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NOZIONI PRELIMINARI - L'ORDINAMENTO GIURIDICO

diritto



NOZIONI PRELIMINARI



L'ORDINAMENTO GIURIDICO


L'ordinamento giuridico


Ogni società umana non può vivere senza un complesso di regole che disciplinano i rapporti tra le persone( ubi societas ibi ius).

Lo Stato moderno necessita di un complesso di norme che regolino i rapporti tra gli organi ed istituzioni che hanno il compito di tentare di realizzare gli scopi che lo Stato decide di perseguire.

La cooperazione tra gli uomini rende realizzabili risultati che sarebbero altrimenti irraggiungibili per il singolo.

Una collettività è un agglomerato di persone che costituiscono un gruppo organizzato. Necessita di tre condizioni:

  1. che il coordinamento degli apporti individuali venga disciplinato da regole di condotta, che deve osservare ogni membro;
  2. che queste regole non siano poste ed applicate in via transitoria, ma siano stabilite da appositi organi, ai quali tale compito sia affidato in base a precise regole di struttura;
  3. che tanto le regole di condotta quanto quelle di struttura vengano effettivamente osservate. Tale principio di effettivi da, non implica che sempre e tutte le regole che compongono il sistema organizzativo del gruppo, debbano trovare costante ed identica applicazione. Ma il principio di affettività segna il limite entro il quale può ancora dire sì che un dato ordinamento disciplina un gruppo.



Il sistema di regole mediante le 151j99b quali è organizzata una collettività, regola e dirige lo svolgimento della vita sociale costituendo: "l'ordinamento giuridico". Si vuole fare in modo che la realtà sociale si svolga in conformità di un dato ordine.

A ciascuno ordinamento, non soltanto si contrappone un generico disordine, dato dalla mancanza delle regole giuridiche, quanto altri ordini che ne auspicano un cambiamento.

Naturalmente qualsiasi ordinamento non è un dato fisso ed immutabile, bensì il risultato in continua evoluzione, sotto la spinta di forze ed interessi contrastanti: ed è altresì ovvio che tale ordine è suscettibile delle più svariate valutazioni.

L'ordinamento di una collettività costituisce il sistema delle regole che organizzano la vita sociale: diritto in senso oggettivo.


L'ordinamento giuridico dello Stato

e la pluralità degli ordinamenti giuridici


Lo Stato si identifica con una certa comunità di individui stanziata in un certo territorio, sul quale si dispiega la sovranità dello Stato, ed organizzata in base ad un ordinamento giuridico.

Un ordinamento giuridico si dice originario quando la sua organizzazione non è soggetta ad un controllo di validità da parte di un'altra organizzazione.


Gli ordinamenti sovranazionali. L'unione europea.


Il diritto internazionale è un insieme di regole che disciplinano i rapporti fra gli Stati, che per loro natura si proclamano sovrani e non riconoscono superiori autorità.

La Repubblica italiana è parte di specifiche organizzazioni internazionali.

L'articolo 11 della costituzione stabilisce un principio fondamentale: in quanto rende ammissibile la sottoposizione dello Stato alle regole di un'organizzazione sovranazionale, le cui norme e provvedimenti si possono imporre alla volontà degli organi dello Stato stesso, con una conseguente limitazione della sovranità dello Stato, purché gli altri Stati aderenti, si sottopongano ad identiche limitazioni.

Processo di integrazione europea:

  • comunità europea del carbone e dell'acciaio CECA, 1951;
  • comunità economica europea CEE e la comunità europea per l'energia atomica Euratom 1957;
  • trattato di Roma,25 marzo 1957;
  • trattato di Maastricht,7 febbraio 1992: unione europea UE;
  • trattato di Amsterdam,2 ottobre 1997;
  • trattato di Nizza, 26 febbraio 2001;
  • trattato costituzionale di Roma,29 ottobre 2004 (non ancora entrato in vigore)

La norma giuridica


L'ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole che concorrono a disciplinare la vita della comunità. Ciascuna di queste regole si chiama "norma". Ciascuna di queste norme si dice "giuridica", in quanto appartenente allo ius.

La giuridicità di una norma dipende dal fatto che vada considerata, in base a criteri fissati da ciascun ordinamento, dotata di autorità, in quanto inserita nel sistema giuridico che contribuisce anche essa stessa a formare.

La norma giuridica non va confusa con la norma morale nemmeno quando l'una e l'altra abbiano identico contenuto. Difatti, mentre ciascuna regola morale e assoluta, nel senso che obbliga solamente l'individuo che, riconoscendone il valore, decide di adeguarvisi, ed è perciò altresì autonoma; la regola giuridica deriva la propria forza vincolante dal fatto di essere prevista da un atto dotato di autorità nell'ambito di una collettività, cosicché si presenta come "eteronorma", cioè imposta dall'ordinamento nel suo complesso.

I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano fonti:

Art. 1. (disposizioni sulla legge in generale)
Indicazione delle fonti.

Sono fonti del diritto:

1) le leggi;

2) i regolamenti;

[3) le norme corporative;] (1)

4) gli usi.

(1) Le norme corporative sono state abrogate per effetto del R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.


Salva l'ipotesi della consuetudine, la norma è espressione della volontà di un organo investito del potere di elaborare regole destinate ad entrare ed a far parte dell'ordinamento giuridico (è il risultato di un atto normativo) e viene consacrata in un documento normativo. In tal caso occorre non confondere: il testo, con il precetto (ossia il significato) di quel testo; l'individuazione del precetto della regola, è il risultato di un'operazione di interpretazione del testo medesimo.

Di qualsiasi testo possono darsi più letture, e quindi è inevitabile che in un medesimo documento normativo possano leggersi differenti precetti, tra i quali, al momento dell'applicazione della norma, occorre scegliere.

Non bisogna neppure confondere il concetto di "norma giuridica" con quello di "legge". La legge è un atto normativo scritto che contiene norme giuridiche, e che quindi sta con queste il rapporto da contenente a contenuto; peraltro, accanto a norme aventi forza di legge, o di ordinamento conosce tantissime altre norme giuridiche frutto di altri atti normativi (regolamenti, ordinanze, eccetera); per altro verso ancora, una medesima legge può contenere moltissime norme (codice civile).


Il diritto positivo e diritto naturale


Insieme delle regole scaturenti dalle fonti di un ordinamento, rappresenta il diritto positivo di una società.

Tuttavia la configurazione di un diritto sovraordinato, costituisce un costante monito, da un lato al legislatore, perché tenga conto dei bisogni della collettività alla quale indirizza i suoi comandi, e dall'altro all'interprete, perché nell'applicazione delle norme scelga le soluzioni più idonee a regolare la vita sociale in maniera accettabile dalla comunità.

Inoltre bisognerebbe conseguire soluzioni non soltanto" legali", ma anche " giuste", purtroppo ciò pure delle difficoltà. Difatti l'individuazione di ciò che è " obiettivamente" giusto presupporrebbe la capacità del singolo di spogliarsi delle sue concezioni necessariamente soggettive.

L'ordinamento deve tener conto di un sistema di valori concepiti come criteri guida per realizzare una società che sia la migliore possibile in relazione alle situazioni storiche in cui l'organizzazione deve muoversi.


La struttura della norma. La fattispecie.


La norma si struttura come un periodo ipotetico, e si compone della previsione di un accadimento eventuale e di una conseguenza giuridica che deriva dal concreto verificarsi di quell'evento prefigurato dall'enunciato normativo.

La parte della norma che descrive l'evento che intende regolare, facendone discendere determinati effetti giuridici, si definisce fattispecie.

La fattispecie può essere astratta oppure concreta. Per fattispecie astratta si intende un complesso di fatti descritti ipoteticamente da una norma ad indicare quanto deve verificarsi affinché si produca una data conseguenza giuridica.

Per fattispecie concreta s'intende non più un modello configurato ipoteticamente, ma un complesso di fatti realmente verificatisi, e rispetto ai quali occorre accertare se e quali effetti giuridici ne siano derivati.

Mentre l'individuazione della fattispecie astratta si risolve in una pura operazione volta ad individuare i presupposti di fatto dell'applicazione di determinate regole, l'indagine sulla fattispecie concreta consiste nell'accertamento del fatto storico, quale concretamente verificatosi.

Se la fattispecie consta di un solo fatto: fattispecie il semplice; se invece è costituita da una pluralità di fatti giuridici: fattispecie complessa.

L'effetto ricollegato dalla norma alla fattispecie complessa non si verifica se non quando si siano realizzati tutti i fatti giuridici.


La sanzione


Secondo una tenace concezione, le norme giuridiche si caratterizzano per il fatto di essere suscettibili di una conseguenza in danno del trasgressore, chiamata: sanzione.

Molto spesso, accanto a norme di condotta (primarie), il legislatore prevede una reazione dell'ordinamento (norme sanzionatorie o secondarie) da far scattare in caso di inosservanza del comportamento prescritto.

È da rilevare che la difesa dell'ordinamento non viene perseguita soltanto attraverso misure repressive o restaurative, ma anche preventive.

La sanzione può operare in modo diretto (realizzando il risultato che la legge prescrive) oppure in modo indiretto: in questo caso l'ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l'osservanza della norma o per reagire alla violazione.


Caratteri della norma giuridica. Generalità ed astrattezza.

Il principio costituzionale di eguaglianza.


Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Con il carattere della generalità, si intende sottolineare che la legge deve essere dettata per tutti gli consociati o per classi generiche e soggetti.

Con il carattere dell'astrattezza s'intende sottolineare che la legge deve essere dettata, per fattispecie astratte, ossia per situazioni individuate ipoteticamente. La norma si presta ad applicarsi a chiunque si verrà a trovare nella situazione prefigurata dalla norma.

Particolarmente importante nella formulazione della norma giuridica, e l'esigenza del rispetto del "principio di eguaglianza" .

Diverso è il principio dell'imparzialità, ossia l'obbligo di applicare le leggi in modo eguale: LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI.

Nell'articolo tre della costituzione, il principio di eguaglianza, ha due profili:

il primo(comma) è di carattere formale: a parità di condizioni si deve corrispondere un trattamento eguale ed a condizione di versi un trattamento differenziato. Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla corte costituzionale.

Il giudizio della corte deve mantenersi su un piano di valutazione della mera legittimità delle soluzioni normative sottoposte al suo esame, senza mai sconfinare in una critica dei criteri di politica legislativa; essendo tali scelte rimesse al potere legislativo.

Il secondo(comma) è di carattere sostanziale: impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo del paese. Quest'ultima norma ha assunto un valore di norma fondamentale della costituzione e di efficace riassunto dei compiti più importanti cui la comunità deve dedicarsi


L'equità


In qualche ipotesi può avvenire che l'applicazione del comando al caso concreto dia luogo a conseguenze che urtano il sentimento di giustizia. Ciò perché nel caso concreto si era verificata qualche circostanza che il legislatore non ha previsto al momento in cui la norma fu elaborata.

L'equità è stata pertanto, definita la: giustizia del caso singolo.

Non è da credere che il ricorso all'equità quale criterio decisionale sia sempre consentito. L'ordinamento giuridico sacrifica spesso la giustizia del singolo caso all'esigenza della certezza del diritto, in quanto ritiene pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro comportamenti (principio della certezza del diritto). Conseguentemente, la legge stabilisce che il giudice, nel decidere le controversie, "deve seguire le norme dell'ordinamento giuridico dello Stato", e può far ricorso all'equità soltanto nel caso in cui la legge stessa, gli attribuisca il potere di decidere secondo equità. Il che avviene nelle cause di minor valore, attribuite alla competenza del giudice di pace, oppure nel caso in cui siano state le parti della controversia ad attribuire concordemente al giudice il potere di decidere secondo equità.

Tuttavia anche nell'ipotesi eccezionale in cui è ammesso il ricorso all'equità, il giudice non può far prevalere le sue concezioni personali (equità cerebrina), ma deve ispirarsi a: come si sarebbe comportato il legislatore se avesse potuto prevedere il caso.

Va distinta l'equità come criterio decisorio del singolo caso, dall'equità integrativa, che si riferisce ai casi in cui la legge prevede che il giudice provveda ad integrare o determinare secondo equità, di elementi di una fattispecie o di un regolamento contrattuale predisposto dalle parti.


Capitolo 2


IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI


Il diritto pubblico disciplina l'organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione, interna e di fronte ai privati, ed impone a questi ultimi il comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita associata e per il perseguimento delle finalità considerate pubbliche.

Il diritto privato invece, disciplina le relazioni interindividuali, sia dei singoli che degli enti privati, lasciando all'iniziativa personale anche l'attuazione delle singole norme.

Il diritto privato facendo parte dell'ordinamento, e quindi del diritto positivo, e il complesso di disposizioni in base alle quali il singolo, individuo od ente, non si viene a trovare in situazioni di soggezione di fronte ad un potere pubblico, dotato di strumenti di supremazia, bensì opera su un piano di eguaglianza con gli altri individui.

Molto spesso un medesimo fatto è disciplinato sia da norme di diritto privato e da norme di diritto pubblico.


Distinzione tra norme cogenti e norme derogabili


Le norme di diritto privato si distinguono in derogabili e cogenti: queste ultime sono quelle norme la cui applicazione è imposta dall'ordinamento prescindendo dalla volontà dei singoli; le prime sono le norme la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo degli interessati.

Un ulteriore categoria di norme è costituita dalle norme suppletive, le quali sono destinate a trovare applicazione quando i soggetti privati non abbiano provveduto a disciplinare un determinato aspetto della fattispecie, in relazione al quale sussiste una lacuna, cui la legge sopperisce intervenendo a disciplinare ciò che i privati hanno lasciato privo di deregolamentazione.

Sebbene le norme di diritto pubblico siano quasi sempre cogenti, le norme di diritto privato per la maggior parte sono derogabili. Non bisogna però credere che la distinzione in esame coincida con quella tra norme di diritto pubblico e norme di diritto privato. I fatti possono anche avere si norme di diritto pubblico derogabili, e norme di diritto privato cogenti.

L'osservanza delle norme privatistiche inderogabili e richiede, in caso di violazione, l'iniziativa del singolo, non essendo compito degli organi pubblici far rispettare le norme di diritto privato.

Con la norma dispositivo là, e le legislatore, per dare al giudice un criterio di decisione nel caso in cui la volontà dei singoli non si è manifestata, enuncia una regola corrispondente ad un modello abituale di disciplina di quel tipo di operazione economica, che tuttavia le parti possono, con una loro espressa manifestazione di volontà, rendere inoperante.

Il carattere cogente di una norma risulta spesso direttamente dalla sua formulazione, oppure dalla previsione della nullità dell'atto compiuto senza l'osservanza della norma. Indici testuali del carattere derogabile possono essere le espressioni: "salvo diversa volontà delle parti", "salvo che il titolo disponga altrimenti", e simili.

Non sempre è s'occorrono elementi letterali sufficientemente precisi, e allora per stabilire se una norma sia imperativa o dispositiva, bisogna indagare la volontà del legislatore, secondo le regole dell'interpretazione.


Fonti delle norme giuridiche


Per "fonti" legali di "produzione" delle norme giuridiche, si intendono gli atti ed i fatti che producono o sono idonei a produrre diritto.

Dalle fonti di produzione si distinguono le fonti di "cognizione", ossia i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si può prendere conoscenza del testo di un atto normativo.

Le fonti si possono distinguere in

  • materiali (atti o fatti produttivi di norme generali ed astratte, a prescindere dalla concreta fattispecie produttiva: l'accento cade sul risultato) e
  • formali (atti o fatti idonei a produrre diritto, a prescindere dal concreto contenuto della singola fattispecie: l'accento cade sull'atto).

Per ciascuna fonte, quando si tratti di un atto, si può distinguere:

l'autorità investita del potere di mandarlo;

il procedimento formativo dell'atto;

il documento normativo;

i precetti e ricavabili dal documento: il suo significato.

Ogni ordinamento deve stabilire le norme sulla protezione giuridica, ossia a quali autorità, a quali organi, e con quali procedure, sia affidato il potere di emanare norme giuridiche, e con quali valori gerarchici.

La gerarchia delle fonti esprime perciò una regola sulla produzione giuridica, che identifica la norma applicabile in caso di contrasto tra norme provenienti da fonti diverse.

Art. 1. (disposizioni sulla legge in generale)
Indicazione delle fonti.

Sono fonti del diritto:

1) le leggi;

2) i regolamenti;

[3) le norme corporative;] (1)

4) gli usi.

(1) Le norme corporative sono state abrogate per effetto del R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.


La costituzione e le leggi di rango costituzionale


Anzitutto la Costituzione assolvere la funzione di fondamentale norma sulla produzione giuridica.

Si ritiene i principi supremi, enunciati dalla costituzione, costituiscano limiti allo stesso potere del legislatore costituzionale, in quanto non sarebbero suscettibili di revisione.

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, devono essere approvate con un'apposita procedura, più complessa di quella prevista per le leggi ordinarie (articolo 138 Cost.).

La Costituzione italiana è rigida, in quanto una legge ordinaria dello Stato non può né modificare la Costituzione o altra legge di rango costituzionale, né contenere disposizioni in qualsiasi modo in contrasto con norme costituzionali. A presidio di questa rigidità è stato istituito un organo: la corte costituzionale. Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è previsto nella forma di controllo incidentale: se un giudice individua una norma che gli appare di sospetta incostituzionalità, deve rimettere gli atti del processo alla corte costituzionale, affinché decida al riguardo. È anche previsto un giudizio di costituzionalità in via principale, che può essere promosso dal governo, contro le leggi regionali.

Non è invece consentito ai singoli privati rivolgersi direttamente alla corte costituzionale per denunziare l'illegittimità di una legge.

Se la corte ritiene illegittima la norma sottoposta al suo esame, dichiara con sentenza, l'incostituzionalità della o delle disposizioni viziate, che cessano di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.


Le leggi dello Stato e le leggi regionali


Le leggi ordinarie statali, sono approvate dal Parlamento con una particolare procedura dettagliatamente disciplinata dalla carta costituzionale.

La legge ordinaria può modificare o abrogare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre non può essere modificata o abrogata se non da una legge successiva. Vi sono materie che non possono essere regolate se non mediante leggi (riserva di legge) e dunque non possono essere disciplinate da fonti normative di rango inferiore.

Alle leggi statali sono equiparati sia i decreti legislativi delegati, che i decreti legge di urgenza, sebbene emanati dal governo e non dal Parlamento, ma a condizione che, si mantengano rispettosi della legge di delega (nel primo caso), oppure siano convertiti in legge dal Parlamento, entro 60 giorni (nel secondo caso).

La legge ordinaria può essere abrogata con referendum popolare.

Il ruolo delle leggi regionali è regolato dalla L. 18 ottobre 2001, n. tre. Essa definisce le rispettive competenze: lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in un insieme di materie enumerate dalla legge; esistono poi materie di legislazione concorrente tra Stato e regione: in tali materie la potestà legislativa spetta alle regioni, compete però alla legislazione dello Stato la determinazione dei principi fondamentali; infine è attribuita alle regioni la potestà legislativa in ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Oggi il criterio cui si ispirano i rapporti tra legge statale e regionale non è più quello della gerarchia, bensì quello della competenza; il principio di gerarchia torna ad operare nelle materie di legislazione concorrente, poiché in tal caso allo Stato spetta la funzione di stabilire i principi fondamentali, ai quali la legge regionale si deve attenere.




I regolamenti


Subordinate alle legge vi sono altre fonti di diritto: i regolamenti e gli usi.

I regolamenti sono fonti secondarie del diritto e possono essere emanate dal governo, dai ministri e da altre autorità amministrative, anche non statali, nell'ambito di apposite prescrizioni di legge. Essi hanno contenuto normativo, in quanto pongono norme generali ed astratte, ma provengono dall'autorità amministrativa e non dal potere legislativo.


Le fonti comunitarie


Le fonti normative di matrice comunitaria si distinguono in:

  1. regolamenti, che contengono norme applicabili dai giudici dei singoli Stati membri, come se fossero leggi dello Stato; nel caso di contrasto tra un regolamento ed una legge interna, il giudice italiano deve applicare la norma regolamentare;
  2. direttive, che si rivolgono agli organi legislativi degli Stati membri; le direttive non sono immediatamente efficaci nell'ordinamento dei singoli Stati, ma devono essere attuate mediante l'emanazione di apposite leggi. Uno Stato che si renda inadempiente all'obbligo di attuare una direttiva entro il termine previsto dalla stessa, può essere sanzionato dagli organi comunitari.

Inoltre, benché una direttiva, se ancora non attuata, non possa fondare diritti tra privati e non possa essere applicata da un giudice, qualora le norme della direttiva stessa siano sufficientemente specifiche e sia scaduto il termine per la sua attuazione, gli organi della P.A. di si debbano uniformare, anche in assenza di apposita legge di recepimento.

È evidente come la fonte comunitaria interferisca con l'ordinamento giuridico interno.

L'articolo 117 della Costituzione dice che: la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Inoltre, per consentire una tempestiva attuazione delle direttive, fino utilizzato lo strumento della "legge comunitaria", ossia una legge generale, approvata anno per anno, con la quale il Parlamento delega al governo l'emanazione dei decreti legislativi di attuazione di un insieme di direttive. Ciò permette di dare attuazione alle direttive senza passare attraverso il complesso iter parlamentare di approvazione delle leggi.


La consuetudine.


Tutta la nostra tradizione giuridica e dominata dalla distinzione fra due modi tipici di produzione del diritto: la consuetudine e la legge.

Si ritiene che una consuetudine sussista quando ricorrono:

  1. La ripetizione costante in un certo ambiente, per un tempo adeguatamente protratto, di un certo tipo di comportamento osservabile, come regola di condotta tra i privati;
  2. un atteggiamento di osservanza di quel comportamento in quanto ritenuto, nell'ambiente sociale considerato, doveroso e non semplicemente conforme a passi. La concezione di giuridicità della consuetudine, si esprime in quanto l'uso viene recepito all'interno di una collettività come fonte di regole giuridiche coercitive.

Il singolo che lamenti la lesione di un proprio diritto, derivante da una fonte consuetudinaria, potrà rivolgersi al giudice per ottenere tutela di quel diritto.

Si distingue tre tipi di consuetudini:

  1. consuetudini secondo legge: quelle che operano in accordo con la legge;
  2. consuetudini praeter legem: quelli che operano al di là della legge, ossia relativamente a materie non disciplinate da fonti normative scritte;
  3. consuetudini contro legge: quelle che si pongono contro la legge.

La consuetudine non è prevista è disciplinata dalla Costituzione. Essa costituisce fonte del diritto. Ne segue che fonte subordinata alla legge e può operare solo nei limiti in cui la legge lo consente.

Ciò vale ad escludere l'ammissibilità della consuetudine contro legge.



Occorre distinguere:

  • Le materie o fattispecie disciplinate da leggi e regolamenti; e
  • Le materie o fattispecie che non trovano disciplina in fonti scritte.

Per ciò che concerne le materie o fattispecie disciplinate da norme legislative e/o regolamenti, la consuetudine è idonea a produrre effetti giuridici da sé, e solo se, ad essa si fa espresso rinvio delle leggi o nei regolamenti: consuetudine secondo legge. Il rinvio alla consuetudine è precluso il materie coperte da riserva di legge.

Frequenti rinvii ad usi o consuetudini sono contenuti nel codice. Talvolta, gli usi sono indicati dal codice civile quali fonti di integrazione della disciplina codicistica; talaltra sono richiamati i quali fonti di norme derogatorie rispetto alla disciplina codicistica: in quest'ultima ipotesi si fa uso della disposizione: "salvo uso contrario" (ad esempio Art. 1187.).

La consuetudine non richiamata da fonti scritte, ma potenzialmente rilevante come fonte integrativa della disciplina posta dalle fonti scritte, è comunemente detta consuetudine praeter legem.

Il diritto consuetudinario, in quanto non scritto e perciò non ha depositato nelle fonti ufficiali di cognizione, solleva delicati problemi di accertamento e di prova.

Il giudice deve applicare la consuetudine di cui sia a conoscenza. È di fatto possibile che il giudice non si sia a conoscenza di una norma consuetudinaria di cui una parte pretenda l'applicazione. In simili circostanze, la parte interessata all'applicazione ha altresì interesse a provare l'esistenza, collaborando con il giudice in tal senso. Tale attività probatoria non è soggetta a forme legali. Le raccolte ufficiali di usi determinano una presunzione semplice circa l'esistenza degli usi da esse documentati.

L'uso che abbia gli elementi su indicati si chiama uso normativo e si distingue dagli usi negoziali, che valgono solo per l'integrazione del contratto, sia dagli usi interpretativi, che assorbono una funzione interpretativa del contratto.


Il codice civile


Il codice non è una raccolta di leggi precedenti, bensì una legge del tutto nuova, e si caratterizza per le note della organicità, della sistematicità, della universalità ed eguaglianza.

Per la sua funzione innovatrice e riformatrice, il codice implica l'abrogazione di tutto il diritto precedente di gente nella materia codificata, e l'accentramento della disciplina nell'intero territorio contemplato, al fine di favorire la facilità nel reperimento del materiale normativo.

Qualificare una legge come " codice" di un intero settore postula che il legislatore intenda dare a quella materia, un assetto non precario e facilmente modificabile, ma tendenzialmente di lungo periodo.

Il codice civile nei paesi di " diritto scritto", riveste un ruolo di centralità nel sistema del diritto privato: regolando i soggetti (persone fisiche e giuridiche), i beni, l'attività, nonché i principi fondamentali sulla responsabilità civile; il codice si pone come necessario elemento di integrazione e supporto di qualsiasi altra legge (che, proprio per questo, si dice, rispetto al codice, speciale, ossia " di spece", perché solo il codice è l'unica legge a carattere generale).

Il primo grande codice di diritto privato dell'età moderna è stato il codice civile e dei francesi ( cod Napoleon) emanato nel 1804, che favorì la diffusione dei principi dell'eguaglianza tra i cittadini, e l'idea del primato del diritto di proprietà, il principio della libertà dei commerci e delle attività economiche tra i privati.

Dopo l'unificazione del regno d'Italia fu emanato il codice civile del 1865 (ispirato al codice francese), insieme ad un separato codice di commercio. Quest'ultimo fu sostituito nel 1882 da un nuovo codice di commercio. Nel 1938 cominciarono ad essere emanati singoli libri di un nuovo codice civile, promulgato per intero nel 1942, e nel quale fu assorbito, anche il codice di commercio.






Capitolo 3


L'EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI


Per l'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi si richiede, oltre all'approvazione da parte delle due camere:

  1. La promulgazione della legge da parte del presidente della Repubblica;
  2. la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale della Repubblica;
  3. il decorso di un periodo di tempo, vacatio legis, che va dalla pubblicazione all'entrata in vigore della legge, e che di regola è di 15 giorni, salvo che la legge stessa stabilisca un termine diverso, più lungo o più breve, fino al limite dell'entrata in vigore immediata al momento della pubblicazione.

Ignorantia iuris non excusat.


La corte costituzionale ha tuttavia stabilito che l'ignoranza della legge è scusabile quando l'errore di un soggetto in ordine all'esistenza o al significato di una legge penale sia stato inevitabile.


Abrogazione della legge


Una disposizione di legge, come di qualsiasi altro atto normativo, viene abrogata quando un nuovo atto dispone che ne cessi l'efficacia.

Per abrogare una disposizione occorre sempre l'intervento di una disposizione nuova di pari valore gerarchico: così una legge non può essere abrogata che da una legge posteriore.

L'abrogazione può essere espressa o tacita. Si ha abrogazione espressa quando la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata una legge anteriore, o suoi singoli articoli.

Si ha abrogazione tacita se manca, nella legge successiva, una tale dichiarazione formale, ma le disposizioni posteriori:

A)   sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti;

B)   costituiscono una deregolamentazione dell'intera materia già regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto, deve ritenersi assorbita e sostituita integralmente anche in assenza di una vera e propria incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina.

Fenomeno simile e la deroga, che sia allorquando una nuova norma sostituisce, ma solo per specifici casi, la disciplina prevista dalla norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi.

Un'altra figura di abrogazione espressa e il referendum popolare, quando ne facciano richiesta almeno 500.000 elettori o 5 consigli regionali, e la proposta di abrogazione si considera approvata se alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto e la proposta di abrogazione consegua la maggioranza dei voti espressi.

Anche la dichiarazione di incostituzionalità di una legge (o di un articolo, o di un comma, comunque una parte) nel far cessare l'efficacia. Ma mentre l'abrogazione a effetto solo per l'avvenire, ex nunc; la dichiarazione di incostituzionalità invece, annulla la disposizione legittima, come se non fosse mai stata emanata, ex tunc, cosicché non può più essere applicata neppure nei giudizi ancora in corso e neppure a fatti già verificatisi in precedenza. Restano salvi i rapporti definiti con sentenza passata in giudicato.

L'abrogazione di una norma che, a sua volta, aveva abrogato una norma precedente, non fa rinvenire quest'ultima, salvo che sia espressamente disposto: in tal caso si chiama norma ripristinatoria.


Irretroattività della legge


Una norma giuridica ricollega al verificarsi di una data fattispecie una certa conseguenza giuridica. Di regola, la norma si applica alla fattispecie in essere descritta (in astratto) che si verifica (in concreto) successivamente all'entrata in vigore della norma stessa. Si dice quindi, retroattiva una norma la quale attribuisca conseguenze giuridiche a fattispecie verificatesi in momenti anteriori alla sua entrata in vigore.

Tuttavia nel nostro ordinamento soltanto la norma penale non può essere retroattiva (nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato). Ogni altra norma può essere anche retroattiva.

Efficacia retroattiva hanno poi, le leggi interpretative, ossia le leggi emanate per chiarire il significato di norme antecedenti e che quindi, si applicano a tutti i fatti regolati da queste ultime.

Se la norma ha efficacia retroattiva, essa si applica anche alla risoluzione delle controversie che siano ancora pendenti al momento della sua entrata in vigore. Vengono, salva diversa disposizione legislativa, rispettati gli effetti delle sentenze passate in giudicato.


Successione di leggi


In alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la legge vecchia e quella nuova con specifiche norme: disposizioni transitorie.

Ma può avvenire o che il legislatore non abbia provveduto o che non abbia previsto alcuni casi. Allora sorgono questioni che vengono designate come questioni di: diritto transitorio, o di successione di leggi del tempo.

Vi sono due teorie:

La legge nuova non può colpire i diritti quesiti, che cioè, sono già entrati nel patrimonio di un soggetto (teoria del diritto quesito);

la legge nuova non estende la sua efficacia ai fatti perfezionati sotto il vigore della legge precedente, ancorché dei fatti stessi siano pendenti gli effetti (teoria del fatto compiuto).

È preferibile quest'ultima teoria peraltro; anch'essa offre criteri meramente indicativi, e soprattutto di tutte quelle situazioni in cui una fattispecie verificatasi nell'imperio della legge previgente non abbia esaurito tutti i propri effetti giuridici; effetti che, la nuova disciplina connota diversamente rispetto a quella vigente all'epoca del compimento del fatto.

Si parla invece di ultrattività, allorquando una disposizione di legge, stabilisce che atti o rapporti, compiuti o svolgentisi nel vigore di una nuova normativa, continuano ad essere regolati dalla legge anteriore.


Capitolo 4


L'APPLICAZIONE E L'INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE


L'applicazione della legge


Per l'applicazione della legge si intende la concreta realizzazione, nella collettività, di quanto è ordinato dalle regole che compongono il diritto dello Stato.

È compito dello Stato curare l'applicazione delle norme di diritto pubblico. Viceversa l'applicazione delle norme di diritto privato non è imposta in modo autoritario, ma è lasciata di solito, al buonsenso dei singoli.

Laddove la tutela del diritto individuale, di fronte alla sua adesione da parte di altro soggetto, rende indispensabile il ricorso all'autorità giurisdizionale, e il giudice ad applicare la legge, pronunciando i provvedimenti previsti al fine di dare tutela al diritto sostanziale della parte istante.


Interpretazione della legge


Interpretare un testo normativo non vuol dire solo accertare quanto il testo già esprimere le, bensì decidere che cosa si ritiene che il testo effettivamente possa significare e, conseguentemente, come vadano risolti i conflitti che insorgono (o possono insorgere) nella sua applicazione.

Di ogni disposizione normativa possono ammettersi plurime letture, in funzione del caso da risolvere, tra le quali l'interprete sceglie la soluzione più opportuna.

Non tutti i vocaboli contenuti nelle leggi possono essere definiti nelle leggi stesse: pertanto il significato che viene loro attribuito in ciascun contesto va ricavato da elementi extra-testuali. E difatti lo stesso legislatore, dopo aver prescritto di attribuire alle parole il loro significato proprio, impone di tener conto della intenzione del legislatore che comunque l'interprete non può ricostruire se non avvalendosi di elementi extra-testuali.

In secondo luogo le leggi si riferiscono in generale a classi di rapporti: spetterà all'interprete impiegare particolari tecniche di estensione o di integrazione delle disposizioni della legge, attingendo a criteri di decisione extra-legislativi.

In terzo luogo le popolazioni delle leggi sono spesso in conflitto tra loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di gerarchia tra le fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità. Se non che le incertezze delle leggi sopraordinate si ripercuotono su quelle sottordinate, la nozione di specialità è vaga, il criterio di posteriorità non è sempre funzionale: e quindi spesso indispensabile ricorrere ad elementi extra-legislativi per risolvere i conflitti tra leggi.

In quarto luogo, di fronte a ciascun caso occorre utilizzare un'ampia combinazione di disposizioni, opportunamente ritagliate e ricomposte per adattarle al caso: operazione che si avvale di nozioni sistematiche a carattere dottrinario ed extra-testuali.


L'attribuzione da parte dell'interprete ad un documento legislativo, viene detta interpretazione dichiarativa. Il canone metodologico ( in claris non fit interpretatio) prescrive di attenersi, ovunque sia possibile, ad una interpretazione dichiarativa. Quando invece, il processo interpretativo attribuisce ad una disposizione un significato diverso da quello che apparirebbe esserle proprio, si parla di interpretazione correttiva, nelle due forme: interpretazione estensiva od restrittiva.

Talvolta nell'uso si contrappone alla interpretazione della legge, l'integrazione della legge, per distinguere tra l'attribuzione di significato ad un determinato documento normativo e l'individuazione di una nuova norma: contrapposizione che non va accettata, rientrando anche l'integrazione della legge dell'attività di interpretazione.

Dal punto di vista dei soggetti che svolgono attività interpretativa, si distingue tra interpretazione giudiziale, ed interpretazione dottrinale ed interpretazione autentica.

L'attività interpretativa assume valore vincolante soltanto quando sia compiuta dai giudici dello Stato nell'esercizio della funzione giurisdizionale (interpretazione giudiziale). L'interpretazione della disposizione svolge il suo ruolo autoritativo nei confronti delle sole parti destinatarie del provvedimento del giudice.

Peraltro una sentenza è idonea ad assumere anche valore di precedente, nei confronti di altri casi simili. Il valore di un precedente, nel nostro ordinamento è però limitato alla persuasività logica ed argomentativa del criterio di decisione, poiché nessuna norma attribuisce ai precedenti giurisprudenziali forza vincolante; pertanto ciascun giudice è sempre libero di adottare l'interpretazione che ritenga preferibile, anche in contrasto con pronuncia della cassazione, che è il massimo organo giudicante.(non c'è l'obbligo del precedente, ma c'è la prassi)

Ciò non svaluta l'importanza dell'interpretazione dottrinale, che è costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche.

Non costituisce l'intera attività interpretativa, l'interpretazione autentica, ossia quella che proviene dallo stesso legislatore, che emana apposite disposizioni per chiarire il significato di altre preesistenti; il legislatore vuole che chi deve applicare la norma precedente le attribuisca il senso della nuova disposizione ha stabilito si debba attribuire. Questa ha perciò, efficacia retroattiva.

È assai importante distinguerla da quella novativa che ha efficacia ex nunc, e non retroattiva. E interpretativa la norma con cui il legislatore tronca il contrasto sorto circa il significato di una norma precedente.

Non si può considerare interpretativa la legge che, sebbene dichiarata espressamente tale, in realtà non sia diretta a sciogliere un dubbio interpretativo creato dalla norma precedente, bensì a modificarla.

La retroattività della legge interpretativa non coincide, salvo a disposizione contraria, sul giudicato formatosi sotto l'impero della legge precedente.





Le regole dell'interpretazione


Art. 12. (Disposizioni sulla legge in generale)
Interpretazione della legge.

Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.

Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Tale norma impone di valutare non soltanto il significato proprio delle parole secondo la connessione di essere (interpretazione letterale), ma anche l'intenzione del legislatore.


Vengono innanzitutto in considerazione le discussioni delle assemblee legislative, che, con i loro voti e pareri su singoli disegni di legge, danno vita a quei lavori preparatori che spesso forniscono indizi per la ricostruzione della volontà delle forze politiche che ne appoggiano l'approvazione. Spesso all'iter di formazione del documento legislativo, partecipano portatori di diversi confliggenti progetti, che confluiscono in formule di compromesso.

Si tenta perciò, di individuare, non tanto l'intenzione soggettiva di un inesistente concreto legislatore, ma "lo scopo" (obiettivo) che la disposizione persegue (interpretazione teologica).


Appaiono perciò più persuasivi altri criteri cui l'interprete si rivolge:

a) il criterio logico, attraverso l'argumentum a contrario (volto ad escludere dalla norma quanto non vi appare espressamente; l'argumentum a simili (volto ad estendere la norma per comprendervi anche fenomeni simili, assumendo tale somiglianza come determinante per una identità di disciplina); l'argumentum a fortiori (volto ad estendere la norma in modo da includervi fenomeni che a maggior ragione meritano il trattamento riservato); l'argumentum ad absurdum (volto ad escludere quella interpretazione che dia luogo ad una norma assurda);

b)    il criterio storico: nessuna disposizione spunta all'improvviso in un ordinamento; l'analisi delle motivazioni con cui un istituto è stato introdotto in un sistema giuridico precedente, delle modifiche, del modo con cui è stato interpretato ed applicato, è sempre di grande utilità per cogliere la portata di ad una disposizione va attribuita nel momento attuale;

c) il criterio sistematico. Per determinare il significato di una disposizione è indispensabile collocarla nel quadro dell'ordinamento in cui va inserita, onde evitare contraddizioni e ripetizioni;

d) il criterio sociologico: la conoscenza degli aspetti economico-sociali dei rapporti regolati e spesso illuminante per pervenire ad un'interpretazione congruente con la realtà disciplinata;

e) il criterio e qualitativo: volto ad evitare interpretazioni che contrastino con senso di giustizia della comunità.

L'interprete è chiamato a prendere posizione sulle situazioni di contrasto che emergono e conseguentemente l'influenza, con la sua opera, in modo rilevante il corso degli eventi, pur rispettando il principio della fedeltà che la legge gli impone.


L'analogia


È impossibile che il legislatore riesca a disciplinare l'intero ambito dell'esperienza umana. Il giudice si trova perciò, di fronte a problemi che nessuna norma positiva prevede e risolve (lacune dell'ordinamento).

Non potrebbe tuttavia rifiutarsi, di decidere, sotto pena di rendersi responsabile di " denegata giustizia", ponendo in essere un reato (omissione di atti d'ufficio).

Il giudice, quando non sia riuscito a risolvere il caso, né applicando una norma che lo contempli direttamente, né una norma che possa essere interpretata estensivamente fino ad abbracciarlo, deve procedere a applicando "per analogia" Le disposizioni che regolino "casi simili o materie analoghe", e qualora il caso rimanga ancora dubbio, applicando i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Ricorrere per analogia significa applicare ad un caso non regolato, una norma non scritta ricopiata da una norma scritta, la quale però, risulta dettata per regolare un caso diverso, sebbene simile.

Di due entità può dirsi che siano simili se hanno qualche elemento in comune. Deve trattarsi proprio dell'elemento che giustifica la disciplina accordata al caso: l'identità di quell'elemento ci fa concludere che pure il caso non regolato merita identica disciplina .

L'analogia si fonda su una identità di ratio.

È autorizzato non solo il ricorso all'analogia legis, ma pure, se il caso rimane ancora dubbio, il ricorso all'analogia iuris, ossia ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, vale a dire estrapolando la regola assolutoria del caso dubbio dai generali orientamenti del sistema legislativo.

L'analogia non è consentita né per leggi penali, né per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi.

Il divieto si giustifica, in relazione alle leggi penali giacché: nullum crimen sine legem (nessuno può essere punito se non in forza di una legge che si entrata in vigore prima del fatto compiuto, articolo 25 costituzione).

In relazione alle norme che abbiano carattere di deroga, a precetti di ordine generale (norme eccezionali), il divieto di analogia si giustifica con l'opportunità di non allargare le deroghe, privilegiando, di fronte ai casi non regolati, la disciplina normale e non quella eccezionale.

Tuttavia, la distinzione nel singolo caso, tra una interpretazione estensiva di una norma eccezionale consentita, e una applicazione per analogia vietata, appare quanto mai ardua.


Capitolo 5


I CONFLITTI DI LEGGE NELLO SPAZIO


Il diritto internazionale privato


In ciascun paese vengono elaborate, quale specifica branca dell'ordinamento, norme di diritto internazionale privato: ossia le regole che stabiliscono quale tra varie leggi nazionali, vada applicata in ogni singola ipotesi, scegliendo, dal punto di vista spaziale, la legge più idonea a disciplinare quella fattispecie.

Occorre chiarire:

A)   che il diritto internazionale privato, non è davvero un diritto internazionale e che a fonte nella consuetudine dei rapporti internazionali o in specifici accordi tra Stati;

B)   che il diritto internazionale privato non abbraccia, solo norme relative a rapporti di diritto privato, ma comprende anche altri tipi di rapporti, e tra questi quelli di tipo processuale;

C)   che il diritto internazionale privato è costituito non da norme materiali, ossia da regole strumentali, che si limitano ad individuare, rispetto al ciascun rapporto contemplato, a quale ordinamento debba farsi capo, per giungere poi, applicando l'ordinamento così individuato, a stabilire come quel rapporto vada disciplinato;

Il diritto internazionale privato ed è insieme delle norme di diritto interno che il giudice italiano deve applicare nel caso in cui debba decidere una controversia relativa ad una fattispecie che presenti elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento giuridico, per individuare la legge regolatrice della fattispecie. In tal modo può accadere che il giudice italiano debba decidere una controversia facendo applicazione di un ordinamento giuridico straniero.

Il diritto internazionale privato opera secondo una tecnica di rinvio, nel senso che individua la legge che il giudice deve applicare, che potrà essere la legge dello Stato cui il giudice appartiene, oppure quella di un altro Stato, alla quale la norma di diritto internazionale privato faccia appunto "rinvio", quale fonte regolatrice del rapporto concreto:

l'importanza del diritto internazionale privato è notevolmente cresciuta:

a) il costante incremento della internazionalizzazione di tutti i settori della vita sociale ed economica (globalizzazione);

b)    l'aumento della mobilità delle persone fisiche;

c) la conseguente maggior frequenza dei nuclei familiari e nazionali;

d) l'imponente sviluppo del commercio internazionale.

Il diritto internazionale privato era dettato nelle preleggi. Si è giunti così all'approvazione di una riforma globale della materia (L. 31 maggio 1995, n. 218) che ha disposto l'abrogazione degli articoli dal 17 al 31 delle preleggi.

Peraltro si è imposto un movimento di uniformazione, a livello internazionale, del diritto internazionale privato, che ha portato all'elaborazione di numerose regole comuni a beneficio della certezza nell'individuazione delle norme applicabili ai rapporti internazionali.


Qualificazione del rapporto e momenti di collegamento


Per stabilire quale sia l'ordinamento da applicare occorre in primo luogo procedere alla qualificazione del rapporto in questione, evidenziandone la natura (ad es: un rapporto coniugale, di successione, obbligazione contrattuale, ecc.). Peraltro può accadere che i singoli ordinamenti non seguono identici criteri nel classificare i rapporti giuridici: in base a quale ordinamento deve procedersi alla determinazione della natura del rapporto? La soluzione generale accolta dalla legge del luogo in cui si procede alla disciplina del rapporto.

Compiuta la qualificazione occorre che la norma di diritto internazionale privato, precisi da un elemento del rapporto per elevarlo " al momento di collegamento", ossia ad elemento della fattispecie decisivo per l'individuazione dell'ordinamento più vicino al caso concreto ed appropriato per disciplinarlo.


I vari momenti di collegamento


Per quanto riguarda la capacità giuridica delle persone fisiche, si applica la legge nazionale della persona. Se questa ha più cittadinanze, si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze di quella italiana, questa prevale.

La capacità di agire delle persone fisiche e anche regolata dalla loro legge nazionale. Tuttavia, se per un dato atto si deve applicare un diverso ordinamento, il quale prescrive condizioni speciali di capacità di agire, deve applicarsi quest'ultima legge.

Gli enti, (società, azioni, fondazioni) sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Tuttavia si applica la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia.

Il riferimento al matrimonio, si distingue tra:

I) La capacità matrimoniale: regolata dalla legge nazionale di ciascuna nubendo al momento del matrimonio;

II) la forma del matrimonio: vale la legge del luogo di celebrazione, ma può applicarsi anche la legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione, o la legge dello Stato e comune residenza in quel momento;

III) i rapporti personali tra i coniugi, cui si applica la legge nazionale se hanno eguale cittadinanza o se hanno diversa cittadinanza, o più cittadinanze comuni, si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata;

IV) i rapporti patrimoniali tra i coniugi, ma non regolati dalla legge applicabile ai rapporti personali, almeno che i coniugi abbiano convenuto per iscritto l'applicabilità della legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede;

V) la separazione personale e lo scioglimento, cui si applica la legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento; in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale e risulta localizzata. Qualora la legge straniera applicabile non preveda la separazione od il divorzio, questi sono regolati dalla legge italiana;

VI) i giudizi di nullità, annullamento, separazione e divorzio, per i quali si può sempre adire il giudice italiano se uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia.

Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. Le condizioni per il riconoscimento di un figlio naturale sono regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o, se più favorevole, dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui questo avviene; la forma del riconoscimento è regolata dalla legge dello Stato in cui esso è fatto o da quella che ne disciplina la sostanza. I rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli sono regolati dalla legge nazionale del figlio.

L'adozione è regolata dal diritto nazionale dell'adottato o degli adottanti se comune o, in mancanza, dal diritto dello Stato nel quale gli adottanti sono entrambi residenti, o da quello dello Stato nel quale la loro vita matrimoniale e localizzata.

La successione mortis causa è regolata dalla legge nazionale del soggetto e la cui eredità si tratta, al momento della morte. Il testamento deve rispettare o la legge dello Stato nel quale il testatore ha disposto o la legge dello Stato di cui il testatore, al momento del testamento o della morte, era cittadino o la legge dello Stato in cui aveva il domicilio o la residenza.

Per i beni immobili si applica la legge dello Stato in cui sono situati. Per i beni immateriali si applica la legge dello Stato di utilizzazione.

Per le obbligazioni contrattuali è importante la "convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980". La convenzione contro il diritto internazionale privato uniforme, e quindi si applica anzitutto la legge richiamata da apposita clausola contrattuale oppure, in difetto di una scelta espressa, la legge dello Stato con il quale il contratto presenta il collegamento più stretto.

La responsabilità per il fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l'evento.


Il rinvio ad altra legge. Il limite dell'ordine pubblico.


L'eventuale rinvio operato dal nostro diritto internazionale privato ad un ordinamento straniero, pone problemi delicati.

Si tiene conto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero alla legge di un altro Stato:

a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio;

b) se si tratta di rinvio alla legge italiana.

Il rinvio alle norme di un altro ordinamento pone un ulteriore problema della compatibilità delle disposizioni dell'ordinamento estraneo con i principi fondamentali del nostro ordinamento.

La legge straniera non può essere applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico.

L'ordine pubblico di cui è questione, non è il "ordine pubblico interno", bensì quello internazionale, che abbraccia solo i fondamentali principi cui l'ordinamento pubblico giuridico italiano è ispirato.

Nel caso operi il limite della contrarietà all'ordine pubblico, si deve tentare ugualmente di applicare la legge richiamata, mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. Solo ove manchi tale possibilità si applica la legge italiana.


La conoscenza della legge straniera


La nuova disciplina stabilisce che spetta al giudice accertare se il contenuto della legge straniera applicabile, anche interpellando il ministero della giustizia od istituzioni specializzate ed eventualmente con la collaborazione delle parti. Nel caso in cui non risulti possibile accertare le disposizioni della legge straniera, il giudice deciderà in base alla legge italiana.


La condizione dello straniero


Quanto al trattamento giuridico degli stranieri si pone una fondamentale distinzione tra i "cittadini comunitari" e quelli "extracomunitari".

Per i primi si applica il trattato di Maastricht, che ha introdotto la "cittadinanza dell'unione", che costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e, che è attribuita a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. Ai cittadini comunitari va riconosciuto il pieno diritto di circolazione e soggiorno in tutti gli Stati membri ed il godimento degli stessi diritti civili attribuiti al cittadino nazionale, ma aspettano perfino alcuni limitati diritti politici, quali il voto nelle elezioni comunali.

Ai cittadini extracomunitari è applicabile sia il diritto d'asilo, per qualsiasi straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, sia l'inammissibilità della estradizione per reati politici. Inoltre allo straniero presente nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali. All'extracomunitario regolarmente soggiornanti in Italia è assicurato il godimento dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, a meno che le convenzioni internazionali in vigore per l'Italia è il presente testo unico dispongano diversamente.

La condizione di reciprocità, ossia la previsione per cui una determinato diritto può essere riconosciuto in capo allo straniero a condizione che nella medesima fattispecie ad un italiano, nel paese di cui quello straniero è cittadino, quel diritto sarebbe parimenti riconosciuto. Il principio di reciprocità è risultato fortemente ridimensionato, proprio in ragione del fatto che la costituzione, le convenzioni internazionali, le norme comunitarie, riconoscono in modo assoluto la tutela dei diritti della persona. La regola non può dirsi né abrogata in toto, né in assoluto incompatibile con i principi dell'ordinamento giuridico italiano.

A tutti i lavoratori stranieri infine, è garantita la parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti e rispetto ai lavoratori italiani.




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