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Etruschi - Città, Città etrusche, Pompei

architettura



Etruschi

Fanno da mediatori tra l'arte greca e quella romana.

Erodoto ipotizza provenienti dall'Egeo e dall'Asia Minore, altri ipotizzano provenienti dal nord. Si insediarono nella penisola italica tra il Tevere e l'Arno, per questo Pallottino li definisce un "fenomeno italiano".

Massimo splendore (VII e VI sec. a.C.)

per l'organizzazione urbana, per le sue architetture, per la scrittura e l'artigianato molto evoluto, per il dominio dei mari (talassocrazia; Spina ed Adria i porti principali).

Gli etruschi mettono a punto una nuova idea di città città-stato modellate sulle polis greche.

(dodecapoli).



Erano dotati di grande capacità imprenditoriale che però venne meno nel V sec. a.C. quando Greci e Fenici di Cartagine prevarranno nel controllo dei mari; inoltre perché si affacciava una nuova potenza: Roma che sottometterà gli etruschi.

Città

sorgono quasi sempre lontano dal mare (no Populonia e Spina);

sono dotate di mura difensive; es. a Roselle, sono lunghe 3km, costituite da grandi blocchi alti anche 2m, giustapposti perfettamente;

importanza delle porte di accesso alla città; es. Porta dell'Arco a Volterra, III sec.;

isolate e autonome l'una dall'altra;

uso dell'arco e della volta, considerati invenzione etrusca, ha un'origine greca, mesopotamia lo dimostra il reperto di Velia (Pestum), la Porta Rosa, che ha una struttura ad arco.

Città etrusche

Felsina (Bo), Marzabotto, Adria, Spina, Rimini, Mantova, Milano

Ciò che ci fa dedurre l'origine etrusca è il tracciato ortogonale delle strade, che costituisce un influsso ippodameo. Nasceranno forse da questo utilizzo etrusco di modelli greci, il cardo e il decumano romano.

Tempio etrusco (a noi non ne sono giunti)

Non esistevano canoni e regole.

Ampia scalinata anteriore struttura rialzata

Facciata colonnato pronao tre celle dedicate alle divinità etrusche, diventate poi romane (lo dimostra il Tempio di Giove Capitolino a Roma 509-507 a.C.).

Pronao e parte frontale decorate e colorate

Il tetto aveva forti sporgenze laterali

Le colonne non avevano modulo proporzionante, si rifacevano liberamente alle doriche. (Vitruvio parla di Ordine Tuscanico).

Frontone del Tempio di Telamone VI-V sec. a.C.

Raffigura un episodio mitico, il cui disegno pare derivare da un originale pittorico.

Necropoli

Riemerge la memoria egizia della città dei morti parallela a quella dei vivi

Necropoli di Tarquinia (1x5km)

Comprende sepolture di diversa forma che vanno dal VII sec all'età romana. Vi sono tombe sotterranee che ripropongono ambienti domestici arricchiti con pitture.

Necropoli di Cerveteri (IX sec. età Roma imperiale)

tombe a pozzo (contengono l'urna)

tombe a inumazione (scavate nella roccia)

tombe a tumulo: rilievi nel terreno coprono vani sottostanti, generalmente sono tre:

o    ingresso

o    davanti il locale principale

o    lateralmente altri due ambienti

o    nelle pareti i sarcofagi, con accanto oggetti cari ai defunti

Necropoli di Vulci, Viterbo, V-III sec. a.C.



Tempio

Parte importante della piazza, perché essendo sacro la proteggeva;

Deriva dal tempio etrusco e dal greco, nonostante questo la sua forma è differente, vista la diversa funzione a cui esso è destinato; il rito religioso romano si svolge all'esterno e tutti vi prendono parte; ecco perché:

Rialzato su un alto basamento (podio), scalinata di accesso;

Sorge nel foro e lo domina.

La forma è simile a quella dei templi italici (colonne solo davanti)

I primi vennero realizzati in tufo, intonacato e poi dipinto, solo dopo la conquista della Macedonia in marmo; anche se la maggior parte continuava ad essere in travertino (pietra bianca del Lazio). L'inferiorità dei materiali è compensata dalla tecnica: come legante si usavano calce e pozzolana, invece che sabbia, che formava un materiale omogeneo, compatto e molto resistente. Impastando queste malte con materiali inermi si ottenevano le Concrezioni, mentre utilizzandole come elemento di saldatura di mattoni in cotto si ottenevano le Murature.

Tempio di Giove Capitolino: Le proporzioni dell'antico santuario, che occupava la sommità meridionale del Campidoglio (Capitolium), erano rilevanti: misurava infatti 53 metri per 63 circa e la superficie della platea era di circa 15.000 metri quadrati. Il tempio, orientato verso sud-est, era esastilo, periptero su tre lati, e sorgeva su un podio, il cui accesso avveniva tramite una scalinata tra due avancorpi. Probabilmente tre file di colonne tuscaniche precedevano la cella tripartita. L'ambiente centrale, dedicato a Giove, era fiancheggiato da due laterali, più piccoli, per Giunone e Minerva. Per la decorazione con statue e fregi di terracotta policroma furono coinvolti artisti veienti, tra cui lo scultore Vulca, che eseguì la statua di Giove. Questa, distrutta dall'incendio, fu sostituita nel 65 a.C. da una statua crisoelefantina, scolpita dall'artista ateniese Apollonio, probabilmente sul modello di quella di Zeus ad Olimpia.

Tempio di Vesta: è circolare, per la peristasi a 20 colonne corinzie profondamente scanalate e molto snelle, perché viene usato il marmo pantelico preso dalla Grecia (a parte qualche capitello che fu restaurato da Tiberio in marmo di Carrara), perché gli studiosi hanno trovato diversi sistemi di unità di misura e perché probabilmente ci fu una compresenza di operai greci e operai romani. Il tempio sorge su dei gradini (però sono 5 e quindi forse era un' allontanamento dal crepidoma classico di 3 gradini, e voleva forse essere un avvicinamento al concetto di podio del tempio romano). In origine era ricoperto da un tetto a cupola, che andò distrutto nel Medioevo insieme alla trabeazione e alla parte superiore della cella. All'interno della 646e48g cella, di forma cilindrica con l'intera parete in lastre di marmo con riquadri a bugnato, si apre una favissa, ossia una fossa a pozzo riservata agli oggetti votivi, anch'essa di forma circolare.

Tempio della Fortuna Virile: Il tempio è ionico, tetrastilo (con quattro colonne frontali) e pseudoperiptero (ossia le colonne che circondano la cella, invece che essere distaccate come nel periptero, le sono addossate). Gli aggetti e la parte decorata sono in travertino stuccato. Come altri templi simili (per esempio il Tempio di Ercole a Cori) mostra la sua derivazione da precedenti greci (il pronao, la cella, le colonne) ed etruschi (il podio sul quale si innalza e la gradinata frontale di accesso). Le colonne dopo aver adempiuto alla funzione statica di sostegno del pronao, si trasformano in semicolonne ornamentali e ritmano, con la loro convessità, la parete esterna, abbracciandola interamente e muovendola, così da diminuire la rettilineità.

Foro romano: Sorge in una vallata paludosa; i corsi d'acqua vennero raccolti nella Cloaca Massima (prima opera pubblica a carattere igienico) da dove ha origine la città; simbolo dell'unione delle tribù che avevano riconosciuto la supremazia di quella romana; piazza comune, sede del mercato, delle assemblee (comitium), della Curia, dove si riuniva il Senato, del tempio dedicato a Vesta, con accanto la casa delle vestali (custodi del fuoco sacro); vi si svolgevano gare atletiche e gladiatorie. 484 a.C. viene eretto tempio dedicato a Castore e Polluce (dei che collegano Roma a Troia) Il foro è il luogo dove la vita della città e dello Stato si inquadra sullo sfondo della propria storia. La valle del Foro, tra Campidoglio e Palatino, è il risultato dell'erosione provocata dal fiume Velabro. Verso la fine del VII sec. a.C. viene realizzata la prima pavimentazione del Foro, che quindi ha cessato si essere un'area esterna ai nuclei abitati ed è entrato a far parte di un unico centro definibile come urbano. Infatti alla fine del VII sec. ebbe inizio la dinastia etrusca dei Tarquini, che realizzarono una serie di opere pubbliche, in particolare un sistema di fognature destinato a drenare il fondo paludoso delle valli (la Cloaca Maxima, canale del diametro di 5 metri in pietra senza malta, coperto con volta a botte in piperino alla fine del II sec. a.C., canalizzò il corso d'acqua del Velabro, rendendo meglio utilizzabile la pianura). L'urbanizzazione della valle presuppone l'occupazione del contrapposto complesso Campidoglio-Quirinale, anch'esso realizzato dei re etruschi. Nel VI sec. a.C. dovette allora determinarsi la suddivisione dell'area in due parti: ai piedi dell'Arx (la sommità settentrionale del Campidoglio) il Comizio, destinato all'attività politica; a sud di questo, il Foro vero e proprio, con funzioni di mercato. Nella prima metà del V sec a.C. la cacciata dei Tarquini e l'inizio della Repubblica (509 a.C.) non costituiscono una rottura nello sviluppo della città. Ciò appare dalla costruzione nei primi anni della repubblica di due importanti santuari: quello di Saturno e quello di Castore e Polluce (si tratta dell'evidente importazione di un culto greco). La seconda metà del V sec. a.C. costituisce un periodo oscuro per la storia del Foro. E' di questo periodo la creazione di un corpo di leggi scritte (le celebri "dodici tavole") inciso su tavole bronzee affisse ai Rostri, nel Comizio. Per ritrovare un'attività edilizia degna di nota dobbiamo arrivare al IV sec. a.C. Intorno al 390 a.C. ebbero luogo il saccheggio e l'incendio della città da parte dei Galli. Al vincitore dei Galli, Camillo, è attribuita la costruzione del tempio della Concordia, ai piedi del Campidoglio. Al III sec. a.C. appartiene il più antico mercato, il Macellum, sorto a nord della piazza. Il grande sviluppo edilizio del Foro si ebbe nel II sec. a.C., dopo la fine delle guerre puniche (che avevano dato a Roma il dominio incontrastato del mediterraneo occidentale. Poi con le guerre contro gli stati ellenistici allarga il suo dominio anche al settore orientale). In pochi decenni si trasformò l'aspetto del Foro. Sorsero quattro basiliche (la Porcia, l'Emilia, la Sempronia e l'Opimia) e vennero ricostruiti interamente i templi della Concordia e dei Castori. Le basiliche Sempronia ed Emilia regolarizzarono i lati meridionale e settentrionale della piazza, creando le premesse per una sistemazione organica generale. La Basilica Emilia è un'aula a tre navate su colonne policrome con matronei ed aveva in facciata un portico dorico a due ordini di arcate marmoree. All'inizio del I sec. a.C. la ricostruzione sillana del campidoglio fornì alla piazza un fondale monumentale, il Tabularium (ha una sottostruttura in opus caementicium rivestito di tufo che incorpora un corridoio longitudinale a volte a crociera, illuminato da aperture rettangolari; su questa piattaforma una facciata di pietra con una doppia galleria costruita con conci di tufo, con volte a padiglione di calcestruzzo, su pilastri con semicolonne doriche addossate con capitelli e architravi in travertino; fungeva da sostruzione alle pendici del Campidoglio e funzionava da archivio). Alla fine della Repubblica, quando Roma è ormai la capitale di un impero che sai estende dalla Gallia alla Siria, l'antico Foro repubblicano appare ormai insufficiente alle funzioni di centro amministrativo e di rappresentanza.

Giulio Cesare è il primo a dare inizio alla costruzione di un nuovo complesso monumentale. Gli interventi del dittatore nell'antica piazza sono radicali: scompare il Comizio, sostituito in parte dal nuovo Foro; la Giulia (rifacimento assai più imponente dell'antica Sempronia) e il rifacimento della Basilica Emilia concludono la ristrutturazione integrale dei lati lunghi della piazza.

La politica edilizia di Augusto non può non tener conto di questa rivoluzione: il secondo lato corto della piazza, verso est, viene occupato dal tempio del dittatore divinizzato (Tempio del Divo Giulio). Le necessità propagandistiche e dinastiche condizioneranno i successivi interventi: un arco dedicato ai nipoti del principe, Gaio e Lucio Cesari, fu addossato al lato nord del Tempio del Divo Giulio, contrapposto all'Arco di Augusto. Con Augusto la piazza del Foro, ormai privata della sua funzione originaria, si trasforma in uno sfondo di rappresentanza, destinato ad esaltare il prestigio della dinastia. La struttura conferita al foro da Augusto restò a lungo immutata: i nuovi edifici, come il tempio di Vespasiano e quello di Antonio e Faustina, obbedirono in pieno a questa logica. Solo Domiziano, in coincidenza con la sua politica marcatamente monarchica, osò per primo inserire un elemento di rottura: la sua gigantesca statua equestre.

Basilica Giulia: lunga 101 metri e larga 49, la basilica Giulia occupò il posto dell'antica basilica Sempronia inglobandone le vecchie botteghe, le tabernae e l'area libera del Foro. Essa prevedeva uno spazio centrale circondato da due navate laterali formanti un doppio deambulatorio periferico; ma la navata settentrionale a contatto con il foro, era separata dal resto mediante una serie di scalini che la caratterizzavano come un elemento indipendente dal complesso: questo autentico portico di facciata, presentava due ordini sovrapposti che inquadravano arcate su imposte. La navata centrale doveva avere tre ordini sovrapposti e anche qui dominava il portico integrato.

Basilica Emilia: la basilica Fulvia-Emilia è l'unico edificio di questo tipo di epoca repubblicana. I tre ingressi alla basilica si aprivano sul Portico di Gaio e Lucio Cesari. Verso il lato corto occidentale, sotto una tettoia moderna sono presenti alcuni resti della vecchia struttura della basilica: si tratta del muro di fondazione e dei basamenti delle colonne in blocchi di tufo; queste fondazioni mostrano che la basilica all'inizio era a tre navate, con i colonnati che delineavano le navate laterali posti sull'asse dei colonnati successivi (restauro del 78 a.C.). La struttura attuale è invece a quattro navate con due navate minori sul lato nord e una sul lato sud, mentre la navata centrale (la più grande) aveva un piano rialzato dove si trovavano dei grandi finestroni in grado di illuminare la parte interna. Molto importanti sono il pavimento con lastre di marmo databile dopo l'incendio del 14 a.C. e i rilievi di epoca tardo-repubblicana, con scene mitiche collegate alle origini della città e alla famiglia Emilia, che ornavano l'architrave della navata centrale in tutta la sua lunghezza (185 metri) di cui rimangono solo pochi frammenti conservati nell'Antiquarium Forense (il calco di una parte di questo rilievo si trova presso l'angolo nord-est dell'edificio vicino al Tempio di Antonino e Faustina).

Tabularium: sorgeva sul Campidoglio. Era un grande edificio in opera quadrata di tufo e di pietra gabina con volte in calcestruzzo e ordine in travertino, eretto nel 78 a.C. dal console Q.Lutazio Catulo, che fungeva da sostruzione alle pendici del Campidoglio e funzionava da archivio per tutte le tabule bronzee delle leggi fatte dal senato di Roma, in cui le semicolonne diventano un elemento predominante, addossandosi ai pilastri che sostengono l'arco. Il vero fronte era costituita da un solo piano preceduto da un porticato, invece il lato sul Foro aveva 3 piani, di cui ce ne restano solo 2 le quali erano caratterizzate da grandi arcate. Queste arcate costituivano altrettante stanze tra di loro riunite da una galleria coperta con una volte a botte. Ma nel tabularium troviamo anche la volta a crociera che si erge sul quadrato di base al di sopra di 4 archi poggianti su pilastri cruciformi, costituita da 4 spicchi di volta a botte.

Il Foro di Cesare: Nel 54 a.C. Cesare diede l'incarico di acquistare il terreno per la costruzione del nuovo foro, collocato sulla sella che univa il campidoglio al Quirinale. Il Foro, insieme al Tempio di Venere Genitrice, che lo concludeva verso ovest, fu dedicato nel 46 a.C.

L'opera, rimasta incompiuta, fu terminata da Ottaviano dopo la morte del dittatore. Traiano eseguì un totale rifacimento del Foro e lo inaugurò nel 113 d.C. insieme alla Colonna Traiana. La piazza fu allora ampliata verso ovest con la costruzione della basilica Argentaria. Dalla piazza antistante il Carcere Tulliano ha inizio il clivus Argentarius, cioè la strada che pasa fra il foro di Cesare e le pendici del Campidoglio. Sul lato destro del clivus Argentarius ci sono delle taberne in laterizio e un ninfeo absidato con nicchie per statue, costruzioni attribuite ai lavori di Traiano. Si accede alla piazza per mezzo di una scala di travertino. Subito a sinistra ad un piano sovrastante quello del Foro, e poggiante sopra le taberne, è una grande sala semicircolare, probabilmente una latrina pubblica, costruita in mattoni e dotata di riscaldamento come si può dedurre dal doppio pavimento su pilastrini. L'area occupata dal Foro è un rettangolo molto allungato, circondato su tre lati da un duplice portico colonnato. Al centro della piazza era la statua equestre del dittatore. Il Tempio di Venere Genitrice occupava il fondo della piazza, in posizione assiale. Si accedeva al tempio tramite due scalette lateralki incassate nell''lto podio di opera cementizia rivestito di marmo. L'dificio aveva otto colonne sulla fronte e nove sui lati lunghi, mentre il lato di fondo era cieco (periptero sine postiquo). La cella, coperta a volta, si conclude con un'abside, dove era in origine collocata la statua di Venere Genitrice, madre di Enea e mitica progenitrice della gente Giulia. Si tratta di uno dei primi templi ad abside. Ai lati del Tempio di Venere Genitrice due scalinate davano accesso ad un edificio in laterizio, la Basilica Argentaria, costituita da una doppia serie di pilastri coperti da due volte affiancate. Sull'intonaco del muro di fondo sono state scoperte numerose iscrizioni, il che ha fatto pensare che si trattasse di una scuola. Il Foro di Cesare si presentava dunque come una lunga e stretta piazza porticata, della quale il tempio, che occupava praticamente tutto il lato minore, di fronte all'ingresso, costituisce la conclusione e l'elemento unificante. E' evidente la funzione ideologica e propagandistica di questa disposizione architettonica, destinata ad esaltare la dea progenitrice della stirpe Giulia e, di riflesso, lo stesso dittatore, la cui statua equestre, al centro del Foro, si inseriva in questo asse sacralizzante.

Teatro romano: deriva da quello greco, ma non sfrutta il naturale declivio della montagna; è costruito in piano, tutto lo spettacolo si svolge sulla scena (muro di fondo) che acquista importanza, diventando una vera e propria struttura architettonica, spesso con effetti illusori di profondità, perde invece importanza l'orchestra; riveste una minore importanza rispetto all'anfiteatro (come il Colosseo) vista la passione dei romani per i ludi gladiatori.

Teatro di Pompeo: il teatro era soltanto uno degli elementi di un immenso spazio chiuso, il più vasto ma anche il più sviluppato in altezza che Roma avesse mai avuto. La superficie del quadriportico occupata da giardini, passeggiate e fontane, animata da programmi figurativi profondamente unitari. Le sostruzioni radiali (cioè i sostegni interrati) e i due ambulatori semicircolari appartengono alla fase originaria e dimostrano l'esistenza di un'organizzazione già molto razionale dei sistemi di fondazione. La pianta della scena presentava un ordine decorativo di colonne sovrapposte.

Città: Impostata su due vie perpendicolari: cardo e decumano; all'incrocio sorge il Foro. Suddivisa in quartieri INSULAE: sovraffollati, abitazioni fragili, spesso in legno (pericolo incendi) Ville e palazzi alla periferia della città; Domus (es. ville di Ercolano e Pompei)

Casa della classe agiata. Luogo sacro; perde questo valore in età imperiale. Ha ascendenze etrusche impianto assiale, ingresso centrale, sullo stesso asse atrio con il focolare e tablinium (stanza del padrone), le altre stanze si disponevano sui due lati più lunghi in modo assiale; Villa: È la casa di campagna; Riveste molta importanza, prima perché la maggior parte della popolazione romana era di origini agricole; poi perchè diventerà luogo di riposo e di delizie delle classi agiate; Mura difensive. Le prime furono erette da Servio Tullio VI sec. Vennero poi rifatte dopo il saccheggio dei Galli (378 a.C.); Ponti indispensabili per conquistare i territori, la maggior parte realizzati per poter avanzare; Acquedotti seguivano immediatamente la fondazione delle nuove città; Terme: Bagni pubblici, necessari visto che nelle case l'acqua scarseggiava; alle terme invece veniva convogliata la maggior parte delle acque degli acquedotti. Ricoprono una grande rilevanza sociale, poiché erano frequentate da tutti in cittadini. Come nel Pantheon, è lo spazio interno che definisce la forma esterna. Qui è evidente la grande capacità dei romani di utilizzare le concrezioni (opus cementicium).

Pianta. - Le città romane hanno spesso un'origine militare : al momento della divisione delle terre conquistate e poste sotto il loro controllo, i legionari e i veterani rimasti negli accampamenti venivano raggiunti da coloni civili. Le nuove città, cinte di fortificazioni nei periodi travagliati, sono divise, ogni volta che la configurazione del terreno lo permette, in quattro quartieri delimitati dalle due strade principali : il «cardo» e il «decumanus», che si incrociano al centro ad angolo retto e terminano con porte. Le altre strade corrono parallele alle due principali, dando alla pianta della città l'aspetto di una scacchiera.

Le vie. - Le vie cittadine sono costeggiate da marciapiedi alti fino a 50 cm e fiancheggiate da portici che proteggono il passante dalla pioggia, dalla neve in inverno e dal calore del sole in estate. La carreggiata, pavimentata con grandi lastre di pietra disposte obliquamente, è tagliata qua e là trasversalmente da grosse pietre dalla sommità piatta, alte quanto il marciapiede disposte in modo da permettere il passaggio dei cavalli e dei carri. Queste pietre consentono ai pedoni di attraversare la strada senza scendere dal livello dei marciapiedi.

La casa romana. - Gli scavi di Ercolano, Pompei ed Ostia hanno riportato alla luce diversi tipi di casa romana: piccole abitazioni borghesi, edifici popolari a più piani («insulae») con appartamenti e botteghe affacciate sulla via, vaste e lussuose residenze patrizie («domus»). All'esterno, la nudità dei muri e le poche finestre che vi si aprono danno alla dimora patrizia un aspetto modesto, ma la ricchezza del proprietario era dimostrata dall'interno, ricco di mosaici, pitture, statue, marmi e provvisto talvolta persi no di terme private e vivai. Spesso, all'ingresso, un'iscrizione o un mosaico (« Cave canem ») invita il visitatore a stare attenti al cane, mentre un vestibolo, sul quale da l'alloggio del guardiano, porta all'atrio. L'natrium» (1) è un grande salone rettangolare, a cielo aperto nella sua parte centrale «compluvium ») dove è scavata una vasca per la raccolta dell'acqua piovana («impluvium »). Ai lati dell'atrio, la sola parte della casa dove erano ammessi gli estranei, si aprono alcune piccole stanze («cubiculae»); sul fondo, il «tablinum» (2), studio e stanza di ricevimento del padrone di casa in cui sono custoditi denaro, libri, documenti. L'atrio e le poche stanze che vi si affacciano costituiscono soltanto il modello originario della casa romana, in seguito rimasto proprio esclusivamente dei meno abbienti. Invece gli alti funzionari, i coloni arricchiti e i commercianti agiati iniziano presto ad ampliarla, aggiungendovi sovente un'altra ala che costituisce una seconda casa, di tipo greco e più raffinata, che si prolunga al di là del tablinum. Il «peristilium» (3) è un cortile circondato da un portico e posto al centro della parte della casa riservata alla famiglia. Si presenta generalmente sotto forma di giardino con vasche rivestite di mosaici, giochi d'acqua e statue. Attorno, stanze di abitazione : le camere, la sala da pranzo o «triclinium» (4), il salone o «cecus» (5). Le camere, semplici stanze da letto, contengono un giaciglio in muratura applicato alla parete oppure un letto mobile; si usano materassi, cuscini e coperte ma non lenzuola. Nella sala da pranzo, i convitati stanno generalmente semisdraiati su letti che circondano la tavola per tre lati (il quarto rimane libero per il servizio). Servizi comprendono : la cucina (con scarico diretto nelle fogne), fornello in pietra o mattoni, forno per gli arrosti e la pasticceria; i bagni, un modello ridotto delle terme; gli alloggi degli schiavi ; i granai, le cantine, le scuderie, ecc. Le latrine con scarico diretto erano solitamente poste in un angolo della cucina o in qualche altra rientranza.



Pompei

Foro: è una piazza rettangolare di 152 mt per 48 circondata per tre lati da portici mentre in uno die lati brevi si innalza su un alto podio il Tempio di Giove. Anche qui era adottato nel piano inferiore l'ordine dorico, nel paino superiore quello ionico; nelle colonne doriche la parte inferiore non è scanalata, ma faccettata e le proporzioni di queste colonne sono piuttosto basse, misurando 5 diametri. Attorno al foro vi si trovavano gli edifici di maggiore importanza sia sacra che profana.

Tempio di Giove: venne innalzato nei primi tempi cin cui Pompei divenne colonia romana. Il tempio si eleva su un alto podio di 3 mt con una base di 37 per 17 mt. Circa metà della sua lunghezza era occupata dalla cella, dall'altra parte troviamo un porticato anteriore e una scalinata. Il tempio era esastilo di ordine corinzio. Caratteristica italo - etrusco è l'alto basamento, l'ampio porticato che serve da vestibolo, mentre di carattere greco troviamo la breve distanza tra le colonne. L'altare era collocato su una piattaforma.

Basilica: si trovava nell'angolo sud est del Foro ed era uno degli edifici più grandiosi. Nella basilica si svolgevano le attività che prima avvenivano all'aperto: servì soprattutto per l'amministrazione della giustizia. È un rettangolo che misura 67 per 26 mt; cinque ingressi tra sei pilastri introducono in uno stretto vestibolo scoperto, separato con 4 gradini dall'interno della basilica mediante 5 entrate le cui tre mediane aperte tra le colonne, corrispondono allo spazio principale intermedio della grande sala tutta circondata da colonne. In realtà qui si ha un vero peristilio di 28 colonne corinzie, 4 in ciascun lato minore. Corrispondente alle 24 colonne dei lati maggiori sporgono dalle pareti delle mezze colonne ioniche, minori di quelle del peristilio e su cui per eguagliare le altezze del peristilio dovevano essere collocate minori colonne. La navata centrale aveva quindi altezze uguali a quelle laterali ed era scoperta; la luce penetrava inoltre nell'interno dall'alto delle pareti, perché nei lati minori si aprivano nei muri delle finestre poste tra le colonne. Nella parte occidentale del salone si eleva un podio, che era originariamente adorno di colonne, costituendo una sorta di tribuna in cui trovava posto il giudice. Le pareti erano rivestite in stucco che imitava le lastre marmoree.

Terme stabiane: dall'ingresso si penetrava in un cortile circondato per tre lati da un portico, nella palestra, cioè nel luogo per le esercitazioni ginniche che era congiunto al bagno. Nella parte occidentale della palestra vi si trovava la vasca natatoria con altri due minori bacini. Troviamo qui al divisione tra il bagno degli uomini e delle donne, il primo dei quali aveva una stanza a volta per svestirsi e lungo le pareti c'erano delle panche e delle nicchie per riporre i vestiti. Accanto troviamo il frigidarium, in cui la luce penetra da un'apertura del tetto a cupola, e poi il tepidarium e il calidarium riscaldati da un piccolo ambiente per mezzo di condotti sotto i pavimenti e dentro le pareti. Il tepidarium è piccolo essendo più che altro un ambiente di passaggio e il calidarium aveva una specie di abside in cui si trovava il labrum, o bacino dell'acqua fredda mentre dal alto opposto troviamo quello dell'acqua calda, detto alveus. Nelle parte destinata alle donne ritroviamo gli stessi ambienti in proporzioni modeste e senza il frigidarium.

Casa pompeiana: Cellula e nucleo essenziale di un abitato urbano è la casa, origine e base di ogni forma di consorzio umano, e la casa costituisce il tema predominante di un centro urbanistico ancora integro nel suo insieme, qual'è Pompei. Perché a Pompei soprattutto è possibile studiare l'abitazione privata degli antichi in tutte le sue forme e nel suo naturale processo di evoluzione, dal tipo della casa italica del IV e III secolo a. C., fino al tipo della casa romana della metà del I secolo dell'era volgare. A traverso la visione e lo studio della casa, più ancora che dai monumenti, è facile intendere non solo il problema storico, economico, demografico di una città, ma il problema umano, spirituale e culturale dei suoi abitanti. Il tipo fondamentale della casa pompeiana ci è dato dallo schema della "Casa del Chirurgo"; si apre sulla vìa con una porta ed uno stretto corridoio di accesso (ostium e fauces); intorno ad una corte centrale " atriura " coperta dalle quattro falde del tetto compluviato "compluvium" verso l'interno (atrium tuscanicum), in modo da rovesciare lo stillicidio delle piovane in un bacino sottostante ("impluvium") e, da convogliarle in una cisterna, si svolgono le stanze di alloggio ("cubicula"); alle estremità dell'atrio, si aprono in tutta la loro ampiezza altri due ambienti, le "alae"; in fondo all'atrio e di contro all'ingresso, è il "tablinum", l'ambiente più sacro della casa ed il luogo di riunione della famiglia; uno o due corridoi laterali, danno accesso all'"hortus " retrostante: chiusa tutt'intorno da alte mura, senza finestre e solo con stretti ed alti spiragli di aerazione verso l'esterno, la casa rassomiglia ad una piccola fortezza. Da questo tipo semplice ed austero della vecchia casa pompeiana, che conserva nella costruzione quadrata e massiccia, nella sobrietà delle sue linee e nel numero limitato degli ambienti, il carattere dell'abitazione ed il costume familiare della gente italica, si passa, nel II secolo a. C., alla casa d'influenza e di moda ellenistica, a più atri, con ampio peristilio, con giardino e con appartamenti di alloggio disposti secondo il variare delle stagioni, nelle parti più fresche o più assolate; l'abitazione si estende cosi per tutta intera un' "insula" , diventa un palazzo, degno d'ospitare, come i palazzi ellenistici, una dinastia regale. Tale ci si presenta ancora ai nostri sguardi la "Casa del Fauno", vera dimora principesca per la sua ampiezza, per la nobiltà delle sue strutture, per la preziosa sua decorazione parietale e musiva, ispirata e derivata dalla grande arte ellenistica. Nell'età romana lo sviluppo delle forme struttive e decorative segue naturalmente le stesse vicende dell'abitazione romana.

Dall'età augustea al periodo neroniano e flavio, se la casa non si amplia e non si nobilita più di vaste e grandiose proporzioni architettoniche, anche perché il fenomeno dell'urbanesimo porta ad una necessaria maggiore costrizione di spazio nell'uso delle aree private, abbiamo invece un gusto sempre più crescente per la decorazione: ad aree minori e ad ambienti più piccoli, corrisponde una maggiore ricercatezza, a volte sfacciata e grossolana, nella decorazione cromatica della casa. Il colore, l'ornamentazione, il fasto, la ricerca scenografica nella disposizione dei giardini, soverchiano la bellezza della composizione architettonica; le maggiori esigenze di una borghesia raffinata ed arricchita, finiscono per aver ragione della disposizione tradizionale della vecchia casa italica e gli ambienti mutano natura e destinazione. Ed accanto alla casa del ricco patrizio o del mercante arricchito, abbiamo la casa del piccolo borghese, del bottegaio che si ricovera la notte nel soppalco della sua bottega, l'officina industriale, l'albergo, la bisca, il lupanare, la stalla per il ricovero dei carriaggi e delle bestie da soma che venivano dalla campagna e dai borghi vicini. E dalle case la vita degli abitanti affiora più viva ed immediata, a traverso le mille voci che troviamo tracciate per ogni dove sulle mura. Eppure, non ostante la varietà e complessità di questo mirabile insieme, non ostante le infinite sovrapposizioni e trasformazioni, la casa a Pompei è rimasta, a traverso i secoli, con il carattere inalterato della vecchia casa italica; è ancora la "domus" per una sola famiglia. Anche nei quartieri mercantili dell'ultimo periodo, là dove le trasformazioni furono più vaste e profonde, dove l'intimità della "domus,, appare sopraffatta e violata dalla bottega e dall'officina, e più rapido s'inizia lo sviluppo dei piani superiori per difetto di spazio e per sovrabbondanza di plebe, la casa resta ancora un nucleo a sé per una sola famiglia o per più famiglie di consanguinei. Non abbiamo ancora a Pompei la grande casa di affitto, divisa in appartamenti con più scale indipendenti l'una dall'altra, di quel tipo insomma di abitazione che così singolarmente caratterizza l'abitato di Ostia, che doveva essere comune nella Roma imperiale e che già prelude alla casa della città moderna. A Pompei l'evoluzione costruttiva della casa si arresta ad uno stadio di transizione, fra il tipo cioè della "domus" patriarcale ed il tipo della casa d'affitto. Lo sviluppo dei piani superiori vi appare ancora in forme primitive e rudimentali, grazie soprattutto all'impiego di materiale ligneo e di murature leggiere rafforzate e collegate da intelaiature in legno. Se l'eruzione del Vesuvio fosse avvenuta solo qualche decennio dopo, Pompei, in luogo della sua così ricca e suggestiva varietà di abitazioni, ci avrebbe offerto il tipo uniforme di una città imperiale con più o meno ampi caseggiati a più piani, ed invece di tanta varietà di strutture, avremmo trovato universalmente adottato quel materiale che fu la condizione essenziale per lo sviluppo verticale della casa e per i più grandi ardimenti della costruzione romana, il laterizio. Oltre alla decorazione pittorica e musiva, necessario complemento della casa pompeiana sono la piccola scultura in marmo e in bronzo e la suppellettile che ne costituiva l'indispensabile arredamento. Rare le opere d'arte derivate da copie più o meno fedéli e belle di originali greci, e che attestano il gusto eclettico che nelle città campane, come a Roma, guidava collezionisti e amatori. Così, accanto ad opere dell'arcaismo severo o maturo quali I' " Apollo Citaredo " della " Casa del Citarista " o I' " Efebo " della " Casa di P. Cornelio Tegete " , o della fase arcaistica quali I'" Artemide " pompeiana o l' " Àpollino " della " Casa del Menandro " , abbiamo una replica del " Doriforo " policletèo, dell' " Èrcole " epitrapezio di Lisippo, di " Apollo " e " Diana " saettanti, rielaborazione di bronzisti italioti; e, assai più copioso, il ricco e vario patrimonio d'arte ellenistica con statuette di piccolo modulo, adattate ad ornamento di fontane, di peristili e di giardini, quali la mirabile serie dei piccoli bronzi del " Fauno danzante " (dalla " Casa del Fauno "), del " Satiro con l'otre " (dalla " Casa del Centenarìo ,,), del " Sileno ebbro " (dalla " Casa dei marmi "), del cosiddetto " Narcisso ", dei quattro " placentari " (dalla " Casa dell'Efebo "), del " Pescatore " (dalla " Casa della fontana a mosaico,,), del " Cinghiale assalito " (dalla " Casa del Citarista "). E con l'età neroniana si accentuano la moda e il gusto della decorazione con piccole sculture e rilievi; si moltiplicano le erme e le ermette bacchiche lungo i viali dei giardini, le statuette di Amorini, di Satiri e di animali disseminati tra il verde, a specchio delle fontane e lungo le sponde dei canali; si sospendono infine " oscilla " e maschere teatrali fra gli intercolunni dei portici quasi ad accrescere il colore e il senso scenografico della casa, e fra molti e molti prodotti di arte decorativa e di maniera, si coglie spesso l'eco dell'originale creazione ellenistica o di una fine rielaborazione neoattica. Oltre ai prodotti dell'arte greca, Pompei ci ha dato, nell'interno stesso delle sue case, superbi esempi dell'arte del ritratto romano: la " Livia " della " Villa dei Misteri ", il " Marcello " scoperto in questi ultimi anni, e nella prosopografia privata, i due superbi bronzi di C. Nerbano Sorice e di L.. Cecilie Giocondo e, in marmo, il cosiddetto " Bruto minore " e le erme di " Cornelio Rufo " e di " Vesonio Primo ,,. Ma soprattutto nelle arti minori del mobilio e del vasellame, Pompei offre l'immensa dovizia del suo patrimonio: nei letti finemente niellati e ornati di bustini e di statuette dei cubicoli e dei triclini; nei candelabri e nelle lucerne dove l'industre bronzista sembra abbandonarsi alla più gioconda creazione di motivi briosi, grotteschi e talvolta osceni; nei bracieri di riscaldamento e nelle stufe portavivande; nelle pesanti casse (" arcae ") e nei battenti delle porte; e infine nel vasellame di bronzo, così copioso e così vario di forme e di uso, da far pensare che esso rappresenti il perfezionamento tecnico di una lunga tradizione di officine campane e italo-greche e una non meno matura esperienza di esigenze tecniche e gastronomiche. E viva a Pompei come a Roma, è la passione per le argenterie, per il vasellame di lusso della mensa (" Casa dell'Argenteria ", "Villa della Pianella" e "Casa del Menandro ").

Santuario di Giove Anxur a Terracina: Il santuario di Terracina si inserisce nel quadro dei grandi santuari repubblicani del Lazio, costruiti tra la metà del II e la metà del I secolo a.C. in posizioni scenografiche e dominanti, su imponenti sostruzioni a terrazze. Viene utilizzata la nuova tecnica edilizia del cementizio, recentemente elaborata a Roma, con le forme degli ordini architettonici, derivate dalla tradizione ellenistica. Il modello per la disposizione scenografica su terrazze digradanti può riferirsi ai grandi santuari della città di Pergamo, in Asia Minore, mentre i templi sorgono su alti podi e privi del colonnato sul retro (sine postico, inutile per la prevalente visione frontale). Le terrazze sono spesso circondate da portici su tre lati e spesso le arcate e le volte si affiancano o vengono nascosti dai colonnati.

Il santuario, giunto fino a noi nel rifacimento di epoca sillana, comprende una terrazza superiore ("campo trincerato") con uso prevalentemente militare, e una terrazza inferiore, che ospita il grande tempio e il santuario oracolare. Verso ovest una terza terrazza ("piccolo tempio") presentava una serie di camere a volta, ornate da affreschi e fu in parte rimaneggiata per l'inserimento del convento di San Michele Arcangelo. La parte alta del santuario corrispondeva alla zona militare, dotata di una cinta di mura con nove torri circolari che proteggeva il santuario e lo collegava all'acropoli della città. Il campo era costituito da un portico su tre lati di un piazzale aperto verso sud: alle spalle del braccio di fondo era un camminamento di ronda e una serie di cisterne collegate tra loro.

All'angolo sud-ovest del piazzale si trova un piccolo tempio in antis (con cella preceduta da due colonne tra i prolungamenti del muro della cella stessa). Sulla grande sostruzione inferiore sorgeva il grande tempio (18,70 x 32,58 m), con orientamento divergente da quello della terrazza e con la facciata volta quasi esattamente verso sud. L'edificio sorgeva su un alto podio, a cui si accedeva con una scalinata frontale di dodici scalini, che forse ospitava al centro l'altare. Il pronao, profondo quasi quanto la cella, aveva sei colonne corinzie in calcare sulla fronte e quattro sui lati. La cella, a pianta quasi quadrata (14,10 x 13,60 m), era decorata all'esterno da sei semicolonne sui fianchi e sei sul retro, in muratura stuccata, addossate alle pareti. All'interno era un mosaico in tessere bianche, bordato da una semplice fascia nera, e sul fondo era il podio per la statua della divinità. In un primo momento la cella era più ampia all'interno, ma venne in seguito foderata da un muro interno di riforzo, forse in seguito ad un incendio. Alle spalle del tempio la terrazza, ricavata in parte nella roccia, era chiusa verso nord da un portico con lo stesso orientamento dell'edificio sacro. Questo, costruito contro la roccia della collina, era sopraelevato con tre gradini e dotato in origine di un colonnato, forse corinzio. L'interno doveva essere dipinto e costituiva luogo di sosta per i pellegrini. Sul fianco occidentale del tempio si trovava il santuario oracolare: una roccia naturale isolata, con cavità all'interno collegate tra loro, che permettevano di far arrivare il soffio di aria all'esterno. La roccia fu rivestita da un basamento quadrangolare in opera incerta, che sosteneva un'edicola con quattro colonnine in laterizio con capitelli ionici in travertino. Ai piedi della roccia era stata scavata una fossa, dove negli scavi del 1894 si rinvennero numerose offerte votive in piombo. Il santuario oracolare era chiuso da un muro e accessibile solo dall'estremità del portico. Dalla terrazza sul lato est una scala permette di raggiungere i tre ambienti coperti a volta al livello inferiore, i quali danno accesso alla facciata del basamento di sostruzione della terrazza. Questo, poggiato su una ulteriore terrazza di fondazione e costruito in opera incerta, si presenta in facciata con dodici arcate che danno accesso ad altrettanti ambienti coperti da volte a botte e collegati da alti passaggi arcuati nei muri tra un ambiente e l'altro. Sul fondo alternativamente porte e finestre danno verso un lungo corridoio (largo circa 3,50 m) anch'esso coperto a volta e rivestito da intonaco. Alle spalle del corridoio si apre una grotta naturale, a un livello inferiore, successivamente regolarizzata, probabilmente collegata con il santuario oracolare. Nella parte più alta della terrazza, verso ovest, resta traccia di un più antico muro di sostruzione in opera poligonale, che apparteneva alla più antica fase del santuario, costituita da due terrazzamenti a livelli diversi, poi sostituiti dalla grandiosa sostruzione sillana per l'erezione del tempio. Verso ovest un terrazzamento si pone all'arrivo dell'antica strada proveniente dalla città, che vi passava davanti. Vi si trovano nove ambienti voltati, costruiti in un'opera incerta, più irregolare e probabilmente più antica di quella del terrazzamento del tempio e aperti con arcate allungate, fiancheggiati da avancopri più sporgenti. Anche questi ambienti comunicano tra loro per mezzo di passaggi arcuati e si aprono verso l'esterno con ampie arcate come le successive sostruzioni della terrazza del tempio. Gli ambienti conservano tracce di affreschi in primo stile pompeiano stucchi e dipinti imitanti un rivestimento marmoreo), attribuibili al terzo quarto del II secolo a.C.. Allo stesso modo alle spalle di questi ambienti si apre un corridoio coperto a volta, attualmente in parte crollato. Alle spalle si aprono tre cisterne, la principale formata da due ambienti intercomunicanti. Nella parte superiore della terrazza resta traccia di un ambiente con pavimento in mosaico bianco e nero.

Alla estremità orientale del corridoio interno si insediò la chiesa del convento di San Michele Arcangelo.

Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli: Il tempio è monoptero, di forma circolare, ed è costruito in marmo: fu il secondo edificio ad essere costruito con questo materiale nella Roma antica ed è il più antico giunto fino a noi. La sua pianta ha un diametro di 14.8 metri. Il marmo originario usato per l'opera è greco, pentelico

Si erge su una fondazione ad anelli di blocchi di cappellaccio a loro volta su una piattaforma in blocchi di tufo di Grotta Oscura, che inglobano lo sbocco della Cloaca Maxima. La base presenta un crepidoma (base a gradini), priva quindi del podio di matrice italica.

La cella cilindrica, aperta verso est, è decorata con un alto zoccolo, fini ortostrati e la parte superiore a imitazione della muratura isodoma. Nel pavimento della cella si apre una favissa, un pozzo profondo a forma di tholos. La parte centrale è circondata da venti colonne scanalate alte 10.6 metri con basi attiche e capitelli corinzi; nove colonne e undici capitelli risalgono al restauro di epoca tiberiana e sono riconoscibili perché in marmo apuano di Luni. Alcuni capitelli hanno perso la parte superiore.

La trabeazione ora non è più esistente (tranne qualche resto della cornice), né rimane il soffitto della peristasi, che presentava i cassettoni. La cella era coperta da cupola, che crollò nel medioevo quando l'edificio venne convertito in chiesa. Il tetto presente oggi sull'edificio è un rifacimento di epoca moderna.

Santuario della Fortuna Primigenia a Praeneste: Il santuario oracolare della Fortuna Primigenia costituisce una grandiosa realizzazione architettonica databile verso la fine del II sec. a.C. anche se l'origine del luogo di culto risale ad epoca più antica. Il tempio si articola in una serie di sei terrazze artificiali disposte sul pendio roccioso. Sulla terrazza degli Emicicli, davanti all'esedra di destra, si conserva un pozzo, identificato con quello in cui, secondo Cicerone, il nobile prenestino Numerio Sufficio avrebbe rinvenuto le Sorti, ovvero delle tavolette di legno da cui si traevano auspici sul futuro. Presumibilmente gli oracoli venivano redatti all'interno dello stesso pozzo da una figura(probabilmente femminile)che si manteneva però nell'ombra. Per ricevere i responsi si calava all'interno del pozzo un fanciullo che poi consegnava le tavolette a coloro che avevano posto le domande e che avevano fornito un degno contributo. Il santuario della Fortuna costituisce un'opera di eccezionale livello tecnico e stilistico e uno degli esempi più grandiosi di architettura ellenistica italica di tipo scenografico.


Età imperiale

Foro di Augusto: Il complesso (120 m x 120 m), era chiuso da un muro perimetrale alto circa 33 m, realizzato in opera quadrata, con blocchi di peperino e pietra gabina per le parti in vista, o di tufo di Grotta oscura per le parti addossate ad altri edifici o eseguite all'epoca della costruzione contro terra. Vi sono presenti due marcapiani in blocchi di travertino e un altro filare in questo materiale ne corona la sommità. Il muro presenta una pianta irregolare, adattata all'andamento degli antichi condotti fognari e della viabilità preesistente della Suburra (oggi ricalcata dalla via della Salita del Grillo). Dalla via alle spalle del muro si accedeva al complesso per mezzo di due aperture, quella a nord a tre fornici e quella a sud ad una sola arcata, conosciuta con il nome medioevale di "Arco de' Pantani": in entrambi i casi il dislivello rispetto al piano del foro era superato per mezzo di scalinate. Alla base delle scale furono eretti gli archi trionfali dedicati nel d.C. a Druso Minore e a Germanico per la vittoria sugli Armeni. Al muro perimetrale si addossava sul lato di fondo il tempio (40 x 30 m), dedicato a Marte Ultore ("Vendicatore"). Si innalzava su un podio (alto circa 3,5 m) rivestito in blocchi di marmo ed aveva otto colonne corinzie in facciata e sette su ciascuno dei fianchi, dove il colonnato terminava contro il muro di fondo con una lesena. I colonnati e le pareti esterne della cella erano realizzati in marmo lunense. L'ordine architettonico del tempio ha rappresentato un modello in seguito divenuto canonico, all'origine dell'evoluzione della decorazione architettonica romana. Il frontone, noto dalle raffigurazioni su alcuni rilievi, ospitava: la personificazione del Palatino Romolo Venere Marte al centro, la Fortuna, la dea Roma e la personificazione del fiume Tevere

Il podio era costituito da fondazioni in opera cementizia e in blocchi di tufo sotto i muri e in tufo e travertino sotto i colonnati; le fondazioni erano rivestite da blocchi di marmo. Vi si accedeva per mezzo di una scalinata frontale di 17 gradini in marmo, su fondazioni in cementizio, interrotta al centro da un altare.

La cella aveva le pareti interne decorate da due ordini di colonne staccate dalla parete, rispecchiate sul muro da altrettante lesene. I fusti erano in marmo colorato e i capitelli erano decorati da figure di Pegasi. La pavimentazione presentava un disegno a grande modulo con lastre in marmo africano e pavonazzetto

Sul fondo la cella terminava con un abside, staccata mediante un intercapedine dal muro di fondo, occupata da un podio per le statue di culto, preceduto da una scalinata rivestita in lastre di alabastro. Vi erano ospitate statue di Marte e di Venere; altre sculture erano probabilmente ospitate nelle nicchie che si aprivano sulle pareti tra le colonne. Davanti al tempio si apriva una piazza rettangolare di circa 70 x 50 m, di dimensioni relativamente ridotte, fiancheggiata dalle facciate dei portici laterali.

Al centro della piazza doveva trovarsi una colossale scultura con Augusto sulla quadriga trionfale. Il colonnato corinzio dei portici, soprelevato con alcuni gradini rispetto al piano della piazza, presentava fusti in marmo giallo antico. Era sormontato da un attico, con figure di cariatidi, copia di quelle classiche dell'Eretteo sull'acropoli di Atene, alternate a scudi ("clipei") con ricche incorniciature e ornati al centro da teste di Giove, in stile ellenistico. All'interno le pareti di fondo erano ornate da semicolonne in marmo giallo antico, tra le quali si aprivano nicchie che ospitavano le statue di una galleria di personaggi della storia repubblicana. Altre statue dovevano trovarsi su basamenti posti davanti alle colonne della facciata. La pavimentazione presentava un disegno a grande modulo in lastre di marmi colorati (bardiglio di Luni, marmo africano e marmo giallo antico). Sul fondo dei portici si aprivano gli ampi spazi semicircolari delle esedre, separati da un diaframma di pilastri in marmo cipollino, sormontato da un secondo ordine di colonne in marmo africano, che oltrepassava il tetto dei portici permettendo di dare luce all'ambiente. Le esedre erano pavimentate da lastre rettangolari alternate nei marmi giallo antico e africano. La parete di fondo delle esedre era decorata da un duplice ordine di semicolonne, in marmo cipollino quelle inferiori e in marmo giallo antico quelle superiori, che anche in questo caso inquadravano nicchie con statue. La nicchia centrale, di dimensioni maggiori, era inquadrata da un'edicola costituita da due colonne staccate da parete. Nelle due esedre le edicole ospitavano i gruppi statuari colossali di Enea in fuga da Troia con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio e di Romolo con le spolia opima. Alla testata del portico settentrionale si apriva una sala separata, schermata da due colonne con fusti in marmo giallo antico che proseguivano quelle della facciata e del muro di fondo dei portici, di altezza maggiore degli spazi dei portici stessi.

La sala era pavimentata con lastre rettangolari in marmo giallo antico e pavonazzetto e le pareti laterali erano decorate da un ordine di lesene con fusti in marmo pavonazzetto, tra le quali degli incassi ospitavano probabilmente dei quadri (forse quelli raffiguranti Alessandro Magno, opera del celebre pittore greco Apelle ricordati dalle fonti).

L'ordine delle pareti laterali si interrompeva sulla parete di fondo, a cui si addossava un podio rivestito con lastre in marmo pavonazzetto. La parete era qui rivestita da lastre in marmo bianco sulle quali era stato dipinto un grande tendaggio azzurro, decorato da motivi in rosso e in oro. Sopra il podio, sullo sfondo del tendaggio dipinto si innalzava una colossale statua, alta circa 12 m, raffigurante probabilmente il Genio (divinità tutelare) di Augusto, realizzata come acrolito. La sala venne chiusa in epoca imprecisata da un muro in opera laterizia e probabilmente fu abbandonata in epoca precedente alle altre parti del complesso forense.

Ara Pacis: dentro un cortile quadrangolare circondato da portici, si innalzava l'altare della pace, protetto da un recinto di forma quasi quadrata e costituito da marmo di Carrara con due larghe aperture. Questo recinto riproduceva il recinto ligneo e palco costruito per la grande cerimonia del 13 a. C. L'altare vero e proprio sorge su 4 gradini. Sopra di essi è collocata la mensa utilizzata per le offerte delle spoglie di animali, stretta tra due avancorpo laterali. Le due sponde laterali presentano vasi a volute vegetali e leoni alati. La mensa occupa tutto lo spazio interno del recinto dal quale è separato da uno stretto corridoio il cui pavimento è leggermente inclinato verso l'esterno. L'altare è decorato con personaggi femminili sullo zoccolo, mentre nel fregio superiore che gira all'interno ed all'esterno della mensa vi è la raffigurazione di un sacrificio con le Vestali ed il pontefice massimo. Ciò che più colpisce di questo edificio è la ricca decorazione a rilievo del muro si all'interno che all'esterni del recinto. Nell'interno lungo la parete superiore, corre una serie di festoni sostenuti da brucani; all'esterno al decorazione è divisa da pilastri angolari e laterali delle porte di ordine corinzio e nella parte inferiore da un contenuto vegetale ed esuberanti viticci con piccole figure animali, mentre nella parte superiore si svolge il fregio figurato. Lungo i lati meridionali e settentrionali troviamo una processione del mondo ufficiale romano. All'allegoria e al mito erano invece ispirati i 4 rilievi dei lati ad est e a ovest: a sinistra della porta orientale sta un rilievo allegorico, a destra delle divinità, ad ovest troviamo la lupa che allatta Romolo e Remo.

Teatro di Marcello: Il teatro di Marcello costituisce uno dei più antichi edifici per spettacolo romani giunti fino a noi, nel quale l'articolazione del teatro romano appare già del tutto delineata, con la "cavea" a pianta semicircolare sorretta da articolate sostruzioni. Muri a raggiera, collegati da volte a botte inclinate che sorreggono i gradini della cavea, vengono interrotti da due ambulacri concentrici, uno esterno, che si apre con arcate e uno più interno ("Ambulacro dei Cavalieri"). La struttura dei fornici si ripete a gruppi di sei: uno con rampa in leggera salita conduce all'ambulacro più interno, due affiancati ospitano le rampe per salire e scendere dai piani superiori, mentre altri tre comunicano tra loro. Oltre l'ambulacro interno i fornici proseguono con vani lunghi e stretti e di altezza minore. Gli ambienti più esterni, suddivisi da tramezzi in muratura probabilmente in epoca giulio-claudia, furono probabilmente utilizzati come botteghe sin dagli inizi. Un ambiente centrale presenta sulla volta una decorazione in stucco bianco articolata in tondi e ottagoni con figure di repertorio, che fu realizzata probabilmente nella seconda metà del II secolo. Al piano superiore la struttura si ripete e in antico esisteva anche un terzo ambulacro superiore più esterno. La facciata in travertino presenta tre ordini, i due inferiori con le arcate inquadrate da un ordine di semicolonne doriche (con capitelli tuscanici e prive di base) al piano terreno e ioniche superiormente. I due ordini sono separati da una fascia con risalti in corrispondenza delle semicolonne, che funge da marcapiano. Il terzo piano si presentava invece a parete continua ed era decorato con semicolonne corinzie. Le chiavi d'arco erano decorate da grandi mascheroni teatrali in marmo bianco. A causa della natura paludosa del terreno, molto vicino al fiume, le fondazioni furono rafforzate con l'inserimento di pali di rovere sopra i quali venne gettata un'estesa piattaforma in calcestruzzo, sulla quale poggiano i primi due filari di fondazione delle murature. Anche l'alternanza dei materiali per i blocchi di cui si compongono i pilastri risponde alle necessità statiche: le arcate interne e il primo tratto dei fornici erano in blocchi di tufo, con inserti in travertino per le imposte e le chiavi d'arco, mentre le pareti radiali e degli ambulacri interni sono in muratura (opera reticolata e laterizio o mattoni). Il teatro poteva ospitare circa 13.000 spettatori e la cavea era divisa in una parte inferiore (ima cavea), accessibile dall'"Ambulacro dei Cavalieri", una parte intermedia (media cavea), accessibile dal secondo piano, e una parte superiore (summa cavea) accessibile tramite scale dall'ultimo livello. In corrispondenza dell'orchestra sono stati visti i bassi gradini di marmo che ospitavano i seggi dei posti riservati ("proedria"). La scena non è più visibile, ma è riportata in un frammento della Forma Urbis Severiana, la pianta marmorea di Roma antica risalente agli inizi del III secolo: si presentava rettilinea e con un portico di sei colonne verso l'esterno. Ai lati della scena erano due "Aule regie", ambienti absidati coperti con volte a crociera

Arco trionfale a Rimini: è un arco trionfale consacrato all'imperatore Augusto dal Senato romano nel 27 a.C. È il più antico arco romano rimasto. Segnava la fine della via Flaminia (che collegava la città romagnola alla capitale dell'impero, Roma) confluendo poi nell'odierno C.so d'Augusto che portava all'imbocco di un'altra via, la via Emilia. Lo stile che lo compone è sobrio ma allo stesso tempo solenne. Al fornice centrale, si affiancano le due pseudo colonne in stile corinzio con scanalature, caratteristica dell'architettura romana. I quattro clipei posti a ridosso dei capitelli, rappresentano altrettante divinità romane. Rivolte verso Roma, troviamo Giove ed Apollo, rivolte verso il Foro, troviamo Nettuno e la dea Roma. La sua funzione principale, oltre a quella di fungere da porta urbica, era quella di sostenere la grandiosa statua bronzea dell' imperatore Augusto, ritratto nell'atto di condurre una quadriga. La peculiarità di questo arco è che il fornice era troppo grande per ospitare una porta, almeno per quei tempi. La spiegazione è dovuta al fatto che la politica dell'Imperatore Augusto, era una politica volta alla pace, la cosiddetta Pax Augustea, era perciò inutile una porta civica che si potesse chiudere se non si correva il pericolo di essere attaccati. La merlatura presente nella parte superiore risale invece al medioevo (circa X secolo), periodo in cui la città venne tenuta dai ghibellini. Divenne una delle porte della città fino al periodo fascista, quando vennero demolite le mura e l'arco rimase come monumento isolato. Insieme al ponte di Tiberio, è oggi uno dei simboli di Rimini, tanto da comparire nello stemma della città.

Arco trionfale a Susa: è un importante monumento che si trova nella città di Susa in provincia di Torino

È stato costruito probabilmente nel 8 a.C. per ricordare la pace tra l'imperatore romano Augusto ed il re Cozio. Sorge lungo l'antica strada delle Gallie. L'arco, insieme agli altri resti del periodo, quali l'anfiteatro romano, sottolinea l'importanza che la città di Susa ebbe durante il periodo romano. Il fregio rappresenta il sacrificio dei suovetaurilia (sacrificio in cui le vittime erano un maiale, o sus, una pecora, o oves ed un toro, o taurus) e il personaggio principale è forse da identificare in Cozio, accanto a cui sono i victimarii (addetti al sacrificio incaricati dell'uccisione della vittima). Nella parte occidentale sono raffigurati i rappresentanti delle popolazioni coziane citate nell'iscrizione. Nella parte meridionale è rappresentato un secondo sacrificio, officiato da Cozio. Sul lato orientale la scena è stata completamente distrutta dal tempo.

Arco trionfale ad Orange: arco a tre fornici. È riccamente decorato con ornati vegetali, cassettoni negli in travolti e nei passaggi voltati, le colonne che fiancheggiano i piloni e per finire i rilievi che animano il registro superiore dei pannelli in tal modo definiti si impongono tutti all'attenzione per l'impegno decorativo e tematico che li contraddistingue. Nonostante questa sovrabbondanza decorativa, la felice distribuzione dei volumi e il perfetto inserimento delle tre aperture nella massa unitaria del monumento segnano il punto di arrivo dello schema tripartito che non subirà altre evoluzioni.

Porta maggiore a Roma: è una delle porte nelle Mura aureliane di Roma. Si trova nel punto in cui convergevano otto degli undici acquedotti che portavano l'acqua alla città. Fu costruita sotto l'imperatore Claudio nel per consentire all'acquedotto Claudio di scavalcare le vie Praenestina e Labicana. È realizzata interamente in opera quadrata di travertino con i blocchi in bugnato rustico secondo lo stile dell'epoca. E' una grande unica struttura con due fornici, con finestre sui piloni, inserite in edicole con timpano e semicolonne di stile corinzio. I due fornici permettevano il passaggio della via Labicana, oggi via Casilina, (il sinistro) e della via Prenestina. L'attico è diviso da marcapiani in tre fasce. Le due superiori corrispondono ai canali degli acquedotti Anio Novus (il più alto) e Aqua Claudia. Desta una certa perplessità notare che nell'arco di soli trent'anni dalla sua costruzione la struttura richiese ben due interventi di ristrutturazione e che, per di più, il restauro di Vespasiano (19 anni dopo) pose fine a ben 9 anni di inattività dell'acquedotto a causa di guasti. E solo altri 11 anni furono sufficienti perché si rendesse necessario un altro intervento da parte di Tito. Successivamente la porta monumentale fu inserita nel tracciato delle Mura aureliane costruite intorno alla città dall'imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo ed assunse il nome di Porta Praenestina o Labicana. Fu fortificata ai tempi dell'imperatore Onorio, il quale, nel , avanzò le due aperture verso l'esterno e fece costruire un bastione davanti alla porta vera e propria, suddividendola in due porte distinte, la Praenestina a destra e la Labicana a sinistra, che erano rinforzate, a scopo soprattutto difensivo, da torri quadrate poste ai lati e da un bastione cilindrico al centro, ed erano sormontate da finestrelle ad arco, 4 sulla Praenestina e cinque sulla Labicana. Si trattava però di una struttura decisamente asimmetrica e priva di equilibrio architettonico, difetti quasi certamente dovuti ai diversi livelli delle due strade (la Labicana era più in basso), per cui le torri erano disallineate e le finestre, con le relative camere di manovra, fuori piano.

Domus Aurea: era un grande palazzo costruito dall'imperatore romano Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel d.C. Costruita (in mattoni, non in marmo come talvolta si immagina), nei pochi anni tra l'incendio e il suicidio di Nerone nel d.C., gli estesi rivestimenti in oro che le diedero il suo nome non erano gli unici elementi stravaganti dell'arredamento: vi erano soffitti stuccati incrostati di pietre semi-preziose e lamine d'avorio. Plinio il Vecchio assistette alla sua costruzione (La Storia Naturale xxxvi. 111). La residenza dell'imperatore giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un estensione di circa 2,5 km quadrati. La maggior parte della superficie era occupata da giardini, con padiglioni per feste o di soggiorno. Al centro dei giardini, che comprendevano boschi e vigne, nella piccola valle tra i tre colli, esisteva un laghetto, in parte artificiale, sul sito del quale sorse più tardi il Colosseo. Nerone commissionò anche una colossale statua in bronzo di 37 metri raffigurante sé stesso, vestito con l abito del dio-sole romano Apollo, il Colossus Neronis, che fu posto di fronte all'entrata principale del palazzo sul Palatino. Il colosso fu successivamente riadattato colle teste di vari successivi imperatori, prima che Adriano lo spostasse per far posto al tempio di Venere e Roma e l'Anfiteatro Flavio prese quindi il nome di Colosseo nel Medio Evo, proprio da questa statua. La vera residenza di Nerone rimase comunque nei palazzi imperiali del Palatino. La parte conservata al di sotto delle successive terme di Traiano sul colle Oppio era essenzialmente una villa per feste, con 300 stanze e non una camera da letto e neppure sono state scoperte cucine o latrine. Le camere rivestite di marmo finemente levigato componevano intricate planimetrie, composte di nicchie ed esedre che concentravano o disperdevano la luce del sole. V'erano piscine sui vari piani, e fontane nei corridoi. Nerone s'interessò in ogni dettaglio del progetto, secondo gli Annali di Tacito, e supervisionava direttamente gli architetti Celere e Severo.

Alcune delle stravaganze della Domus Aurea ebbero ripercussioni sul futuro. Gli architetti disegnarono due delle sale da pranzo principali in modo che fiancheggiassero un cortile ottagonale, sormontato da una cupola con un gigantesco abbaino centrale che lasciava entrare la luce del giorno. la cupola completamente in cementizio ed impostata su di un ottagono di base, la prima parte della cupola segue un andamento a spicchi ottagonali (come la cupola del Brunelleschi di S.Maria del Fiore a Firenze), mentre la seconda parte assume una forma circolare. La parte centrale sormontata dalla cupola svolge funzione di un triclino romano, dove l'imperatore si manifestava come divino, tramite gli effetti di luce che l'abbaino della cupola filtrava; Nerone poteva assimilarsi al dio Apollo. Alla pianta ottagonale si riconducono pure degli spazi laterali spazi che fungevano sia da ambulacri che da elementi di contrafforto per la cupola; a questi spazi si accedeva tramite delle grandi luci sovrastate da delle piattabande in laterizio. Fu questo, probabilmente uno dei modelli da cui trasse ispirazione la celeberrima cupola del Pantheon: si tratta in effetti di un esempio precoce dell'utilizzo della tecnica del cementizio, ch'era stata elaborata dai romani a partire dal II secolo AC per lo sviluppo d'ampî e articolati spazi interni, tipico dell'architettura romana. Un'altra innovazione era destinata ad avere una grande influenza sull'arte futura: Nerone pose i mosaici, precedentemente riservati ai pavimenti, sui soffitti a volta. Ne sopravvivono soltanto dei frammenti, ma questa tecnica sarebbe stata imitata costantemente, per diventare un elemento fondamentale dell'arte cristiana: i mosaici che decorano innumerevoli chiese a Roma Ravenna Costantinopoli e in Sicilia

Si tramanda che gli architetti Celere e Severo avessero creato anche un ingegnoso meccanismo, mosso da schiavi, che faceva ruotare il soffitto della cupola come i cieli dell'astronomia antica, mentre veniva spruzzato profumo e petali di rosa cadevano sui partecipanti al banchetto, petali in tali quantità che uno sfortunato ospite ne fu asfissiato. Nerone, ossesso dal suo status d'artista, certamente guardava alle sue feste come opere d'arte. Gli affreschi ricoprivano ogni superficie che non fosse ancor più rifinita. L'artista principale era Fabullo, l'unico pittore dell'antichità di cui possiamo effettivamente identificare le opere. La tecnica dell'affresco, applicata al gesso fresco, richiede un tocco veloce e sicuro: Fabullo e i suoi collaboratori ricoprirono una percentuale impressionante dell'area. Plinio, nella sua Storia Naturale, racconta come Fabullo si recasse solo per poche ore al giorno alla Domus, per lavorare solo quando la luce era adatta. La rapidità dell'esecuzione di Fabullo dona un'unità straordinaria alla sua composizione, e una delicatezza sorprendente alla sua esecuzione.

Dopo la morte di Nerone, il terreno della Domus Aurea venne "restituito al popolo romano" dagli imperatori successivi. In circa un decennio la dimora neroniana venne spogliata dei suoi rivestimenti preziosi: i cantieri per le terme di Tito erano già avviati nel d.C. Vespasiano utilizzò lo spazio in cui era stato scavato il lago artificiale per costruire l'Anfiteatro Flavio, col Colossus Neronis nei suoi pressi. Anche le terme di Traiano ed il Tempio di Venere e Roma risiedono nel terreno occupato dalla Domus. In quarant'anni, la Domus Aurea fu completamente obliterata, sepolta sotto nuove costruzioni, ma paradossalmente questo fece in modo che i "grotteschi" dipinti potessero sopravvivere; la sabbia funzionò come le ceneri vulcaniche di Pompei, proteggendoli dal loro eterno nemico, l'umidità.

Quando un giovane romano cadde accidentalmente in una fessura sul versante del colle Oppio alla fine del XV secolo, si ritrovò in una strana grotta, piena di figure dipinte. Ben presto i giovani artisti romani presero a farsi calare su assi appese a corde per poter vedere loro stessi. Gli affreschi scoperti allora sono ormai sbiaditi in pallide macchie grigie sul gesso, ma l'effetto di queste decorazioni "grottesche," per l'appunto, furono elettrizzanti per l'intero Rinascimento. Quando il Pinturicchio Raffaello e Michelangelo s'infilarono sotto terra e furono fatti scendere lungo dei pali per poter studiare queste immagini, ebbero una rivelazione di quel che era il vero mondo antico. Essi, ed altri artisti che, come Marco Palmezzano, lavoravano a Roma in quegli anni, si diedero a diffondere anche nel resto d'Italia tali "grottesche".

Foro di Vespasiano: Il foro di Vespasiano non era un vero e proprio foro, ma piuttosto un santuario dedicato alla pace; infatti veniva anche chiamato Tempio della pace. Il Foro di Nerva, costruito in seguito, lo unì agli altri fori di epoca imperiale di cui finì per costituire una specie di appendice. Fu costruito per volere di Vespasiano tra il 71 ed il 75 d.C. per celebrare la vittoria sugli Ebrei. Il tempio era costituito da una grande sala con abside, dove si trovava la statua di culto, fiancheggiata da altri ambienti che si affacciava su una grande piazza. Nel tempio erano conservati dei bottini di guerra notevoli, come il candelabro a sette braccia e trombe d'argento provenienti dal Tempio di Gerusalemme ed altre opere d'arte che erano state razziate da Nerone e poste ad ornamento della sua Domus Aurea , ma dopo la sua morte e la distruzione della sua regale dimora vennero esposte qui. Distrutto da un incendio fu poi ricostruito da Settimio Severo nel 192 d.C. Il Foro della Pace (detto anche Foro di Vespasiano) era in realtà un tempio dedicato alla Pace (viene infatti definito come Templum Pacis). La denominazione di Foro deriva dal suo schema molto simile a quello dei Fori Imperiali dei quali alla fine andò a formare un prolungamento. Costruito da Vespasiano tra il 71 e il 75 d.C. per celebrare la vittoria sugli Ebrei (venne eretto al posto dell'antico mercato coperto - Macellum), il Foro della Pace era formato da un ambiente absidato (dove era situata la statua di culto) fiancheggiato da diverse stanze e aperto su una enorme piazza (metri 110 x 135) occupata principalmente da aiole e fontane e circondata da un quadriportico. All'interno erano conservate spoglie del Tempio di Gerusalemme (tra cui il famoso candelabro a sette bracci) e numerose opere d'arte, per la maggior parte razziate da Nerone in Grecia e Asia Minore per andare ad abbellire la Domus Aurea. Il Foro andò distrutto per un incendio nel 192 d.C. e venne ricostruito da Settimio Severo; a questa ricostruzione sono da attribuire due ambienti situati nell'area meridionale (presso l'angolo della Basilica di Massenzio), che vennero utilizzati per la costruzione (IV secolo d.C.) della chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Del primo ambiente (metri 34 x 18) si può vedere, alla sinistra dell'ingresso della chiesa, l'intera parete sud-occidentale, caratterizzata dalla cortina laterizia del rifacimento severiano; tra le finestre moderne si possono riconoscere i fori disposti in file regolari nei quali erano posti i perni metallici che sostenevano le lastre di marmo sulle quali era incisa la Forma Urbis, la monumentale pianta di Roma (in scala 1/246) realizzata all'epoca di Settimio Severo (203-211 d.C.) di cui rimangono numerosi frammenti esposti nei musei capitolini. A un livello più basso è visibile una parte del pavimento marmoreo sul quale giace un grande blocco di muratura caduto dall'adiacente Basilica di Massenzio. Del secondo ambiente, parzialmente utilizzato dalla chiesa, si può notare a sinistra e dopo l'ingresso della chiesa (prima del cortile) un tratto di parete in blocchi di travertino, mentre dal Foro Romano si può vedere la parte esterna sud-orientale, in blocchi di travertino e peperino insieme a una parte di quella sud-occidentale.

Anfiteatro Flavio o Colosseo: L'edificio poggia su una piattaforma in travertino sopraelevata rispetto all'area circostante. Le fondazioni sono costituite da una grande platea in cementizio di circa 13 m di spessore, foderata all'esterno da un muro in laterizio. La struttura portante è costituita da pilastri in blocchi di travertino, collegati da perni: dopo l'abbandono dell'edificio si cercarono questi elementi metallici per fonderli e riutilizzarli, scavando i blocchi in corrispondenza dei giunti: a questa attività si devono i numerosi fori ben visibili sulla facciata esterna. I pilastri erano collegati da setti murari in blocchi di tufo nell'ordine inferiore e in laterizio superiormente. Un complesso sistema di adduzione e smaltimento idrico consentiva la manutenzione dell'edificio e alimentava le fontane poste nella cavea per gli spettatori. La facciata esterna si articola in quattro ordini: i tre inferiori con 80 arcate su pilastri, ai quali si addossano semicolonne su piedistalli, mentre il quarto è costituito da una parete piena, scompartita da lesene in corrispondenza dei pilastri delle arcate. Nei tratti di parete tra le lesene si aprono 40 piccole finestre quadrangolari, una ogni due riquadri, e immediatamente sopra il livello delle finestre vi sono collocate tre mensole sporgenti per ogni riquadro, nelle quali erano alloggiati i pali di legno che venivano utilizzati per aprire e chiudere il velarium, il telo di copertura che riparava gli spettatori, manovrato da un distaccamento di marinai della flotta di Miseno. Le semicolonne e le lesene dei quattro ordini hanno a partire dal basso capitelli tuscanici, ionici, corinzi e corinzi a foglie lisce. I primi tre ordini ripetono la medesima successione visibile sulla facciata esterna del teatro di Marcello. Il Colosseo era circondato da un'area di rispetto pavimentata in travertino e delimitata da cippi (alcuni ancora al loro posto sul lato verso il Celio). All'interno la càvea con i gradini per i posti degli spettatori era suddivisa in cinque settori orizzontali (maeniana), riservati a categorie diverse di pubblico, il cui grado decresceva con l'aumentare dell'altezza: il settore inferiore, riservato ai senatori e alle loro famiglie, aveva gradini ampi e bassi che ospitavano seggi di legno (subsellia); seguivano il maenianum primum, con otto gradini di marmo, il maenianum secundum, suddiviso in imum (inferiore) e summum (superiore), ancora con gradini in marmo, e infine il maenianum summum, con circa undici gradini lignei all'interno del portico che coronava la cavea (porticus in summa cavea): i resti architettonici di quest'ultimo appartengono ai rifacimenti di epoca severiana o di Gordiano III. Un settore di posti nella parte più alta, considerato il peggiore, era riservato alle donne, alle quali, da Augusto in poi, fu sempre vietato di mescolarsi ad altri spettatori. I diversi settori erano separati da alti podi (precinctio), nei quali si aprivano le porte di accesso (vomitoria), protetti da transenne in marmo (risalenti ai restauri del II secolo

Sui gradini sono spesso incise le indicazioni dei posti e sulla balaustra del podio venivano iscritti i nomi dei senatori a cui i posti inferiori erano riservati. Gli spettatori raggiungevano il loro posto entrando dalle arcate loro riservate. Ciascuna delle 74 arcate per il pubblico era contraddistinta da un numerale, inciso sulla chiave di volta, per consentire agli spettatori di raggiungere rapidamente il proprio posto. Le due arcate in corrispondenza degli assi minori, precedute esternamente da un avancorpo, erano riservate agli alti personaggi ospitati nei due palchi oggi scomparsi. Immettono ciascuna in un ampio settore comprendente tre cunei, scompartito da pilastri. Il percorso aveva le pareti rivestite in marmo e presentava una decorazione a stucco sulla volta, ancora quella originale di epoca flavia. Il palco meridionale, che ospitava l'imperatore, aveva anche un altro accesso più diretto, attraverso un criptoportico che dava direttamente all'esterno. Dodici arcate erano riservate ai Senatori e immettevano in corridoi che raggiungevano l'anello più interno: da qui con una breve scala si raggiungeva il settore inferiore della cavea. Anche questi passaggi erano rivestiti di marmo. Le altre arcate davano accesso alle numerose scale a una o due rampe che portavano ai settori superiori. Le pareti erano qui rivestite di intonaco, anche sulle volte. L'arena presentava una pavimentazione parte in muratura e parte in legno, e veniva ricoperta da sabbia, costantemente pulita, per assorbire il sangue delle uccisioni. Sotto l'arena erano stati realizzati ambienti di servizio, articolati in un ampio passaggio centrale lungo l'asse maggiore e in dodici corridoi curvilinei, disposti simmetricamente sui due lati. Qui si trovavano i montacarichi che permettevano di far salire nell'arena i macchinari o gli animali impiegati nei giochi e che, in numero di 80, si distribuivano su quattro dei corridoi: i resti attualmente conservati si riferiscono ad un rifacimento di III o IV secolo. Le strutture di servizio erano fornite di ingressi separati: gallerie sotterranee all'estremità dell'asse principale davano accesso al passaggio centrale sotto l'arena, ed erano utilizzate per l'ingresso di animali e macchinari; le due arcate sull'asse maggiore davano direttamente nell'arena ed erano destinate all'ingresso dei protagonisti dei giochi, gladiatori ed animali troppo pesanti per essere sollevati dai sotterranei; l'arena era accessibile per gli inservienti anche da passaggi aperti nella galleria di servizio che le correva intorno sotto il podio del settore inferiore della cavea. Alla galleria si arrivava dall'anello più interno, lo stesso che utilizzavano i Senatori per raggiungere i propri posti.

Domus Augustana: fa parte del complesso del Palazzo di Domiziano che occupò, alla fine del I secolo d.C., tutta la parte centrale del Palatino. La Domus Augustana era la residenza privata degli imperatori e la sua importanza è resa evidente dal fatto che, se si escludono alcuni restauri ed ampliamenti, essa non fu mai sostituita. I lavori, diretti dall'architetto Rabirio, una delle grandi personalità dell'età imperiale, iniziarono pochi anni dopo che Domiziano salì al trono imperiale (81 d.C.) e terminarono nel 92 d.C. Si può ritenere che essi abbiano avuto inizio dalla cosiddetta Domus Flavia cioè il palazzo ufficiale, quello di rappresentanza, e siano continuati con la Domus Augustana, cioè l'abitazione privata dell'imperatore, per terminare con lo Stadio. La domus Augustana si può dividere in due settori quello settentrionale, che si articolava intorno ad un grande peristilio (nella foto a sinistra) con al centro un bacino ornamentale, dove si alzava, a mo' di isola, su un alto podio, un tempietto, al quale si accedeva a mezzo di un ponticello. Si sa che nella Casa di Domiziano vi era un tempio dedicato a Minerva, divinità particolarmente venerata da questo imperatore: non è improbabile che esso sia proprio da identificare con quello al centro del bacino. I lati orientali ed occidentali erano occupati da una serie di ambienti tra i quali una grande aula a due absidi contrapposte, mentre il settore meridionale, molto meglio conservato, sorgeva ad un livello assai più basso del resto del palazzo: tra le due parti si colloca infatti il taglio verticale che regolarizzò la pendice del colle. Il piano inferiore è costituito da un cortile quadrato, munito in origine di un portico a due piani: a sud si apre verso una grande esedra che costituisce la facciata del palazzo verso il Circo Massimo. Al centro del cortile vi era una grande fontana (nella foto a destra), animata da un motivo centrale, formato da quattro pelte (scudi di Amazzoni) contrapposte. Soltanto i lati settentrionali ed occidentali avevano ambienti: quelli a nord presentano due grandi sale ottagonali, coperte con volte a padiglione, e con le pareti ornate di nicchie alternativamente semicircolari e rettangolari. Al centro delle due sale vi è un'altra sala, quadrata e con due esedre semicircolari ai lati ed una rettangolare sul fondo. Il lato occidentale invece è caratterizzato da una grande sala centrale, sporgente in parte sul peristilio, fiancheggiata da due grandi ninfei con bacini al centro Si accede al piano superiore tramite una grande scalinata a due rampe. Si riconosce una pianta piuttosto complessa, con molti ambienti, quasi sempre di dimensioni non troppo vaste: era questa, probabilmente, la parte dell'edificio abitata stabilmente dall'imperatore. Accanto all'esedra sopra menzionata, proprio sul versante del colle prospiciente il circo massimo , vi è un piccolo edificio che costituisce un'evidente appendice alla domus Augustana e che, sulla base di un graffito (exit de Paedagogium, ossia "esce dal Pedagogium") ritrovato più volte all'interno dei suoi ambienti, venne denominato Paedagogium (nella foto a sinistra), un luogo di istruzione per gli schiavi imperiali, in maggioranza greci, sulla base dei nomi e graffiti quasi sempre in lingua greca. L'edificio era costituito da due file di stanze, una delle quali absidata, separate da un cortile porticato con pilastri laterizi: va segnalato che è moderna la fila di pilastri laterizi che ingloba l'unica colonna superstite e che sostiene pezzi di cornici marmoree appartenenti alla sovrastante domus Augustana. Resti di pitture, appartenuti al III secolo, sono ancora visibili in alcune stanze: l'interesse principale di questi intonaci però è costituito dai numerosi graffiti che vi sono incisi, tra i quali il più importante (oggi esposto al Museo Palatino) è quello che rappresenta un orante dinanzi ad un crocefisso con la testa d'asino e la scritta, in greco, "Alexamenos adora il (suo) dio".

Arco di Tito: un arco trionfale ad un solo fornice (ossia con una sola arcata), posto sulle pendici settentrionali del Palatino, nella parte occidentale del Foro di Roma. L'iscrizione sull'attico (lato ovest, verso il Foro) reca la dedica del monumento da parte del Senato all'imperatore Tito (nato nel , imperatore dal all' ), menzionato come "divus" e dunque posteriore alla sua morte nell'anno . L'arco è costruito in opera quadrata di marmo, pentelico fino ai capitelli e lunense nella parte superiore, con uno zoccolo in travertino e un nucleo interno in cementizio. Le fondazioni sono attualmente allo scoperto a causa degli scavi che raggiungono in questa zona il livello augusteo. Le parti dell'elevato oggi in travertino sono dovute al restauro del di Raffaele Stern e Giuseppe Valadier, ricordato dall'iscrizione di papa Pio VII sul lato est (verso il Colosseo) dell'attico. Sulle due facciate il fornice è inquadrato da colonne con fusti scanalati e capitelli compositi, che sorreggono una trabeazione, con fregio che rappresenta una scena di sacrificio. La volta del passaggio conserva una ricca decorazione a cassettoni: al centro è raffigurato Tito portato in cielo da un'aquila, allusione alla sua apoteosi (divinizzazione dopo la morte). Sulle pareti interne del passaggio sono presenti due grandi rilievi storici che commemorano la cattura di Gerusalemme da parte di Tito nel , episodio fondamentale della prima guerra giudaica iniziata nel . Sul lato sud è raffigurato l'ingresso del corteo trionfale, con il bottino preso al Tempio di Gerusalemme (il candelabro a sette braccia, la tavola con i vasi sacri, le trombe d'argento) e sul lato nord l'imperatore Tito sulla quadriga trionfale, incoronato dalla Vittoria e con accanto le personificazioni, identificate come Honos e Virtus, oppure come Roma e il Genio del popolo romano.

Foro di Nerva: Sebbene intitolato e inaugurato (97 d.C.) dall'imperatore Nerva, tale Foro (pianta) venne ideato e realizzato da Domiziano per dare un aspetto solenne (monumentale)all'area rimasta libera situata tra il Tempio della Pace e il Foro di Augusto, dovepassava la via dell'Argileto che andava alla Suburra e all'Esquilino. Il Foro di Nerva (conosciuto anche come Forum Transitorium) è formato da una piazza lunga e stretta (metri 120 per 45), priva di portici sostituiti sui due lati maggiori da un colonnato appoggiato al muro perimetrale in blocchi di peperino. Oggi si può vedere ancora un tratto del lato sud-orientale, con due colonne scanalate e capitelli corinzi di marmo bianco (nel Medioevo vennero soprannominate "le Colonnacce") sopra le quali corre una ricca trabeazione con fregio in rilievo (collegato al mito di Aracne); al di sopra c'è un alto attico con bassorilievo riguardante Minerva. Sul lato di fondo del Foro, era situato il Tempio di Minerva (conservato fino al 1606, quando venne demolito per utilizzare i materiali per la costruzione della fontana dell'Acqua Paola sul Gianicolo); era costruito su un alto podio con gradinata frontale e aveva un pronao con sei colonne sulla facciata e tre sui lati. La cella, all'interno, era formata da due colonnati su due ordini e un'esedra rettangolare sul fondo. Alla destra del Tempio, c'era un arco (nel Medioevo era detto "Arco di Noè") situato tra il podio e il muro perimetrale del Foro, dal quale si passava in un grande ambiente di forma trapezoidale (irregolare) per giungere in un grande emiciclo porticato (Porticus Absidata) che si apriva verso il quartiere della Suburra.

Foro di Traiano: E' l'ultimo e più grandioso dei Fori Imperiali, costruito dall'architetto Apollodoro di Damasco, eliminando la sella che univa Campidoglio e Quirinale. Il monumento si articolava su terraze leggermente sopraelevate l'una rispetto all'altra, da sud a nord. L'ingresso si apriva sul lato del Foro di Augusto, tramite un grande arco. Oltrepassato l'rco si accedeva alla piazza centrale, rettangolare, col lato di ingresso convesso verso l'esterno. Al centro di essa era la grandiosa statua equestre dell'imperatore. I due lunghi della piazza erano chiusi da portici colonnati, sul fondo dei quali si aprivano due grandiose esedre semicircolari. Il fondo della piazza era sbarrato dalla massa imponente della Basilica Ulpia, la più grande mai costruita in Roma. La facciata esterna era divisa verticalmente in tre settori, corrispondenti ad altrettanti ingressi. L'interno era diviso in cinque navate da quattro file di colonne che giravano anche sui lati minori.

A nord della Basilica Ulpia erano due biblioteche che inquadravano la Colonna Traiana. Questa, costruita su grandi blocchi di marmo, poggia su una base a forma di dado. La Colonna serviva in primo luogo a indicare il livello originario del colle, tagliato per liberare l'area necessaria al nuovo Foro. Inoltre doveva servire da tomba all'imperatore. Sul fusto della colonna, alta 100 piedi romani, si snoda a spirale il lungo bassorilievo, in origine dipinto, con la rappresentazione delle guerre daciche. La statua di Traiano, che ornava la Colonna, scomparsa nel Medioevo, fu sistituita da quella di S.Pietro. Alle spalle della Colonna, dopo la morte dell'imperatore (117 d.C.), fu eretto dal suo successore un grandioso tempio dedicato a Traiano ed alla moglie Plotina.

I Mercati Traianei: A est del Foro di Traiano, lo spazio compreso tra questo e le ultime pendici del Quirinale fu utilizzato per un complesso di costruzioni utilitarie. E' questo il punto dove fu eseguito il taglio della collina, ricordato dalla Colonna, che i Mercati avevano anche la funzione di sostenere e nascondere. La facciata dell'edificio è costituita da una grande esedra, concentrica a quella orientale del Foro, ed è affinacata da due grandi sale semicircolari coperte da una semicupola, forse delle scuole o degli auditori.

L'esedra, interamente in mattoni come il resto dell'edificio, si apre i basso con undici taberne, stanze poco profonde che poggiano direttamente contro la roccia della collina. La parte superiore della roccia è forata da una serie di finestrine ad arco, che servivano a dare luce ad un corridoio coperto a volta, sovrastante gli ambienti del pianterreno, sul quale si aprono dieci taberne. Il terzo piano dell'emiciclo era costituito da una terrazza e da un gruppo di taberne, che si aprivano però in senso inverso rispetto alle sottostanti, in direzione di un'antica strada, la via Biberatica. Da qui una ripida scala porta ad un grandioso ambiente, centro di tutto il complesso, con una sala che occupa l'altezza di due piani coperta da un'ardita volta a sei crociere poggianti su mensoloni di travertino. A pianterreno si aprono sei botteghe per lato. Si può notare come pur essendo Apollodoro di Damasco lo stesso architetto del Foro e dei Mercati, la funzione ha imposto nei due casi soluzioni opposte. Il Foro è rigidamente condizionato dall'assialità imposta dalla sua funzione ufficiale, mentre i Mercati si adattano flessibilmente alle condizioni ambientali, trapassando gradualmente da una simmetria obbligata (esedra verso il Foro) ad una articolazione asimmetrica che sfrutta lo spazio al massimo.

Colonna Traiana: La colonna raggiunge i 29,78 metri di altezza (pari a 100 piedi romani), 40,50 metri circa se si include l'alto piedistallo alla base e la statua alla sommità. Il fusto è costituito da 19 colossali rocchi in marmo lunense, ciascuno dei quali pesa circa 40 tonnellate ed ha un diametro di 3,83 metri. I 200 metri del fregio si arrotolano a spirale intorno al fusto per 23 volte e recano circa 2500 figure. All'interno del fusto una scala a chiocciola di 185 scalini, che permette di raggiungerne la sommità. Il fregio si arrotola a spirale intorno al fusto come se fosse un rotolo di papiro: infatti all'estremità superiore si intravedono le scanalature del fusto, che presenta capitello dorico e base decorati. Sul piedistallo sono presenti rilievi con cataste di armi su tre lati, mentre sul quarto lato si trova la porta che permette di accedere all'interno del basamento, sormontata da un'iscrizione sorretta da due Vittorie. Agli angoli del piedistallo sono disposte quattro aquile. che sorreggono una ghirlanda di alloro. L'iscrizione (redatta in carattere lapidario romano) sembra dichiarare che la Colonna venne innalzata per mostrare l'altezza del monte che con tanta fatica era stato eliminato per la costruzione del Foro, ma il racconto del fregio rende evidente l'intento celebrativo del monumento, ed il suo uso come tomba (le ceneri dell'imperatore furono deposte nel basamento dopo la sua morte, ora non più presenti) sottolinea le caratteristiche semidivine del personaggio. Il rilievo del fregio raffigura le due campagne militari di conquista della Dacia e ): le due sezioni sono separate da una Vittoria che scrive su uno scudo. Le scene sono raffigurate come fossero le illustrazioni sulle spirali di un gigantesco rotolo di papiro avvolto intorno all'asse della colonna. La rappresentazione delle scene è continua e si mostrano non solo battaglie, ma anche partenze e trasferimenti di truppe, lavori di fortificazione, discorsi dell'imperatore ai soldati, sacrifici, ambascerie e sottomissioni. Le scene sono ambientate nel contesto, con rocce, alberi e costruzioni, e sembrano riferirsi ad episodi specifici piuttosto che a generiche rappresentazioni idealizzate. Particolare con soldati impegnati in lavori di disboscamento

Gli abbondanti e precisi riferimenti al paesaggio, i particolari realistici di ponti, fortini, accampamenti, la rappresentazione di fiumi o di accampamenti a volo d'uccello ha probabilmente dietro di sé la tradizione romana delle "pitture trionfali", cioè di quei pannelli illustrati che, portati in processione nei trionfi dei generali vittoriosi, mostravano al popolo le scene più salienti delle campagne militari. La figura di Traiano è raffigurata 59 volte e la sua presenza è spesso sottolineata dal convergere della scena e dello sguardo degli altri personaggi su di lui; è alla testa delle colonne in marcia, rappresentato di profilo e con il mantello gonfiato dal vento; sorveglia la costruzione degli accampamenti; sacrifica agli dei; parla ai soldati; li guida negli scontri; riceve la sottomissione dei barbari; assiste alle esecuzioni. Un ritmo incalzante, d'azione, collega fra loro le diverse immagini il cui vero protagonista è il valore, la virtus dell'esercito romano. Note drammatiche, patetiche, festose, solenni, dinamiche e cerimoniali s'alternano in una gamma variata di toni e raggiungono accenti di particolare intensità nella scena della tortura inflitta dalle donne dei Daci ai prigionieri romani dai nudi corpi vigorosi, nella presentazione a Traiano delle teste mozze dei Daci, nella fuga dei Sarmati dalle pesanti armature squamate, nel ricevimento degli ambasciatori barbari dai lunghi e fastosi costumi esotici, fino al grandioso respiro della scena di sottomissione dei Daci alla fine della prima campagna, tutta imposta sul contrasto fra le linee verticali e la calma solenne del gruppo di Traiano seduto, circondato dagli ufficiali con le insegne, e le linee oblique e la massa confusa dei Daci inginocchiati con gli scudi a terra e le braccia protese ad invocare la clemenza imperiale. Le scene della Colonna di Traiano costituiscono un racconto storico che fonde insieme la tradizione artistica dell'arte ellenistica e la solennità tutta romana dell'esaltazione dell'Impero. Il realismo domina nella narrazione e l'unico elemento simbolico è la personificazione dell'imponente e solenne Danubio barbato che, emergendo dal suo letto, invita i Romani a passare. Nella rappresentazione dello spazio e del paesaggio, nelle scene d'azione piene di dinamismo, nel naturalismo cui è improntata la rappresentazione della figura umana si sente ancora viva la tradizione dell'organicità naturalistica greca. La grande qualità del rilievo ha fatto attribuire le sculture ad un ignoto "Maestro delle Imprese di Traiano", a cui forse si deve anche il cosiddetto "Grande Fregio di Traiano" le cui lastre sono reimpiegate sull'Arco di Costantino Giovanni Becatti ha ben visto nella colonna di Traiano l'esempio più luminoso della "fusione dell'insegnamento greco e della tradizione romana nell'arte imperiale traianea". La visibilità del fregio non era favorita dalla posizione della Colonna, collocata entro un ristretto cortile porticato, anche tenendo conto della possibile presenza di colore, oggi scomparso, e delle integrazioni in bronzo per armi e strumenti. È possibile che una visione più ravvicinata si potesse avere salendo sulle terrazze di copertura della navata laterale esterna della Basilica Ulpia o su quelle che probabilmente coprivano anche i portici antistanti le due biblioteche. Una lettura "abbreviata" era anche possibile senza la necessità di girare intorno al fusto per seguire l'intero racconto, seguendo le scene secondo un ordine verticale, dato che la loro sovrapposizione nelle diverse spire sembra seguire una logica coerente. La realizzazione del monumento richiese una tecnica complessa e una avanzata organizzazione e coordinamento tra le maestranze che lavoravano nel cantiere. Si trattava infatti di sovrapporre rocchi di marmo del peso di circa 40 tonnellate e di farli combaciare perfettamente, tenendo conto sia dei rilievi, probabilmente già sbozzati e successivamente rifiniti in opera, sia della scala a chiocciola interna, che doveva già essere stata scavata nei rocchi prima della collocazione.

Basilica Ulpia: Si trattava della più grande basilica di Roma: le sue misure erano 170 metri di lunghezza (120 metri senza absidi) e 60 metri di larghezza. Aveva una forma rettangolare inframezzata da avancorpi sporgenti che ne rompevano la linearità. L'ingresso principale, situato sul lato est, possedeva una facciata decorata: essa era composta da un colonnato di dieci colonne a filo del muro, probabilmente in marmo giallo, più un ulteriore fila di sei colonne a guisa di porticato. Il colonnato fungeva da supporto ad una trabeazione sulla quale erano collocate delle quadrighe ed alcune statue, tra cui la Vittoria, che accompagnava la quadriga centrale. La sala centrale della basilica, divisa in navate, era circondata da un doppio colonnato composto da un totale di 96 colonne, probabilmente in marmo bianco o giallo. I capitelli che le sormontavano erano di ordine corinzio ed erano di cinque metri di larghezza. La navata centrale misurava 25 metri di larghezza e percorreva l'intera lunghezza dell'edificio, avancorpi esclusi. Le mura, in marmo, erano state coperte, in corso di costruzione, in bronzo

Arco di Traiano a Benevento: è un arco trionfale costruito tra il e il d.C. dall'architetto Apollodoro di Damasco e dedicato all'imperatore Traiano in occasione dell'apertura della via Traiana, una variante della via Appia che accorciava il cammino tra Benevento e Brindisi. Si tratta di un arco a un solo fornice, alto 15,60 m e largo 8,60 m. Su ogni facciata quattro semicolonne, disposte agli angoli dei piloni, sorreggono una trabeazione, che sporge al di sopra del fornice. Al di sopra di questa si trova un attico, anch'esso più sporgente nella parte centrale, sopra il fornice, che presenta all'interno un vano coperto da una volta a botte. È costruito in blocchi di pietra calcarea, rivestiti da opera quadrata in blocchi di marmo pario. L'arco presenta una ricca decorazione scultorea sulle due facciate principali, con scene che si riferiscono alla pace e alle provvidenze verso i cittadini sul lato interno, rivolto verso la città, e alla guerra e alle provvidenze verso le province sul lato esterno. L'attico presenta al centro un'iscrizione dedicatoria (v. oltre) e ai lati due pannelli a bassorilievo: sul lato esterno, il pannello di sinistra, non interamente conservato, rappresentava forse le province illiriche e danubiane, e quello di destra la sottomissione della Mesopotamia; sul lato interno, a sinistra era l'ingresso di Traiano sul Campidoglio e a destra la personificazione di una città e Adriano. Il fregio figurato della trabeazione sorretta dalle colonne raffigura la processione del trionfo di Traiano sulla Dacia. Su ciascuno dei piloni, tra le semicolonne angolari, altri due pannelli, posti l'uno sull'altro, più stretti di quelli presenti sull'attico, raffigurano ancora scene e allegorie delle attività imperiali; i pannelli sono separati da pannelli decorativi più bassi con "Vittorie tauroctone" (Vittorie nell'atto di sacrificare tori) e sormontati da altri pannelli decorativi con sacerdoti e strumenti del sacrificio. Nei pennacchi dell'arcata del fornice sono raffigurate personificazioni (il Danubio e la Mesopotamia, sul lato esterno, e la Vittoria e la Fedeltà militare, sul lato interno) accompagnate dai geni delle quattro stagioni; sulle chiavi dell'arco sono raffigurate altre personificazioni (la Fortuna, sul lato esterno, e Roma sul lato interno). I lati interni del fornice presentano altri due ampi pannelli scolpiti, raffiguranti scene delle attività di Traiano nella città di Benevento (a sinistra, uscendo dalla città, il sacrificio della cerimonia per l'apertura della via Traiana, e a destra, l'istituzione della alimentatio Italiae; sulla volta, decorata a cassettoni, compare al centro una raffigurazione dell'imperatore incoronato da una Vittoria.

Pantheon a Roma: Sotto Adriano l'edificio venne interamente ricostruito. I bolli laterizi (marchi di fabbrica sui mattoni) appartengono agli anni e si può ipotizzare che il tempio venne inaugurato dall'imperatore durante la sua permanenza nella capitale tra il 125 e il . Secondo alcuni il progetto, redatto subito dopo la distruzione dell'edificio precedente in epoca traianea, sarebbe attribuibile all'architetto Apollodoro di Damasco.Rispetto all'edificio precedente fu invertito l'orientamento, con l'affaccio verso nord. Il grande pronao e la struttura di collegamento con la cella occupavano l'intero spazio del precedente tempio, mentre la rotonda venne costruita sopra la piazza augustea che divideva il Pantheon dalla basilica di Nettuno. Il tempio era preceduto da una piazza porticata su tre lati e pavimentata con lastre di travertino. L'edificio è costituito da un pronao collegato ad un'ampia cella rotonda per mezzo di una struttura rettangolare intermedia. Il pronao, ottastilo (con otto colonne di granito grigio in facciata e quattro colonne di granito rosso sui lati), m 34,20 x 15,62 m ed era innalzato di m.1,32 sul livello della piazza per cui vi si accedeva per mezzo di cinque gradini. L'altezza totale dell'ordine è di 14,15 m e i fusti hanno 1,48 m di diametro alla base. Sulla facciata il fregio riporta l'iscrizione di Agrippa in lettere di bronzo, mentre una seconda iscrizione relativa ad un restauro sotto Settimio Severo fu più tardi incisa sull'architrave. Il frontone doveva essere decorato con figure in bronzo, fissate sul fondo con perni: dalla posizione dei fori rimasti si è ipotizzata la presenza di una grande aquila ad ali spiegate. All'interno, due file di quattro colonne dividono lo spazio in tre navate: quella centrale più ampia conduce alla grande porta di accesso della cella, mentre le due laterali terminano su ampie nicchie che dovevano ospitare le statue di Augusto e di Agrippa qui trasferite dall'edificio augusteo. I fusti delle colonne erano in granito grigio (in facciata) o rosso, provenienti dalle cave egiziane, ed anche i fusti dei porticati della piazza erano in granito grigio, sebbene di dimensioni inferiori. I capitelli corinzi, le basi e gli elementi della trabeazione erano in marmo bianco pentelico, proveniente dalla Grecia. L'ultima colonna del lato orientale del pronao, mancante già dal XV secolo fu rimpiazzata da un fusto in granito grigio sotto papa Alessandro VII e la colonna all'estremità orientale della facciata fu ugualmente sostituita sotto papa Urbano VIII con un fusto in granito rosso: l'originaria alternanza dei colori nelle colonne, dunque, risulta oggi alterata. Le nuove colonne provenivano entrambe dalle Terme Neroniane. Il tetto a doppio spiovente è sorretto da capriate lignee, sostenute da muri in blocchi con archi poggianti sopra le file di colonne interne. Le originarie tegole in bronzo e la volta in bronzo appesa alle strutture di copertura, che le copriva alla vista dallo spazio interno, sono oggi scomparse ad opera di papa Urbano VIII che le fece fondere per costruire 110 cannoni per Castel Sant'Angelo. Il pronao è pavimentato in lastre di marmi colorati che si dispongono secondo un disegno geometrico di cerchi e quadrati.

La struttura intermedia che collega il pronao alla cella è in opera laterizia cementizio con faccia a vista in mattoni o laterizi), costituita da due massicci pilastri che si appoggiano alla rotonda, collegati da una volta che proseguiva senza soluzione di continuità l'originaria volta sospesa in bronzo della parte centrale del pronao. Nei pilastri sono inserite scale di accesso alla parte superiore della rotonda. La parete è rivestita con lastre di marmo pentelico e decorata all'esterno e ai lati della porta della cella da un ordine di lesene che prosegue l'ordine del pronao. Tra le lesene sono inseriti pannelli decorativi con ghirlande e con strumenti sacrificali. All'esterno la struttura ha la stessa altezza del cilindro della rotonda e doveva come questa avere un rivestimento in stucco e intonaco oggi scomparso. Sulla facciata un frontone in laterizio ripete quello del pronao ad un'altezza maggiore, e si rapporta alle divisioni delle cornici marcapiano presenti sulla rotonda, che proseguono senza soluzione di continuità sulle pareti esterne della struttura rettangolare al di sopra dell'ordine di lesene. Il frontone, nascosto dal pronao, doveva comunque essere visibile solo da grande distanza. La differenza di livello tra i due frontoni ha fatto ipotizzare che il pronao dell'edificio fosse stato in origine previsto di maggiori dimensioni, con fusti di colonna di 50 piedi (14,80 m) invece che di 40 piedi (11,84 m), ma che le cave di granito egiziane, già sfruttate per i fusti del monumentale ingresso settentrionale del Foro di Traiano, non fossero in grado di fornire altri fusti monolitici di tali eccezionali dimensioni e che il progetto dovette dunque essere ridotto e modificato.

Lo spazio interno della cella rotonda è costituito da un cilindro coperto da una semisfera. Il cilindro ha altezza uguale al raggio (21,72 m) e l'altezza totale dell'interno è uguale al diametro (43,44 m). Al livello inferiore si aprono otto ampie esedre, a pianta alternativamente rettangolare (in realtà trapezoidale) e semicircolare, una delle quali è utilizzata per l'ingresso. Questo primo livello è inquadrato da un ordine architettonico con colonne in corrispondenza dell'apertura delle esedre e lesene nei tratti di muro intermedi, che sorreggono una trabeazione continua. Solo l'abside opposta all'ingresso è invece fiancheggiata da due colonne sporgenti dalla parete, con la trabeazione che gira all'interno come imposta della semicupola di copertura. Tra le lesene, negli spazi tra le esedre, sono presenti piccole edicole su alto basamento, con frontoncini alternativamente triangolari e curvilinei. Le pareti sono rivestite da lastre di marmi colorati. Un secondo livello aveva un ordine di lesene in porfido che inquadravano finte finestre e un rivestimento in lastre di marmi colorati. La decorazione romana originale fu sostituita da quella attualmente visibile, realizzata nel XVIII secolo (probabilmente negli anni ). Nel settore sud-occidentale una parte dell'originario aspetto romano di questo livello fu restaurata successivamente, ma in modo non del tutto preciso. Il pavimento della rotonda è leggermente convesso, con la parte più alta (spostata di circa 2 m verso nord-ovest rispetto al centro) sopraelevata di circa 30 cm, per far si che la pioggia che scende all'interno del tempio attraverso l'oculo posto sulla cima della cupola, defluisca verso dei canali di scolo posti sul perimetro della rotonda. Esistono alcune leggende secondo cui dall'oculo non entra la pioggia, a causa di un sistema di correnti d'aria, ma sono evidentemente false. Il rivestimento è in lastre con un disegno di quadrati in cui sono iscritti alternativamente cerchi o quadrati più piccoli. L'attuale porta in bronzo, di proporzioni diverse da quelle dell'apertura, proviene da un altro antico edificio.

La cupola, del diametro di 43,44 m, è decorata all'interno da cinque ordini di ventotto cassettoni, di misura decrescente verso l'alto, e presenta al centro un oculo di 8,92 m di diametro. L'oculo doveva essere circondato da una cornice bronzea fissata alla cupola che forse raggiungeva la fila più alta di cassettoni. Una curiosità riguardante l'oculo sta nell'"effetto camino": infatti, quando piove, la corrente d'aria ascensionale porta alla frantumazione delle gocce d'acqua, così all'interno sembra che non piova e, inoltre, per evitare pozze d'acqua all'interno, sono stati fatti dei fori sia centrali che laterali per lo scolo dell'acqua. La realizzazione di questa cupola fu possibile grazie all'utilizzo, oltre che dei cassettoni, anche dell'uso di diversi tipi di materiali, abbiamo infatti a seconda dell'altezza l'utilizzo di materiali via via sempre più leggeri, nello strato più vicino al tamburo cilindrico abbiamo strati di calcestruzzo con scaglie di mattoni, salendo troviamo calcestruzzo con scaglie di tufo mentre nella parte superiore, nei pressi dell'oculo troviamo calcestruzzo misto a materiale vulcanico. All'esterno la cupola è nascosta inferiormente da una sopraelevazione del muro della rotonda, ed è quindi articolata in sette anelli sovrapposti, l'inferiore dei quali conserva tuttora il rivestimento in lastre di marmo. La parte restante era coperta da tegole in bronzo dorato, asportate dall'imperatore bizantino Costante II, ad eccezione di quelle che circondavano l'oculo, tuttora in situ. Lo spessore della muratura diminuisce verso l'alto (da 5,90 m inferiormente a 1,50 m in corrispondenza della parte intorno all'oculo centrale). Inoltre, all'interno della muratura sono stati usati diversi tipi di laterizi sempre più leggeri via via che si procede verso l'alto (nella parte culminante ci sono addirittura delle leggerissime pomici). Questi accorgimenti hanno permesso il bilanciamento del peso della cupola e sono il segreto della sua straordinaria durata (vedi anche la sezione seguente).

La cupola poggia sopra uno spesso anello di muratura in opera laterizia (cementizio con paramento in mattoni), sul quale si trovano aperture su tre livelli (segnalati all'esterno dalle cornici marcapiano). Queste aperture, in parte utilizzate a fini estetici, come le esedre dell'interno, in parte spazi vuoti con funzioni prevalentemente strutturali, compongono una struttura di sostegno articolata, inglobata nell'anello continuo che appare alla vista. Sulla parete esterna della rotonda è ora visibile dopo la scomparsa dell'intonaco di rivestimento, la complessa articolazione degli archi di scarico in bipedali (mattoni quadrati di due piedi di lato) inseriti nella muratura da parte a parte, che scaricano il peso della cupola sui punti di maggior resistenza dell'anello, alleggerendo il peso in corrispondenza dei vuoti.

La particolare tecnica di composizione del cementizio romano permette alla cupola priva di rinforzi di restare in piedi da quasi venti secoli. Una cupola di queste dimensioni sarebbe infatti difficilmente edificabile con le moderne tecnologie, data la poca resistenza alla tensione del cemento moderno. Il fattore determinante sembra essere una particolare tecnica di costruzione: il cementizio veniva aggiunto in piccole quantità drenando subito l'acqua in eccesso. Questo, eliminando in tutto o in parte le bolle d'aria che normalmente si formano con l'asciugatura, conferisce al materiale una resistenza eccezionale. Inoltre venivano utilizzati materiali via via più leggeri per i caementa mescolati alla malta per formare il cementizio: dal travertino delle fondazioni alla pomice vulcanica della cupola.

L'inserzione di un'ampia sala rotonda alle spalle del pronao di un tempio classico rappresenta una novità nell'architettura romana. Il modello dello spazio circolare e coperto a cupola è ripreso da quello delle grandi sale termali che già erano state realizzate in quest'epoca, ma è interamente nuovo il suo utilizzo per un edificio templare. L'effetto di sorpresa nel varcare la porta della cella doveva essere notevole e sembra caratteristico dell'architettura di epoca adrianea, ritrovandosi anche in molte parti della sua villa privata a Tivoli. Un ulteriore elemento di novità era l'introduzione di fusti monolitici lisci di marmo colorato per le colonne di un tempio, al posto dei tradizionali fusti scanalati in marmo bianco.

Villa Adriana a Tivoli: La villa si trova sui Monti Tiburtini a sud-est di Tivoli ed occupa un'area di 120 ettari. L'architetto è Apollodoro di Damasco. Non si presenta come un corpo edilizio unitario al quale si aggiunga un parco, ma come una serie di padiglioni disposti nella natura secondo un ordine apparentemente casuale (in realtà accuratamente studiato, adattando i vari assi ai dislivelli del terreno e ai punti di vista). I lavori, che si svolsero in due fasi (118-125 / 125-133), all'inizio si limitarono alla ristrutturazione della vecchia villa repubblicana, con l'aggiunta di terme, di un ginnasio (il portico nord del Pecile con la biblioteca, la cosiddetta Sala dei Sette Sapienti), della sala per i banchetti ufficiali (edificio a tre esedre) e delle terme per il personale (Grandi Terme). Tutto il resto appartiene alla seconda fase, quando la villa acquista la sua definitiva dimensione monumentale. L'ingresso principale doveva trovarsi verso nord, su un diverticolo proveniente dalla via Tiburtina. Qui è una sala rettangolare con due colonne in antis, preceduta da un portico. Un lungo muro obliquo, che si dirige da qui verso ovest, sbarrava l'accesso al palazzo. Al gruppo di pretoriani destinati a proteggere l'ingresso appartengono i retrostanti dormitori, gli Ospitali. Si tratta di due gruppi di cinque stanze ciascuno, contrapposti ai lati di un corridoio, chiaramente identificabili come cubicoli a tre alcove. Verso sud sono le latrine e un grande ambiente centrale, forse un santuario del culto imperiale. Si passa successivamente, verso ovest, nel Cortile delle Biblioteche, la zona più antica del palazzo, un peristilio con portico sui quattro lati e con un ninfeo al centro del lato settentrionale. Attraverso due passaggi ai lati del ninfeo si possono raggiungere le due "Biblioteche"; si tratta in realtà di due triclini estivi il cui orientamento (quasi perfettamente nord - sud) è del tutto diverso da quello dei vicini edifici. I due edifici sono collegati da un portico trapezoidale. Quello più ad est (il più piccolo e il più antico: la "Biblioteca latina") è costituito da due sale in linea, precedute ad est da un vestibolo a facciata curva, con due colonne. La prima sala è quadrata, con alcove su tre lati, coperta da una volta a crociera. Due passaggi ai lati dell'alcova danno accesso alla sala più interna, absidata e con volta a botte. La "Biblioteca greca" di poco più recente e più grande, è costruita sullo stesso schema. La prima sala ha quattro alcove, e due ingressi che si aprono a lato di quella settentrionale, la sala più interna ha tra alcove, ed entrambe sono coperte da volte a crociera. Il lato sud del cortile delle Biblioteche è chiuso dal Podio della Villa Repubblicana. Da qui si accede a un'ampia sala rettangolare, la Sala dei Pilastri Dorici (12 sui lati lunghi, 8 sui corti). Da questo ambiente si accedeva, tramite una sala rettangolare con due colonne tra le ante, fiancheggiata da due corridoi su ogni lato, alla sala principale, la Sala del Trono, con abside sulla parete occidentale, portici sugli altri due. Alle spalle dell'aula, ma all'esterno del palazzo, vi è un piccolo edificio, la Caserma dei Vigili, una costruzione utilitaria, che contrasta con i lussuosi ambienti vicini. Essa è orientata in modo diverso e presenta due gruppi di tre ambienti ciascuno, coperti con volta a crociera, che si aprono su un cortile rettangolare, pavimentato a mattoni. A sud l'edificio è occupato per tutta la larghezza da un'unica sala, divisa in tre sezioni, ognuna coperta da volta a crociera. Si giungeva alla Piazza d'Oro seguendo un lungo portico chiuso da un muro sul lato occidentale e aperto sul lato opposto, coperto a terrazza. Si accedeva alla piazza tramite un Vestibolo a pianta ottagonale, in cui si aprono nicchie alternativamente a pianta rettangolare e semicircolare. La copertura è una cupola a spicchi, sostenuta da archi poggianti su mensole, al di sotto delle quali erano sottili colonnine, impostate su plinti in muratura. La cupola era conclusa in alto da un'apertura circolare. Il pavimento era in origine in vari marmi, disposti secondo uno schema ad esagoni. Il grande peristilio della Piazza d'Oro è circondato da un portico a due navate, esternamente al quale sui lati occidentale ed orientale, sono due corridoi (criptoportici) con serie di volte a crociera. L'area centrale scoperta era occupata, al centro, da una lunga vasca assiale, ai lati della quale erano dei giardini, delimitati da muretti. Il complesso di costruzioni a sud è uno dei più straordinari della villa. Il nucleo centrale è costituito da un ottagono a lati sinuosi, alternatamente concavi e convessi, ognuno dei quali è sostenuto da due colonne. Sul lato di fondo è un grande ninfeo semicircolare, con nicchie semicircolari e rettangolari alternate, ognuna delle quali è occupata da una fontana. I lati convessi danno su piccoli ninfei absidati, mentre quelli concavi laterali permettono di accedere a cortili con due lati convessi e due rettilinei, nei quali si aprono tre stanze con volta a botte. Tornando al cortile delle Biblioteche, tramite una scaletta si può accedere al Teatro Marittimo, che è a un livello più basso. Si tratta di una costruzione totalmente autonoma, isolata tutt'intorno da un alto muro circolare, che serve da parete di fondo a un portico anulare, coperto con volta a botte, poggiante sul lato opposto su un colonnato marmoreo. Un canale, anch'esso anulare, separa il portico da un isoletta centrale circolare, sulla quale è costruita una vera e propria villa in miniatura, alla quale si accedeva tramite due piccoli ponti di legno, che potevano essere ritirati verso l'isola. Si entrava nella villa in miniatura tramite un ingresso a emiciclo con corridoi laterali concentrici, che dava accesso a un piccolo peristilio a lati concavi, con fontana centrale. L'ultimo gruppo di ambienti, sull'asse, è una sorta di tablino con stanze annesse. A destra è un piccolo complesso termale con apodyterium, frigidarium, caldarium, latrina; a sinistra è una biblioteca.

Intorno al Teatro Marittimo si articola un gruppo di edifici nel quale si deve riconoscere un complesso omogeneo, identificabile con uno dei "ginnasi". La Sala dei Filosofi è un'aula rettangolare, con abside a nord, identificata con una biblioteca, come si può dedurre anche dalle sette nicchie che si aprono nell'abside, destinate agli armadi per i libri. A sud della Sala dei Filosofi è un complesso termale (le "terme con Eliocamino"). La parte settentrionale comprende un caldarium con vasca semicircolare, un frigidarium e una natatio con portico. Verso l'angolo meridionale è l'ambiente più notevole: una sala circolare, coperta da una cupola originariamente cassettonata, e occupata interamente da una grande vasca circolare, alla quale si scendeva per tre gradini. La mancanza di installazioni idrauliche, unita alla presenza di cinque grandi finestroni, che occupano praticamente tutta la metà sud-ovest (quella esposta al sole nelle ore più calde) hanno suggerito l'identificazione dell'ambiente con un heliocaminus, cioè una sala riscaldata dal sole. Alla parete occidentale della Sala dei Filosofi è addossato il portico del Pecile. Questo doppio portico, che appartiene alla prima fase adrianea, era inizialmente isolato, solo nella seconda fase fu costruito il gigantesco piazzale, con al centro una piscina. L'orientamento est-ovest permetteva di sfruttare il portico sia come passeggiata estiva (la parte settentrionale), sia come passeggiata invernale (la parte meridionale).

Tutta la parte occidentale della piazza del Pecile poggia su una grandiosa sostruzione costituita da una serie di stanze rettangolari di dimensioni identiche, le Cento Camerelle, non comunicanti, alle quali si perveniva tramite ballatoi di legno, e che erano le abitazioni dei numerosi schiavi impegnati nel servizio ella villa, disposte in modo da renderne inavvertibile la presenza. Sul lato meridionale del Pecile si raggiunge un edificio con tre esedre, una sala da pranzo (cenatio) per banchetti ufficiali, rivolta a nord, come tutte le altre cenationes della villa, il che fa pensare che il complesso fosse utilizzato soprattutto nella stagione calda. Verso est troviamo una serie di altri edifici, tutti orientati come il Pecile. Scavi recenti nello Stadio hanno dimostrato che si tratta in realtà di un grande ninfeo, che costituisce il collegamento tra la cenatio e un gruppo di ambienti culminanti in un grande cortile porticato, con criptoiprtico e piscina. Il gruppo di edifici che segue verso sud assume un orientamento ancora diverso, condizionato dalle linee naturali di una valletta. Esso comprende due edifici termali, i cosiddetti pretorio e Vestibolo, e il Canopo. Il primo edificio che si incontra procedendo verso sud sono le Piccole Terme. Il cuore dell'edificio è una sala ottagonale con pareti alternativamente convesse, sulle quali poggia la cupola, e piane. Da qui si raggiungono gli ambienti principali: lungo il lato ovest il calidario circolare coperto a cupola, e tramite questo una piscina coi lati minori curvi, e il tepidario. A sud è il frigidario con due grandi piscine absidate, separate dalla natatio, da due corridoi. Queste terme costituiscono un unico complesso con le Grandi Terme, situate più a sud. Queste mostrano una pianta più classica, con prevalenza di ambienti quadrangolari. Le sale riscaldate occupano anche qui il lato ovest, al quale si appoggia il lungo corridoio esterno dei forni. Una grande sala circolare aveva la funzione di sudatio, dal momento che non presenta un impianto idraulico. Accanto a questa, verso sud, si succedono il tepidarium, il calidarium, e una sala con tre piscine. Al centro del complesso è un'ampia sala rettangolare (frigidarium) dotata di due piscine (semicircolare a nord e rettangolare ad est. A sud del frigidarium è una grande sala quadrata coperta con volta a crociera, decorata con notevoli stucchi. A sud la valle fu regolarizzata e rinforzata con un muro a contrafforti sul lato orientale e con una sostruzione preceduta da due piani di tabernae sul lato occidentale. Il centro della valle è occupato da un lungo canale, il Canopo, con il lato breve settentrionale curvo, sottolineato da un colonnato. Lungo i due lati del bacino corrono due altri colonnati, semplice quello occidentale, doppio quello orientale. A sud del canale è una piscina rettangolare, affiancata da due gruppi di stanze. La valle è chiusa verso il fondo da un grande ninfeo (il Serapeo) a esedra semicircolare, prolungato da un lungo e alto corridoio coperto a botte, e concluso da un'abside.

Architettura domestica: L'architettura domestica dell'ultimo secolo della Repubblica presenta un quadro molto vivace; le ricchezze c'erano, e, nonostante i richiami alle antiche virtù della frugalità e dell' operosità, le nuovi classi ricche le spendevano con facilità. Una conseguenza di questa situazione fu l'abbondanza di nuove costruzioni private . Anche in questo campo Roma, dal punto di vista architettonico non fu all'avanguardia. Le famiglie facoltose mantenevano la casa in città per comodità, e l'arricchivano con gli oggetti più rari e raffinati. Ma la nuova architettura italo-ellenistica era un'architettura di grandi spazi, e a Roma lo spazio era scarso. Fu nelle ville suburbane, e, nell'ultimo secolo della Repubblica, lungo le coste del Lazio e della Campania che i ricchi poterono indulgere alla loro nuova passione. Questo è un fatto che bisogna tenere ben presente quando si esaminano le forme dell'architettura domestica nella tarda Repubblica. Sebbene si sia molto discusso su questo argomento ci si è limitati quasi esclusivamente ad un solo tipo di casa, cioè la casa ad atrio. Per esempio al tempo di Augusto, la casa ad atrio aveva già almeno tre secoli di storia alle spalle ed era probabilmente etrusca.

L'atrio era un ambiente rettangolare, con copertura lignea, simmetrico rispetto all'asse più lungo, e illuminato e areato attraverso un'apertura praticata al cento del tetto. Un esempio significativo è la cosi detta "casa del chirurgo" a Pompei così composta : una porta (ostium) sulla strada, spesso preceduta da un vestibulum e seguita da uno stretto corridoio di accesso (fauces); una corte centrale(atrium), coperta all'intorno da quattro falde del tetto spiovente verso l'interno (compluvium) in modo da convogliare la acque piovane in un bacino sottostante al centro dell'atrio (impluvium) da dove si raccolgono in una cisterna sotterranea; alcune stanze di alloggio ( cubicula) disposte attorno all'atrio e due ambienti aperti (alae) alle sue estremità; una sala principale in fondo all'atrio, di contro all'ingresso (tablinum) fiancheggiata da uno o due ambienti minori e da un corridoio di passaggio all'orto-giardino alle spalle della casa (hortus).

La casa ad atrio, chiusa tutt' attorno da alte mura continue quasi senza finestre, si rinnova nel corso del II secolo a.C con l'aggiunta di una seconda parte che, inserendosi fra gli ambienti dell'atrio e l'orto dietro il tablino, le conferisce maggiore estensione nel senso dell'asse e maggiori possibilità di sviluppo. È il complesso del cosiddetto peristylium, di influenza ellenistica, che aggiunge un giardino ornamentale (viridarium) all'orto e più spesso lo sostituisce, a volte completato da una piscina o da una fontana, circondato da quattro ali di portico a colonne e arricchito di ambienti ai lati e soprattutto sul fondo in cui, generalmente, tre ampie sale vengono a ripetere da questa parte la tipica disposizione del tablino e delle ali in fondo all'atrio. Contemporaneamente allo sviluppo della casa ad atrio e peristilio, soprattutto a Roma per il fenomeno sempre crescente dell'urbanesimo, si assiste ad una graduale evoluzine dei vecchi schemi di abitazione verso forme nuove, determinate dall'atrofizzarsi della casa patrizia e dal frazionarsi della domus in appartamenti d'affitto che, all'unità primitiva, sostituiscono la coabitazione di più famiglie. Si sviluppa in tal modo e si moltiplica la casa di tipo verticale che finisce col prevalere, segnando le premesse della casa imperiale e relegando sempre più la casa ad atrio e quella ad atrio e peristilio unicamente per abitazioni molto signorili. Nell'età imperiale, pur continuando a sussistere tutti i tipi precedenti, il rinnovamento dell'organismo tradizionale della casa italica-romana ed ellenistico-romana, sia nella pianta che nell'alzato, giunge alle sue estreme conseguenze. Vi concorrono il decadimento delle famiglie patrizie ed il progressivo livellamento economico della popolazione, il più accentuato urbanesimo e la conseguente mancanza di spazio e l'alto costo delle aree fabbricabili. Abbandonato così decisamente qualsiasi legame con gli schemi tradizionali e adottato su larga scala il principio dello sviluppo verticale nasce ora la casa romana vera e propria (fine I- II sec. a.C.). Essa è caratterizzata dal tipo di abitazione intensiva, e quindi da un accentuato sviluppo di piani, e dall'importanza che viene ad assumere il cortile, grande e spesso porticato, talvolta anche con tabernae e botteghe artigiane, che, oltre a servire di areazione e di illuminazione, diviene l'organo di raccordo di tutti gli elementi della casa. Questa, costruita per intero in muratura, con pareti di notevole spessore e facciate in cortina laterizia non intonacata, si innalza per quattro o cinque piani fino a superare i 15 metri di altezza con numerosi appartamenti che un largo uso di scale in muratura rende il più possibile indipendenti fra loro. Ogni appartamento raggruppa da tre a cinque stanze, coperte a volta nei primi due piani, con travature di legno e soffitto a incannucciata in quelli superiori, e senza particolari caratteristiche strutturali nell'interno. Le finestre sono numerose e grandi, disposte piuttosto simmetricamente e spesso suddivise in bifore e trifore; frequente, specialmente al primo piano, la presenza di ballatoi e balconi lignei o in muratura; e non rare le terrazze agli ultimi piani. Ma la copertura terminale è comunemente a solaio e tetto con tegole e coppi. Naturalmente, numerose sono le varianti, ad esempio i pianterreni con tabernae aperte sulla strada oppure con portici a pilastri o con veri e propri appartamenti, e i grandi palazzi signorili a cortile porticato. Nel corso del IV secolo d.C. accanto alle abitazioni intensive, si notano alcune case a sviluppo orizzontale che possono essere messe in relazione a fenomeni di ordine sociale (il riemergere di poche famiglie di alti magistrati e di grandi proprietari terrieri) documentate a Roma ed a Ostia . Questo tipo di casa orizzontale, senza presentare una pianta canonica (perche spesso frutto di adattamenti di edifici preesistenti), torna ad essere raccolta attorno ad una corte, per lo più con colonne e pilastri, da cui gli ambienti ricevono aria e luce; una sala maggiore predomina sulle altre, la casa è isolata per tutti i lati con muri esterni senza finestre. Nei particolari, specialmente architettonici e decorati, numerose sono le modificazioni e le aggiunte come ninfei, aule absidate, sale colonnate, esedre ecc., in parte provenienti da schemi da tempo passati alle ville e in parte dei sempre nuovi influssi dell'Oriente ellenistico.


Età tardo imperiale. Da Marco Aurelio a Costantino

Colonna di Marco Aurelio: è un monumento di Roma, eretto tra il e il per celebrare, forse dopo la sua morte, le vittorie dell'imperatore romano Marco Aurelio ) ottenute su Germani e Sarmati stanziati a nord del medio corso del Danubio (vedere Guerre marcomanniche). La colonna, che era alta 29,617 metri (pari a 100 piedi romani; 42 metri se si considera anche la base), è ancora nella sua collocazione originale davanti a Palazzo Chigi e dà il nome alla piazza nella quale sorge, piazza Colonna

Il monumento, coperto di bassorilievi, è ispirato alla Colonna Traiana. Il fregio scultoreo che si arrotola a spirale intorno al fusto, se fosse svolto, supererebbe i 110 metri in lunghezza. La colonna, che da sola è alta quasi 30 metri, è formata, come la Colonna di Traiano, da enormi rocchi di marmo di Carrara sovrapposti (20), del diametro di ca. 3,70 metri. I rocchi sono scavati all'interno così da formare una scala a chiocciola di 203 gradini che sono illuminati da piccole feritoie e che portano al "terrazzino" che si trova in cima e che chiude il capitello di ordine dorico. Intorno al fusto si arrotola un fregio disposto a spirale, che si avvolge per venti volte e che è alta ca. un metro. Il rilievo mostra scene di battaglia e schiere di nemici vinti durante le guerre combattute dai Romani contro i germani marcomanni e i Sarmati, popolazioni che si erano stanziate lungo il Danubio, sotto il dominio dell'imperatore. La colonna ripete intenzionalmente il modello traianeo. Malgrado il tentativo d'emulazione, vi sono evidenti differenze fra la colonna di Traiano e quella di Marco Aurelio: mentre nella prima vi è un morbido bassorilievo pittorico, nella seconda troviamo un incisivo altorilievo; il modellato da morbido diventa ruvido e duro; il trapano s'affonda nel marmo e trafora barbe, chiome, corazze, segnando le rade pieghe dei panneggi, i solchi di contorno delle figure, le sinusoidi delle onde dei fiumi. Il racconto si fa più schematico e alla varietà dei motivi subentra la ripetitività, come nelle scene di marcia; i dettagli del paesaggio diminuiscono, le prospettive divengono più convenzionali. L'impostazione obliqua dello schieramento dei soldati nella colonna di Traiano diventa, nella colonna Antonina, rappresentazione frontale; la frontalità si estende anche alla figura della Vittoria e a quella dell'Imperatore. Mentre Traiano era visto in mezzo ai suoi soldati, Marco Aurelio è già su un piano più distaccato che ne sottolinea la maestà; appare di fronte e inquadrato dal fido e valoroso genero Pompeiano e da un altro ufficiale, che sono impostati di tre quarti, come ali per far risaltare il fuoco centrale dell'Imperatore. Nelle scene di adlocutio ("discorso alle truppe") i soldati non si radunano più tutti su un lato, di fronte all'imperatore seduto di profilo, ma formano un semicerchio che gira in basso intorno alla preminente figura centrale e frontale di Marco Aurelio, in questo nuovo schema che preannuncia quello del Cristo fra gli Apostoli

Sparisce quel senso d'umanità e di pietà verso i vinti che traspariva dalla colonna traianea e il racconto bellico diviene crudele e spietato. I corpi dei barbari si stravolgono in ritmi angolosi e distorti, la struttura naturalistica si disorganizza e diventa una forzatura espressionistica. La narrazione si fa più drammatica e assume toni miracolistici nella rappresentazione del ruscellante Giove Pluvio (scena n.16 della "pioggia miracolosa"), che salva l'esercito romano accerchiato dai Quadi, mentre stava per morir di sete. L'episodio è riferito anche da Cassio Dione Cocceiano e da altri autori cristiani dell'epoca come Tertulliano (per un approfondimento vedere Legio XII Fulminata). Le stesse caratteristiche stilistiche si ritrovano sugli otto pannelli aureliani dell'Arco di Costantino, dove, ad esempio, la scena di sacrificio si presenta molto più affollata e densa di figure rispetto alle scene di sacrificio traianee, e questo dimostra una minore sensibilità verso la rappresentazione di Commodo. Lo stile della Colonna di Marco Aurelio non vuole rompere con la tradizione, anzi cerca palesemente di aderire ad essa il più possibile. Per spiegare, queste differenze fra le due colonne coclidi, secondo il Becatti, a partire dall'età di Commodo, le tendenze dell'arte popolareggiante (l'arte plebea), che erano sempre state vive nell'artigianato artistico, iniziano a confluire nell'arte ufficiale. Infatti, "proprio nell'età di Commodo si possono individuare quei presupposti che, in poco meno di un secolo, sfoceranno nella forma artistica tardo-antica" . Tuttavia i rilievi della colonna Antonina e quelli dei pannelli aureliani dell'Arco di Costantino sono ancora opera di maestri d'alto livello: sotto il regno degl'Imperatori della dinastia antonina, infatti, a Roma si erano formate delle botteghe in cui operavano scultori greci immigrati. Affievolitasi la presenza di maestranze greche sotto il regno di Commodo, la realizzazione dei monumenti ufficiali venne affidata ad artisti romani che avevano lavorato in passato sotto la guida di maestri greci. Per questo nell'età di Commodo vediamo affiorare quella tendenza alla disorganicità espressiva che era propria della cultura figurativa etrusca, latina e italica, e che nel campo dell'arte ufficiale era stata sinora smorzata e nobilitata dal superiore naturalismo classicheggiante.

Arco di Settimio Severo: è un arco trionfale a tre fornici (con un passaggio centrale affiancato da due passaggi laterali più piccoli), sito a Roma, all'angolo nord-est del Foro Romano e sorge su uno zoccolo in travertino, in origine accessibile solo per mezzo di scale. Eretto tra il e il d.C., fu dedicato dal senato all'imperatore Settimio Severo e ai suoi due figli, Caracalla e Geta per celebrare la vittoria sui Parti, ottenuta con due campagne militari concluse rispettivamente nel e nell'anno della dedica. L'arco è costruito in opera quadrata di marmo, con i tre fornici inquadrati da colonne sporgenti di ordine composito, su alti piedistalli, scolpiti con Vittorie e figure di barbari. Al di sopra dei fornici laterali quattro grandi rilievi raffigurano su più registri episodi della guerra vittoriosa. I fornici laterali sono messi in comunicazione con quello centrale per mezzo di due piccoli passaggi arcuati. Lo stile delle sculture richiama quello della Colonna aureliana, terminata pochi anni prima, in particolare riguardo alla lettura degli episodi, dal basso verso l'alto, tipica dei munumenti romani nel quale l'osservatore guarda alzando la testa.

Uno dei pannelli più significativi rappresenta l'Assedio e presa di Ctesifonte, dove è particolarmente evidente l'uso del trapano, che crea zone profonde con forti ombreggiature alternate a quelle in luce sulla superficie, dando un effetto coloristico già visibile in alcune opere sin dall'età di Antonino Pio. Ma una novità ancora più eclatante è la rappresentazione della figura umana, ormai appiattita in scene di massa ben lontane dalla visione "greca" della rappresentazione dell'individuo isolato e plastico. Si tratta dei primi germi della nascita di nuovi stilemi legati al filone dell'arte "provinciale e plebea" che dominarono l'arte tardo-antica sfociando poi nell'arte medievale. Funzionari, artisti e imperatori stessi infatti provenendo dalle province portarono a Roma, con un'influenza sempre crescente, i caratteri dell'arte tipici proprio dei loro territori d'origine (non è corretto quindi parlare di una "decadenza" dell'arte). Un altro segno evidente di queste nuove tendenze è la figura dell'imperatore che, circondato dai suoi generali, arringa la folla durante l'adlocutio: non siamo ancora agli ingigantimenti gerarchici tipici delle raffigurazioni imperiali dopo l'avvento del Cristianesimo, ma già l'imperatore si trova su un piano rialzato, che emerge sulla massa dei soldati come un'apparizione divina. Queste tendenze furono ancora più evidenti nell'Arco di Costantino, del secolo successivo.

Santuario di Giove eliopolitano a Baalbek: è un santuario a tre bracci perpendicolari poggiante su un alto podio. Alle spalle del colonnato corinzio i portici si allargano in esedre quadrangolari e semicircolari le cui pareti, scandite da una serie di nicchie sovrapposte con frontoni o lunette ricavate tra i pilastri di un ordine colossale, alimentano il senso di sacralità del luogo anticipando il tipo di disposizione interna dei templi stessi; nella sua ultima fase, questa vasta corte quasi quadrata, al centro della quale si ergeva un altare, fu provvista di un vestibolo esagonale obbediente allo stesso principio e accessibile attraverso un portico monumentale con dodici colonne in facciata, a sua volta raggiungibile mediante una scalinata a tre rampe. L'edificio meglio conservato è il tempio di Bacco, un tempio periptero di 5x15 colonne, che ha una pianta molto simile a quella dei coevi edifici della stessa categoria, caratterizzati dalla mancanza dell'opistodomo e da una cella piuttosto profonda. A differenza di quelli, esso mostra però un raddoppiamento del colonnato del pronao ottastilo, ma soprattutto una sistemazione interna particolarmente ricca: lungo i muri laterali alte colonne addossate, poggiate su piedistalli, inquadrano due serie di nicchie sovrapposte, ad arcata nel piano inferiore e con frontone in quello superiore; al fondo della cella, l'adyton forma una cella monumentale autonoma. Allo stello complesso appartiene il tempio di Venere, sacello rotondo con scalinata frontale le cui vestigia risalgono essenzialmente al rifacimento degli inizi del III secolo di un edificio precedente. Il rivestimento della tholos periptera offre il pretesto per un sapiente gioco fra le concave linee del podio, replicate da quelle della trabeazione, e la convessità del muro della cella: la composizione sorprende per la vivacità del movimento. In facciata questo movimento si interrompe per lasciare posto a un pronao tetrastilo. La cella, scandita all'esterno da nicchie sormontate da arcate, era coperta da una modesta cupola realizzata con pietre da taglio che si impostava sul bordo interno della cornice di coronamento, sfruttando una tecnica impiegata nelle esedre della grande corte porticata.

Foro e basilica severiana a Leptis Magna: Leptis Magna fu rinnovata e ampliata come città attorno al centro primitivo nel quale sorsero il foro, la Basilica e il mercato grazie a Settimio Severo. Il foro tutto circondato da portici, ricorda il foro di Cesare e quello di Augusto. Nel portico interessa soprattutto il motivo dell'arco che poggia direttamente su colonne, rompendo in bel modo la tradizione che risale a Silla e forse più in su, delle snelle mezze-colonne poggiate a pilastri. Ma tale tipo di portico signoreggia in tutta la città: esso è avvertibile nella grande via che conduce al porto con le 250 colonne. La basilica a due absidi contrapposti e doppio ordine di colonne, si ricollega alla basilica Ulpia: magnifici sono qui i pilastri angolari marmorei, tutti ricoperti di decorazioni a rilievo e vegetale e figurato, che danno l'impressione come di ricchissime trine.

Terme di Caracalla a Roma: costituiscono uno dei più grandiosi esempi di terme imperiali, essendo ancora conservate per gran parte della loro struttura e libere da edifici moderni, e furono volute dall'imperatore Caracalla e costruite a Roma tra il e il Polemio Silvio, nel V secolo, le citava come una delle sette meraviglie di Roma, famose per la ricchezza della loro decorazione e delle opere che le abbellivano.Per la loro realizzazione fu creato nel 212 un ramo speciale dell'Acqua Marcia, uno degli acquedotti di Roma antica, l'Aqua Antoniniana, che oltrepassava la Via Appia sull'Arco di Druso. Il recinto esterno fu invece opera degli ultimi due imperatori della dinastia dei Severi, Eliogabalo e Alessandro Severo. Vari lavori di restauro furono realizzati da Aureliano Diocleziano e Teodorico. In seguito al taglio degli acquedotti ad opera di Vitige, re dei Goti, a partire dal le terme cessarono di funzionare. Le Terme di Caracalla potevano accogliere più di 1.500 persone. Nella sua più ampia estensione, recinto compreso, l'edificio misurava 337 metri x 328, e il solo corpo centrale 220 metri x 114. Il recinto esterno era costituito da un portico, del quale si conservano scarsissimi resti. Sul lato di fondo, un'esedra (spazio semicircolare coperto) schiacciata, munita di gradinate, nascondeva le enormi cisterne, che avevano una capacità di 80.000 litri. Ai lati di essa vi erano due sale absidate adibite a biblioteche. Una passeggiata sopraelevata seguiva il recinto sul lato interno ed era probabilmente a sua volta porticata.

Lo spazio compreso tra il recinto ed il corpo centrale era occupato da aree verdi. L'accesso al corpo centrale avveniva tramite quattro porte, che immettevano in un ambiente quadrato, forse l'apodyterium (lo spogliatoio). Qui iniziava il percorso del bagno, con gli esercizi sportivi di vario genere, che potevano svolgersi sia all'aperto che al riparo.

Le terme presentano nel loro asse principale tre ambienti assai vasti. Dal lato nord est prospiciente la Via Appia tra due grandi ingressi si stendeva la grande vasca natatoria, piscina; seguiva la sala mediano provvista di 4 nicchioni nei due lati lunghi, in cui vi si trovavano 4 vasche; la mancanza di ipocausti ci induce a riconoscere in questo salone il frigidarium; i nicchioni e i 4 passaggi ad arco, due occupanti i lati brevi e due nel mezzo dei lati lunghi, erano sormontati da ulteriori archi. La copertura di questo salone era dunque costituita da tre grandi volte a crociera. Dal lato sud-est del frigidarium si passava in un ambiente provvisto di ipocausti e a curve pareti: senza dubbio esso era il tepidarium, insieme a altri due che si trovano nelle sale annesse ai lati brevi del frigidarium. Si passa infine ad una possente rotonda di 34 mt di diametro, coperta da una cupola e con 8 finestre nelle pareti sugli archi a nicchi: è una costruzione dunque modellata su quella del Pantheon e in essa, per la presenza di sei vasche lungo le pareti dentro nicchie, si deve riconoscere il caldarium. Lateralmente alla piscina, al frigidario, al tepidario centrale, al caldario, spiccano due peristili grandiosi circondati da colonne in tre lati; forse erano cortili destinati ad esercitazioni ginnastiche e a palestre. All'esterno, l'intero edificio doveva imporsi per la semplicità delle linee grandiose, in cui apparivano degli archi che sostenevano i tetti a spiovente delle volte a croce. Giardini con giochi d'acqua e con statue coprivano lo spazio tra il corpo centrale e il peribolo. Nel lato verso la Via Appia vi era un porticato esterno, nei due lati brevi apparivano due absidi contenenti un cortile con piscina, uno stadio che si appoggiava ai vasti serbatoi d'acqua attraverso delle gradinate. Le pareti erano rivestite in marmi di svariati colori, con colonne di marmo, di granito, di porfido, pavimentazioni a mosaico e soffitti ornati con stucchi.

Terme di Diocleziano: sono simili nel loro complesso alle Terme di Caracalla, ma sono di proporzioni ancora più colossali. Anche qui troviamo il vastissimo peribolo che, tuttavia, si allarga nel lato meridionale in una bellissima esedra conservata tuttora nelle sue linee in una piazza moderna; vi troviamo la solita disposizione lungo l'asse principale della piscina, del salone centrale, di una sala con vasche nelle nichhie laterali, il tepidarium, del caldarium, ed infine vi sono i cortili laterali con porticati, le palestrae. Il salone centrale, trasformato da Michelangelo nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, ha tuttora interamente conservato il soffitto a 3 volte a crociera. Tuttora sono ancora nella loro collocazione originaria otto colonne granitiche di ordine composito; al di sopra di esse il ricco architrave gira intorno al salone e sono notevoli i 4 archivolti che hanno forma di cerchio. Il caldarium qui non aveva la forma rotonda come nelle terme Antoniniane, ma ripete nella disposizione il salone predetto con l'aggiunta di 4 absidi nei lati lunghi e di due nicchie per le vasche lateralmente; la copertura era del pari della volta a croce.

Palazzo di Diocleziano a Spalato: in questo palazzo Diocleziano visse fino alla morte. Rispecchia interamente il carattere soldatesco; nel piano inferiore della magnifica residenza si riconosce l'influsso del campo militare romano e l'architettura sia nelle sue forme si nella sua decorazione, quale si era svolta in Roma. Diocleziano diede l'incarico ad artisti orientali di costruire la sua dimora che al suo interno possedeva un tempio, una tomba, la sede della guardia imperiale: tutto circondato da possenti mura. Il palazzo era di forma rettangolare: i lati a nord, a est e a ovest erano recintati con una muraglia lata ben 17 mt; torri massicce si innalzavano agli angoli ed anche nel mezzo delle mura; a nord si apriva la porta principale, la porta aurea, fiancheggiata da torri ottagonali; solo il lato a sud, prospiciente sul mare, aveva un aspetto più sobrio con una galleria arcata che era disposta nella parte superiore. Partendo dalle tre porte, tre larghe strade fiancheggiate da portici venivano ad incontrarsi nel mezzo del vasto recinto, il quale in tal modo era diviso in due parti: la settentrionale, suddivisa a sua volta dalla strada che partiva dalla porta urea in due spazi a rettangolo in cui trovavano posto i quartieri delle guardie e i funzionari di corte, e la parte meridionale destinata al monarca e alla sua famiglia. Vi era in questa seconda parte una corte d'onore con peristilio e ai lati di essa s'innalzavano due edifici: ad ovest dentro un grande recinto con altare, vi era la cappella privata a forma di tempietto prostilo su podio, ad est il mausoleo imperiale. Nel lato minore a sud, vi era l'ingresso al palazzo con 4 colonne di granito rosso; da questo propileo si penetrava in un vestibolo di forma circolare e sormontato da una cupola, da cui passava nella sala del trono prospiciente la galleria sul mare. A destra della sala si stendeva il triclinio con vari appartamenti, a sinistra la biblioteca con l'appartamento dell'imperatore.

Nella porta aurea, al di sopra dell'architrave di ingresso è aperto un arco a semicerchio, a ciascun lato di esso, troviamo delle nicchie ma senza archivolto; sopra corre una finta galleria di archi contigui l'uno all'altro poggianti su colonnine portate da mensolette; due di questi tabernacoli sono a nicchia.

Il mausoleo è di forma ottagonale preceduto da una scalinata ed è circondato da un basso portico; nell'interno è circolare ed è a cupola con sette nicchie alternativamente rettangolari e circolari, e su di una fila di colonne, sormontate da una trabeazione riccamente decorata, sulla quale troviamo un'ulteriore fila di colonnine che perviene fino alla base della cupola; su di esse correva un fregio con motivi di caccia e corse. La cupola fu costruita con un processo del tutto nuovo, ma di carattere essenzialmente romano, cioè con archi di mattoni che, a modo di ventaglio, salgono restringendosi verso al cima, innestandosi l'uno all'altro. La cupola del vestibolo era decorata con mosaico: il primo esempio di decorazione che caratterizzerà il periodo bizantino.

Horti: In epoca romana il settore orientale dell'Esquilino era caratterizzato da una successione di horti, enormi complessi residenziali entro parchi monumentali, di proprietà delle più importanti famiglie romane (e successivamente diventati proprietà imperiale). La zona era particolarmente adatta. Per queste residenze, infatti, era fondamentale la disponibilità di grandi quantità di acqua, per i giardini e per le fontane che li decoravano; e all'Esquilino arrivavano ben otto degli undici grandi acquedotti della città. È interessante notare che più di mille anni dopo le nobili famiglie romane costruiranno le loro ville rinascimentali e barocche proprio sugli stessi luoghi occupati dagli antichi horti imperiali. Di queste residenze meravigliose rimangono pochi resti visibili delle strutture architettoniche, anche
se gli scavi archeologici di questi ultimi anni stanno riportando alla luce ampi settori di esse. Nei musei romani, invece, sono esposti rilievi, statue e elementi decorativi che arricchivano queste ville, trovati soprattutto durante i lavori di costruzione del
quartiere, alla fine del XIX secolo.

Tempio di Minerva Medica L'edificio sull'Esquilino erroneamente interpretato da studiosi umanisti un tempio di Minerva Medica è in realtà un grande ninfeo risalente al IV sec. d.C. Si tratta di un esempio impressionante dell'architettura tardo-antica, di cui incarna perfettamente i caratteristici canoni a piante mistilinee; e doveva essere pertinente, con ogni probabilità, agli Horti Liciniani già appartenuti a Gallieno. Scavato in varie epoche, l'edificio ha restituito varie sculture notevoli, come le due statue, recuperate tra il 1875 ed il 1878, raffiguranti magistrati romani nell'atto di scagliare la mappa e dare così inizio alle corse nel circo. L'edificio, risalente al IV secolo d.C., si presenta come una grande costruzione dalla pianta decagona, in origine coperta da una cupola (in parte crollata nel 1828) del diametro di circa 25 metri. Su ognuno dei lati del decagono erano presenti nove nicchie semicircolari, tranne quello di ingresso che forse era scandito da colonne. Al di sopra delle nicchie si aprivano grandi finestroni arcuati che avevano la duplice funzione di fornire la luce e alleggerire la mole dell'edificio. Dieci pilastri fornivano il sostegno alla cupola, la quale, partendo da una forma poligonale, assumeva gradualmente un aspetto emisferico. Probabilmente la struttura dovette avere problemi di stabilità se furono inseriti all'esterno dei contrafforti a sostegno della muratura. Il monumento presenta oggi solamente le murature in laterizio, prive cioè dell'originario rivestimento marmoreo, mentre la cupola era decorata da mosaici in pasta vitrea, parzialmente ancora visibili. Oggi è certamente difficile credere che fino a pochi decenni fa l'edificio si trovasse in aperta campagna, ma purtroppo l'urbanizzazione dell'Esquilino e la costruzione della limitrofa ferrovia, entrambi avvenuti alla fine dell'Ottocento, contribuirono a svalorizzare sia l'importanza sia la bellezza del monumento.

Basilica di Massenzio: Si tratta di uno dei più grandi monumenti del Foro Romano e uno dei più importanti edifici di età tardo-antica. La costruzione venne avviata da Massenzio sull'area dove in precedenza erano i magazzini per la lavorazione e conservazione delle spezie (Horrea Piperitaria); l'opera però venne portata a termine soltanto da Costantino, e infine ristrutturata verso la fine del IV sec. d.C. Lo schema della basilica è quello classico: tre navate, quella centrale più grande e alta rispetto alle due laterali di uguale dimensione, e scandita da alte colonne di marmo proconnesio sfortunatamente andate perse ad eccezione di una che venne posta nel 1613 nella Piazza di Santa Maria Maggiore. Originariamente l'ingresso si doveva trovare sul lato est, verso il tempio di Venere e Roma (dal lato del Colosseo); vi erano cinque grandi passaggi che portavano a una specie di atrio dal quale si passava alla navata centrale (lunga 80 m, larga 25 m e alta 35 m). La navata era divisa da potenti pilastri, quattro dei quali isolati al centro, che la dividevano in tre parti, ognuna coperta da una grande volta a crociera, e terminava con un'abside. All'interno di questa si trovava una statua gigantesca originariamente raffigurante Massenzio ma in seguito adattata per Costantino; la statua era di tipo acrolito (parti scoperte del corpo in marmo, il resto in altro materiale, probabilmente bronzo dorato). Le parti marmoree rinvenute nel 1487 (la testa alta 2.6 m e il piede lungo 2 m) possono essere viste presso il cortile del Palazzo dei Conserva tori in Campidoglio. Le due navate laterali (come quella centrale) erano suddivise ognuna in tre settori che erano coperti, trasversalmente rispetto alla navata centrale, da una volta a botte ornata da cassettoni ottagonali. Al centro della navata laterale settentrionale vi era un'altra grande abside preceduta da una coppia di colonne e con le pareti adornate da nicchie per statue inquadrate da colonnine su mensoloni scolpiti. In corrispondenza di quest'abside sul lato sud, verso la via Sacra (dal lato del Foro), venne aperto un nuovo ingresso sotto Costantino, che spostò l'asse principale mantenendo però inalterata la tripartizione interna, sia pure in senso opposto. L'ingresso era formato da una scalinata, che serviva a superare il dislivello tra la strada e la basilica, e da un avancorpo

sostenuto da quattro colonne di porfido. La basilica è stata recentemente identificata come la sede del-

la Prefettura Urbana, la più importante fra le cariche della città in età tardo-antica; presso la basilica (precisamente nell'abside della navata settentrionale) nel IV secolo sarebbe stato trasferito il Secretarium Senatus (la sede del tribunale per i processi ai membri del Senato) dall'area della Curia Giulia.

Di tutto il monumento è rimasta in piedi la sola navata minore settentrionale con la grande abside e le arcate delle volte a botte. Tutto il resto crollò probabilmente già con il terremoto al tempo di papa Leone IV (metà del IX secolo) e i materiali, tra cui le lastre di bronzo dorato che ricoprivano il tetto (fatte togliere da papa Onorio I nel 626 per San Pietro), furono asportati e reimpiegati in altre costruzioni.

Aula Palatina a Treviri: L´edificio rettangolare senza colonne che si estende da sud a nord ospitando oggi la Palastaula con le sue misure (67 m di lunghezza, 27,5 m di larghezza, 30 m di altezza) rappresenta una costruzione a nord delle alpi unica nel suo genere. Il muro di cinta è costituito interamente di mattoni e malta e considerando anche la sporgenza dei pilastri esterni esso ha uno spessore di 2,7 m alla base e di 3,4 m all´estremo opposto su un´altezza di 30 m. Il muro poggia su fondamenta di calcestruzzo di 4 metri di ampiezza e 4-6 di profondità. I romani impiegarono sempre più spesso il calcestruzzo (opus caementitium) per la costruzione, un miscuglio di calce fatta cuocere, acqua e sabbia (mortar = malta) e sassi grezzi. Il motivo risiede nelle sue proprietà di resistenza e insieme anche di malleabilità. L´utilizzo di questa malta per consentire il consolidamento del laterizio risale al primo paleolitico e con l´aggiunta della roccia vulcanica venne migliorato con i Fenici cosicché il calcestruzzo possa indurire anche sott´acqua. Introdotto nell´impero romano mediante i greci, questo materiale da costruzione così flessibile e facilmente applicabile costituì le fondamenta dell´architettura imperiale romana, sia per quanto concerne gli acquedotti (v. il Pont du Gard, a sud della Francia), che per le terme (v. le Terme Imperiali a Treviri), i templi (v. Pantheon a Roma), le fognature e le strutture portuali. L´abside che si estende al lato nord (con arco greco), una costruzione a nicchia annessa al resto dell´edificio con diametro di 18 m, venne dotata di due torri con scala sul fianco esterno a forma fusolare e con scalini costituiti da piastre di mattoni. Dagli accessi del lato esterno del muro a nord le scale a chiocciola conducono alle gallerie all´altezza di entrambe le file di finestre del muro di lunghezza e fino all´estremità superiore del muro. Le gallerie erano una costruzione in legno triangolare attaccate al lato esterno dell´abside e lungo il muro di lunghezza al di sotto delle due file di finestre della Palastaula. Esse servivano per l´apertura, la chiusura e la manutenzione delle finestre e mediante il loro rivestimento esterno davano l´impressione di un cornicione massiccio che strutturava la costruzione in senso verticale. La parte della Basilica un tempo ricoperta di uno strato di intonaco in calcestruzzo di colore bianco-verde era lasciata come superficie libera fino all´altezza delle gallerie, laddove dopo il degrado di queste ultime nel corso del secolo la pietra si deteriorò diventando nera. Per questo motivo ancora oggi, nonostante le diverse stesure di intonaco passate successivamente, è facilmente riconoscibile l´effetto del deterioramento delle gallerie sul muro occidentale nella striscia scura orizzontale al di sotto delle finestre.

Nell´estremità a sud tre portali collegavano la Basilica con un atrio dal rivestimento in marmo e il pavimento dotato di riscaldamento. Di questo solo le fondamenta testimoniano che l´atrio venne distrutto nel XVII secolo per consentire la costruzione del palazzo della curia principesca. Si trattava di un grande atrio che si estendeva in lunghezza da est ad ovest con un´abside di 11 m di diametro all´estremità occidentale. Il visitatore che entrava pertanto dall´atrio doveva attraversare 84 m del lungo edificio qualora intendesse raggiungere l´abside della Palastaula. Sotto i suoi piedi si trovavano lunghe piastrelle di marmo a esagoni neri e triangoli bianchi. Il riscaldamento collocato là sotto (= mediante l´aria calda riscaldava il muro in ceramica) riscaldava l´enorme sala:

  • cinque stufe per il riscaldamento (praefurnien) distribuite sul lato esterno della Palastaula convogliavano l´aria calda mediante canali di riscaldamento rivestiti di pietra pomice attraverso il muro nelle fondamenta della Palastaula nelle stanze sotto il pavimento di marmo.
  • Queste camere calde sotterranee erano cavità riempite da migliaia di piccole colonne dell´altezza di 1,3 m costituite di piastre di mattoni quadrate che sorreggevano il pavimento di marmo dell´antico atrio. Così suddiviso in tre stanze sotterranee, nella sezione a nord e in quella a sud, così come nell abside, il riscaldamento della Palastaula era facilmente regolabile. L´aria calda saliva verso l´alto da tali stanze al lato interno del muro romano attraverso delle cavità (tubuli) collocate dietro il rivestimento di marmo del muro fino a dei tubi di raccordo che scorrevano in senso orizzontale.
  • Dal collegamento trasversale sul lato interno i gas di combustione uscivano all´esterno mediante canali per la ritenuta dell´aria. Questi camini perforano ognuna delle colonne del muro di lunghezza all´altezza dei davanzali delle finestre della fila più vicina a terra e convogliano le emissioni gassose al disopra della galleria verso l´esterno.

Dietro l´arco di trionfo, ad un´altezza di 28 m l´osservatore vede l´abside. Le finestre mediane e le nicchie dell´abside sono più piccole di quelle su entrambi i lati dell´abside e rafforzano così volutamente l´effetto prospettico della lunghezza dell´atrio del palazzo. L´individuo che si vedeva pertanto minuscolo nell´enorme stanza doveva rimanere impressionato dalla potenza del signore imperatore, il quale, con il suo cortile nell´abside dagli splendidi colori, sedendo su una tribuna, consentiva una sua udienza all´antico visitatore.




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