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Il formarsi degli stati di massa e la nascita del regime fascista in Italia

architettura



Il formarsi degli stati di massa e la nascita del regime fascista in Italia


I problemi economici e sociali della ricostruzione e frustrazioni del dopoguerra.


I costi economici della guerra

Benché uscita vittoriosa dal conflitto, l'Italia cade in una profonda crisi economica, sociale e politica. Gli ingenti debiti contratti con gli Stati Uniti aggravano le numerose difficoltà economiche che il governo Orlando deve affrontare: il deficit delle finanze statali, il crollo della produzione industriale (gonfiato dalla guerra), il problema della riconversione produttiva (cioè il passaggio da un'economia di guerra a un'economia di pace), la disoccupazione e il conseguente aumento dell'emigrazione, la crisi finanziaria (scarso denaro in circolazione), che determina il progressivo aumento dei fallimenti di imprese. Il peggioramento dell'economia provoca una pesante inflazione, con la conseguente perdita di valore della moneta e di potere d'acquisto dei salari, che inasprisce i conflitti sociali.



Questi fattori contribuiscono a peggiorare le condizioni di vita dei lavoratori e inn 848j91i escano una fase di agitazioni, culminanti nell'occupazione delle fabbriche.




Delusione per la vittoria mutilata

A questi fattori di malcontento si unisce l'amarezza per quella che viene considerata una "vittoria mutilata", cioè priva dei vantaggi sperati a fronte dei sacrifici subiti (la guerra ha provocato 650.000 morti e 950.000 tra mutilati e feriti, per un totale di perdite pari al 39% delle forze mobilitate). Il risentimento viene esasperato anche dalla smobilitazione dei circa sei milioni di uomini chiamati alle armi, restati praticamente privi di prospettive di lavoro. Il rancore dei reduci, delusi anche per la mancata attuazione delle riforme promesse durante la guerra, prima tra tutte la riforma agraria, va così ad alimentare la conflittualità sociale.


Il partito popolare di ispirazione cattolica

E' proprio sulla rivendicazione di una riforma agraria che si accentra il programma del Partito Popolare Italiano, d'ispirazione cattolica, fondato nel 1919 dal sacerdote siciliano Luigi Sturzo, che mira a raccogliere i ceti medi agrari in funzione antisocialista e interclassista, facendosi inoltre portatore di proposte innovative (voto alle donne, riforma elettorale su base proporzionale e valorizzazione delle autonomie locali) e dell'idea di uno Stato laico e democratico, sganciato dal diretto controllo delle gerarchie ecclesiastiche. Scarsa attenzione viene invece riservata dal neonato partito alla questione operaia.


I contrasti all'interno del Partito Socialista

Nel frattempo il maggiore partito di massa dell'epoca, il Partito Socialista, passato da 40.000 iscritti nel 1914 a 87.000 nel 1919, si trova sempre più dilaniato dai dissidi interni. La linea riformista, guidata da Turati, si scontra con quella massimalista , guidata da Menotti Serrati, contraria a qualsiasi forma di compromesso con lo Stato borghese e decisa ad incoraggiare le agitazioni di massa ("ginnastica rivoluzionaria") in vista di un'imminente rivoluzione. Una terza linea, proposta da Bordiga, Gramsci e Togliatti, punta invece sul modello sovietico di un partito rivoluzionario capace di condurre al potere le grandi masse (dittatura del proletariato).


Tendenze autoritarie

Alla richiesta di maggiore democrazia fa riscontro un irrigidimento in senso autoritario dei corpi dello Stato (burocrazia, esercito, polizia, magistratura), che avevano rafforzato il proprio potere durante il conflitto e che ora si schierano con i ceti conservatori per impedire la partecipazione alla vita politica delle masse. Nel frattempo nel paese si ripropone lo scontro tra nazionalisti, esacerbati dalla "vittoria mutilata" e pronti a riprendere le armi per correggere gli accordi di Parigi (che avevano negato all'Italia il possesso di Fiume), e neutralisti, contrari a ogni forma di violenza. L'attivismo (la disposizione a ricorrere alla forza per risolvere i problemi) dei primi finisce per prevalere, assumendo modalità sempre più provocatorie e violente, in un clima in cui il nazionalismo irrazionalistico e le rivendicazioni sociali infiammano gli animi ed esasperano i conflitti.



L'emergere dell'attivismo fascista e la crisi dello Stato liberale


Il movimento fascista di Mussolini

Nel clima di rivolta sociale che caratterizza il dopoguerra, l'ex socialista Benito Mussolini fonda un nuovo movimento (23 marzo 1919), i Fasci di combattimento, che raccoglie gli scontenti di diverse aree sociali e politiche (nazionalisti, ex combattenti, anticlericali, repubblicani e giovani della media borghesia) sulla base di posizione ideologiche spesso contrastanti. Il programma del movimento, fissato nel corso di una riunione tenuta a Milano in un palazzo di piazza San Sepolcro nel 1919, prevede il rifiuto di ogni forma di imperialismo, l'instaurazione di una repubblica a base regionale e comunale, e la creazione di uno stato ispirato alle aspettative di riforma e ai valori dei ceti medio -bassi (suffragio universale, referendum popolare, abolizione del Senato, libertà di pensiero, di stampa, di religione, riforme economiche, fiscali e agrarie), in una prospettiva antiplutocratica (contro i ricchi) e antisocialista allo stesso tempo. Così le richieste di stampo progressista si affiancano a rivendicazioni di tipo reazionario e anarcoide, espresse con un esasperato attivismo, spesso sconfinante in atti di violenza (saccheggio e incendio della sede dell'"Avanti!" a Milano, aprile 1919).




Spedizione di Fiume

Questa confusa situazione viene aggravata dalla questione di Fiume, città che l'Italia intende annettere contro il volere di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. In seguito al compromesso, accettato dal nuovo governo guidato da Francesco Saverio Nitti, l'Italia deve evacuare la città. A tale accordo si ribella il poeta Gabriele d'Annunzio, che con un gruppo di nazionalisti marcia su Fiume, dove instaura un governo provvisorio (settembre 1919), proclamando l'annessione della città all'Italia.


Governo Giolitti

Le prime elezioni politiche del dopoguerra (novembre 1919), tenutesi con il sistema proporzionale introdotto da Nitti, sanciscono il successo dei socialisti e dei cattolici ed evidenziano la crisi della classe dirigente liberale. Nitti, salito al governo nel giugno 1919, si dimette nel giugno 1920; il re affida il nuovo governo a Giovanni Giolitti, più aperto alle rivendicazioni popolari.


Biennio Rosso

Le iniziative di risanamento di Giolitti non bastano però a frenare le lotte sociali, fomentate anche dall'esperienza rivoluzionaria russa. Si apre così una fase di scioperi e di sommosse, organizzate dai sindacati e dal partito socialista, che prende il nome di "biennio rosso" (1919 - 1921). Mentre nelle campagne, soprattutto nell'Emilia, si moltiplicano le occupazioni delle terre da parte di mezzadri e braccianti, nelle aree più industrializzate del nord (Torino- Milano -Genova) gli operai organizzano l'occupazione e l'autogestione delle fabbriche, che in alcuni casi vengono difese con le armi. Per evitare il pericolo di una guerra civile, Giolitti si oppone alla richiesta degli industriali di reprimere con la forza l'occupazione e cerca un accordo con i sindacati. Viene così raggiunta un'intesa tra industriali e sindacati, che prevede aumenti salariali e la futura partecipazione degli operai al controllo delle fabbriche (mai attuata). L'accordo lascia però tutti scontenti: gli industriali, costretti ad accettare l'ingerenza operaia sulle fabbriche, si sentono poco garantiti dal governo, mentre gli operai, impossibilitati a proseguire nell'autogestione, devono abbandonare la lotta, con la convinzione di aver perso l'opportunità di conquistare maggiore potere politico.




La politica estera di Giolitti

Uscito indebolito da questa vicenda, Giolitti recupera terreno in politica estera, con la firma del trattato di Rapallo (novembre 1920) tra Italia e Jugoslavia, per definire i rispettivi confini: all'Italia vengono assegnate Zara e le isole di Cherso, Lagosta e Pelagosa, mentre Fiume viene dichiarata "città libera". Per scacciare d'Annunzio dalla città, Giolitti deve ricorrere all'esercito. Dopo aver appoggiato l'impresa dannunziana , sostenuta con entusiasmo dai nazionalisti, Mussolini cambia atteggiamento e appoggia Giolitti, al fine di ottenere il favore della borghesia conservatrice, poco propensa ad accettare situazioni eversive.


Squadrismo fascista

E' sempre per conquistare il sostegno dei ceti reazionari che il movimento mussoliniano adotta un orientamento sempre più antisocialista e antidemocratici, intensificando le spedizioni punitive contro le sedi di partito, le cooperative e le leghe operaie, attuate dalle squadre d'azione fasciste, bande armate reclutate tra studenti, disoccupati e sottoproletari, che diventano lo strumento della reazione padronale (industriali, proprietari agrari) contro le agitazioni operaie e contadine. Con la loro simbologia militarista (camicie nere, indossate durante la guerra dagli "arditi" e dei "reparti d'assalto"), imperiale (fascio littorio, richiamo ai fasti dell'antica Roma), autoritaria e giustizialista (manganello), le squadre intendono rendere chiara la loro volontà di farsi giustizia da sé con l'intimidazione e i soprusi. Le violenze dei fascisti vengono alimentate da componenti ideologiche spesso contraddittorie, ma accomunate dalla volontà di affermarsi con la forza: il mito futurista della modernità, che si contrappone a tutto ciò che sa di vecchio e di tradizionale, il mito nazionalistico del risorgimento italiano, la retorica combattentistica, che considera la guerra una fucina di uomini nuovi, la vocazione eversiva del sindacalismo rivoluzionario, il rifiuto dei metodi e delle istituzioni dello Stato liberale e del parlamentarismo, considerati incapaci di sbarrare la strada ad una rivoluzione di tipo bolscevico. Pur registrando un chiaro insuccesso nelle elezioni del 1919, il movimento fascista cresce, passando dagli 870 iscritti della fine del 1919 ai 20.000 della fine del 1920.


L'escalation della violenza

Grazie all'aumento di consensi, il movimento fascista si sente autorizzato, anche per la mancanza di un intervento repressivo dello Stato liberale, ad inasprire le violenze antisocialiste: emblematico è l'episodio di Bologna, in cui nel novembre 1920 i fascisti sparano contro il neoeletto sindaco socialista. Si afferma così un'atmosfera di guerra civile, in cui i fascisti vengono lasciati liberi di agire, sotto la guida di capipopolo locali, come il bolognese Dino Grandi, il ferrarese Italo Balbo e il cremonese Roberto Farinacci. Gli appelli dei socialisti alla legalità cadono nel vuoto, in quanto il fascismo conquista il sostegno anche dei liberali e soprattutto degli organi dello Stato (prefetture, questure, esercito), e si avvia ad assumere una veste istituzionale.


Scissione del Psi e nascita del Partito comunista

Nel frattempo, all'interno del Partito socialista matura la scissione del gruppo di sinistra, guidato da Antonio Gramsci e Amedeo Bordiga, i quali in occasione del Congresso di Livorno danno vita al Partito comunista d'Italia (21 gennaio 1921), che aderisce alla Terza Internazionale, fondata nel 1919 e ispirata alla dottrina leninista. La divisione indebolisce il movimento contadino e operaio, riducendone la capacità di resistere alle violenze fasciste.




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