesiastica circa la loro attività di religione o di culto e i poteri della medesima in ordine agli organi statutari.
In ogni caso è applicabile l'articolo 3 delle presenti norme (1).

) Si veda l'art. 6 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 317 s.).

11. Il riconoscimento delle chiese è ammesso solo se aperte al culto pubblico e non annesse ad altro ente ecclesiastico, e sempre che siano fornite dei mezzi sufficienti per la manutenzione e la officiatura.

12. Le fondazioni di culto possono essere riconosciute quando risultino la sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei fini e la rispondenza alle esigenze religiose della popolazione.

13. La Conferenza episcopale italiana acquista la personalità giuridica civile, quale ente ecclesiastico, con l'entrata in vigore delle presenti norme (1).

) Lo statuto è pubblicato in Notiziario CEI n. 3/1985 ed il relativo regolamento in Notiziario CEI n. 8/1985.

14. Dal l° gennaio 1987, su richiesta dell'autorità ecclesiastica competente, può essere revocato il riconoscimento civile ai capitoli cattedrali o collegiali non più rispondenti a particolari esigenze o tradizioni religiose e culturali della popolazione (1).
Nuovi capitoli possono essere civilmente riconosciuti solo a seguito di soppressione o fusione di capitoli già esistenti o di revoca del loro riconoscimento civile.

) Si veda l'art. 7 del D.P.R, n. 33 del 1987 (infra, p. 318).

15. Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall'articolo 7, n. 3, secondo comma, dell'accordo del 18 febbraio 1984 (1).

) Vedasi supra, p, 236, e l'art. 8 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 318).

16. Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque:
a) attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana;
b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.

17. Per gli acquisti degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche (1).

) Si veda la nota 6 all'art. 7.5 dell'Accordo 18 febbraio 1984 (supra, p. 237).

18. Ai fini dell'invalidità o inefficacia di negozi giuridici . . essere da enti ecclesiastici non possono essere opposte a posti in terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l'omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche.

19. Ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto acquista efficacia civile mediante riconoscimento con decreto del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato.
In caso di mutamento che faccia perdere all'ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento può essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del Ministro dell'interno, sentita l'autorità ecclesiastica e udito il parere del Consiglio di Stato (1).

) Si vedano gli artt. 12 e 13 del D.P.R. n. 33 dei 1987 (infra, p. 320).

20. La soppressione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la efficacia civile mediante l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell'autorità ecclesiastica competente che sopprime l'ente o ne dichiara l'avvenuta estinzione.
L'autorità ecclesiastica competente trasmette il provvedimento al Ministro dell'interno che, con proprio decreto, dispone l'iscrizione di cui al primo comma e provvede alla devoluzione dei beni dell'ente soppresso o estinto.
Tale devoluzione avviene secondo quanto prevede il provvedimento ecclesiastico, salvi in ogni caso la volontà dei disponenti, i diritti dei terzi e le disposizioni statutarie, e osservate, in caso di trasferimento ad altro ente, le leggi civili relative agli acquisti delle persone giuridiche (1).

) Si veda l'art. 7.2 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 318).


TITOLO II
BENI ECCLESIASTICI E SOSTENTAMENTO DEL CLERO

21. In ogni diocesi viene eretto, entro il 30 settembre 1986 ' con decreto del Vescovo diocesano, l'Istituto per il sostentamento del clero previsto dal canone 1274 del codice di diritto canonico (1) (2).
Mediante accordo tra ì Vescovi interessati, possono essere costituiti Istituti a carattere interdiocesano, equiparati, ai fini delle presenti norme, a quelli diocesani (2).
La Conferenza episcopale italiana erige, entro lo stesso termine, l'Istituto centrale per il sostentamento del clero, che ha il fine di integrare le risorse degli Istituti di cui ai commi precedenti (3).

) Si trascrive il testo del canone 1274 del codice di diritto canonico promulgato il 25 gennaio 1983 (nella versione italiana curata dall'UECI):
" S 1. Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al sostentamento dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma dei can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente.
S 2. Dove non sia ancora stata organizzata convenientemente la previdenza sociale in favore del clero, la Conferenza Episcopale disponga la costituzione di un istituto che provveda sufficientemente alla sicurezza sociale dei chierici.
S 3. Nelle singole diocesi si costituisca, nella misura in cui è necessario, un fondo comune, con il quale i Vescovi possano soddisfare agli obblighi verso le altre persone che servono la Chiesa e andare incontro alle varie necessità della diocesi, e con il quale le diocesi più ricche possano anche aiutare le più povere.
S 4. A seconda delle diverse circostanze dei luoghi, le finalità di cui ai SS 2 e 3 si possono più convenientemente ottenere con istituti diocesani tra loro federati, o con la cooperazione o l'opportuna consociazione tra varie diocesi, anzi anche organizzata per tutto il territorio della Conferenza Episcopale.
S 5. Questi istituti, se possibile, siano costituiti in modo che ottengano anche il riconoscimento da parte del diritto civile ".
(
) Si veda l'art. 14 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 320).
(
) Per lo Statuto dell'I.C.S.C. si veda infra, p. 284 s.

22. L'Istituto centrale e gli altri Istituti per il sostentamento del clero acquistano la personalità giuridica civile dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro dell'interno, che conferisce ad essi la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (1).
Il decreto è emanato entro sessanta giorni dalla data di ricezione dei relativi provvedimenti canonici.
La procedura di cui ai commi precedenti si applica anche al riconoscimento civile dei decreti canonici di fusione di Istituti diocesani o di separazione di Istituti a carattere interdiocesano emanati entro il 30 settembre 1989 (2).

) Per l'I.C.S.C. si veda il D.M. 19 novembre 1985 (infra, p. 283 s.), e per gli altri Istituti i DD. MM. 20 dicembre 1985 (infra, p. 299 s.).
(
) Si veda l'art. 14 dei D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 320).

23. Lo statuto di ciascun Istituto per il sostentamento del clero è emanato dal Vescovo diocesano in conformità alle disposizjoni della Conferenza episcopale italiana (1).
In ogni caso, almeno un terzo dei membri del consiglio di amministrazione di ciascun Istituto è composto da rappresentanti designati dal clero diocesano su base elettiva (2).

) Per gli schemi di statuto dell'I.D.S.C. e dell'I.I.S.C. si veda infra p. 300 s.
(
) Si veda l'art. 16 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 322).

24. Dal 11 gennaio 1987 ogni istituto provvede, in conformità allo statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla Conferenza episcopale italiana, il congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore della diocesi, salvo quanto previsto dall'articolo 51.
Si intende per servizio svolto in favore della diocesi, ai sensi del canone 1274, paragrafo 1, del codice di diritto canonico, l'esercizio del ministero come definito nelle disposizioni emanate dalla Conferenza episcopale italiana (1).
I sacerdoti che svolgono tale servizio hanno diritto a ricevere la remunerazione per il proprio sostentamento, nella misura indicata nel primo comma, da parte degli enti di cui agli articoli 33, lettera a) e 34, primo comma, per quanto da ciascuno di essi dovuto.

) Vedasi, per il testo del canone, la nota 1 all'art. 21 e per le disposizioni della CEI la nota 1 all'art. 75.

25. La remunerazione di cui agli articoli 24, 33, lettera a) e 34 è equiparata, ai soli fini fiscali, al reddito da lavoro dipendente (1) .
L'Istituto centrale opera, su tale remunerazione, le ritenute fiscali e versa anche, per i sacerdoti che vi siano tenuti, i contributi previdenziali e assistenziali previsti dalle leggi vigenti (2) (3).

) Si veda l'art. 47, lett. d, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
(
) Si veda l'art. 17 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 322 s.).
(
) Si vedano le Circolari Min. Fin. 2 luglio 1987 e 12 aprile 1988. Si vedano altresì l'art. 78, commi lo, 13-16 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, come modificato dall'art. 10 del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438 e dall'art. 62.1 del D.L. 2 marzo 1993, n. 47; gli artt. 3 ss. del D.P.R. 4 settembre 1992, n. 395; le Circolari Min. Fin. 5 dicembre 1992, n. 33 e 3 febbraio 1993, n. 3.

26. Gli istituti religiosi, le loro province e case civilmente riconosciuti, possono, per ciascuno dei propri membri che presti continuativamente opera in attività commerciali svolte dall'ente, dedurre, ai fini della determinazione del reddito di impresa, se inerente alla sua produzione e in sostituzione degli altri costi e oneri relativi alla prestazione d'opera, ad eccezione di quelli previdenziali, un importo pari all'ammontare del limite minimo annuo previsto per le pensioni corrisposte dal Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti dell'Istituto nazionale di previdenza sociale (1).
Con decreto del Ministro delle finanze è determinata la documentazione necessaria per il riconoscimento di tali deduzioni (2).
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano dal periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore delle presenti norme.

) Si vedano: l'art. 109.4, dei D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; l'art. 20 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; l'art. 8 del D.P.R. n. 33 dei 1987 (infra, p. 318).
(
) Si veda il D.M. 28 marzo 1986.

27. L'Istituto centrale e gli altri Istituti per il sostentamento del clero possono svolgere anche funzioni previdenziali integrative autonome per il clero.
Gli Istituti diocesani destinano, in conformità ad apposite norme statutarie, una quota delle proprie risorse per sovvenire alle necessità che si manifestino nei casi di abbandono della vita ecclesiastica da parte di coloro che non abbiano altre fonti sufficienti di reddito.

28. Con il decreto di erezione di ciascun Istituto sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchialì, vicariali curati o comunque denominati, esistenti nella diocesi, e i loro patrimoni sono trasferiti di diritto all'Istituto stesso, restando peraltro estinti i diritti attribuiti ai beneficiari dal canone 1473 del codice di diritto canonico del 1917 (1).
Con il decreto predetto o con decreto integrativo sono elencati i benefici estinti a norma del comma precedente.
Il riconoscimento civile dei provvedimenti canonici di cui ai commi precedenti avviene con le modalità e nei termini previsti dall'articolo 22.
L'Istituto succede ai benefici estinti in tutti i rapporti attivi e passivi.

) Si trascrive il testo del canone 1473 dei codice di diritto canonico del 1917:
" Etsi beneficiarius alia bona non beneficialia habeat, libere uti frui potest fructibus beneficialibus qui ad cius honestam sustentationem sint necessarii; obligatione autem tenetur impendendi superfluos pro pauperibus aut piis causis, salvo praescripto can. 239, S I, n. 19 ".

29. Con provvedimenti dell'autorità ecclesiastica competente, vengono determinate, entro il 30 settembre 1986, la sede e la denominazione delle diocesi e delle parrocchie costituite nell'ordinamento canonico (1).
Tali enti acquistano la personalità giuridica civile dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del decreto del Ministro dell'interno che conferisce alle singole diocesi e parrocchie la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto.
Il decreto è emanato entro sessanta giorni dalla data di ricezione dei relativi provvedimenti canonici.
Con provvedimenti del Vescovo diocesano gli edifici di culto, gli episcopi, le case canoniche, gli immobili adibiti ad attività educative o caritative o ad altre attività pastorali, i beni destinati interamente all'adempimento di oneri di culto ed ogni altro bene o attività che non fa parte della dote redditizia del beneficio, trasferiti all'Istituto a norma dell'articolo 28, sono individuati e assegnati a diocesi, parrocchie e capitoli non soppressi.

) Si veda l'art. 14 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 320).

30. Con l'acquisto, da parte della parrocchia, della personalità giuridica a norma dell'articolo 29, si estingue, ove esistente, la personalità giuridica della chiesa parrocchiale e il suo patrimonio è trasferito di diritto alla parrocchia, che succede all'ente estinto in tutti i rapporti attivi e passivi.
Con il provvedimento di cui al primo comma dell'articolo 29, l'autorità ecclesiastica competente comunica anche l'elenco delle chiese parrocchiali estinte.
Tali enti perdono la personalità giuridica civile dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del decreto del Ministro dell'interno, che priva le singole chiese parrocchiali della qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto.
Il decreto è emanato entro sessanta giorni dalla data di ricezione dei relativi provvedimenti canonici.
Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche all'estinzione di chiese cattedrali e al trasferimento dei loro patrimoni alle rispettive diocesi qualora l'autorità ecclesiastica adotti i relativi provvedimenti canonici.

31. Fino al 31 dicembre 1989 i trasferimenti di cui agli articoli 22, terzo comma, 28, 29, 30 e tutti gli atti e adempimenti necessari a norma di legge sono esenti da ogni tributo e onere (1).
Le trascrizioni e le volture catastali relative ai trasferimenti previsti dagli articoli 28 e 30 avvengono sulla base dei decreti ministeriali di cui ai medesimi articoli senza necessità di ulteriori atti o documentazioni, salve, per le iscrizioni tavolari, le indicazioni previste dalle leggi vigenti in materia.
Nelle diocesi per il cui territorio vige il catasto con il sistema tavolare, i decreti di cui all'articolo 28 possono provvedere alla ripartizione dei beni immobili degli enti estinti tra l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero e gli altri enti indicati nell'articolo 29, ultimo comma, che ad essi succedono.
Analogamente si procede per i trasferimenti di cui agli articoli 55 e 69.

) Si veda l'art. 19 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 323 s.) nonché la Nota Min. Gr. Giust. 4 agosto 1986.

32. Le liberalità disposte con atto anteriore al I' luglio 1987 a favore di un beneficio ecclesiastico sono devolute all'Istituto diocesano per il sostentamento del clero, qualora la successione si apra dopo l'estinzione del beneficio o la donazione non sia stata da questo accettata prima dell'estinzione.
Analogamente le liberalità disposte a favore di una chiesa parrocchiale o cattedrale sono devolute rispettivamente alla parrocchia o diocesi che ad essa succede a norma dell'articolo 30.

33. I sacerdoti di cui all'articolo 24 comunicano annualmente all'Istituto diocesano per il sostentamento del clero:
a) la remunerazione che, secondo le norme stabilite dal Vescovo diocesano, sentito il Consiglio presbiterale, ricevono dagli enti ecclesiastici presso i quali esercitano il ministero;
b) gli stipendi eventualmente ad essi corriposti da altri soggetti.

34. L'Istituto verifica, per ciascun sacerdote, i dati ricevuti a norma dell'articolo 33. Qualora la somma dei proventi di cui al medesimo articolo non raggiunga la misura determinata dalla Conferenza episcopale italiana a norma dell'articolo 24, primo comma, l'Istituto stabilisce l'integrazione spettante, dandone comunicazione all'interessato.
La Conferenza episcopale italiana stabilisce procedure accelerate di composizione o di ricorso contro i provvedimenti dell'Istituto. Tali procedure devono assicurare un'adeguata rappresentanza del clero negli organi competenti per la composizione o la definizione dei ricorsi (1).
Contro le decisioni di tali organi sono ammessi il ricorso gerarchico al Vescovo diocesano e gli ulteriori rimedi previsti dal diritto canonico.
I ricorsi non hanno effetto sospensivo, salvo il disposto del canone 1737, paragrafo 3, del codice di diritto canonico (2).

) Per le disposizioni della CEI si veda la nota 1 all'art. 75.
(
) Il testo del paragrafo 3 del canone 1737 del codice di diritto canonico (nella versione italiana curata dall'UECI) è il seguente:
" Anche nei casi in cui il ricorso non sospende per il diritto stesso l'esecuzione, né la sospensione fu decisa a norma del can. 1736, 5 2, il Superiore può tuttavia per una causa grave ordinare che l'esecuzione sia sospesa, evitando però che la salvezza delle anime ne subisca danno ".

35. Gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero provvedono all'integrazione di cui all'articolo 34 con i redditi del proprio patrimonio.
Qualora tali redditi risultino insufficienti, gli Istituti richiedono all'Istituto centrale la somma residua necessaria ad assicurare ad ogni sacerdote la remunerazione nella misura stabilita.
Parte degli eventuali avanzi di gestione è versata all'Istituto centrale nella misura periodicamente stabilita dalla Conferenza episcopale italiana.

36. Per le alienazioni e per gli altri negozi di cui al canone 1295 del codice di diritto canonico, di valore almeno tre volte superiore a quello massimo stabilito dalla Conferenza episcopale italiana ai sensi del canone 1292, paragrafi 1 e 2, l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero dovrà produrre alla Santa Sede il parere della Conferenza episcopale italiana ai fini della prescritta autorizzazione (1).

) Il testo del canone 1295 del codice di diritto canonico (nella versione italiana curata dall'UECI) è il seguente:
" I requisiti a norma dei cann. 1291-1294, ai quali devono conformarsi anche gli statuti delle persone giuridiche, devono essere osservati non soltanto per l'alienazione, ma in qualunque altro affare che intacchi il patrimonio della persona giuridica peggiorandone la condizione ".
Il limite massimo del valore è stato da ultimo stabilito dalla CEI in novecento milioni di lire, in forza della modifica apportata alla Delibera n. 20 e n il Decreto 21 settembre 1990 (in Notiziario CEI, n. 8/1990). Per la determinazione degli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione si veda pure quanto disposto dal can. 1281 e, per l'Italia, dai nn. 59 ss. della Istruzione in materia amministrativa, cit. infra, p. 283.

37. L'Istituto per il sostentamento del clero che intende vendere, a soggetti diversi da quelli indicati nel terzo comma, un immobile per un prezzo superiore a lire 1.500 milioni, deve darne, con atto notificato, comunicazione al Prefetto della provincia nella quale è ubicato l'immobile, dichiarando il prezzo e specificando le modalità di pagamento e le altre condizioni essenziali alle quali la vendita dovrebbe essere conclusa.
Entro sei mesi dalla ricezione della proposta, il Prefetto comunica all'Istituto, con atto notificato, se e quale ente tra quelli indicati al successivo comma intende acquistare il bene per le proprie finalità istituzionali, alle condizioni previste nella proposta di vendita, trasmettendo contestualmente copia autentica della deliberazione di acquisto alle medesime condizioni da parte dell'ente pubblico.
Il Prefetto, nel caso di più enti interessati all'acquisto, sceglie secondo il seguente ordine di priorità: Stato, comune, università degli studi, regione, provincia.
Il relativo contratto di vendita è stipulato entro due mesi dalla notifica della comunicazione di cui al secondo comma.
Il pagamento del prezzo, qualora acquirente sia un ente pubblico diverso dallo Stato, deve avvenire entro due mesi dalla stipulazione del contratto, salva diversa pattuizione.
Qualora acquirente sia lo Stato, il prezzo di vendita deve essere pagato, salva diversa pattuizione, nella misura del quaranta per cento entro due mesi dalla data di registrazione del decreto di approvazione del contratto, e, per la parte residua, entro quattro mesi da tale data.
Le somme pagate dall'acquirente oltre tre mesi dalla notificazione di cui al secondo comma, sono rivalutate, salva diversa pattuizione, a norma dell'articolo 38.
Qualora la comunicazione di cui al secondo comma non sia notificata entro il termine di decadenza ivi previsto, l'Istituto può vendere liberamente l'immobile a prezzo non inferiore e a condizioni non diverse rispetto a quelli comunicati al Prefetto.
Il contratto di vendita stipulato in violazione dell'obbligo di cui al primo comma, ovvero per un prezzo inferiore o a condizioni diverse rispetto a quelli comunicati al Prefetto, è nullo.
Le disposizioni precedenti non si applicano quando:
a) acquirente del bene sia un ente ecclesiastico;
b) esistano diritti di prelazione, sempre che i soggetti titolari li esercitino.
La comunicazione di cui al primo comma deve essere rinnovata qualora la vendita a soggetti diversi da quelli indicati al terzo comma avvenga dopo tre anni dalla data di notificazione.

38. Le somme di cui al primo e settimo comma dell'articolo precedente sono rivalutate in misura pari alla variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati verificatasi:
a) nel caso del primo comma, tra il mese precedente l'entrata in vigore delle presenti norme e quello di comunicazione della proposta;
b) nel caso del settimo comma, tra il mese precedente il termine ivi indicato e quello del pagamento.

39. L'Istituto centrale per il sostentamento del clero è amministrato da un consiglio composto per almeno un terzo dei suoi membri da rappresentanti designati dal clero secondo modalità che verranno stabilite dalla Conferenza episcopale italiana (1).
Il presidente e gli altri componenti sono designati dalla Conferenza episcopale italiana.

) Si veda la nota 1 all'art. 75.

40. Le entrate dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero sono costituite principalmente dalle oblazioni versate a norma dell'articolo 46 e dalle somme di cui all'articolo 41, secondo comma (1).

) Sulle crogazioni liberali all'Istituto centrale per il sostentamento del clero si veda la Circ. Min. Fin. 12 dicembre 1988.

41. La Conferenza episcopale italiana determina annualmente le destinazioni delle somme ricevute ai sensi dell'articolo 47 nell'ambito delle sole finalità previste dall'articolo 48.
Le somme che la Conferenza episcopale italiana destina al sostentamento del clero sono trasferite all'istituto centrale.

42. Ogni Istituto per il sostentamento del clero, prima dell'inizio di ciascun esercizio, comunica all'Istituto centrale il proprio stato di previsione, corredato dalla richiesta di integrazione di cui all'articolo 35, secondo comma.
L'Istituto centrale, verificati i dati dello stato di previsione, provvede alle erogazioni necessarie.

43. Ogni Istituto per il sostentamento del clero, alla chiusura di ciascun esercizio, invia all'Istituto centrale una relazione consuntiva, nella quale devono essere indicati in particolare i criteri e le modalità di corresponsione ai singoli sacerdoti delle somme ricevute a norma dell'articolo 35.

44. La Conferenza episcopale italiana trasmette annualmente all'autorità statale competente un rendiconto relativo alla effettiva utilizzazione delle somme di cui agli articoli 46, 47 e 50, terzo comma, e lo pubblica sull'organo ufficiale della stessa Conferenza (1).
Tale rendiconto deve comunque precisare:
a) il numero dei sacerdoti che svolgono servizio in favore delle diocesi;
b) la somma stabilita dalla Conferenza per il loro dignitoso sostentamento;
c) l'ammontare complessivo delle somme di cui agli articoli 46 e 47 destinate al sostentamento del clero;
d) il numero dei sacerdoti a cui con tali somme è stata assicurata l'intera remunerazione;
e) il numero dei sacerdoti a cui con tali somme è stata assicurata una integrazione;
f) l'ammontare delle ritenute fiscali e dei versamenti previdenziali e assistenziali operati ai sensi dell'articolo 25;
g) gli interventi finanziari dell'Istituto centrale a favore dei singoli Istituti per il sostentamento del clero;
h) gli interventi operati per le altre finalità previste dall'articolo 48.
La Conferenza episcopale italiana provvede a diffondere adeguata informazione sul contenuto di tale rendiconto e sugli scopi ai quali ha destinato le somme di cui all'articolo 47.

) Si vedano gli artt. 20 e 21 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 324).

45. Le disposizioni vigenti in materia di imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili appartenenti ai benefici ecclesiastici si applicano agli immobili appartenenti agli Istituti per il sostentamento del clero (1).

) Si veda l'art. 25 del D.P.R. n. 643 del 1972 (infra, p. 667 s.), nonché la Circ. Min. Fin. 20 settembre 1986.

46. A decorrere dal periodo d'imposta 1989 le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito complessivo le erogazioni liberali in denaro, fino all'importo di lire due milioni, a favore dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana (1).
Le relative modalità sono determinate con decreto del Ministro delle finanze (2).

) Si veda l'art. 10.1, lett. t, del D.P.R. n. 917 del 1986; quanto ai redditi di impresa analoga deducibilità è prevista dall'art. 65.2, lett. a.
(
) Si veda il D.M. 12 dicembre 1988.

47. Le somme da corrispondere a far tempo dal 1° gennaio 1987 e sino a tutto il 1989 alla Conferenza episcopale italiana e al Fondo edifici di culto in forza delle presenti norme sono iscritte in appositi capitoli dello stato di previsione del Ministero del tesoro, verso contestuale soppressione del capitolo n. 4493 del medesimo stato di previsione, dei capitoli n. 2001, n. 2002, n. 2031 e n. 2071 dello stato di previsione del Ministero dell'interno, nonché del capitolo n. 7871 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici.
A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otlo per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica.
Le destinazioni di cui al comma precedente vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse.
Per gli anni finanziari 1990, 1991 e 1992 lo Stato corrisponde, entro il mese di marzo di ciascun anno, alla Conferenza episcopale italiana, a titolo di anticipo e salvo conguaglio complessivo entro il mese di giugno 1996, una somma pari al contributo alla stessa corrisposto nell'anno 1989, a norma dell'articolo 50.
A decorrere dall'anno finanziario 1993, lo Stato corrisponde annualmente, entro il mese di giugno, alla Conferenza episcopale italiana, a titolo di anticipo e salvo conguaglio entro il mese di gennaio del terzo periodo d'imposta successivo, una somma calcolata sull'importo liquidato dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali relative al terzo periodo d'imposta precedente con destinazione alla Chiesa cattolica (1).

) Si vedano gli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 324).
Si veda, altresì, l'art. 78, commi 4, 9, lo, 11, 15, 21, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, come modificato dall'art. 10 del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, nonché dall'art. 62.1 dei D.L. 2 marzo 1993, n. 47.

48. Le quote di cui all'articolo 47, secondo comma, sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali (1); dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo.

) Per i profili procedurali, si veda la prima norma attuativa di cui all'art. 3.29 della legge 29 dicembre 1990, n. 406.

49. Al termine di ogni triennio successivo al 1989, una apposita commissione paritetica, nominata dall'autorità governativa e dalla Conferenza episcopale italiana, procede alla revisione dell'importo deducibile di cui all'articolo 46 e alla valutazione del gettito della quota IRPEF di cui all'articolo 47, al fine di predisporre eventuali modifiche (1).

) Si veda l'art. 24 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 324).

50. I contributi e concorsi nelle spese a favore delle Amministrazioni del Fondo per il culto e del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma di cui al capitolo n. 4493 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno finanziario 1984, gli assegni al personale ecclesiastico ex palatino, le spese concernenti l'inventario degli stati patrimoniali degli istituti ecclesiastici e il contributo per integrare i redditi dei Patrimoni riuniti ex economali destinati a sovvenire il clero particolarmente benemerito e bisognoso e a favorire scopi di culto, di beneficenza e di istruzione, iscritti, rispettivamente, ai capitoli n. 2001, n. 2002, n. 2031 e n. 2071 - dello stato di previsione del Ministero dell'interno per l'anno finanziario 1984, nonché le spese di concorso dello Stato nella costruzione e ricostruzione di chiese di cui al capitolo n. 7871 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici per l'anno finanziario 1984, sono corrisposti, per gli anni finanziari 1985 e 1986, negli stessi importi risultanti dalle previsioni finali dei predetti capitoli per l'anno 1984, al netto di eventuali riassegnazioni per il pagamento di residui passivi perenti. Lo stanziamento del suddetto capitolo n. 4493 dello stato di previsione del Ministero del tesoro sarà comunque integrato dell'importo necessario per assicurare negli anni 1985 e 1986 le maggiorazioni conseguenti alle variazioni dell'indennità integrativa speciale, di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324 e successive modificazioni e integrazioni, che si registreranno negli anni medesimi.
Per gli anni 1985 e 1986 i suddetti contributi, concorsi, assegni e spese continuano ad essere corrisposti nelle misure di cui al comma precedente, rispettivamente alle Amministrazioni del Fondo per il culto, del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma e dei Patrimoni riuniti ex economali, nonché al Ministero dei lavori pubblici per la costruzione e la ricostruzione di chiese.
Per ciascuno degli anni 1987, 1988 e 1989 gli stessi contributi, concorsi, assegni e spese, aumentati del 5 per cento, rispetto all'importo dell'anno precedente, sono invece corrisposti alla Conferenza episcopale italiana, ad eccezione della somma di lire 3.500 milioni annui che verrà corrisposta, a decorrere dall'anno 1987, al Fondo edifici di culto di cui all'articolo 55 delle presenti norme.
Le erogazioni alla Conferenza episcopale italiana, da effettuarsi in unica soluzione entro il 20 gennaio di ciascun anno, avvengono secondo modalità che sono determinate con decreto del Ministro del tesoro. Tali modalità devono, comunque, consentire l'adempimento degli obblighi di cui al successivo articolo 51 e il finanziamento dell'attività per il sostentamento del clero dell'Istituto di cui all'articolo 21, terzo comma.
Resta a carico del bilancio dello Stato il pagamento delle residue annualità dei limiti di impegno iscritti, sino a tutto l'anno finanziario 1984, sul capitolo n. 7872 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici.

51. Le disposizioni di cui al regio decreto 29 gennaio 1931, n. 227, e successive modifiche e integrazioni, sono abrogate dal l' gennaio 1985, salvo quanto stabilito nel precedente articolo 50 (1).
Le somme liquidate per l'anno 1984 a titolo di supplemento di congrua, onorari e spese di culto continuano ad essere corrisposte, in favore dei medesimi titolari, nel medesimo ammontare e con il medesimo regime fiscale, previdenziale e assistenziale per il periodo 11 gennaio 1985-31 dicembre 1986, aumentate delle maggiorazioni di cui al primo comma del precedente articolo 50 conseguenti alle variazioni dell'indennità gli anni 1985 e 1986. Il pagamento viene effettuato in rate mensili posticipate con scadenza il giorno 25 di ciascun mese e il giorno 20 del mese di dicembre.
L'Ordinario diocesano, in caso di mutamenti della titolarità o di estinzione di uffici ecclesiastici, chiede al Prefetto della provincia competente per territorio la modifica della intestazione dei relativi titoli di spesa in favore di altro sacerdote che svolga servizio per la diocesi.
Per gli anni 1987, 1988 e 1989 la Conferenza episcopale italiana assume, in conformità al titolo II delle presenti norme, tutti gli impegni e oneri ai quali facevano fronte i contributi e concorsi che vengono ad essa corrisposti ai sensi dell'articolo 50, terzo comma; assicurando in particolare la remunerazione dei titolari degli uffici ecclesiastici congruati.
Nei medesimi anni potrà essere avviato il nuovo sistema di sostentamento del clero anche per gli altri sacerdoti che svolgono servizio in favore della diocesi, a norma dell'articolo 24.
Dal l° gennaio 1990 le disposizioni del titolo II delle presenti norme si applicano, comunque, a tutti i sacerdoti che svolgono servizio in favore della diocesi.

) Il regio decreto 29 gennaio 1931, n. 227, reca " Approvazione del testo unico di legge sulla liquidazione e concessione de~ supplementi di congrua degli onorari e degli assegni per spese di culto al clero ".

52. Lo Stato continua ad esercitare fino al 31 dicembre 1986 la tutela per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione dei benefici ecclesiastici.
Dal l° gennaio 1987 e fino al 31 dicembe 1989, i benefici eventualmente ancora esistenti non possono effettuare alienazioni di beni e altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza i provvedimenti canonici di autorizzazione. I contratti di vendita devono contenere gli estremi di tale autorizzazione, che determina anche le modalità di reimpiego delle somme ricavate.

53. Gli impegni finanziari per la costruzione di edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali sono determinati dalle autorità civili competenti secondo le disposizioni delle leggi 22 ottobre 1971, n. 865 e 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni (1).
Gli edifici di culto e le pertinenti opere parrocchiali di cui al primo comma, costruiti con contributi regionali e comunali, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, se non sono decorsi venti anni dalla erogazione del contributo (2).
Il vincolo è trascritto nei registri immobiliari. Esso può essere estinto prima del compimento del termine, d'intesa tra autorità ecclesiastica e autorità civile erogante, previa restituzione delle somme percepite a titolo di contributo, in proporzione alla riduzione del termine, e con rivalutazione determinata con le modalità di cui all'articolo 38 (3).
Gli atti e i negozi che comportino violazione del vincolo sono nulli.

) Si vedano le disposizioni riprodotte supra, p. 64 e p. 68 s. Può ritenersi non più operante la competenza esclusiva dello Stato in materia, di cui all'art. 88, n. 8, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in relazione anche al disposto dell'art. 74 della presente legge.
(
) Per la normativa regionale si veda supra,
(
) Si veda l'art. 25 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 324 s.).


TITOLO III
FONDO EDIFICI DI CULTO

54. Il Fondo per il culto e il Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma sono soppressi dal 10 gennaio 1987.
Dalla stessa data sono soppresse anche le Aziende speciali di culto destinate, sotto varie denominazioni, a scopi di culto, di beneficenza e di religione, attualmente gestite dalle Prefetture della Repubblica.
Fino a tale data i predetti Fondi e Aziende continuano ad essere regolati dalle disposizioni vigenti.

55. Il patrimonio degli ex economati dei benefici vacanti e dei fondi di religione di cui all'articolo 18 della legge 27 maggio 1929, n. 848, del Fondo per il culto, del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma e delle Aziende speciali di culto, denominate Fondo clero veneto - gestione clero curato, Fondo clero veneto - gestione grande cartella, Azienda speciale di culto della Toscana, Patrimonio ecclesiastico di Grosseto, è riunito dal l° gennaio 1987 in patrimonio unico con la denominazione di Fondo edifici di culto (1).
Il Fondo edifici di culto succede in tutti i rapporti attivi e passivi degli enti, aziende e patrimoni predetti.

) Si veda l'art. 28 dei D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 325 s.), nonché la Circ. Min. Int. 10 marzo 1987, n. 59. La legge 27 maggio 1929, n. 848, reca
" Disposizioni sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati a fini di culto ". L'art. 18 di detta legge prevede:
" 18. Gli Economati generali ed i Subeconornati dei benefici vacanti sono soppressi.
I patrimoni degli Econoniati generali dei benefici vacanti e dei Fondi di religione dei territori annessi al Regno in virtù delle leggi 26 settembre 1920, n. 1322, e 19 dicembre 1920, n. 1778, e del R.D.L. 22 febbraio 1924, n. 211, sono riuniti in un patrimonio unico, che è destinato a sovvenire il clero particolarmente benemerito e bisognoso, a favorire scopi di culto, di beneficienza e di istruzione.
I redditi di tali patrimoni saranno congruamente integrati con appositi stanziamenti nel bilancio del Ministero dell'interno ".

56. Il Fondo edifici di culto ha personalità giuridica ed è amministrato in base alle norme che regolano le gestioni patrimoniali dello Stato con i privilegi, le esenzioni e le agevolazioni fiscali ad esse riconosciuti.

57. L'amministrazione del Fondo edifici di culto è affidata al Ministero dell'interno, che la esercita a mezzo della Direzione generale degli affari dei culti e, nell'ambito provinciale, a mezzo dei prefetti.
Il Ministro dell'interno ha la rappresentanza giuridica del Fondo.
Il Ministro è coadiuvato da un consiglio di amministrazione, nominato con suo decreto, e composto da:
il Presidente, designato dal Ministro dell'interno;
il Direttore generale degli affari dei culti;
2 componenti designati dal Ministro dell'interno;
1 componente designato dal Ministro dei lavori pubblici;
1 componente designato dal Ministro per i beni culturali e ambientali;
3 componenti designati dalla Conferenza episcopale italiana (1).
Le attribuzioni del consiglio di amministrazione sono determinate con apposito regolamento (1).

) Si veda l'art. 26 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 325).
(
) Si veda l'art. 27 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 325).

58. I proventi del patrimonio del Fondo edifici di culto, integrati nella misura di cui al terzo comma dell'articolo 50, sono utilizzati per la conservazione, il restauro, la tutela e la valorizzazione degli edifici di culto appartenenti al Fondo, nonché per gli altri oneri posti a carico del Fondo stesso.
La progettazione e l'esecuzione delle relative opere edilizie sono affidate, salve le competenze del Ministero per i beni culturali e ambientali, al Ministero dei lavori pubblici.

59. Il bilancio preventivo e quello consuntivo del Fondo edifici di culto sono sottoposti all'approvazione del Parlamento in allegato, rispettivamente, allo stato di previsione e al consuntivo del Ministero dell'interno.

60. Sono estinti, dal l' gennaio 1987, i rapporti perpetui reali e personali in forza dei quali il Fondo edifici di culto, quale successore dei Fondi soppressi di cui al precedente articolo 54 e dei patrimoni di cui all'articolo 55, ha diritto di riscuotere canoni enfiteutici, censi, livelli e altre prestazioni in denaro o in derrate di ammontare non superiore a lire sessantamila annue.
L'equivalente in denaro delle prestazioni in derrate è determinato con i criteri di cui all'articolo 1, secondo comma, della legge 22 luglio 1966, n. 607 (1).
Gli uffici percettori chiudono le relative partite contabili, senza oneri per i debitori, dandone comunicazione agli obbligati e agli uffici interessati.

) La legge 22 luglio 1966, n. 607, reca " Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue ". L'art. 1, secondo comma, di detta legge prevede:
" I canoni e le altre prestazioni stabiliti in misura superiore sono ridotti al limite di cui al precedente comma, previo computo, quanto a quelli consistenti in una quantità fissa di derrate, dell'equivalente in denaro in base ai prezzi correnti al momento della entrata in vigore della presente legge, e, quanto a quelli consistenti in una quota di derrate, della somma in denaro calcolata, in base ai detti prezzi sulla misura fissa corrispondente alla media delle quantità corrispondenti nell'ultimo quinquennio ".

61. Il Fondo edifici di culto, con effetto dal l° gennaio 1987, affranca i canoni enfiteutici perpetui o temporanei la cui spesa grava sui bilanci dei Fondi, delle aziende e dei patrimoni soppressi di cui agli articoli 54 e 55, mediante il pagamento di una somma corrispondente a quindici volte il loro valore.
L'equivalente in denaro delle prestazioni in derrate è determinato con i criteri di cui all'articolo 1, secondo comma, della legge 22 luglio 1966, n. 607 (1).

) Vedasi la nota 1 all'art. 60.

62. I contratti di locazione di immobili siti in Roma, Trento e Trieste a vantaggio del clero officiante, il cui onere grava sui bilanci del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma e dei Patrimoni riuniti ex economali, sono risolti a decorrere dal l° gennaio 1987, salva la facoltà degli attuali beneficiari di succedere nei relativi contratti assumendone gli oneri.
In tali casi ad essi è liquidata una somma pari a cinque volte il canone annuo corrisposto aumentato del dieci per cento a titolo di contributo per le spese di volturazione e registrazione dei contratti.

63. L'affrancazione di tutte le altre prestazioni che gravano sui Fondi, aziende e patrimoni soppressi, di cui agli articoli 54 e 55, sotto qualsiasi forma determinate, si effettua mediante il pagamento di una somma pari a dieci volte la misura delle prestazioni stesse.

64. I soggetti, nei cui confronti si procede alle affrancazioni previste dagli articoli precedenti, devono comunicare, entro trenta giorni dalla notifica del relativo provvedimento, l'eventuale rifiuto dell'indennizzo.
In caso di rifiuto si applica il procedimento di cui agli articoli 2 e seguenti della legge 22 luglio 1966, n. 607 (1).

) Gli artt. 2 ss. prevedono il procedimento giudiziale da applicare nel caso di rifiuto dell'indennizzo da parte dei soggetti nei cui confronti è prevista l'affrancazione.

65. Il Fondo edifici di culto può alienare gli immobili adibiti ad uso di civile abitazione secondo le norme che disciplinano la gestione dei beni disponibili dello Stato e degli enti ad esso assimilati, investendo il ricavato in deroga all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1959, n. 2 (1).

) Il decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1959, n. 2 reca " Norme concernenti la disciplina della cessione in proprietà degli alloggi di tipo popolare ed economico ".
L'art. 21 (modificato dall'art. 11 della legge 2 7 aprile 1962, n. 23 1) disciplina la " Utilizzazione delle somme ricavate dalle cessioni ".


TITOLO IV
DISPOSIZIONI FINALI

66. Il clero addetto alle chiese della Santa Sindone e di Superga in Torino, del Pantheon e del Sudario in Roma, alle cappelle annesse ai palazzi ex reali di Roma, Torino, Firenze, Napoli, Genova, alla tenuta di San Rossore, all'oratorio entro il palazzo ex reale di Venezia, alle cappelle annesse ai palazzi di dimora e di villeggiatura degli ex sovrani e dell'ex famiglia reale e alle chiese parrocchiali di San Gottardo al palazzo in Milano, di San Francesco di Paola in Napoli e di San Pietro in Palermo, è nominato liberamente, secondo il diritto canonico comune, dalla autorità ecclesiastica competente.

67. Al clero di cui all'articolo 66 in servizio al momento della entrata in vigore delle presenti norme viene conservato, a titolo di assegno vitalizio personale, l'emolumento di cui attualmente fruisce, rivalutabile nella stessa misura percentuale prevista per i dipendenti dello Stato dal relativo accordo triennale.
I salariati addetti alla Basilica di San Francesco di Paola in Napoli alla data del l' luglio 1984, e che continuino nelle proprie mansioni alla data di entrata in vigore delle presenti norme, sono mantenuti in servizio.

68. Le chiese, le cappelle e l'oratorio di cui all'articolo 66 continuano ad appartenere agli enti che ne sono attualmente proprietari.

69. I patrimoni della Basilica di San Francesco di Paola in Napoli, della cappella di San Pietro nel palazzo ex reale di Palermo e della chiesa di San Gottardo annessa al palazzo ex reale di Milano sono trasferiti, con i relativi oneri, al Fondo edifici di culto (1).

) Si veda l'art. 28 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 325 s.).

70. Le spese conseguenti all'attuazione degli articoli 67 e 69 gravano sul bilancio del Fondo edifici di culto, eccetto quelle attualmente a carico del bilancio della Presidenza della Repubblica.

71. Le confraternite non aventi scopo esclusivo o prevalente di culto continuano ad essere disciplinate dalla legge dello Stato, salva la competenza dell'autorità ecclesiastica per quanto riguarda le attività dirette a scopi di culto.
Per le confraternite esistenti al 7 giugno 1929, per le quali non sia stato ancora emanato il decreto previsto dal primo comma dell'articolo 77 del regolamento approvato con regio decreto 2 dicembre 1929, n. 2262, restano in vigore le disposizioni del medesimo articolo (1).

) Il regio decreto 2 dicembre 1929, n. 2262, ha approvato il regolamento per l'esecuzione della legge 27 maggio 1929, n. 848, sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati a fini di culto. L'art. 77, primo comma, di detto regolamento prevede:
" L'accertamento dello scopo esclusivo o prevalente di culto di una confraternita è fatto d'intesa con l'autorità ecclesiastica, e gli accordi stabiliti non sono vincolativi per lo Stato se non dopo l'approvazione con decreto del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato ".

72. Le fabbricerie esistenti continuano ad essere disciplinate dagli articoli 15 e 16 della legge 27 maggio 1929, n. 848, e dalle altre disposizioni che le riguardano. Gli articoli da 33 a 51 è l'articolo 55 del regolamento approvato con regio decreto 2 dicembre 1929, n. 2262, nonché il regio decreto 26 settembre 1935, n 2032, e successive modificazioni, restano applicabili fino all'entrata in vigore delle disposizioni per l'attuazione delle presenti norme (1).
Entro il 31 dicembre 1989, previa intesa tra la Conferenza episcopale italiana e il Ministro dell'interno, con decreto del Ministro dell'interno, udito il parere del Consiglio di Stato, può essere disposta la soppressione di fabbricerie anche fuori dei casi previsti dalle disposizioni vigenti, ferma restando la destinazione dei beni i a norma dell'articolo 1 del regio decreto 26 settembre 1935, n. 2032.

) Il testo degli artt. 15 e 16 della legge 27 maggio 1929, n. 848, è il seguente:
" 15. Le chiese sono giuridicamente rappresentate dall'Ordinario diocesano, dal parroco, dal rettore o dal sacerdote che, sotto qualsiasi denominazione o titolo, sia legittimamente ad esse preposto. I medesimi ne tengono anche l'amministrazione, ove non esistano le fabbricerie.
Sotto il nome di fabbricerie si comprendono tutte le amministrazioni le quali, con varie denominazioni, di fabbriche, opere, maramme, cappelle, ecc., provvedono, in forza delle disposizioni vigenti, all'amministrazione dei beni delle chiese ed alla manutenzione dei rispettivi edifici.
Ove esistano le fabbricerie, queste provvedono all'amministrazione del patrimonio e dei redditi delle chiese ed alla manutenzione dei rispettivi edifici, senza alcuna ingerenza nei servizi di culto.
Due o più fabbricerie dello stesso comune possono essere riunite in una sola, conservandosi distinte gestioni per ciascuna chiesa.
16. La vigilanza e la tutela sull'amministrazione delle chiese aventi una fabbriceria sono esercitate dal Ministro dell'interno, d'intesa con l'autorità ecclesiastica, nei modi e con le forme stabilite dai regolamenti ".

Le norme richiamate successivamente nel primo comma non sono più applicabili in quanto ormai sostituite dagli arti. 35-41 e 45 del D.P.R. n. 33 del 1987 (infra, p. 328 s.).

73. Le cessioni e ripartizioni previste dall'articolo 27 del Concordato dell'11 febbraio 1929 e dagli articoli 6, 7 e 8 della legge 27 maggio 1929, n. 848, in quanto non siano state ancora eseguite, continuano ad essere disciplinate dalle disposizioni vigenti (1).

) Il testo dell'art. 27 del Concordato è il seguente:
" 27. Le basiliche della Santa Casa di Loreto, di San Francesco in Assisi e di Sant'Antonio in Padova con gli edifici e le opere annesse, eccettuate quelle di carattere meramente laico, saranno cedute alla Santa Sede e la loro amministrazione spetterà liberamente alla medesima. Saranno parimenti liberi da ogni ingerenza dello Stato e da conversione gli altri enti di qualsiasi natura gestiti dalla Santa Sede in Italia, nonché i Collegi di missione. Restano, tuttavia, in ogni caso applicabili le leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali.
Relativamente ai beni ora appartenenti ai detti Santuari, si procederà alla ripartizione a mezzo di commissione mista, avendo riguardo ai diritti dei terzi ed alle dotazioni necessarie alle dette opere meramente laiche.
Per gli altri Santuari, nei quali esistano amministrazioni civili, subentrerà la libera gestione delle autorità ecclesiastiche, salva, ove del caso, la ripartizione dei beni a norma del precedente capoverso ".
Il testo degli artt. 6, 7 e 8 della legge n. 848 del 1929 è il seguente:
" 6. Le chiese appartenenti agli enti ecclesiastici soppressi, contemplate dall'art. 29, lett. a), del Concordato, saranno consegnate all'autorità ecclesiastica, restando revocate le concessioni attuali delle medesime, in qualunque tempo ed a qualunque titolo disposte.
Nessuna indennità è dovuta in tale caso ai concessionari, o ad altri usuari, neppure per miglioramenti tuttora sussistenti, e nonostante convenzione in contrario. Parimenti nessuna indennità è dovuta dai concessionari e dagli usuari per eventuali deterioramenti dell'edificio e della suppellettile, di Pendenti da omessa manutenzione o da qualunque altra causa non dolosa ".
" 7. I quadri, le statue, gli arredi e i mobili inservienti al culto, che si trovano nelle chiese indicate nell'articolo precedente, anche se non siano menzionati nei relativi inventari e nei verbali di consegna al concessionari, si presumono destinati dai fedeli irrevocabilmente al servizio della chiesa, salva prova in contrario.
L'azione di rivendicazione da parte di privati e di enti diversi dallo Stato deve essere esercitata, sotto pena di decadenza, entro due anni dalla pubblicazione della presente legge ".
" 8. I comuni e le province a cui siano stati conceduti i fabbricati dei conventi soppressi in virtù dell'art. 20 della legge 7 luglio 1866, n. 3036, o di disposizioni analoghe, e che ne siano ancora proprietari, ne rilasceranno senza indennità una congrua parte, se non sia stata già riservata all'atto della cessione o rilasciata posteriormente, da destinarsi a rettoria della chiesa annessa, quando questa sia stata conservata al pubblico culto ".
Si veda la Circ .
Min. Int. 16 febbraio 1993, n. 77.

74. Sono abrogate, se non espressamente richiamate, le disposizioni della legge 27 maggio 1929, n. 848, e successive modificazioni, e delle leggi 18 dicembre 1952, n. 2522, 18 aprile 1962, n. 168, e successive modifiche e integrazioni, e le altre disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con le presenti norme (1).

) La legge 18 dicembre 1952, n. 2522, reca " Concorso dello Stato nella costruzione di nuove chiese ".
La legge 18 aprile 1962, n. 168, reca " Nuove norme relative alla costruzione e ricostruzione di edifici di culto ".

75. Le presenti norme entrano in vigore nell'ordinamento dello Stato e in quello della Chiesa con la contestuale pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e negli Acta Apostolicae Sedis.
L'autorità statale e l'autorità ecclesiastica competenti emanano, nei rispettivi ordinamenti, le disposizioni per la loro attuazione.
Per le disposizioni di cui al precedente comma relative al titolo Il delle presenti norme, l'autorità competente nell'ordinamento canonico è la Conferenza episcopale italiana (1).

) Con decreto 30 dicembre 1986 la CEI ha promulgato dieci delibere di carattere normativo in materia di sostentamento del clero italiano che svolge servizio in favore delle diocesi, pubblicate in Notiziario CEI, n. 10/1986, successivamente integrate e modificate. La normativa attualmente in vigore risulta dal
" Testo unico delle disposizioni di attuazione delle norme relative al sostentamento del clero, che svolge servizio in favore delle diocesi ", in Notiziario CEI, n. 6/1991.
Si veda, altresì, l'Istruzione in materia amministrativa, pubblicata dalla CEI, in Notiziario CEI, n. 3/1992.


LAVORI PREPARATORI

Camera dei deputati (atto n. 2337):
Presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (CRAXI) il 3 dicembre 1984.
Assegnato alle commissioni riunite Il (Interni) e III (Affari esteri), in sede referente, il 12 dicembre 1984, con pareri delle commissioni I, IV, V, VI, VIII e IX.
Esaminato dalle commissioni riunite Il e III il 20 febbraio 1985.
Relazione scritta annunciata il 15 marzo 1985 (atto n. 2337/A).
Esaminato in aula il 21, 27, 28, 29 marzo 1985; 2, 11, 12, 15, 16 aprile 1985 e approvato il 17 aprile 1985.

Senato della Repubblica (atto n. 1306):
Assegnato alla 3a commissione (Affari esteri), in sede referente, il 18 aprile 1985, con pareri delle commissioni la, 2a, 5a, 6a, 7a e 8a.
Esaminato dalla 3a commissione il 22, 24, 30 aprile 1985.
Relazione scritta annunciata il 14 maggio 1985 (atto n. 1306/A).
Esaminato in aula il 15 maggio 1985 e approvato il 16 maggio 1985.


Il Discorso Finale di Benito Mussolini Sul Concordato Stato - Chiesa Cattolica.


"Onorevoli senatori !
Voglio prima di tutto rassicurarvi per quello che concerne le proporzioni del mio odierno discorso. Non saranno quelle del discorso che ho pronunciato nell'altro ramo del Parlamento, quantunque mi debba trovare forse nella necessità di riferirmi al discorso che ho pronunciato il 13 maggio.
(questo discorso di Mussolini, lo leggeremo nel prossimo capitolo - Nda)

Pronunciato a distanza dalla firma dei Patti lateranensi, lo si è trovato duro; io lo definirò crudo, ma necessario; anche le punte polemiche avevano dei bersagli definiti e sono giunte al segno, perché coloro ai quali erano destinate ne hanno accusato ricevuta.
Gli avvenimenti improvvisi, lungamente attesi e sperati, possono produrre delle deviazioni spirituali o, per usare una frase che non piace agli spregiatori delle «prodezze aeroplanistiche», degli sbandamenti. Era necessario quindi disperdere una atmosfera che per essere troppo nebulosa e sentimentale avrebbe finito per alterare i contorni delle cose, il carattere e la portata degli avvenimenti. Era necessario stabilire con una frase drastica quello che in realtà era accaduto sul terreno politico, e precisare le reciproche sovranità; il Regno d'Italia da una parte, la Città del Vaticano dall'altra. Era utile aggiungere che le distanze tra il Regno d'Italia e la Città del Vaticano si numerano a migliaia di chilometri, come la distanza che separa Parigi dal Vaticano, Madrid dal Vaticano, Varsavia dal Vaticano.
Si doveva dissipare l'equivoco per cui si poteva pensare che il trattato del Laterano avrebbe vaticanizzato l'Italia o che il Vaticano sarebbe stato italianizzato; o, per citare una vecchia frase, che il re sarebbe diventato il chierico del Papa o che il Papa sarebbe diventato il cappellano del re. Niente di tutto ciò; distinzione precisa. La contiguità non significa nulla, la distanza è giuridica e politica.
È poi assurdo ritenere che il mio discorso fosse rivolto a degli elementi di sinistra, che nel Partito Fascista non esistono (perché il Partito Fascista ignora questa vieta terminologia), o fosse destinato a placare le cellule massoniche che da noi non hanno mai avuto e non avranno mai tregua. Nel discorso pronunciato dal senatore Crispolti ci sono degli accenni che debbo raccogliere : primo di essi, quello che riguarda l'origine del cristianesimo.

La mia affermazione storica, fatta nell'altro ramo del Parlamento, ha sollevato delle apprensioni che io reputo legittime. Io non ho inteso di escludere, anzi l'ammetto, il disegno divino in tutto ciò che è accaduto, in tutto quanto si è svolto; ma sarà pur concesso di affermare che lo svolgimento dei fatti si è verificato a Roma e non ad Alessandria d'Egitto e nemmeno a Gerusalemme : sarà possibile dire che le prime comunità, staccatesi dal paganesimo, erano formate da israeliti, tanto che nei primi sessantaquattro anni dell'èra attuale il fenomeno si chiamava giudeo-cristiano, ed è nel sessantaquattro, nel momento culminante delle persecuzioni di Nerone, nell'anno del martirio di Pietro, che si è prodotta la frattura definitiva tra il giudaismo che si è rifugiato nei suoi confini etnici, dai quali non è ancora uscito se non per evasioni individuali, ed il cristianesimo che accettava in pieno la predicazione paolina dell'universalismo e si metteva per le strade consolari alla conquista del mondo.
Del resto, uomini di chiara dottrina cattolica, come monsignor Battifolle nel suo libro l'Eglise naissante et le catholicisme, ripudiano la tesi protestantica concentrata nel trinomio cristianesimo, cattolicesimo, romanesimo, tesi fatta sua con grande forza dal Renan. Ma egli stesso ammette in questo libro, giunto alla quinta edizione, che fu provvidenziale la cooperazione di Roma alla missione della Cathedra Petri. « E noi - dice l'autore - non avremo la cattiva grazia di contestarlo. Facciamo - egli aggiunge - le nostre riserve sui termini politici che vengono impiegati per descriverla, come anche sulla tendenza a trasformare in funzione generatrice ciò che non fu che una circostanza ».

Un altro autore cattolico, il Duchèsne (debbo citare i francesi perché da qualche tempo il cattolicismo italiano non è fecondo, la produzione intellettuale in questa materia è altrove, in questi ultimi tempi non abbiamo avuto che una traduzione, ancora dal francese: "La primauté du spirituel » del Maritain), nell'Histoire ancienne de l'Eglise, comincia questo libro, scritto a Roma nel 1905, con un capitolo così intitolato L'Impero romano patria del cristianesimo; e a pagina 10 aggiunge:
«Da quanto si è detto si conclude che la propagazione del cristianesimo ha trovato nella situazione dell'Impero romano e delle facilitazioni e degli ostacoli. Fra le prime bisogna in primo luogo mettere la pace universale, la uniformità delle lingue e delle idee, la rapidità e la sicurezza delle comunicazioni. La filosofia attraverso i colpi da essa inferti alle vecchie leggende, e con la sua impotenza a creare qualche cosa che potesse sostituirle, può essere considerata quale utile ausiliaria.... ».

Infine:

« Le religioni orientali, offrendo un alimento qualunque al sentimento religioso, gli hanno impedito di morire, e gli hanno permesso di attingere la rinascenza evangelica ».
« Naturalmente - aggiunge - ci furono degli ostacoli, e cioè le persecuzioni intermittenti degli imperatori romani, lo spirito raziocinante della filosofia greca, che si impadronì degli elementi dottrinali dell'insegnamento cristiano e ne fece uscire cento diverse eresie ».
Ai tempi degli Antonini, Roma era il crogiuolo di tutto il mondo cristiano. Lo dice lo stesso autore
« Tutti i capi delle comunità si davano convegno a Roma, tutte le figure più caratteristiche vi si trovavano ».
A pagina 241 cita: « Policarpo, il patriarca di Asia; Marcione, il feroce settario del Ponto; Valentino, il grande maestro della gnosi alessandrina; Egesippo, il giudeo cristiano di Siria; Giustino e Tazio, filosofi e apologisti. Era come un microcosmo, una sintesi di tutto il cristianesimo d'allora ».

Non voglio abusare della vostra pazienza con queste rievocazioni culturali, che però giustificano in pieno, io ritengo, la mia affermazione puramente storicistica e niente affatto di indole religiosa, che il cristianesimo ha trovato l'ambiente più favorevole a Roma. Dicevo, infatti, nel mio ultimo discorso : « Comunque su questa constatazione possiamo essere concordi, che il cristianesimo ha trovato il suo ambiente favorevole a Roma ».
Un altro punto il senatore Crispolti ha toccato, ed è quello dei diritti dello Stato sulla educazione e sulla istruzione. Non vorrei che si creassero degli equivoci perché un conto è l'istruzione e un conto è l'educazione. Siamo noi fascisti in regime di feroce monopolio della istruzione? No. Bisognerà dunque ricordare agli immemori che è in regime fascista che si è aperta ed è stata riconosciuta la prima Università cattolica italiana?

Ma v'è un lato della educazione nel quale noi siamo, se non si vuol dire intrattabili, intransigenti. Intanto scendiamo dalle zone dell'accademia e vediamo la realtà della vita.
Dire che l'istruzione spetta alla famiglia, è dire cosa al di fuori della realtà contemporanea. La famiglia moderna, assillata dalle necessità di ordine economico, vessata quotidianamente dalla lotta per la vita, non può istruire nessuno. Solo lo Stato, con i suoi mezzi di ogni specie, può assolvere questo compito. Aggiungo che solo lo Stato può anche mpartire la necessaria istruzione religiosa, integrandola con il complesso delle altre discipline. Quale è allora l'educazione che noi rivendichiamo in maniera totalitaria? L'educazione del cittadino.

Giustamente ha osservato il SENATORE GIUSEPPE BEVIONE che vi si potrebbe rinunziare se uguale rinunzia facessero tutti gli altri. Se il mondo contemporaneo non fosse quel mondo di lupi feroci che conosciamo, tali anche se per avventura portano il cilindro e la necroforica redingote, noi potremmo allora rinunciare a questa nostra educazione, alla quale daremo finalmente un nome, poiché le ipocrisie ci ripugnano: l'educazione guerriera.
La parola non vi deve spaventare. Necessaria è questa educazione virile e guerriera in Italia, perché durante lunghi secoli le virtù militari del popolo italiano non hanno potuto rifulgere. È solo la guerra che va dal 1915 al 1918 che costituisce, dopo le guerre dell'Impero romano, la prima guerra combattuta e vinta dal popolo italiano.
E poiché abbiamo degli interessi da difendere giorno per giorno come esistenza di popolo, non possiamo cedere alle lusinghe dell'universalismo, che io comprendo nei popoli che sono arrivati, ma che non posso ammettere nei popoli che debbono arrivare.
Ci sarà veramente, in tema di educazione e di insegnamento religioso nelle scuole medie, quel conflitto tra filosofia e religione di cui ha parlato l'onorevole Credaro nella sua Rivista pedagogica? Leggo anche la sua rivista, onorevole Credaro.

Se si rimarrà fedeli agli ordinamenti e ai programmi del senatore Gentile, io non lo credo. Io credo che, più che la filosofia, è interessante la storia della filosofia, e più ancora della storia della filosofia, la vita dei filosofi; il conoscere come hanno lottato, come hanno sofferto, come si sono sacrificati per conquistare la loro verità. Questo è altamente educativo, per i giovani che si affacciano alla vita dello spirito.
Ma è poi vero che i cattolici di questo secolo sono così lontani da quelle conquiste di cui si parlava ieri, quando si accennava all'odierno mondo operoso, pieno di vita e di calore? No.

In una delle relazioni che saranno presentate al settimo congresso internazionale di filosofia, che io avrò il piacere e l'alto onore di inaugurare domani, c'è qualcuno che si occupa di questo argomento e fa delle constatazioni interessanti. « Siamo ben lontani oggi - egli dice - dai tempi in cui il padre Cornaldi nel 1881 diceva che tutta la filosofia moderna è la patologia della ragione umana ». Esagerato!
Non bisogna credere che non vi siano ancora degli individui che ciò pensano, ma vi sono anche di quelli che sono venuti verso di noi.
« Nell'elenco degli autori - egli dice - da proscrivere, si deve evidentemente porre lo Spinoza». Ma chi è oggi il maggiore biografo e il maggiore studioso dello Spinoza? E un gesuita di grande acume spirituale, il Dunin Bornowsky. E a Kant l'Università cattolica di Milano dedicò un volume di studi, ed il rettore di quella Università, che è tanto cara alle supreme gerarchie cattoliche, propugna lo studio di Kant ed ammette il riconoscimento della sua grandezza, compatibilmente non solo col sentimento cristiano, ma anche con la filosofia tomistica, di cui è un esponente il rettore dell'Università cattolica di Milano ».
Del resto, basta sfogliare il programma dei corsi che, nel presente anno accademico, ha svolti l'Università cattolica di Milano, per apprendere che Padre Chiocchetti ha letto la Critica della ragion pura e Padre Cordovani ha letto il primo libro dell'Etica di Spinoza, il De Deo. E così il Padre Chiocchetti, come il professor Casotti hanno trattato di Antonio Rosmini.
Né si dica che questi studi si fanno soltanto nell'Università cattolica di Milano, che è così cara a chi è altissimo nella gerarchia. Non si potrebbe infatti dimenticare che, tra le collezioni dei testi filosofici per le scuole secondarie curate dai Padri Salesiani, anche essi così manifestamente cari a quella suprema gerarchia, accanto alle opere dei santi e degli ortodossi, vi sono anche quelle di Kant, di Bentham, e, o signori, inorridite, anche di Jean Jacques Rousseau.
Così stando le cose, coi necessari contatti sarà possibile conciliare l'insegnamento non obbligatorio delle discipline religiose con la filosofia e con le altre discipline.

Ho ascoltato anch'io (come afferma Bevione) con emozione il discorso pronunciato dal senatore Boselli, il quale con la sua relazione e col suo discorso odierno ha reso un alto, magnifico servigio al paese.
L'onorevole Scialoja ha fatto l'apologia della legge delle guarentigie. Si comprende che egli abbia altamente difeso questa legge anche per ragioni di famiglia; uno degli artefici di questa legge fu appunto il padre dell'attuale senatore. In fondo, quanti di noi e di voi, o quanti degli italiani hanno riletto in questi giorni i resoconti delle sedute che si tennero a Firenze per discutere la legge sulle guarentigie dal gennaio al maggio 1871? Pochi, pochissimi. E coloro che hanno avuto la pazienza - per me è stato un dovere - di farlo, si saranno convinti che la legge sulle guarentigie non merita né la polvere, né gli altari. Una legge di compromesso e di transizione che si votò dopo discussione lunga, spesso caotica e confusa, durante la quale cozzarono gli opposti estremismi di coloro che volevano espellere il Papa da Roma e di coloro che volevano dargli almeno la città leonina, più la ricorrente striscia al mare.

Ne venne una legge che non piaceva nemmeno a coloro che l'avevano fabbricata, i quali furono i primi a decretarne il carattere precario. Pur tuttavia era il meglio che si poteva fare in quelle determinate circostanze; ma da ciò non si deve trarre la conclusione che la legge delle guarentigie fu sempre rispettata, né che la legge stessa determinò quello stato di equilibrio, sul quale ritornerò fra poco.
Non la legge delle guarentigie in sé e per sé, ma piuttosto la politica spesso accomodante delle due parti, fece sì che, malgrado la legge, non si avessero delle crisi temibili e pericolose.
Ma il senatore Scialoja ha aggiunto che si sarebbe potuto fare a meno di consacrare per diritto ciò che si aveva già di fatto. Tutto - egli ha detto - aveva finito per adattarsi a questa situazione, ed anche gli stranieri. E verissimo, tutti meno uno, il più interessato: il Papa.

Ma anche l'Italia non vi si era adattata, altrimenti non si comprenderebbero gli innumeri tentativi fatti dai precedenti Governi per risolvere nel diritto la situazione di fatto.
Anche la frase del senatore Scialoja sul « non vastissimo territorio », non è di mio completo gradimento. Non solo il territorio non è vastissimo, ma non è nemmeno vasto. Non solo non è vasto, ma non è nemmeno piccolo. E in realtà minimo. Irrilevante. Padre Semeria a Trieste lo ha chiamato il territorio « ti vedo e non ti vedo ». Per farlo risultare in una carta geografica, ci vuole una « scala » eccezionale. Ettari quarantaquattro di fronte alla Roma del 1929, anno VII, che conta un milione di abitanti, di fronte all'Italia che, dal 1870 in poi, ha ancora aumentato notevolmente il suo territorio metropolitano e coloniale, ettari quarantaquattro sono veramente il «corpo ridotto al minimo necessario per sostenere lo spirito». Sarebbe stato veramente crudele, oserei dire assurdo, voler restringere ancora questo territorio, a meno che non si pensasse di dover limitare la sovranità al solo « studio » del Sommo Pontefice.

Ma ora debbo occuparmi del discorso del SENATORE CROCE. Voglio dir subito che io gli sono grato del suo voto contrario. Qui non gioca la favola dell'uva acerba, perché non abbiamo bisogno di quel voto. Tutte le volte che gli avversari vengono a me, la cosa mi lascia molto dubitoso. Gli avversari devono o combatterci o rassegnarsi. Intanto, che cosa ha detto il senatore Croce? Egli ha detto:
« Dichiaro anzitutto, perché non abbia luogo equivoco, che nessuna ragionevole opposizione potrebbe sorgere da parte nostra all'idea della conciliazione dello Stato italiano con la Santa Sede. La dichiarazione è perfino superflua, in quanto è troppo ovvia. La legge stessa delle guarentigie avrebbe avuto il completamento della conciliazione se la Santa Sede l'avesse accettata, o se, muovendo da essa, avesse aperto trattative, che non erano escluse e potevano essere coronate d'accordo. I ripetuti tentativi, fatti nel corso di più decenni, dall'una e dall'altra parte, comprovano la tendenza a metter fine ad un dissidio che apportava danni o inconvenienti all'una e all'altra parte, e non starà ora a cercare per minuto a quale delle due li apportasse maggiori ».

Precisiamo dunque che c'era un dissidio, che questo dissidio recava dei danni all'una ed all'altra parte, che questo dissidio era componibile e che tentativi in questo senso furono fatti.
« La ragione - Croce aggiunge - che ci vieta di approvare questo disegno di legge, non è, dunque, nell'idea della conciliazione, ma unicamente nel modo in cui è stata attuata, nelle particolari convenzioni che l'hanno accompagnata, e che formano parte del disegno di legge ».

Dunque non è il fatto della conciliazione in sé, è il modo che « ancor l'offende ». Ma allora qual'è il suo «modo» ? Perché non basta dire « il vostro modo non mi piace ». Perché l'Assemblea potesse giudicare, bisognava che si trovasse davanti ad altro « modo » con cui la questione doveva essere risolta. Ed allora siccome il protocollo lateranense si compone di tre parti : trattato, concordato e convenzione finanziaria, bisogna scendere al concreto. E il « modo » del trattato che non vi piace? Vi sembrano forse eccessivi quei quarantaquattro ettari, cioè l'attuale Vaticano con qualche cosa in meno, passati in sovranità al Sommo Pontefice, oppure vi sembra sterminato il numero di quattrocento sudditi volontari, non tutti italiani, che formeranno il popolo della Città del Vaticano? Sono i millecinquecento milioni di lire carta che feriscono la vostra sensibilità di cauti amministratori delle vostre rendite, oppure è il concordato, oppure tutte le tre cose insieme?

Non credo si tratti del trattato, perché il trattato realizza, migliorandoli di gran lunga, quelli che furono i progetti per i quali spasimarono uomini come il Cavour, il Ricasoli ed il Lanza.
Tutto ciò mi fa ricordare l'epoca della guerra, quando c'erano due modi di fare la guerra : quello dei generali e dei soldati, che la facevano sul serio, e quello degli imboscati, i quali nelle sicure retrovie trovavano sempre che con il loro modo avrebbero spostato gli eserciti e stravinto le battaglie.
Nessuna meraviglia, o signori, se accanto agli imboscati della guerra esistono gli imboscati della storia, i quali, non potendo per ragioni diverse e forse anche per la loro impotenza creatrice, produrre l'evento, cioè fare la storia prima di scriverla, si vendicano dopo, diminuendola spesso senza obiettività e qualche volta senza pudore.
Ma in realtà non si tratta del trattato e della convenzione; si tratta del concordato.
Se il senatore Croce si fosse degnato di gettare una sia pur vaga e superficiale occhiata sul mio discorso del 13 maggio, avrebbe visto fugati i fantasmi che sembra gli ossessionino lo spirito : braccio secolare, roghi, manomorta e' simili.

Vi è una contraddizione nel suo discorso che bisogna cogliere, ed è questa. Nella prima parte si dice che la conciliazione era ovvia e che si doveva fare, ma successivamente si dice: è con dolore che noi constatiamo la rottura dell'equilibrio che si era stabilito.
Ora delle due l'una: o voi siete sinceri quando auspicate alla conciliazione, e allora non dovete dolervi se un determinato equilibrio dovrà essere per fatalità di cose rotto; o vi dolete della rottura, e non siete sinceri quando invocate la conciliazione. Dai corni piuttosto ferrei di questo dilemma non è facile uscire. Ma poi a chi si dà ad intendere che si fosse realizzato un equilibrio? Non siamo sul terreno della storia, siamo sul terreno delle storielle! Un equilibrio dal 1870 al 1929? In questo modo si fa un assegnamento piramidale sulla nostra ignoranza storica. Ma noi sappiamo che cosa era questo equilibrio, quando non si restituivano le visite al nostro sovrano da parte dell'imperatore d'Austria, quando si ebbe una rottura tra la Santa Sede e la Francia per via della visita di Loubet, e quando, per oltre quarant'anni, i cattolici furono assenti dal mondo politico italiano e venivano chiamati « emigrati dell'interno ». Se in un certo momento essi vennero nella vita politica non fu già per effetto del liberalismo, ma per effetto del movimento socialista. Il quale, avendo dal 1890 al 1904 e 1905 immesso nella vita della nazione enormi masse di contadini e di operai, aveva alterato la geografia politica della nazione. Il capolavoro del liberalismo dell'epoca fu il famoso patto Gentiloni, un patto di compromessi, che oggi si può dire di ipocrisia.

Vi è un'altra affermazione in questo discorso, grave, molto grave. Questi sacerdoti più papisti del Papa, che si vanno a confessare al neo vescovo, vorrei conoscerli, perché devono essere di una natura tutt'affatto particolare. Ma io nego, per quel che mi riguarda, nella maniera più risoluta, che Fascisti, degni di questo nome, siano andati a comunicare le loro rivolte anticlericali al professor Benedetto Croce. Lo escludo nella maniera più assoluta, poiché la politica religiosa del Fascismo è stata fin dal principio univoca e rettilinea; lo escludo perché al Gran Consiglio, ove è possibile dire tutte le opinioni e manifestare un pensiero anche discorde, con un triplice applauso fu approvata, all'assoluta unanimità, la mia relazione sull'Accordo lateranense.
E che cosa è questa fobia dei concordati, di cui soffrivano i giuristi napoletani della fine del 1700? Saranno stati luminari di scienza, non lo escludo, ma sta di fatto che la Chiesa Cattolica Apostolica Romana ha mille anni di storia di concordati, sta di fatto che il primo concordato, niente po' po' di meno, porta la data del 5 luglio 1098 ed è un concordato con cui Urbano Il dà diritto di legazia a Ruggero conte di Calabria e Sicilia. Si va da quella data all'ultimo concordato dell'anteguerra, quello concluso con la Serbia. Passata la parentesi bellica ecco ancora una nuova teoria di concordati con la Lettonia, con la Lituania, con la Polonia, con la Baviera, oltre a un modus vivendi con la Cecoslovacchia. Ve ne è uno in discussione con la Prussia; non vi stupirete se domani qualche cosa di simile avverrà con la Francia. La quale ruppe le relazioni diplomatiche con la Santa Sede nel 1904, ma le ha ristabilite nel 1921 e nel 1929 fa uno strappo alla legislazione laica riconoscendo nove Congregazioni missionarie. E d'altra parte le grandi solennità che si sono svolte in Francia per il centenario di Giovanna d'Arco, vi dimostrano che l'atmosfera anche là è radicalmente cambiata o sta radicalmente cambiando.

Parigi e la messa. Vi si vorrebbe dare ad intendere che è per opportunismo che noi ascoltiamo la messa, la quale avrebbe per posta Parigi; nel nostro caso, Roma. E una posta solenne tuttavia ! Ma niente opportunismo, perché noi non abbiamo aspettato il Patto del Laterano per fare la nostra politica religiosa. Essa risale al 1922; anzi al 1921! Vedi il mio discorso del giugno alla Camera dei deputati.
E fu conseguente e rettilinea, pur non cedendo mai tutte le volte che era in gioco la dignità, il prestigio e l'autonomia morale dello Stato.
Ricordo anche a voi che le trattative subirono una interruzione per la nota questione degli esploratori cattolici. Il senatore Crispolti ha concluso il suo discorso con un interrogativo : « Durerà la pace? ».
La pace durerà. Perché prima di tutto questa pace non è un dono che abbiamo trovato per strada, e per caso. E' il risultato di tre anni di lunghe, difficili e delicate trattative. Ogni articolo, ogni parola, si può dire ogni virgola, è stato oggetto di discussioni leali, tranquille ma esaurienti. Ogni articolo rappresenta il necessario punto d'incontro tra le esigenze dello Stato e le esigenze della Chiesa.

Non è dunque una costruzione miracolistica, sbocciata improvvisamente; è una cosa lungamente, sapientemente elaborata. Questo è uno degli attributi che ne garantiscono la durata.
Durerà anche perché questa pace ha toccato profondamente il cuore del popolo, perché noi non ci faremo prendere al laccio né dai massoni né dai clericali, che sono interdipendenti gli uni dagli altri.
E d'altra parte, di questi protocolli lateranensi ve ne è uno che non può essere oggetto di discussione; ed è il trattato. Gli eventuali dissidi avranno un altro terreno: quello del concordato. Ebbene, c'è dunque da dipingere l'orizzonte in nero se domani, per avventura, in occasione della nomina di un vescovo ci sarà un punto di vista diverso tra noi e la Santa Sede? Ma questa è la vita, signori! Avremo noi la viltà dei padule, cioè la viltà dell'uomo che vuole star fermo, immobile, pur di non affrontare i necessari rischi che sono legati al fatto di vivere? Tanto vale rinunciare alla vita!

Questa è la nostra concezione della vita, sia che si riferisca agli individui, come ai popoli e alle istituzioni nelle quali questi popoli trovano la loro organizzazione giuridica e politica. Voi non vi spaventate, né mi spavento io, dicendo che degli attriti vi saranno, malgrado la separazione nettissima fra ciò che si deve dare a Cesare e ciò che si deve dare a Dio, ma quando soccorrono la buona fede e il senso d'italianità questi dissidi saranno superati, perché la Santa Sede sa d'altra parte che il regime fascista è un regime leale, schietto, preciso, che dà la mano aperta, ma che non dà il braccio a nessuno e nessuno può pretenderlo, perché nessuno lo avrebbe.
Di fronte alla Città del Vaticano è oggi il regime fascista, creatore di nuove forze economiche, politiche, morali, che fanno di Roma uno dei centri più attivi della civiltà contemporanea! Di fronte alla santità dei Papi, sta la Maestà dei re d'Italia, discendenti di una dinastia millenaria !
Non vorrei, onorevoli senatori, che delle discussioni troppo minute - la eterna ricerca delle farfalle sotto gli archi di Tito - obnubilassero la grandiosità dell'evento. Pensate che dai tempi di Augusto, Roma fu solo dal 1870 di nuovo capitale d'Italia, e pensate che dal 1870 in poi su questa nostra grande Roma c'era una riserva, un'ipoteca. E colui che la metteva non era un duca o un principe qualunque, di quelli che abbiamo spodestato quando l'Italia era in pillole: era il Capo supremo della cattolicità; e coloro che erano rappresentati presso di lui contavano su questa riserva. E la riserva era posta non sopra un territorio lontano, periferico o trascurabile, ma su Roma. C'erano delle potenze, lo si può dire apertamente, che si compiacevano che nel fianco dell'Italia fosse ancora confitta una spina.... Non per niente sino al 1874 un bastimento francese stazionò nel porto di Civitavecchia!
Ora abbiamo tolto questa spina; le riserve sono cessate; Roma appartiene di diritto e di fatto al re d'Italia e alla nazione italiana. Questa, o signori, è la grandiosità dell'evento, e nessuna polemica, nessun gioco dialettico, e meno ancora nessuna stolta calunnia, può diminuirla dinanzi al popolo italiano e dinanzi alla storia.
Onorevoli senatori, io sono sicuro che voi, che siete, come sempre, pensosi dei supremi interessi della nazione, non negherete in maggioranza il vostro suffragio favorevole all'attuale disegno di legge".

Si passa alla votazione: 316 senatori votarono a favore. Votarono contro Luigi Albertini, Alberto Bergamini, Emanuele Paternò di Sessa, Francesco Ruffini, Tito Sibibaldi e Benedetto Croce.


ITALIA E SANTA SEDE NEGLI ANNI
DELLA COSTITUENTE (1946-1948)


Italia e Santa Sede negli anni della Costituente.
Un primo fondamentale interrogativo di cui si dovrà tener conto riguarda la natura e le ragioni della vasta attività politica svolta dalla gerarchia cattolica nell'immediato secondo dopoguerra, alla vigilia della delicata scadenza elettorale. Non si può negare che nell'età della Costituente il clero tutto, nonché lo stesso Pio XII esercitarono una massiccia e capillare azione politica. Papa, vescovi, sacerdoti e cattolici militanti intervennero ripetutamente per sottolineare la gravità dell'ora, per additare i nuovi capisaldi, i compiti e le responsabilità che gravavano sul terreno delle scelte politiche.
La natura di questo impegno del clero risulterà evidente, e velato a fatica, sul terreno della questione istituzionale.
Nonostante la dottrina più volte ripetuta dalla Chiesa fosse indifferenza verso la futura forma di governo (repubblicana o monarchica), a condizione che essa fossero rispettose della religione cattolica, le carte personali del nostro danno la misura di quanto il Vaticano vivesse con preoccupazione le possibili ripercussioni che la questione istituzionale avrebbe comportato nei rapporti tra Stato e Chiesa e in quelli internazionali.
Nonostante ciò sarebbe una grave errore ridurre l'intera "politica" svolta dalla Chiesa agli schemi della convenienza e dell'opportunità.
Non c'era dubbio che per le caratteristiche stesse della storia italiana, per essere Roma il centro della cattolicità e al contempo della politica attiva, la Chiesa esercitasse un'influenza del tutto singolare, non sempre riconducibile a una precisa volontà guidata dall'alto. È ovvio che spesso la gerarchia cattolica beneficiò del suo status, conferitole dall'essere la religione professata dalla quasi totalità del popolo italiano, ma questo non ha sempre giovato all'obiettività del giudizio storico. A volte, la parte più significativa dell'impegno dei cattolici italiani è da ravvisarsi più che nel collateralismo filodemocristiano, nella vasta opera pedagogica svolta dalla gerarchia, dal clero e dal laicato per contribuire alla crescita e alla maturazione politica non solo della cattolicità praticante, ma di più larghi strati della società italiana.
Quanto alle ragioni che spinsero la Chiesa a un'attiva e capillare presenza nel sociale ne spicca una in particolare: la consapevolezza di avere il preciso diritto e dovere di essere presenti in una realtà in profonda trasformazione, di non poter mancare a un appuntamento con la storia, col processo ricostruttivo, che non poteva prescindere dal contributo e dalle energie del cattolicesimo.
Non ultima, la necessità che il nuovo Stato potesse crescere e svilupparsi secondo i principi cattolici, anche se non definibile in tutto e per tutto Stato cattolico.
Circa allora i rapporti tra lo Stato e la Chiesa nella nuova realtà politica nell'insieme delle soluzioni emergevano due tronconi : da una parte lo Stato laico, che considerava la religione alla stregua di un affaire privato. Dall'altra, uno Stato, se non confessionale, almeno rispettoso della religione maggioritaria.
Tra le pieghe della discussione ricorreva di frequente quella del Concordato, la cui conferma nella nuova Costituzione era uno dei punti fermi della propaganda cattolica in vista delle elezioni per la Costituente. Particolari momenti di tensione furono poi quelli relativi all'approvazione in Consulta dell'art. 66 della nuova legge elettorale sugli abusi del clero (febbraio 1946), e la discussione sulla cosiddetta costituzionalizzazione dei Patti lateranensi (febbraio-marzo 1947).
Gli atteggiamenti della gerarchia cattolica confermano che se da una parte è vero che la Chiesa si prodigò nel favorire lo sviluppo della partecipazione delle masse alla vita politica dello Stato, dall'altra parte però fu portata anche a ricondurre le conquiste del passato in tale direzione e cioè più alla continuazione del passato che allo sviluppo del futuro.
Il che equivale a dire che la gerarchia cattolica fu incapace di rinunciare alle garanzie acquisite sotto il regime fascista. Tra i temi prospettati dalla stampa cattolica si fa sentire la persistenza e per certi aspetti l'aggravarsi nella gerarchia dell'ossessione per la sicurezza delle posizioni (anche di potere), occupate nella società italiana grazie al Concordato col regime fascista. Si trattava ora di separare nettamente le responsabilità della Chiesa da quelle dei regimi autoritari, respingendo le conseguenze catastrofiche cui essi avevano condotto.
In questo quadro, la diplomazia vaticana tese a un concreto e reale inserimento dei cattolici nel vivo del gioco politico, attraverso partiti di sostanziale contenuto confessionale. Tuttavia, favorendo la nascita dei partiti di ispirazione cristiana, il mondo politico si rese responsabile di una certa politicizzazione della gerarchia cattolica.
La naturale conseguenza non poteva che essere l'inserimento della Chiesa stessa nel dibattito politico, con lo schierarsi a favore di uno dei due blocchi che si andavano configurando alla fine della Seconda guerra mondiale.
La scelta della Chiesa tuttavia non appare strana: l'unico obiettivo è la salvaguardia della religione in Occidente. Se questo significava schieramento nel blocco occidentale e appiattimento sulla dottrina Truman, che lo fosse: la Chiesa accetta di collaborare con quelle forze politiche che lasciano intatti i suoi privilegi.
Questo è tanto più vero per l'Italia, dove la Santa Sede aspira al mantenimento dei privilegi acquisiti sotto il regime mussoliniano, e aspira a divenire componente attiva del processo ideologico che regge lo Stato che si va costituendo. Da qui le battaglie combattute per il mantenimento prima, e per l'inserzione poi dei Patti lateranensi nella Costituzione, per la proclamazione del cattolicesimo come religione di Stato, per l'abolizione dell'articolo 66 della nuova legge elettorale.
E l'elettorato. che fine faceva?
Il popolo non era chiamato a decidere liberamente sul proprio futuro assetto governativo ma semplicemente si trovava stretto tra due poteri: quello della Chiesa e quello dello Stato. Illuminanti a questo proposito risultano le parole che Pio XII rivolge a De Nicola, in occasione della storica visita del neo Presidente della Repubblica in Vaticano (31 luglio 1946):

[...] per educare il popolo [...] a una sicura conoscenza di ciò che veramente serve al suo bene [...] è necessario che i rapporti tra i due poteri assicurino alla Chiesa quella intera libertà di movimento e di sviluppo, che le deriva dalla volontà del suo Divino Fondatore [...].

Evidente il richiamo ai Patti lateranensi. L'accenno agli accordi del '29, fatta notevolmente in anticipo rispetto alla discussione dei rapporti Stato-Chiesa in Assemblea Costituente, dimostra come le alte gerarchie cattoliche avessero da tempo preso una decisione chiara e netta riguardo alla spinosa questione dei Patti.
Il voler mettere in luce che la richiesta della Chiesa non andava tanto nella direzione di un inserimento degli accordi lateranensi quanto verso un riconoscimento degli stessi non mutava sostanzialmente le pretese della Santa Sede. Sul fatto costituente la Chiesa ha tentato in ogni modo di far pesare il dato dell'inoppugnabile e consolidata tradizione cattolica, quella che considerava la volontà popolare come strettamente condizionata dall'incontro con la volontà di Dio.
L'aspetto più chiaramente ricattatorio dell'atteggiamento cattolico è l'affermazione di una spaccatura che si sarebbe verificata nel Paese qualora i Patti fossero stati esclusi dalla carta Costituzionale.
La Santa Sede pretende, comprensibilmente dal suo punto di vista, una garanzia per il suo futuro.
Un eventuale rifiuto dell'inserimento dei Patti nella Costituzione minacciava già la pace religiosa all'interno del Paese.
Non è in contrasto con quanto si è detto la testimonianza di Diana che parla di esitazioni vaticane in merito a una cauta revisione, piuttosto che di netto rifiuto. Si contempla perciò la possibilità tecnica di modifiche e ritocchi, ma il Concordato dovrà rimanere intatto nel suo contenuto e nella sua sostanza. La revisione cui si fa cenno era naturalmente assai modesta e marginale, riguardante cioè gli articoli di interesse marginale. Nell'accezione gli articoli 12 e 42 del Concordato; 8, 21 del Trattato, 15 e 29 lett. g del Concordato.
Secondo la propaganda cattolica erano diversi gli orientamenti che un credente non avrebbe potuto accettare: una Costituzione che avesse considerato tutte le confessioni al pari vera religione.
Proprio nella necessità di garantire i diritti acquisiti, la gerarchia non chiese ai costituenti una salvaguardia generica delle libertà in senso lato, ma sempre e solo che nella Costituzione fosse garantita una tutela particolare alla Chiesa cattolica.
Questo è evidente dimostrazione della sostanziale diffidenza che la gerarchia, tutto sommato, nutriva nei confronti degli uomini politici e degli stessi componenti della Democrazia Cristiana.
A questo certo contribuiva la pesante eredità del passato, fatta di diffidenze e di conflitti. Un'eredità che non era certo tale da incoraggiare la fiducia della Chiesa nell'imparzialità e nella capacità di gestione politica dello Stato.


A 70 ANNI DAI PATTI LATERANENSI

A 15 ANNI DAL CONCORDATO DEL 1984

Una riflessione necessaria

Gli ultimi decenni di questo fine millennio hanno modificato radicalmente il rapporto tra la Chiesa cattolica e le istituzioni del potere politico. A fine millennio, in tempi di proclamati bilanci e di meditazioni sul passato, la convinzione, ormai generale, è che la fine del potere temporale -nel 1870- sia stato un bene per la Chiesa cattolica e che sia stato un errore la resistenza così prolungata e rigida al suo abbandono (avrebbe dovuto avvenire spontaneamente e non sotto costrizione ). Ora la Chiesa * può parlare più legittimamente di libertà religiosa in ogni società e può cercare di meglio impegnarsi nella difesa dei diritti umani.

In questa riflessione generale è di particolare importanza la situazione italiana : per la presenza a Roma del Papa e della Curia, per il ruolo del cattolicesimo nella società italiana e per l'eredità culturale e storica che il problema del rapporto Stato-Chiesa (cattolica) ha depositato nella storia d'Italia. La soluzione della "questione romana" ha portato all'instaurazione nel nostro paese di un sistema pattizio o "concordatario" che è necessario riesaminare alla luce di quanto è cambiato nella Chiesa romana, nelle Chiese e nella società. L'occasione è il settantesimo anniversario dei Patti Lateranensi ed il quindicesimo del nuovo Concordato. La nostra riflessione vorrebbe occuparsi dei principi a cui ispirarsi, ma anche della situazione concreta.

La posizione anticoncordataria al Concilio

La soluzione concordataria del 1929, rinnovata e consolidata nel 1984, non è l'unica che fosse praticabile. Antonio Rosmini , proponendo un profondo rinnovamento della Chiesa romana, aveva già ipotizzato una soluzione fondata sulla "libertà senza privilegi". Nel '29 Pio XI scelse la strada di accordarsi col fascismo garantendogli credibilità e consensi e abbandonando del tutto i "Popolari" democratici. Lo stesso De Gasperi espresse le sue preoccupazioni per il "pericolo insito nella politica concordataria", temendo "per la compromissione della Chiesa"; e il leader popolare F.L. Ferrari, in una lettera del '31, invitava i parroci italiani a rivendicare "diritti in un paese di liberi e non previlegi in uno Stato di schiavi". I Patti Lateranensi contribuirono a dare via libera al fascismo, con le conseguenti conquiste coloniali, leggi razziali, alleanza col nazismo ed entrata in guerra.Essi erano indispensabili quando la legge sulle guarentigie del 1871, unilateralmente applicata dallo Stato, aveva garantito la libertà della Chiesa?



*In questo documento per "Chiesa" si intende sempre - salvo un diverso contesto - "Chiesa cattolica romana "


Nel dopoguerra la posizione anticoncordataria, che ha poco manifestato il proprio dissenso nella fase costituente, si affermò con la massima autorevolezza al Concilio. Nella "GAUDIUM ET SPES" ( cap. 76) si afferma che " la Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall'autorità civile. Anzi essa rinunzierà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse fare dubitare della sincerità della sua testimonianza".

Questa affermazione fu la conclusione di uno scontro durissimo; i Vescovi conservatori, autorevoli ma in netta minoranza, si posero allora l'obiettivo di bloccare l'attuazione pratica di questa linea. La posizione anticoncordataria ha però via via acquisito consensi ed ha ripetutamente espresso con vivacità il proprio dissenso sulla linea prevalente in Vaticano e tra i vescovi italiani .

.. e tra i cristiani e nella società

Affermava nel '67 "TESTIMONIANZE": " Quanto più la Chiesa andrà liberandosi dalle incrostazioni del passato modificando il suo assetto giuridico-societario per farsi popolo di Dio, tanto più la mediazione istituzionale tra Chiesa e Stato tenderà ad interiorizzarsi nella dialettica tra la coscienza politica e la coscienza religiosa: 'il concordato', per così dire, si realizzerà in interiore homine, in termini non di strumentalizzazione e di privilegi, ma di responsabilità e di servizio". Le riviste "QUESTITALIA" e "IL TETTO", "COM", le Comunità di base al loro sorgere nel '71, il movimento dei "Cristiani per il socialismo", la stessa proposta di legge di Gianmario Albani di abrogazione dell'art.7 della Costituzione ( preceduta da quella di Lelio Basso) sollevarono ripetutamente il problema del superamento del sistema concordatario.

Il referendum per l'abrogazione della legge sul divorzio nel '74 portò alla luce il contrasto tra il Concordato ( l'art. 34 sulla giurisdizione esclusiva dei Tribunali ecclesiastici in materia di matrimoni canonici ) e la legislazione civile confermata dalla volontà popolare. Molti cattolici, che si pronunciarono per la conferma della legge, espressero posizioni esplicitamente anticoncordatarie. In occasione del dibattito parlamentare sulla revisione del Concordato del dicembre '78 un documento "Contro il Concordato per il Vangelo" fu firmato da numerosi autorevoli esponenti del mondo cattolico. In Senato Raniero La Valle testimoniava questa posizione sostenendo tra l'altro: "Il concilio non elude il problema del rapporto tra Stato e Chiesa; lo risolve proponendo non la via concordataria, ma la via della 'concordia' che altro non è che il regime di una piena ed effettiva libertà religiosa ".

La linea anticoncordataria continua negli anni, anche se trova pochi consensi nelle curie e nella Segreteria di Stato vaticana. Di fronte all'improvviso nuovo Concordato del '84, esponenti del mondo cattolico democratico, riviste e centri culturali si pronunciavano subito contro ogni neocostantinianesimo, sostenendo di trovarsi di fronte "ad una modernizzazione e a un vero e proprio rilancio del sistema concordatario", contrario " alla più genuina ispirazione conciliare ed alle aspettative diffuse tra i cristiani per una chiesa credibile e povera".

In Parlamento la Sinistra Indipendente, composta in gran parte da cattolici, ha espresso una posizione anticoncordataria, che è molto più diffusa nel paese di quanto appaia dalle rappresentanze parlamentari condizionate dalle logiche di palazzo. In seguito centinaia di autorevoli firme di ogni estrazione ideale e culturale hanno sottoscritto un documento di "Carta '89" che da anni pone il problema della "Chiesa cattolica come entità privilegiata in una posizione di prestigio formale e di vantaggio materiale".

Anche Oscar Luigi Scalfaro ("MONDO ECONOMICO", ottobre '89) scriveva : " Sono sempre stato contrario al Concordato. Un Concordato infatti ha ragione d'essere tra Chiesa e Stato quando lo Stato non rispetta nella sostanza i valori della democrazia. In tal caso la Chiesa, attraverso un Concordato, cerca di salvare il salvabile, ossia quel minimo che impedisca ai propri fedeli di dover vivere di eroismo. Ma in un paese democratico le ragioni dello status concordatario vengono meno". E lo storico Pietro Scoppola, facendo nel loro settantennio un bilancio dei Patti del'29, ha sostenuto: "I Concordati hanno sempre meno senso.. la Chiesa oggi ha il problema di stare molecolarmente nella società civile. Non è possibile dominare dall'alto servendosi delle leggi.. l'unica via è di diventare lievito".

Gran parte degli Stati non ha alcun rapporto di tipo pattizio con le confessioni religiose senza che ciò significhi minori garanzie per la libertà religiosa e per le Chiese. Anche in Italia si può ipotizzare il superamento del sistema concordatario. Ciò evidentemente non significa che tra Stato e Chiesa per regolamentare specifici problemi non ci possono essere Intese che non prevedano privilegi o status particolari sul modello di quelle già esistenti con le altre confessioni religiose sulla base dell'art. 8 della Costituzione .

"Gratis accepistis, gratis date"

La posizione anticoncordataria ha radici antichissime perché si rifà alla gratuità del ministero che trae dal "gratis accepistis, gratis date" ( Mt. 10,8 ) il suo fondamento evangelico; essa non tollera privilegi, bracci secolari ,"diritti di stola", stipendi ecc.... La gratuità del ministero per secoli è stata considerata dalla Chiesa condizione irrinunciabile della sua credibilità. Essa era strettamente intrecciata al lavoro manuale di chi - come S. Paolo - annunciava la buona novella. La gratuità, affermata da Pietro e Paolo, è considerata dalla DIDACHE' la condizione che distingue il vero dal falso profeta.

Il lavoro è il fondamento del monachesimo orientale in S.Pacomio e S.Basilio e poi, in Occidente, in S.Benedetto; S.Agostino, nel DE OPERE MONACHORUM lo considera "conditio sine qua non" per il bravo monaco.

I beni della Chiesa costituivano un patrimonio destinato ai poveri e il clero ne poteva godere solo in quanto clero povero; essi dovevano essere amministrati e distribuiti "in comune", cioè in modo democratico (come ricorda Rosmini).

Questa tradizione, che percorre la storia della Chiesa per secoli, viene confermata in modo solenne dai quattro Concili Lateranensi del XII e XIII secolo; ripresa da S. Francesco e successivamente sostenuta dalle Costituzioni dei nuovi ordini religiosi (barnabiti, teatini, gesuiti, cappuccini) e si arena dopo una vivacissima discussione nel Concilio di Trento (1547). Ma essa rimane nella Chiesa se il Manzoni, mettendo in luce le virtù del Cardinale Federigo, scrive che egli "diceva, come tutti dicono, che le rendite ecclesiastiche sono patrimonio de' poveri". Questa tradizione merita di essere conosciuta e riproposta : di fronte ai Concordati sta la stoltezza dell'Evangelo che usa della gratuità e della povertà come dello strumento principale della evangelizzazione.

Il nuovo Concordato del 1984

Dopo infinite trattative e sei successive bozze di revisione, senza alcuna discussione all'interno della Chiesa e ponendo il Parlamento di fronte al fatto compiuto, la S.Sede ed il Governo presieduto da Bettino Craxi hanno firmato un nuovo testo nel febbraio del '84. Esso, formalmente, si presenta come una modifica del testo precedente, usando del dispositivo del secondo comma dell'art. 7 della Costituzione. Nella pratica i suoi contenuti sono radicalmente cambiati per cui sarebbe stato più corretto un iter di elaborazione e di approvazione ben diverso da quello sbrigativo che è stato adottato . E' quindi più esatto parlare di nuovo Concordato.

Il testo ha cancellato da quello precedente quelle che furono definite "foglie secchissime", cioè le norme ormai non applicate o perché in troppo evidente contrasto con la Costituzione, o perché cancellate dal referendum sul divorzio del '74, o perché espressione della logica giurisdizionalista ( il placet del Governo alla nomina dei Vescovi e dei parroci).

Il sistema dei rapporti è fondato "sulla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e per il bene del Paese", prefigurando un intreccio di volontà e di azioni comuni che rischia di confondere le rispettive sfere di competenza e di limitare la libertà della Chiesa di essere qualcosa di "altro" nei contenuti e nei metodi rispetto al potere civile.

Il sistema dei rapporti è stato modernizzato, razionalizzato, esteso a molti altri campi di intervento (art. 13 secondo comma) ed al momento della firma la Conferenza episcopale italiana (CEI) ha lamentato che erano rimaste fuori dall'Accordo " aree significative di problemi nuovi ed urgenti quali la promozione della vita e della famiglia , l'educazione sanitaria e i servizi sanitari e socioassistenziali , la lotta contro le nuove forme di emarginazione, le iniziative per la gioventù .....". Un elenco che indica quanto consociativa e pattizia fosse l'intenzione dei vertici della Chiesa, desiderosi di tutto decidere, a tutto supplire, tutto guidare.

In effetti il nuovo testo, mentre conferma le libertà per la Chiesa cattolica già garantite dalla Costituzione, ripete la condizione particolare della Chiesa a proposito di esenzioni fiscali per fini di religione e di culto (non chiaramente definiti); prevede matrimonio concordatario, cappellani negli ospedali, nelle carceri e nelle forze armate ed esenzione dal servizio militare per i chierici e rinvia ad un accordo successivo la definizione dei rapporti economici. L'accordo su questo punto è stato rapidamente raggiunto nel novembre '84 e ratificato dal Parlamento nel maggio '85 con la legge n.222, nonostante l'opposizione di alcune ristrette minoranze parlamentari.

L'otto per mille

Questa legge costituisce una specie di secondo nuovo Concordato, tanto la situazione precedente viene innovata. Si passa dal sistema della "congrua" dovuta dallo Stato a quello dell' "otto per mille" . Nella sua presentazione ai "fedeli" nell'ottobre del '89 la CEI diceva: " Un tempo i primi cristiani provvedevano direttamente alle necessità della Chiesa. Oggi la Chiesa vuole ripercorrere quella strada. Compiendo questa scelta di libertà e di povertà evangelica la Chiesa italiana ha bisogno della tua generosità per continuare a diffondere la parola del Signore".

Accenti simili si sono ripetuti negli anni successivi nella propaganda che la Conferenza episcopale organizza ogni anno, con insistenza ed in modo capillare, su ogni media e nelle parrocchie per ottenere le firme di devoluzione della percentuale dell'Irpef a sé stessa. Ma "l'otto per mille" non è l'obolo della vedova (Mc. 12,41-44). E' un finanziamento diretto dello Stato in cui la spontaneità del contribuente è molto ridotta. Il gettito doveva essere destinato ad iniziative caritative e di culto ma nella pratica per più di un terzo serve ora al sostentamento del clero (che nei propositi iniziali doveva essere garantito dalle libere offerte agevolate da una detrazione d'imposta). Il gettito, mediamente, è stato in questi anni tra due o tre volte maggiore di quanto ipotizzato e ben superiore al totale della somma delle congrue versate a suo tempo . Questa situazione "brillante " per la Cei è garantita dal fatto che "l'otto per mille" dei contribuenti che non indicano alcuna scelta (circa il 56%) è diviso in proporzione alle scelte espresse e non, invece, come logica vorrebbe (e come avviene in Spagna per esempio), liberato da qualsiasi destinazione particolare e lasciato al gettito generale dell'IRPEF. Sui 1326,7 miliardi ricevuti nel '98 ben 743 provengono da questa non casuale disposizione della legge n. 222 del '85 .

Che la Chiesa non volesse rischiare niente col nuovo meccanismo lo testimonia anche l'art. 49 di questa legge che prevede una revisione periodica della percentuale qualora il gettito si fosse rivelato insufficiente. Questo meccanismo dell'otto per mille prevede quindi un falso autofinanziamento; come si può parlare di "rinuncia agli aiuti diretti e di più libertà per la Chiesa"?


La gestione dei proventi dell'otto per mille

La gestione dell'otto per mille è nota solo per dati molto sintetici; essa è servita, unitamente all'incameramento dei benefici (l'antico "patrimonium pauperum") a favore degli Istituti diocesani, ad un'opera di riorganizzazione delle retribuzioni al clero. Gli Istituti diocesani e lo stesso Istituto centrale per il sostentamento del clero sono in genere reticenti nell'informazione sulla gestione dei proventi dell'otto per mille. E' difficile riuscire ad esprimere valutazioni concrete sul complesso di queste gestioni. Del resto, la reticenza nel diffondere dati esaurienti, analitici e disaggregati fa sospettare anche della loro trasparenza.

La gratuità dei ministeri , la Chiesa povera , la fiducia nella Provvidenza, la corresponsabilità del popolo di Dio sono valori che non si vedono, a differenza della mobilitazione per ottenere le firme dei contribuenti e per raccogliere le libere offerte (incentivate) che però, non essendo coattive, sono scarse ed in diminuzione, ammontando solo a circa il 3% del gettito "dell'otto per mille". E' evidente che un tale sistema deresponsabilizza, demotiva, "intreccia" la Chiesa con lo Stato, crea sempre nuove aspettative e rivendicazioni. ( per il Giubileo due leggi dello Stato hanno stanziato 5.500 miliardi).

Soprattutto, quella "dell'otto per mille" è una situazione opposta al primo imperativo che Rosmini, parlando della quinta piaga della Santa Chiesa, sostiene essere a fondamento per i primi otto secoli della gestione dei beni ecclesiastici : l'offerta deve essere spontanea.

Il clero stipendiato dallo Stato

I sacerdoti che si vedono il proprio reddito integrato o interamente versato dagli Istituti Diocesani per il Sostentamento del clero sono degli stipendiati dallo Stato. Inoltre il meccanismo organizzato dalla Chiesa e cogestito con lo Stato (si leggano tutti i 75 articoli della legge n. 222) prevede un forte accentramento dei poteri decisionali e di spesa nelle Curie diocesane e soprattutto nella Presidenza della Conferenza episcopale dotata ora di grandi risorse e di poteri amministrativi penetranti sulle singole Diocesi e sul clero. Conoscendo come è organizzata la Chiesa in Italia e quale è la sua diretta e quotidiana dipendenza dalla Curia vaticana, non si può non essere fortemente preoccupati. Ha inoltre incrementato il numero delle scelte a favore della CEI ( che sono circa l'83% di quelle espresse) il fatto, da ritenere non casuale, che i fondi "dell'otto per mille" a favore dello Stato (secondo la legge " per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali") siano sempre stati gestiti dai Ministeri competenti in modo non chiaro, così da contribuire a minare l'idea di devolvere il proprio "otto per mille" allo Stato, anche da parte di chi non ha mai dimostrato simpatie per la Chiesa .

L'ora di religione

Stravolgono il principio "gratis accepistis, gratis date" anche le norme sull'insegnamento della "religione cattolica nei diversi ordini e gradi delle scuole pubbliche" da parte di docenti nominati dal Vescovo ma con retribuzione a carico del bilancio statale. La relativa Intesa di attuazione di queste norme ha dato luogo a lunghe controversie e a vivaci polemiche perché la prassi amministrativa e le interpretazioni da parte della CEI tendevano a restringere la piena facoltatività della frequenza dell'ora settimanale di religione (infine resa completamente possibile per un intervento della Corte Costituzionale).

La situazione attuale di fatto deresponsabilizza tutti, dal Ministro all'ultimo docente. Per quanto riguarda la preparazione culturale sul "fatto religioso" è grave che essa non venga fornita nell'ambito delle diverse discipline o in un corso di storia delle religioni.

Inoltre l'ora di religione distrae la Chiesa dal concentrarsi sul fatto che la catechesi è compito primario della famiglia e della Chiesa e non della scuola.

L'abuso del sistema pattizio

Il rapporto pattizio tra Chiesa cattolica e Stato non rappresenta alcuna soluzione se non è fondato sul rispetto sostanziale dei reciproci ambiti di competenza e se non si basa su una cultura laica e democratica delle istituzioni da parte degli uomini che reggono la Chiesa e da parte del popolo di Dio (che non può e non deve essere silenzioso). Nell'Italia repubblicana si sono susseguite crisi che hanno messo a dura prova la credibilità dell'evangelizzazione. Basti pensare in particolare a due fatti che hanno coinvolto tutta l'opinione pubblica e di cui i vertici della Chiesa romana sono stati protagonisti: il referendum contro la legge sul divorzio e lo scandalo dello IOR (Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana) - Banco Ambrosiano.

In entrambi i casi gli accordi pattizi sono stati usati per battaglie palesemente sbagliate.

Nel primo caso la difesa dell'art. 34 del Concordato (a tutela dell'esclusiva competenza dei tribunali ecclesiastici sui matrimoni concordatari) è servita per una anacronistica campagna contro la laicità della Repubblica (che i cattolici democratici in questo caso hanno respinto). Nel secondo caso l'art. 11 del Trattato è servito a proteggere (in modo del tutto indebito anche secondo lo stesso dettato dell'articolo) dal processo nei Tribunali italiani e forse dal carcere i responsabili di un gravissimo scandalo finanziario. Ma nessun riconoscimento di responsabilità è mai stato accettato. Da parte sua, per chiudere l'imbarazzante caso, il Vaticano versò un "contributo volontario" di ben 242 milioni di dollari nel '85. Perché mai tanta generosità, se la Santa Sede avesse potuto provare la limpidezza dell'agire dello Ior?

Un terzo caso è ancora all'onore delle cronache, quello del Card. Michele Giordano, arcivescovo di Napoli. La contestazione della magistratura fatta in modo discutibile dal Prelato, con il massimo di udienza sui media, è stata priva di rispetto dei reciproci ambiti di competenza e si è rifatta al Concordato per cercarvi indebitamente una tutela che, peraltro, non vi è in alcun modo prevista per il tipo di attività di cui è accusato. Qual è allora la "diversità" della Chiesa come depositaria e portatrice del messaggio di Cristo?

Non varrebbe la pena di abolire questo Concordato e di lasciare gli uomini di Chiesa senza alcuna rete di protezione fondata sul privilegio come condizione perché l'annuncio dell'Evangelo sia più credibile?

Perché non fare un passo indietro per annunciare l'Evangelo ?

Mancano pochi mesi alla fine del secolo e del millennio. Nella "TERTIO MILLENNIO ADVENIENTE" (lettera con cui, nel 94, il papa ha avviato la preparazione del Giubileo del 2000), Wojtyla ha invitato a un "maggiore impegno di penitenza e di conversione": un impegno che ci sembra debba essere non solo un fatto individuale ma anche collettivo.

In questo bilancio complessivo, dunque, bisogna ridiscutere anche del "come" è risolto il rapporto Stato- Chiesa cattolica in Italia.

Il superamento della "questione romana" ha chiuso per sempre la fine di un'epoca plurisecolare, quella del potere temporale dei Papi. Da allora la Chiesa è più libera nella sua opera di evangelizzazione. L'intervento della Provvidenza nel 1870 fu anche riconosciuto anche da Paolo VI.

Perché, allora, non fare un passo indietro ? I cattolici si riconoscano in Italia una Confessione di minoranza e ragionino sull'evangelizzazione a partire da questa constatazione.

Non ci sono in Italia grandi organizzazioni atee, anticlericali o materialiste che contestino i compiti evangelici della Chiesa romana. Anzi, a volte, pare che esista , almeno nei mass media, una eccessiva enfatizzazione dei suoi messaggi e del ruolo delle sue gerarchie. Esiste inoltre un riconoscimento diffuso nell'opinione pubblica della presenza di cristiani nei luoghi dove si cerca di affrontare gravi condizioni di bisogno materiale.


E' dunque il momento storicamente giusto per fare un gesto autenticamente profetico. I problemi dei cattolici, oggi, sono quelli dell'evangelizzazione in una società secolarizzata; sono quelli di stabilire un rapporto con le altre Chiese presenti nel Paese, per riflettere su cosa significa per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato la globalizzazione galoppante dell'economia e delle culture; sono quelli di spendersi con tutte le donne e gli uomini di buona volontà per costruire un mondo giusto. Alla luce di tutto questo, alla Chiesa cattolica si impone la grande domanda:

Perché non fare un passo indietro e rinunciare unilateralmente, secondo l'auspicio della "GAUDIUM ET SPES", ad ogni privilegio, ad ogni garanzia pattizia, ad ogni sicurezza ?

Certo, nascerebbero per la Chiesa romana dei problemi concreti, ma il millennio si aprirebbe con una testimonianza inedita ed un messaggio autentico a quanti con cuore sincero ed in diversi modi ricercano la verità e la giustizia.





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