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Il Gotico - L'architettura gotica - L'architettura gotica in Italia

architettura



Il Gotico


Con il declino dell'Impero d'Oriente e il defluire dell'invasione musulmana, con il primo formarsi di culture nazionali nell'ambito del vasto mondo neolatino, si delineano i confini della cultura artistica gotica. Il centro di questa cultura è la Francia, ma accanto al gotico francese esistono, con caratteri proprii, il gotico tedesco e italiano. Non soltanto l'arte gotica riunisce e sviluppa i fermenti nuovi, che abbiamo visto formarsi nell'arte romanica, ma li organizza a sistema; e questo sistema ha un posto sicuro nel più vasto sistema del sapere.

È San Tommaso che costruisce il sistema poderoso e, per secoli, inattaccabile della filosofia e della cultura dell'Occidente. Rinuncia al principio platonico dell'idea, inconciliabile con la rivelazione cristiana; condanna il sincretismo arabo di platonismo e aristotelismo e, con esso, i legami che uniscono, malgrado la diversa fede religiosa, la cultura bizantina all'islamica; propone un ritorno alle fonti classiche autentiche, a quella somma del sapere antico che è Aristotele; dà come fondamento della cultura occidentale la razionalità di origine divina, che si vede nella natura creata e nella storia voluta da Dio, e che è anche guida della morale, cioè principio e modo di vita. Estendendosi a tutto il sapere, il sistema tomistico comprende anche l'arte: su di esso si costruisce la poetica di Dante, con esso si spiega, non solo sul piano dei significati allegorici ma anche della tecnica costruttiva, l'architettura gotica. Non è soltanto San Tommaso a mettere l'accento sul carattere pratico della vita religiosa. Gli ordini monastici (e altri se ne formano, importantissimi, come il francescano e il domenicano) escono nel mondo predicando pratiche ascetiche che insegnano a vivere e operare avendo di mira la salvezza finale. La stessa cavalleria è codice e prassi di vita vissuta al servizio degli altri, col fine della salvezza. L'artigianato e, al suo vertice, l'arte sono anch'essi modi di operare avendo come fine il valore meritorio, anche in senso religioso, dell'opera perfetta. È una finalità diversa da quella dei religiosi e dei signori, anzi tipicamente borghese. Il gotico è infatti il primo manifestarsi di una cultura non solo occidentale ed europea, ma "borghese" .



Ormai è chiaro che la tecnica, come modo di fare, non è che un aspetto del fare intenzionato e finalizzato, dell'etica; e il fare etico è guidato dalla ragione e dall'esperienza. È proprio nel periodo gotico che si comincia a "teorizzare" la tecnica dell'arte. Una tecnica finalizzata e quindi progressiva esclude la ripetizione, che non accresce l'esperienza e non fa progredire verso il fine: già la tecnologia romanica era progressiva, ma la tecnica gotica giunge fino a progettare il proprio progresso, le linee di coerenza secondo cui dovrà svolgersi. Questa della tecnologia è una prima grande distinzione tra Occidente e Oriente, anche sul piano sociologico. La tecnica orientale ha come fondamento l'archetipo, la tecnica occidentale il progetto: la progettazione è una tecnica dell'ideare, che precede, condiziona e dirige la tecnica del fare. Responsabile dell'ideare come del fare, l'artista è responsabile anche del significato ideologico dell'opera: il mosaicista bizantino eseguiva secondo l'ideologia della corte, del papa e d 313f52d el vescovo; Nicola Pisano o Giotto esprimono la propria ideologia religiosa e questa entra, come tale, nel quadro storico dell'ideologia dell'epoca.

Come tecnico di qualità eccezionalmente alta, l'artista non ha solo un rango, ma una propria funzione nella società. Lavora, certamente, per il sovrano o il pontefice o il s ignore; ma lo fa adempiendo a un mandato, che gli spetta in quanto artista. La sua opera può servire agli interessi della chiesa o del sovrano; ma serve in quanto è arte e del suo essere arte solo l'artista è responsabile. Poiché il cammino della storia è visto ora come superamento del passato, l'artista, operando nel proprio campo, aiuta la società a superare il passato; il vero maestro è quello che forma allievi capaci di superarlo: "Credette Cimabue ne la pintura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido". Il passato da superare è la cultura dommatica bizantina; superandola, gli artisti concorrono al processo di liberazione dal sistema teocratico bizantino e alla costituzione del nuovo sistema occidentale, europeo. Come tecnica progressiva, l'arte gotica è "moderna" . Questo attributo viene applicato all'arte, in Italia, già nel XIV secolo. È moderna e latina perché supera il greco e l'antico, cioè il bizantino. Ma altro è l'antico come valore scaduto, altro è l'antico come valore eterno, fuori del tempo. L'arte, come la vita, mira all'eterno, ma deve giungervi attraverso il tempo e l'esperienza del mondo. L'arte mira dunque, come proprio fine, ad un bello che San Tommaso definisce coi termini classici di armonia, ordine, simmetria; ma lo raggiunge solo attraverso l'esperienza del mondo, perché il bello non è che il segno di Dio nella creazione. Non è facile scorgerlo, perché l'occhio e la mente umani sono turbati dall'errore, dal peccato, dalle passioni; bisogna dunque superare gli errori mondani pur vivendo l'esperienza del mondo.

Dramma e catarsi sono perciò, come del resto aveva detto Aristotele, i due momenti dell'arte: l'esasperato contrasto delle forze in architettura, le più acerbe rappresentazioni del dolore in pittura e scultura hanno la loro catarsi nella ritmica delle linee e negli accordi del colore.


L'architettura gotica


Il sistema costruttivo gotico non è che lo sviluppo, fino alle ultime conseguenze, della struttura romanica a volta e dell'equilibrio di spinte e controspinte. Portare un sistema costruttivo alle ultime conseguenze significa svilupparne logicamente tutte le possibilità. Indubbiamente l'architettura gotica vuole sviluppare ed esibire il progresso di una tecnica, che è ormai considerata uno dei massimi valori della cultura: il suo virtuosismo è dunque un carattere positivo.

L'architettura gotica è inconcepibile al di fuori del quadro della nuova realtà urbana. Col crescere della ricchezza e della capacità di produrla, cresce la popolazione urbana; le officine artigiane si moltiplicano; il congegno del commercio si fa sempre più complesso. Ogni comunità urbana tende a specializzare e qualificare la propria produzione, a migliorare e far conoscere le proprie tecniche. Si comincia a curare e disciplinare l'aspetto delle città, ora più frequentate dai forestieri. Al centro è sempre la cattedrale, altissima tra le basse abitazioni civili: più che "monumento" vuol essere "meraviglia" , portento. Dà la misura delle capacità tecniche, della ricchezza, della cultura della comunità: le sue guglie altissime appaiono di lontano al viaggiatore, come il faro ai naviganti. Il palazzo comunale appare spesso come un'architettura munita: ciò che può avere, con una ragion pratica, un senso simbolico. Le case delle grandi famiglie sono spesso a torre, perché le fazioni sono sempre in lotta tra loro. Anche quando, all'origine, v'è un tracciato romano a scacchiera, la città medievale sovrappone il proprio, più irregolare e più vario: strade raramente diritte, aderenti alla natura e alla pendenza del terreno, con incroci e sbocchi spesso dettati dall'esigenza di smistare il traffico senza farlo passare per il centro. Le mura diventano, anch'esse, un organismo complesso, e non soltanto perché più complessi sono i mezzi di offesa: hanno bastioni sporgenti e rientranti, cammini di ronda, sporti, ridotte, casseri, torri. E sono congegnate in rapporto all'andamento delle strade cittadine, alla distribuzione delle porte. Il loro scopo è di difendere la città e di proteggere dall'alto il vicino contado, assicurando le comunicazioni anche in caso di assedio. Al nemico che si avvicina debbono incutere timore, presentarsi come inespugnabili. I dipinti che ci danno immagini di città le raffigurano sempre con questi elementi rappresentativi: le mura merlate, le porte e, al di là, la cattedrale.

Già in alcune chiese francesi della fine del XII secolo v'è un notevole sviluppo in altezza che permette di illuminare la navata con finestre laterali, che diradano la penombra delle volte. In un gruppo di chiese costruite nella Ile-de-France nella seconda metà del XII secolo, il sistema gotico si precisa in un periodo relativamente breve. Nella volta a crociera si accentuano le linee di forza, che prendono risalto come costoloni o nervature di pietra, mentre le sezioni triangolari così determinate diventano semplici veli di copertura. Rielaborando esempi moreschi, gli archi trasversali e quelli delle campate prendono forma acuta o ogivale, ciò che accresce l'altezza permettendo di variare l'ampiezza. L'arco acuto è formato da due archi a tutto sesto che si intersecano. Poiché la curva dell'arco è conduttrice di pesi che vengono scaricati sui pilastri, nel punto d'incontro le forze si urtano e neutralizzano. Se l'architettura romanica era fondata sull'equilibrio statico di peso (dall'alto) e spinta (dal basso), la gotica si fonda sul contrasto dinamico di spinte e controspinte e l'urto avviene nel punto più alto, al vertice dell'arco acuto. Le forze di gravità, tendenti al basso, vengono così espresse con forme tendenti all'alto. Siccome un arco acuto può essere più o meno aperto, le campate corrispondenti a una volta ogivale sono rettangolari: ciò che permette di modulare il rapporto proporzionale tra la navata maggiore e le minori. La concentrazione delle forze nelle nervature riduce la volta a un incrocio di linee di forza; per conseguenza anche il pilastro viene scarnificato, ridotto a un fascio di elementi in tensione. Condensandosi tutto il gioco delle forze nei pilastri, i muri perdono ogni funzione portante e, praticamente, scompaiono, sostituiti da immense finestre con vetrate colorate e figurate. Le volte ogivali esercitano forti spinte laterali: all'interno, queste vengono neutralizzate da quelle, di direzione opposta, delle volte contigue; all'esterno, grandi archi rampanti neutralizzano le spinte incidenti sul perimetro. L'arco rampante è un semi-arco poggiato su un piedritto distante dalla parete quanto è necessario per dare al braccio di leva la lunghezza necessaria. Spesso vi sono due ordini di archi rampanti, per reagire alle spinte degli archi delle navate laterali e della centrale. Poiché tutte le direttrici di forza tendono all'alto, la cattedrale gotica appare, all'interno, come un grande spazio molto sviluppato in altezza, percorso da agili piloni a fascio, che formano una prospettiva anche "verticale" , il cui punto di fuga è la chiave di volta. All'esterno, appare come una complessa struttura ancorata al suolo dai tiranti degli archi rampanti, che formano piani perpendicolari ai muri perimetrali, disposti a raggiera intorno alle absidi. A questa espansione in larghezza corrisponde, in altezza, la selva delle guglie, delle cuspidi, dei pinnacoli, che raccolgono e scaricano nello spazio aperto le tensioni delle forze ascensionali.

La decorazione è generalmente fitta, frastagliata, collegata con le linee di forza dell'edificio: quasi a suggerire che le grandi forze del sistema costruttivo, a imitazione delle grandi forze cosmiche, terminano nell'infinita varietà delle forme naturali. Anche per questa decorazione si è accesa, tra i religiosi del tempo, una vivace polemica. La tesi della bellezza nuda, essenziale, intrinseca alla logica delle proporzioni è sostenuta dagli ordini monastici, specialmente dei cistercensi. Le chiese abbaziali sono infatti quasi disadorne; le cattedrali, le chiese vescovili, fatte per una comunità che vive nel mondo e deve salvarsi attraverso l'esperienza mondana, sono invece cariche di ornati, che per lo più evocano aspetti della natura, animali o vegetali. Il sistema dottrinale, la struttura sono tuttavia gli stessi: non muta l'idea fondamentale del bello proporzionale, ciò che muta e di cui si discute è il modo di manifestarlo.


L'architettura gotica in Italia


Il gotico italiano appare più moderato, meno drammaticamente teso del francese e del tedesco: ciò che ha indotto qualche studioso a considerarlo una versione dipendente e attenuata. Non è così: come vedremo, il gotico italiano, nelle sue manifestazioni diverse da regione a regione, è soltanto una diversa, ma pienamente motivata, interpretazione del sistema. Rientra quindi, di pieno diritto, in una cultura che, ponendosi come cultura occidentale, è l'espressione complessiva delle diverse tradizioni culturali che la compongono.

Un filone unitario, che diffonde in quasi tutta la penisola le strutture gotiche, è costituito dalle abbazie cistercensi: ve ne sono in Piemonte, Lombardia, Emilia, Marche, Toscana, Lazio, Campania. Il tipo del monastero e della chiesa cistercense è fissato dalle regole dell'ordine: intorno alla chiesa, v'è un insieme funzionale di chiostri, sale capitolari, dimore, foresterie, laboratori etc. Le due abbazie di Fossanova e Casamari, dei primissimi anni del secolo XIII, sono perfetti esempi del tipo. La funzionalità determina anzitutto la planimetria: il coro dei monaci, profondo e rettangolare, prolunga la navata al di là dell'altare e, poiché il transetto ha lunghe braccia, chiarissimo risulta, come forma simbolica e volumetrica, lo schema a croce latina. Le navate minori sono molto più basse ed oscure della maggiore, illuminata da finestre laterali e dai rosoni della fronte e dell'abside; la disparità delle altezze è accentuata dal fatto che i sostegni dei grandi archi trasversali non partono da terra, ma si innestano a sbalzo, con mensole semiconiche, sui pilastri. Risultano così distinti, benché collegati, due sistemi di forze: uno di equilibrio, che scarica i pesi mediante i pilastri, ed uno di spinta che, innestandosi sul primo, tende all'alto e si conclude nelle ogive degli archi trasversali.

L'incrocio di navate e transetto forma un nitido incastro di volumi ortogonali; il dislivello tra l'alto corpo della navata mediana e le navatelle è tale che queste appaiono come elementi di spinta a rinfianco del maggior corpo saliente. Gli stessi contrafforti, assai pronunciati, ribadiscono la forte geometria dei volumi e li legano, come le alette o i denti di un ingranaggio, allo spazio aperto; in facciata, equilibrano prospetticamente il vuoto rotondo del rosone. Sull'incrocio si innalza, quasi perno di un'immaginaria rotazione, il tiburio ottagonale, la cui massa è alleggerita da due file di bifore. La spinta ascensionale non è espressa da un esplicito verticalismo di elementi in tensione: ciò che si vuole esprimere non è l'aspirazione dell'anima all'alto e all'infinito, ma la certezza di una dottrina per cui il mondo è un sistema di forze contrastanti, la cui risultante ultima è l'ascesa.

Il primo artista che passa dall'equilibrio romanico alla spinta gotica è, in Italia, BENEDETTO ANTELAMI, di cui il Francovich ha ricostruito l'opera intrecciata di architetto e scultore. Lavora in Emilia e poi a Vercelli, tra la fine del XII e il principio del XIII secolo, associando senza compromesso, con sottile dialettica, la tradizione lombarda, da cui proviene, e l'esperienza certamente diretta dell'arte francese: provenzale dapprima, seguendo la tendenza già diffusa in Emilia, e poi delle grandi cattedrali della Ile-de-France. Dal duomo di Fidenza, il cui linearismo condensa in una plastica più strutturalmente intensa l'immagine spaziale delle cattedrali di Modena e di Parma, l'Antelami giunge, nella chiesa abbaziale di Sant'Andrea a Vercelli (fondata nel 1219) a riassorbire tutta la cultura costruttiva romanica nella più sottile dottrina gotica. Tra queste due opere, il battistero di Parma (1196-1216), uno dei capolavori più alti dell'architettura gotica italiana. La pianta ottagonale non è nuova, ma è nuova l'immagine architettonica, la correlazione ideale, prima che visiva, tra esterno e interno. Non è nuovo lo scavo profondo dei portali per svuotare la massa alla base e librarla nello spazio, ma è nuovo il tema delle grandi arcate profilate sul piano ad esprimere linearmente una profondità inesistente. Non è nuova la successione di loggette in più ordini, ma qui sono architravate, inscritte rigorosamente nel piano definito dai semplici pilastri angolari. Osserva il Francovich che il "classico" giunge all'Antelami dall'arte provenzale e dal suo legame profondo con l'arte romana di provincia: questo classicismo indiretto impronta tutta la costruzione, la fa assomigliare agli immaginari monumenti romani che si vedono nelle miniature. Infatti il motivo romanico della massa svuotata si ricompone come volume nel telaio rigido, ma questo equilibrio classico raggiunge un effetto "gotico" perché elimina la parete e vi sostituisce il ritmo luministico delle colonnine bianche ripetute sulla penombra delle logge. Solo al sommo la parete riaffiora al livello delle colonnine, chiudendo la massa dell'edificio con una striscia luminosa. La spazialità gotica, interpretata nel suo significato più profondo, si realizza direttamente in immagine, senza mettere in gioco alcuna meccanica di forze.

I lati dell'ottagono non sono tutti uguali; la leggera diversità suggerisce, più che una rigorosa centralità, una veduta progressiva e avvolgente, lungo le superfici dei lati. Le pareti sono un diaframma tra interno ed esterno. Ad ogni lato dell'esterno ne corrispondono due nell'interno, che ha così sedici lati incavati a nicchia, salvo quelli occupati dall'abside e dai portali. Ogni nicchia è fiancheggiata da due colonne. La larghezza e la profondità delle nicchie, l'altezza degli archi non sono uniformi; ma grandezze uguali si corrispondono simmetricamente rispetto all'asse ingresso-altare. Chi lo percorra, ha ai lati due superfici curve modulate in grandezze diverse. L'apparente irregolarità è dunque il risultato di un calcolo di valori: la simmetria centrale si sviluppa secondo un asse longitudinale in un seguito di curve modulate. Dai capitelli delle colonne partono colonnine esili, altissime, la cui linea s'incurva a formare le nervature della cupola ogivale, al di là di una doppia fila di logge architravate come quelle dell'esterno. Si ha così un grande spazio vuoto, modulato soltanto dalla qualità plastica delle superfici che lo limitano.

Prima di cominciare, nel 1219, la chiesa di Sant'Andrea a Vercelli, l'Antelami vide le cattedrali dell'Ile-de-France: non si lasciò incantare dal miracolo tecnico, ma imparò che le membrature architettoniche possono ridursi alla sottigliezza di una linea scritta senza perder nulla della loro energia. La facciata di Sant'Andrea, serrata tra due torri, sembra sottile come un telo teso tra la profondità dei tre portali e delle loggette e il risalto dei fasci di colonnine esili, quasi filiformi. Ma ciò che dà al piano quella tenuità di velo non è tanto il vuoto e il risalto, quanto la misura e la scrittura perfetta degli archi e, in alto, degli archetti, la purezza lineare delle colonnine, la perfetta sintesi del frontone triangolare, la posizione del rosone all'incrocio delle diagonali. È un puro tracciato proporzionale, lucido come un teorema e tuttavia pieno di contenuta tensione: o come una verità logica intuita nell'estasi.

Se, nella cattedrale di Ferrara, un apparato decorativo gotico si sovrappone a una struttura romanica, senza trovare il punto di fusione, questo è raggiunto, per altra via, da MARCO DA BRESCIA, nella chiesa di San Francesco a Bologna (XIII secolo): distinguendo con chiarezza il sistema dei pesi e quello delle spinte, coordinandoli nei pilastri poligonali, sviluppando l'abside con un deambulatorio e una serie di cappelle a raggiera a cui corrispondono, all'esterno, archi rampanti disposti come le stecche di un ventaglio.

Quasi nello stesso tempo, nella basilica di Sant'Antonio a Padova, il linearismo gotico definisce i termini di un'immagine spaziale ancora bizantina, dedotta dal San Marco di Venezia. Domina l'edificio la ripetizione dei volumi sferici delle cupole, ma queste sono portate in alto dai tamburi cilindrici; i contrafforti sono sviluppati come archi rampanti, ma scandiscono lo spazio con i loro piani paralleli; la profondità della facciata è ridotta a due piani paralleli e vicini, quello frontale e quello arretrato, nel vano degli arconi. Ad Aquileia forme gotiche si innestano su una composizione preesistente, paleocristiana; a Verona, in Sant'Anastasia (fine del XIII-inizi del XIV secolo), l'antico schema basilicale è trasposto in una scala dimensionale gotica. Venezia, nel Duecento, comincia a spostare i suoi interessi figurativi verso il nord, nello slancio ascensionale del gotico scorgendo soprattutto la possibilità di sviluppare anche in altezza la spazialità bizantina. Nel grande vano arioso di Santa Maria Gloriosa dei Frari (XIV secolo) o in quello, più slanciato, dei Santi Giovanni e Paolo (XIV secolo), lo spazio è costruito per piani paralleli e ortogonali più che per masse: le travi che incatenano la struttura per darle saldezza ne segnano, come tratti di penna, le coordinate.


L'Italia centrale - L'Ordine francescano comincia a costruire la propria chiesa in Assisi nel 1228, due anni dopo la morte di San Francesco. È la chiesa di un ordine che predica la povertà e del proprio fondatore esalta, più che la dottrina, la virtù "eroica" della vita vissuta da perfetto cristiano. La memoria del santo è già oggetto di culto popolare; ma il pellegrinaggio alla sua tomba deve essere un atto da devozione attiva, un gran passo sulla via della vera vita cristiana e della salvezza. Il popolo che accorre in folla a venerare il sepolcro del santo, deve anche, dalla voce dei suoi confratelli e discepoli, sentirne raccontare e magnificare la vita esemplare, vederla svolgersi lì, nei luoghi stessi dove, poco prima, realmente si svolse. Il miglior modo di fare un edificio che rispondesse funzionalmente a queste nuove esigenze religiose era: 1) trasformare la cripta in una vera e propria chiesa, così grande da permettere la visita di masse di pellegrini alla tomba; 2) concepire la cripta con la tomba, e dunque con la persona del santo, come il fondamento ideale dell'Ordine e della sua chiesa; 3) dall'omaggio passare all'esempio, raccogliendo i pellegrini in un luogo dove potessero udire e vedere la storia della vita del santo. La basilica di San Francesco è quindi formata da due costruzioni sovrapposte: l'inferiore è cripta ma è anche chiesa con cappelle ed altari; sostiene idealmente ma anche materialmente la chiesa superiore (dove, e non è un caso, Giotto dipingerà San Francesco che sostiene sulle spalle la Chiesa romana) ed infatti la grandezza dei contrafforti cilindrici vuole significare che l'Ordine si fonda sulla persona del suo fondatore; 4) la chiesa superiore è uno spazio quant'è possibile aperto, dove file e file di fedeli possono, girando tutt'intorno, vedere i fatti miracolosi della vita del santo dipinti sulle pareti. La chiesa superiore, infatti, non è altro che una grande aula molto luminosa in cui si è voluto evitare perfino l'ingombro dei pilastri, ritirandoli e appoggiandoli sulle pareti e coprendo tutto lo spazio con amplissime volte.

Il pensiero religioso del tempo, e specialmente nella sua forma francescana, non separa la funzione ideologica dalla pratica; qui ciò ch'è simbolo o idea si esprime direttamente e non per traslato nelle forme visibili e praticabili. La chiesa inferiore è uno spazio basso, compresso nello sforzo di portare sui suoi grossi pilastri e sulle sue volte larghe e ribassate la chiesa superiore, che è invece libera, espansa, senza apparenti problemi di forze portanti; e poiché è, idealmente, il terreno che contiene il seme da cui sorge la pianta dell'Ordine, il suo spazio è chiuso ed oscuro quant'è aperto e luminoso quello della superiore. Questa non è solo uno spazio vasto, libero, chiaro; è, idealmente, il mondo, tutto lo spazio. Gli archi trasversali, immensi, sono i suoi orizzonti; ne hanno l'ampiezza, la capienza, la totalità. E la loro forma ogivale è appena accennata, quasi a indicare che l'esperienza piena del mondo non può non avere la punta verso l'alto, il cielo. Ma il cielo stesso è implicato nelle vaste volte: in un primo momento lo si concepì per simboli e immagini, come nelle prime volte dipinte; poi si mutò proposito e parve più consono alla dottrina dell'Ordine fingere nelle vele il cielo vero, turchino tempestato di stelle. Il vano è sicuramente concepito, fin dal primo progetto, per essere interamente coperto di affreschi: le grandi finestre laterali non sono fatte soltanto per diradare la penombra delle volte ma per illuminare in pieno la parete di fronte. E le pareti sono divise in due piani: il superiore, dove sono le finestre, è leggermente arretrato rispetto all'inferiore. Nel superiore, dove anche l'apertura luminosa delle finestre attenua la visibilità, sono storie antiche, del Vecchio Testamento: le premesse remote. Nell'inferiore, alla fine del secolo, Giotto dipingerà (immaginandole in uno spazio vicinissimo, che continua quello della chiesa) le storie di San Francesco. Era, questo, un argomento di tutta attualità, come sarebbe oggi rappresentare fatti della guerra mondiale; vicini da esserne i testimoni, ma nello stesso tempo collegati, dall'immagine unitaria di spazio e di tempo della struttura architettonica, ai remotissimi fatti dell'antico e del nuovo Testamento. La storia francescana ha radici profonde, ma è storia moderna.

Un'architettura fatta perché le sue pareti siano lo schermo, la pagina viva della storia è un'architettura il cui spazio è dato per universale, ma le cui dimensioni sono dettate dalla distanza di lettura delle superfici dipinte: una relazione proporzionale, dunque, benché non più astrattamente calcolata coi numeri perfetti, ma sulle esigenze, le possibilità dell'occhio. Una proporzionalità, insomma, visibile e abitabile, trasportata nella vita, data all'esperienza. La basilica assisiate non rimane un fatto isolato: la sua concezione, nuovissima anche rispetto al gotico d'oltralpe (benché vi fossero già chiese ad aule, come la Sainte-Chapelle a Parigi), influenza d'ora in poi l'architettura monastica, specialmente se di ordini di predicatori, come i francescani e i domenicani. La pianta a T, con la navata ad aula, affrescata, si ritroverà infatti nelle chiese di San Francesco e di San Domenico a Siena.

Se la chiesa assisiate rinnova il tipo della chiesa conventuale, il duomo di Siena (iniziato verso il 1230) istituisce un tipo fondamentale di chiesa cattedrale. Nel 1264 se ne voltava la cupola; ma poi la chiesa fu tutta rimaneggiata: nella navata mediana, che fu rialzata e illuminata da trifore; nella facciata a cui aveva lavorato Giovanni Pisano, nel coro; nel tentativo ambizioso, e fallito, di ampliarla riducendo le navate esistenti a braccio di croce di una chiesa molto più grande. Anche nel senese era giunta, con l'abbazia di San Galgano, l'architettura cistercense; ma il tema spaziale che viene ripreso e rielaborato nel duomo è quello, romanico, della cattedrale di Pisa. Oltre all'ampiezza degli spazi relativi della navata maggiore e delle minori, il motivo dominante è il colore: il rivestimento dicromo, di fasce orizzontali, che invade anche gli elementi plastici portanti, i pilastri. È un motivo araldico (la "balzana" senese) e certo allude al carattere "civico" del monumento, e non nuovo, perché lo si ritrova a Pisa; ma qui l'alternativa di strisce chiare e scure è anche la determinante cromatica dello spazio visivo. I corsi orizzontali bianchi e neri rallentano la corsa dell'occhio lungo i pilastri, contrappongono alla loro verticalità un ritmo alternato e ondulante, riempiono tutto lo spazio con la vibrazione luminosa prodotta dal continuo passare dal bianco al nero. Così i pilastri, che sorreggono archi a tutto sesto, non appaiono più come organismi in tensione, ma come gli elementi di una verticalità combinata all'orizzontalità dei corsi bianchi e neri: costituiscono le direttrici verticali e lineari in uno spazio essenzialmente coloristico-luminoso. Siena ghibellina è profondamente legata alla tradizione "imperiale" dell'arte bizantina: il suo gotico è, in sostanza, null'altro che la determinazione grafica, l'animazione lineare del colorismo diffuso, della spazialità indefinita di quella tradizione. Lo stesso concetto spaziale è espresso nel duomo di Orvieto, cominciato nel 1290 forse da FRA BEVIGNATE DA PERUGIA, risalendo più addietro nel recupero di una spazialità antica: al puro schema basilicale, con archi a tutto sesto e copertura a tetto. Ma è gotica la scala dei valori, l'altezza della navata, l'apertura degli archi. Il rapporto linea-colore si semplifica e chiarisce: i pilastri non sono articolati ma cilindrici come colonne; l'intradosso degli archi è arrotondato perché lo spigolo non interrompa la continuità delle fasce dicrome; il cornicione orizzontale che percorre tutta la navata precisa il carattere costruttivo e non solo di tegumento delle strisce colorate. La facciata è interiormente impostata sul triangolo: sintesi logica delle orizzontali e delle verticali.

Un'altra originale immagine dello spazio gotico italiano è quella che GIOVANNI DI SIMONE concepisce, nel 1278, per il camposanto di Pisa. Alla radice è la tipologia del chiostro, un portico tutt'intorno ad uno spazio aperto: ed evidente è il motivo ideologico della scelta, il paragone della comunità degli eletti alla comunità monastica e del camposanto al luogo del riposo meditativo. Ma alludono ad un altro spazio, non terreno, le arcate altissime, a tutto sesto, che con la loro forma plastica collegano la zona di luce diffusa del portico con quella di luce viva dello spazio aperto. Il rapporto è così libero e audace che, nel XV secolo, si cercò di mitigarlo tessendo nelle aperture degli archi un diaframma di colonnine.

Come San Francesco ad Assisi è l'immagine dell'ideologia francescana, Santa Maria Novella a Firenze è l'immagine dell'ideologia domenicana: e domenicani sono i costruttori che l'idearono nel 1278, FRA SISTO e FRA RISTORO. L'Ordine domenicano è il depositario della dottrina di San Tommaso, che vuole realizzato in terra l'ordine razionale e gerarchico del pensiero creativo di Dio. Nella chiesa di Santa Maria Novella la chiarezza del sistema si traduce in chiarezza proporzionale e in concreta immagine di spazio. È una chiesa grande e disadorna, di materiali umili: pilastri e nervature di pietra serena grigia, pareti e volte intonacate bianche, pavimento rosso di cotto. Non per amore della povertà, ma della chiarezza: ogni elemento deve valere, non per se stesso, ma per ciò che manifesta, per il significato che ha nel sistema. Lo spazio è vasto: vuol essere, non già l'immagine dell'infinito o dell'aspirazione dell'anima all'infinito, ma la rappresentazione che la mente umana, finita, può farsi dello spazio infinito. Ogni elemento, ogni segno deve dunque situarsi al limite; indicare il termine ideale da cui la mente umana, nella sua finitezza, arriva tuttavia a concepire l'infinito, il divino. Questo spiega la ricerca della gittata massima degli archi, dell'ampiezza massima delle campate; spiega anche la forma dei pilastri, simbolica nella sezione a croce e nella composizione a fusti di colonne, perfettamente logica rispetto all'incidenza delle forze. Le volte sono illuminate da finestre tonde; gli archi larghissimi consentono la veduta simultanea delle tre navate e anche le minori sono illuminate da proprie sorgenti: nel sistema tutto dev'essere ugualmente chiaro. L'equilibrio del sistema è dato dal fatto che gli stessi elementi di sostegno diventano elementi di spinta: infatti la pianta dei pilastri è perfettamente simmetrica. Le forze sono equilibrate nell'atto stesso del loro definirsi; e nessuno sforzo o tensione è apparente, perché lo sforzo e la tensione sono a priori risolti in un pensiero che, pensando la razionalità di Dio, è insieme logica rigorosa e contemplazione mistica.

Al grande scultore ARNOLFO DI CAMBIO si attribuisce con fondati motivi la basilica di Santa Croce a Firenze, iniziata nel 1295 per l'Ordine francescano. Lo sviluppo del coro, con cinque cappelle per parte, è probabilmente in relazione con lo schema a T delle grandi chiese conventuali a navata unica: le navate, però, sono tre, con archi ogivali a grande apertura e pilastri a sezione poligonale. Gli archi sono più acuti e più fortemente incorniciati che in Santa Maria Novella; le pareti fanno sentire il loro spessore e l'insistenza sugli archi è sottolineata dal cornicione orizzontale. La copertura è a capriate, sicché lo spazio si presenta come un volume chiuso in cui i valori si equilibrano per simmetria più che per giunti di forza. È uno spazio in cui nulla si dirada, tutto si addensa, si definisce plasticamente: ed è proprio questa plasticità che giustifica il riferimento dell'opera a uno scultore come Arnolfo.

Certamente di lui è il progetto, poi alterato anche nelle dimensioni e nella planimetria, della cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, iniziata nel 1296: un audace progetto, perché innesta allo schema longitudinale delle navate un ampio corpo a sistema centrale, riunendo transetto e presbiterio in un organismo trilobato, con cinque cappelle radiali in ogni lobo e, al centro, un vano ottagonale a cupola. È chiaro il riferimento al motivo francese delle cappelle a raggiera, ma ricondotto all'equilibrio simmetrico della centralità. Il raccordo tra il corpo longitudinale e il centrale e il coordinamento dei tre lobi all'ottagono non è risolto mediante la fusione e l'articolazione di masse murarie e atmosferiche: tutto si riduce a una compos izione di volumi e dei piani che li delimitano. L'ottagono centrale ha sei lati aperti e due chiusi, che si presentano, rispetto all'asse delle navate, come piani obliqui: con effetto di scorcio sfuggente non dissimile da quello a cui Arnolfo ricorre per intensificare il movimento volumetrico delle sue sculture: la struttura delle pareti è simile a quella di Santa Croce, ma poiché la copertura è a volte, i pilastri sono organismi più complessi, collegati con tutte le imposte degli archi; la cornice molto sporgente, a mensole, segna una profonda cesura là dove dallo spazio lateralmente espanso nelle navate e articolato dai pilastri si passa alla salita libera delle volte piene di luce. Arnolfo architetto, come vedremo parlando della sua scultura, è un artista dotato di una vasta cultura classica, maturata anche da una lunga permanenza a Roma, ma aperto verso tutte le possibilità del "moderno" , del gotico. Coerentemente alla sua cultura, in Santa Croce, chiesa conventuale, rievoca il tema compositivo paleocristiano; in Santa Maria del Fiore, la cattedrale del "comune nuovo" , sviluppa una spazialità e una strutturalità più "gotiche" o "moderne" .

L'architettura civile - L'argomento richiede una breve trattazione a parte. L'architettura religiosa, almeno nei suoi esemplari più alti, ha un valore di sistema; è la forma visibile dello spazio nel quadro di una dottrina, anzi di più correnti dottrinali. È una forma ideale che, però, si rifrange sull'esistenza quotidiana, orientandola. Nel periodo gotico si forma una vera e propria tipologia edilizia, corrispondente alle esigenze di una società sempre differenziata nelle sue attività. Il palazzo dell'amministrazione pubblica assume un'importanza appena inferiore a quella della cattedrale: conserva generalmente, forse più per motivi emblematici che pratici, elementi della fortificazione (merli, cammini di ronda, etc.), ma le pareti hanno ampie finestre corrispondenti a sale di riunione o di rappresentanza, spesso loggiati al piano terreno. Rientra in questa tipologia, con il Broletto di Como (1215), con il palazzo pubblico di Piacenza (iniziato nel 1280) e molti altri, il palazzo ducale di Venezia (terminato verso il 1400): immenso blocco, che tuttavia esprime la leggerezza della costruzione, fondata nella laguna, nel loggiato di base, nella loggia aerea per gli intagli in "gotico fiorito" , nella cortina rosea del muro, interrotta da grandi finestre, nella merlatura di coronamento, ridotta a una trina bianca, trasparente. È diverso, a Firenze, il palazzo della Signoria, ideato da ARNOLFO verso il 1300 come un blocco squadrato, chiuso in alto da una galleria di guardia sporgente e merlata, e sormontato da un'alta torre, che riprende nella gabbia di vedetta il motivo terminale del palazzo. A Siena, invece, il palazzo pubblico (iniziato nel 1298) si sviluppa tutto in superficie, inarcandosi per seguire la curva della piazza concava come un gran bacile; ed ha due ordini di finissime trifore. La torre esile e altissima (finita verso il 1350) solca il cielo con la sua linea retta, accentuando per contrasto lo sviluppo orizzontale e in superficie del palazzo. Alle forme dei palazzi pubblici si accostano quelle dei palazzi delle grandi famiglie, dapprima chiusi come fortilizi, poi sempre più aperti, con ordini di ornate finestre, verso la via. Altri palazzi, soprattutto in Toscana, sono destinati ad alte magistrature cittadine, ripetendo con qualche variante il tipo del palazzo pubblico. Altri edifici pubblici sono le logge mercantili (la loggia della Signoria, e quella del Bigallo a Firenze), le sedi delle arti, le fontane (per esempio la fontana di piazza, a Perugia, di NICOLA e GIOVANNI Pisano, del 1278).

L'Italia meridionale - Nell'Italia meridionale lo stesso rapporto tra un elemento nuovo, importato, e una base tradizionale si pone in termini diversi da quelli che abbiamo notato per l'Italia settentrionale e centrale. La tradizione di base è orientale, bizantina, con influenze arabe; l'elemento nordico, col favore della dominazione prima normanna, poi degli imperatori Staufer, infine angioina, si fonde con esiti tutti particolari. A differenza del resto della penisola, non è la città come libero comune il fondamento della spazialità architettonica; sia pure in presenza di forti tendenze centrifughe, l'organizzazione statale è forte, come in Francia e in Inghilterra, basata sul potere regio: al posto della cattedrale o del palazzo pubblico come autorappresentazione della comunità, la chiesa o l'edificio civile sono dimostrazione del potere centrale.

In chiave di recupero dell'autorità imperiale va letto il programmatico classicismo di Federico II. La porta di Capua segna il confine tra il regno e lo Stato della Chiesa: il richiamo ai modelli antichi - mai dimenticati in Campania - assume valenza politica, rivendicando all'impero laico tutta la tradizione della cultura classica. Ma la cultura della corte federiciana non è solo una rinascita antichizzante: come nella contemporanea lirica siciliana in volgare, nasce un nuovo linguaggio, si elaborano nuovi modelli che alla metà del secolo si diffondono in Italia centrale, soprattutto in Toscana.

Nel crogiuolo si fondono oltre al classicismo anche il razionalismo e la scienza araba, di cui Federico è appassionato cultore, e la modernità gotica espressione delle monarchie europee.

Nel ritratto dell'imperatore, a Barletta, il linearismo gotico reinterpreta l'antico ritratto imperiale; nelle miniature del De Arte Venandi o del De Balneis Puteolanis il naturalismo, e l'attenzione al dato reale riporta all'interesse dell'imperatore per la diretta sperimentazione del reale, alla sua volontà di conoscere "ea quae sunt sic ut sunt" .

Rigorosamente come in un teorema matematico, si sviluppa l'ottagono di Castel del Monte, fortificazione, ma anche casino di caccia isolato su un colle nei pressi di Andria, in Puglia. È stata giustamente richiamata, per questa e altre architetture federiciane, l'esperienza costruttiva dei monaci cistercensi, che sappiamo attivi nel Regno: il loro lucido, rigoroso linguaggio architettonico trova nel laico sperimentalismo federiciano consonanze indubbie. Alla fine della dinastia degli Staufer, con la morte di Manfredi, l'Italia meridionale entra nell'orbita francese: gotiche nell'accezione transalpina sono le chiese erette a Napoli alla fine del Duecento, Santa Chiara, Santa Maria Donnaregina, San Lorenzo. L'esperienza federiciana trasmigra per canali ancora in parte sconosciuti in Italia centrale dove sarà fondamento per la cultura toscana di Nicola Pisano e Arnolfo di Cambio.




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