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Filiazione, maternità, paternità, adozione e fecondazione artificiale Le società 'tradizionali' e l'occidente

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Filiazione, maternità, paternità, adozione e fecondazione artificiale  Le società 'tradizionali' e l'occidente


In un momento in cui si sente fortemente il disorientamento su concetti legati all'istituzione familiare, finora dati per scontati e ormai istituzionalizzati, è indispensabile che si effettuino un approfondimento ed un'analisi accurata della questione adozione - filiazione - riproduzione. Proprio su questa materia si lamentano da più parti vari vuoti legislativi e, pertanto, risulta molto interessante studiare con attenzione le sentenze dei giudici, le proposte di legge, le opinioni degli intellettuali e della gente "comune". Dal punto di vista antropologico ciò viene fatto con una curiosità particolare, poiché tutto ciò è il frutto di momenti storici e di scelte operate sulla base dei valori di riferimento di una società e quindi, proprio per questo, fa parte di quei tasselli che vanno a comporre il mosaico dei nostri tempi e quindi della nostra cultura.

L'antropologia del diritto approfondisce, in particolar modo, le situazioni giuridiche di convivenza fra elementi di civiltà moderne, postmoderne e tradizionali. Essa studia le interazioni dinamiche tra diritto, cultura e organizzazione sociale e focalizza l'attenzione essenzialmente sulle relazioni tra il diritto e l'uomo[1][1]. L'antropologia giuridica, poiché intende scoprire come i membri di una società considerino le proprie relazioni giuridiche e come esse influenzino la loro vita, risulta essere una disciplina di sostegno all'analisi giuridica, etica e politica di alcuni precisi fenomeni attualmente molto sentiti dall'opinione pubblica, oltre che dagli stessi operatori del settore. Le stesse categorie della parentela e della filiazione in particolare stanno subendo una serie di "smottamenti culturali" (ed oserei aggiungere "epocali"), soprattutto dovuti alle nuove biotecnologie rivolte alla fecondazione artificiale.



Parlando di parentela, le definizioni classiche etno-antropologiche individuano nella consanguineità la categoria più genuina, quella in cui si riscontra, in altre parole, il legame biologico vero e proprio. All'interno della stessa si scopre la prima sfumatura: nel caso di genitori adottivi si parla, infatti, di consanguineità sociale, poiché essa è in realtà una relazione genealogica, ma non naturale. Gli studi parentali rappresentano il substrato tradizionale delle discipline etno-antropologiche e, sicuramente, l'istituzione familiare incarna uno di quei punti cardine di profonda unione tra diritto e antropologia. Ovviamente la maternità è uno degli aspetti fondamentali di questo settore, così come i concetti di filiazione, paternità, adozione, matrilinearità, patrilinearità e così via. Su alcuni aspetti particolari della filiazione l'antropologo sociale inglese M. Fortes offrì importanti studi e riflessioni, soprattutto grazie alle sue ricerche sui Tallensi e sugli Ashanti. Egli coniò il termine filiazione complementare in riferimento ai "diritti, obblighi e rapporti trasmessi pe 939d33j r via materna nei sistemi patrilineari o per via paterna in quelli matrilineari"; Fortes sosteneva l'ipotesi che tale tipologia di filiazione servisse a riequilibrare il sistema di lignaggio, mediante l'integrazione "dei rapporti formal-giuridici della discendenza unilineare con i più informali legami affettivi dei rapporti di non-discendenza" (C. Seymour-Smith 1991). Tale teoria offrì il fianco a numerose critiche, ma è solo uno degli esempi (numerosissimi in antropologia) di studi sulla parentela. Proprio il concetto di parentela nelle discipline etno-antropologiche, come già asserito, si dispiega in alcune tipologie e classificazioni: si parla di parentela nella sua accezione più ampia (vale a dire quale concetto includente il matrimonio e le relazioni d'affinità), di parentela di scherzo, di parentela fittizia, di parentela indifferenziata, di parentela rituale.

Anche sul concetto di concepimento può essere interessante conoscere la varietà delle concezioni delle culture tradizionali. Numerose popolazioni australiane negano il collegamento tra coito e gravidanza, e soprattutto non riconoscono l'apporto fecondativo dell'uomo, intendendo la gravidanza come una conseguenza dell'invio di uno "spirito-bambino" da parte degli antenati; un popolo birmano, i Lakher, vede nella figura materna solo un contenitore (non di tipo generativo), ritenendo ad esempio che due bambini, nati dalla stessa madre ma da padri differenti, non siano parenti tra loro. Dei due casi appena citati, nel primo caso abbiamo un chiaro esempio di negazione di paternità e, nel secondo, di maternità. Si può evincere, in riferimento a tale questione, il problema della conciliazione tra la parentela e l'affinità. Anche riguardo al concetto di discendenza, per citare un altro esempio, si nota, proprio all'interno delle categorie classificatorie e terminologiche, una notevole varietà di soluzioni: numerose sono, infatti, le variazioni e le combinazioni possibili.

L'antropologia si è spesso servita di alcune categorie o termini di riferimento del diritto romano. Una di queste è la doppia definizione pater/genitor: il primo inteso come marito legale della madre, il secondo come padre biologico. Ancor oggi, anche relativamente alla terminologia antropologica, pater e mater continuano a significare i genitori sociali, mentre genitor e genetrix quelli fisiologici. Lo stesso termine latino parens, parentes si riferisce al genitore biologico, colui anche denominato consanguineo, a causa dell'idea della comunione di sangue genitori-figli che avviene nella procreazione (C. Seymour-Smith 1991). Non sarà avventato a questo riguardo creare un collegamento con il divieto di adozione, sempre nel diritto romano antico, per gli evirati: anche se futuri padri sociali, quindi necessariamente non genetici proprio in quanto adottivi, pur tuttavia esclusi dalla possibilità adottiva perché non fecondi, o comunque non più potenzialmente generanti.

Il problema dello status del concepito "artificialmente" rappresenta un altro nodo da sciogliere. In una sentenza del Tribunale di Rimini del 24 marzo 1995 si legge: "Non compete a chi abbia dato luogo a pratiche d'inseminazione artificiale eterologa, seguite dal concepimento e dalla nascita di un figlio in costanza di matrimonio, il diritto di disporre liberamente dello status del nato a seguito delle pratiche predette, facendo prevalere, a scelta, o la verità genetica o il falso; sono pertanto colpevoli della violazione del divieto di alterare la realtà del rapporto di procreazione, previsto dall'art. 567 c.p., i coniugi che, a fronte della nascita di un figlio conseguente a pratiche di fecondazione artificiale eterologa, abbiano formato un atto di nascita di figlio legittimo". Per il nostro diritto civile si parla di filiazione legittima quando si possono rilevare precisi requisiti: il matrimonio valido tra i due genitori, la maternità di colei che si definisce madre, la paternità di colui che si definisce padre, il concepimento durante il matrimonio. Nel caso della sentenza su citata manca il requisito della paternità: avendo fruito la madre del seme di un donatore, il marito sarà probabilmente padre adottivo.

La tradizione antropologica riporta una consuetudine comune a moltissime società: il costruito ha valenza maggiore rispetto al dato. Un popolo, i Samo, afferma che "la parola fa la filiazione, la parola la ritira", a ricordare che la filiazione è un concetto dipendente essenzialmente dal riconoscimento delle relazioni sociali. Quest'esempio è indicativo: le società tradizionali, che grazie a secoli di pregiudizi e ad un marcato eurocentrismo, si suppone siano maggiormente legate al dato biologico per una scontata semplicità (anche tecnologica), in realtà fanno ricorso all'astrazione più delle società cosiddette complesse. Ciò viene dimostrato anche dall'istituto dell'adozione, vissuto in modo di gran lunga più naturale nelle culture tradizionali che nelle nostre società, all'interno delle quali si ricorre all'adozione solo come ultimo tentativo di avere un figlio e spesso come ripiego. Si preferisce generare, anche con l'intervento di estranei, piuttosto che adottare; la sterilità è un vero e proprio dramma, di coppia e personale, e ricorrere all'adozione allontana ancor di più il legame, tanto inseguito, con l'elemento naturale. Eppure quando interviene l'aspetto sanzionatorio le cose cambiano. L'antropologo B. Bernardi, esperto di studi sulla famiglia, afferma la grande importanza della sanzione sociale nel suo valore normativo: "la sua efficacia è così radicata da sostituirsi agli stessi fatti della vita e creare a tutti gli effetti la consanguineità sociale che è una parentela fittizia, adottiva o classificatoria: per l'adozione, un figlio non generato diventa consanguineo sociale; nello stesso modo le classi di persone che, per esempio, ego (nell'antropologia della parentela tale termine indica l'individuo considerato centrale in riferimento ai rapporti) chiama con il nome di padre o madre, verso le quali si comporta come se ognuno fosse il suo genitore o la sua genitrice" (B. Bernardi 1985). La grande importanza e la maggiore valenza della paternità sociale su quella biologica si può evincere nel diritto romano antico: "L'adottato perdeva ogni rapporto con la sua famiglia originaria ed ogni aspettativa di successione, ed acquistava nella nuova famiglia la posizione che vi avrebbe avuta se vi fosse nato" (V. Arangio-Ruiz 1986).



Riferendosi all'adozione (soprattutto nelle culture occidentali), M. Harris afferma che i genitori adottivi non inseguono il soddisfacimento del bisogno riproduttivo (poiché, in realtà, i loro non sono figli genetici), bensì danno una risposta al loro bisogno di affetto, di sentirsi amati. N. Rouland sostiene, a sua volta, che nelle società moderne si tenta in tutti i modi di avere un figlio naturale per rispondere alla profonda e sentita esigenza di porre rimedio alla morte vista come evento irrimediabile, individuale, senza ritorno. Per un bisogno d'autorealizzazione o d'autoaffermazione i vari elementi "esterni" alla fecondazione sono visti unicamente come momenti tecnicamente necessari, sempre per il raggiungimento dell'inalienabile diritto di avere un figlio.

Nelle società tradizionali, invece, un figlio risponde al dovere di discendenza e al diritto di essere annoverati tra gli antenati, poiché "chi muore senza discendenti non avrà nessuno che celebrerà il suo culto". Ecco perché, non fruendo di moderne biotecnologie per intervenire e porre rimedio alla sterilità, le società tradizionali ricorrono senza troppi drammi all'adozione: attraverso un figlio (non importa, in definitiva, se non genetico) si avrà diritto ad entrare nella catena eterna che parte dal passato e arriverà al futuro, attraverso i padri e i loro figli.

I concetti di maternità surrogata e di locazione di utero possono sembrare di innovativa creazione linguistica e senza dubbio biotecnologica, ma già nell'antica Roma non era pratica rara quella del ventrem locare, mediante la quale un uomo "cedeva" la propria moglie ad una coppia in cui la donna era sterile per "riprenderla" subito dopo il parto. (Occorre a tale proposito ricordare che, sia il celibato che il matrimonio senza figli, subivano nell'antica Roma notevoli svantaggi di tipo patrimoniale; molti, al contrario, i vantaggi per gli sposi in proporzione alla loro fecondità). Eppure, al di là di questi rimedi antichi e moderni, le società tradizionali offrono un esempio di adattamento e quindi di finzione di tipo tutto particolare, ma soprattutto basata unicamente sull'astratto. Esistono popoli in cui alla mancata discendenza si ripara con un finto abbandono del tetto coniugale da parte della moglie; questa rimane incinta di un marito, per così dire, secondario ma torna dal coniuge precedente il quale sarà, a tutti gli effetti, il padre del nascituro. Non è altro che un esempio di fecondazione da donatore. La vera differenza consiste nella manipolazione: le società tradizionali manipolano i rapporti di parentela, le società moderne l'aspetto biologico.

Effettivamente, nelle nostre società molto avanzate dal punto di vista strettamente tecnologico, all'interno delle moderne tecniche fecondative, la situazione diventa complicata, giuridicamente ed eticamente, quando si prospetta una maternità "a tre": una donna sterile che diventa la madre (sociale) di un figlio partorito da una donna (madre uterina) che ha usufruito di un ovulo di una terza (madre genetica). L'essere società moderne e progredite, in tal caso, non offre una subitanea soluzione a questo tipo di problema. Qualche anno fa, la Commissione Ministeriale istituita presso il Ministero di Grazia e Giustizia e presieduta (10 maggio 1996) dal Prof. F.D. Busnelli prevedeva: "i diritti e gli obblighi inerenti alla maternità spettano esclusivamente a colei che ha partorito il figlio"; quale il ruolo (e quindi i diritti e i doveri relativi) delle due donne che nel caso precedente si possono comunque ambedue definire madri? Che sbrogliare quest'intricatissima matassa sia compito arduo, per usare un eufemismo, lo possono dimostrare molti documenti, articoli, saggi e dichiarazioni (ufficiali e non) degli ultimi anni. Le coppie omosessuali, le donne single, le donne in età non più fertile rappresentano solo un breve elenco di alcune 'categorie' che pongono non pochi problemi al livello bioetico, giuridico, antropologico.



Andando ancora indietro negli anni, il 17 giugno 1994 il Comitato nazionale per la Bioetica rese noto il suo parere sulle tecniche di procreazione assistita. Nelle sintesi e conclusioni si leggeva quanto segue: "Il C.N.B. ritiene pertanto difficile, allo stato attuale, proporre delle soluzioni sistematiche, che affrontino in maniera dettagliata tutte le implicazioni delle tecniche di fecondazione artificiale: un simile tentativo rischierebbe di lasciare insoddisfatte la maggior parte delle esigenze . Aderendo al principio di diritto comune che delegittima ogni forma di commercializzazione del corpo umano e con riferimento al bene del nascituro, alla sua situazione psicologica, a quella dei committenti e della madre portatrice, nonché al profondo legame affettivo che si instaura tra gestante e feto, il C.N.B. esprime una valutazione negativa sulla maternità surrogata . Esiste nel C.N.B. un significativo consenso sul fatto che i criteri di ammissione a procedure di procreazione assistita non dovrebbero discostarsi in maniera sensibile da quelli relativi all'adozione e che pertanto dovrebbero almeno essere rifiutate: a) l'ovodonazione e l'embriodonazione nel caso di donne in età non più fertile; b) ogni forma di fecondazione assistita richiesta da una coppia di persone dello stesso sesso; c) la fecondazione assistita richiesta da una donna sola; d) la fecondazione assistita attuata dopo la morte di uno dei due coniugi; e) la fecondazione assistita richiesta da coppie che non forniscano garanzie adeguate di stabilità" (sito Web del Comitato nazionale per la Bioetica).

Circa un anno dopo, il 17 febbraio 1995, lo stesso Comitato pubblicò un altro documento sull'argomento, occupandosi soprattutto della tutela del nascituro: "Debole è il nascituro da pratiche di F.A. in quanto la sua debolezza è totale, è a lui che il diritto deve rivolgere la più attenta considerazione. Quel medesimo diritto alla salute che riconosciamo all'uomo e alla donna sterili, dobbiamo a fortiori riconoscerlo al nascituro: egli non solo ha il diritto alla tutela più piena della sua salute, ma ha il diritto a che le pratiche di F.A. che stanno a fondamento della sua nascita siano pratiche autenticamente sanitarie e non sperimentali; ha cioè il diritto a nascere con un patrimonio genetico non manipolato. E ancora ha il diritto a non veder lesi né incrinati, in virtù delle circostanze della sua nascita, i suoi diritti fondamentali di cittadinanza (come oggi si suole dire): anche al nato da F.A. il diritto deve riconoscere ciò che riconosce a ogni nato da fecondazione naturale, il diritto cioè ad essere accudito e educato da coloro che ne hanno voluto la nascita (e qui si colloca la questione della responsabilità del partner che abbia acconsentito a una F.A. eterologa nei confronti del nato) e il diritto di quest'ultimo di poter porre pubblicamente la questione della sua identità personale, di conoscere cioè il nome dei propri genitori genetici". A questo proposito, cioè quello della questione circa la conoscenza dell'identità dei genitori genetici da parte del nato da fecondazione artificiale, si può trovare interessante la seguente sentenza: "La domanda del figlio tesa a conoscere l'identità del donatore del seme utilizzato per la fecondazione artificiale della propria madre, e' inammissibile, per difetto di legittimazione passiva, se proposta nei confronti della madre e del marito di costei"(Tribunale Cremona, 17 febbraio 1994. Foro it. 1994,I,1576 Nuova Giur. Civ. Commen. 1994,I, 541).

Nella metà degli anni novanta, Guido Alpa, commentando il Manifesto di bioetica laica (Il Sole 24ore, giugno 1996), ribadì il ruolo fondamentale dei giuristi: ". [Essi] . non possono ignorare il dibattito che si sta svolgendo in tema di bioetica: il loro concorso è così determinante che si deve proprio a un giurista, Stefano Rodotà il merito di averlo importato e introdotto nel dibattito politico e giuridico, e ad altri giuristi si è affidato il compito di tradurre in regole le scelte fondamentali che costituiranno la base per i progetti legislativi in materia: Francesco D'Agostino, presidente del Comitato nazionale di bioetica; Francesco Donato Busnelli, presidente della Commissione di studio per la bioetica istituita dal ministero di Grazia e giustizia". Alpa prosegue poi, e ciò è molto interessante dal punto di vista squisitamente antropologico, soffermandosi sul sostrato dei valori sotteso all'attività del giurista: "Ora, il giurista, pur non potendosi spogliare del proprio mondo di valori, della propria gerarchia di valori, del proprio modo di pensare - che si riflette sulla definizione del testo normativo, quando è chiamato a redigerlo, oppure nella sua interpretazione, quando è chiamato a darvi significato e ad applicarlo alle fattispecie concrete - assolve un compito più arduo di quanto non sia quello assolto dai filosofi, dagli studiosi di etica eccetera . il giurista propone regole, applica regole, quindi si deve far carico non di un solo settore dell'aggregato sociale, non di una sola frangia, e nemmeno della sola maggioranza, perché le regole riguardano tutti i membri dell'aggregato sociale, sia quelli che condividono i valori della maggioranza, sia quelli che non li condividono. Il giurista quindi deve: a) identificare i valori della collettività; b) ricondurli alla legge fondamentale (la Costituzione); c) redigere regole che valgano per tutti; d) contemperare i valori della maggioranza con quelli della minoranza o con quelli individuali". Per quanto riguarda poi il problema della mediazione, per così dire, tra le varie, molteplici posizioni, egli afferma ancora: "Si dovrà trovare - in Parlamento - la graduatoria degli interessi, il componimento degli opposti interessi equipollenti, e il "giusto mezzo" tra le posizioni estreme. A esempio, un conto è l'uso commerciale dell'embrione, altro conto l'uso terapeutico; un conto è la sperimentazione di embrioni umani con animali, altro conto è la sperimentazione sull'embrione per prevenire o curare gravi anomalie fisiche che si convertirebbero in una tortura a vita per il nato; un conto è la fecondazione della nonna, altro conto la fecondazione della giovane nubile, e così via". Interessante il riferimento alla figura del giurista pluralista quando dice: "Il giurista deve rifuggire dalle suggestioni dello Stato etico, dello Stato totalitario, dello Stato confessionale, per essere un giurista pluralista, democratico, e rispettoso (non "tollerante") delle idee e dei valori altrui. Tutto ciò se è e vuole essere un buon giurista" (G. Alpa, Quanti statuti ha l'embrione?, commento al Manifesto di bioetica laica, 1996).



Scorrendo invece alcuni progetti di legge in materia di procreazione assistita, si nota un comune denominatore, forse ciò cui accennava Guido Alpa quando si riferiva ai valori della collettività: esistono, infatti, quelli che possono considerarsi valori o principi praticamente onnipresenti, per lo meno a livello legislativo-propositivo. Si possono rilevare nei seguenti progetti di legge alcuni concetti ricorrenti. Nel progetto di legge n.1140 si legge: "La procreazione medicalmente assistita è consentita, nel rispetto del diritto del nascituro, solo a coppie di persone di sesso diverso, entrambe viventi e unite in matrimonio ... "; nella proposta di legge n.3338: "che i richiedenti siano una coppia vivente, di sesso diverso, unita in matrimonio da almeno tre anni"; nel disegno di legge n.2963: " la fecondazione medicalmente assistita é consentita solo a coppie di persone di sesso diverso, entrambe viventi e unite in matrimonio, nelle quali la donna non abbia superato il quarantaseiesimo anno di età". Il comune denominatore dei lavori su citati è la totale esclusione, per esempio, delle coppie omosessuali dalle pratiche di fecondazione assistita. Eppure dalle coppie gay che richiedono la procreazione assistita viene affermata, oltre che la volontà personale e il diritto di avere un figlio, anche un'affettività parentale stabile ritenuta uguale o addirittura migliore del rapporto genitoriale tradizionale.

Tutte le questioni su citate si legano inevitabilmente ad altri argomenti altrettanto scottanti: la famiglia di fatto, l'adozione anche ai single e alle coppie omosessuali. Nelle proposte di legge precedentemente richiamate si è potuto notare un continuo riferimento al matrimonio quale altro presupposto prodromico, per esempio, alla fecondazione assistita. Di certo il diritto non può ignorare i cambiamenti che si verificano all'interno delle nostre società: da tempo esistono unioni omosessuali che spesso (e ciò dipende dalla normativa del paese di riferimento) vengono sancite anche dal punto di vista giuridico e/o religioso. Sempre più spesso si registrano famiglie unipersonali e molte famiglie di fatto: è impossibile non condurre un dibattito costruttivo anche su tali tipologie. Il legislatore, afferma G. Alpa, deve trovare in Parlamento la graduatoria degli interessi, il giusto mezzo: forse sarebbe utile, all'interno di un discorso pluralistico (giuridico, antropologico, sociologico), rivedere e riflettere oggi sul significato di graduatoria d'interessi. Quanto ancora si possa legiferare tenendo conto di questa gradazione valoriale è concetto da dibattere con attenzione. Essere rispettosi delle idee e dei valori altrui può voler dire anche affrontare le questioni considerate più delicate o forse estreme. Quanto poi l'omosessualità, la scelta "single" e la famiglia di fatto siano da considerare argomenti 'estremi' è tutto da vedere.

In alcune società tradizionali si registrano anche unioni tra viventi e defunti, matrimoni-fantasma con un individuo che ha lo stesso nome del coniuge morto, vedove che acquistano donne più giovani alle quali affidare il compito della procreazione, la prole delle quali risulterà discendente diretta del marito defunto. Pratiche tradizionali per le quali è interessante creare paralleli significativi con il moderno congelamento dello sperma (vedi anche la fecondazione post-mortem) o la locazione di utero.

E' assai probabile che il legislatore (si auspica in collaborazione anche con l'antropologo del diritto) molto presto dovrà affrontare questioni ritenute ancora marginali, improbabili, rare o addirittura assurde. Ciò che oggi si considera anomalo potrebbe non esserlo più già in un futuro prossimo: i gruppi sociali cambiano continuamente e così le loro scelte e i loro orientamenti culturali. 










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