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Compendio di Geografia Regionale - Adalberto Vallega

architettura



Compendio di Geografia Regionale

Adalberto Vallega




Epistemologia regionale

interrogativi di fondo

requisiti per una disciplina scientifica

causalità e implicazione

itinerario logico

La regione naturale, categoria determinista

il quadro culturale

canoni positivisti e determinismo geografico



bacini fluviali e regione naturale: il senso di un dibattito

i nomi territoriali: occasione di fratture ideologiche

La regione della geografia vidaliana

ribaltamenti di posizione

il possibilismo

genere di vita: incontro tra cultura e territorio

il paesaggio, introduzione alla regione

costruzione ideologica della regione

Funzionalismo: base delle teorie contemporanee

impostazioni del tema

l'idea funzionalista di regione

omogeneità e polarizzazione: concetti compatibili?

la base ideologica del funzionalismo

paradigmi e modelli: innesti rivoluzionari

una metodologia sintagmatica

è neopositivismo?

La polarizzazione

convergenza di apporti e sinergia interpretativa

organizzazione territoriale: una visione d'assieme

la polarizzazione terziaria

la rete urbana: assetto privilegiato di analisi regionale

la polarizzazione industriale

frammenti di una teoria generale della polarizzazione

verso un nuovo paradigma

La teoria sistemica

dal funzionalismo alla concezione sistemica

l'apporto della teoria generale dei sistemi

aperture del pensiero geografico

regione: sistema spaziale aperto

nuovi apporti concettuali

un nuovo paradigma?







Cap. 1) EPISTEMOLOGIA REGIONALE

INTERROGATIVI DI FONDO - Consideriamo che il territorio si scompone in unità dove risorse fisiche e modi di organizzazione sono legati da una sorta di legame organico, in funzione del quale ogni spazio si differisce dagli altri: queste unità sono le regioni. Ogni cultura ha generato, e genera, una propria regionalizzazione, e manifesta un certo livello di consapevolezza del suo comportamento nei riguardi del territorio. Di conseguenza bisogna considerare ogni cultura su due piani: 1) l'architettura regionale cui dà luogo, 2) la coscienza e la sensibilità che acquisisce e manifesta nei riguardi dei rapporti tra comunità e ambiente.

REQUISITI PER UNA DISCIPLINA SCIENTIFICA - Per stabilire se si può parlare di disciplina scientifica, occorre considerare vari elementi, tre in modo particolare:

il dominio materiale, che è costituito da un insieme di conoscenze definite e circoscritte. In tempi recenti, le ricerche si occupano, oltre che della regione, anche della regionalizzazione, a cui sono stati attribuiti tre significati: 1- è vista come scomposizione del territorio, dove la ricerca considera l'architettura regionale; 2- è vista come l'insieme dei processi attraverso cui si formano e si trasformano le architetture regionali, 3 - gli si attribuisce il significato di azione che tende a produrre e a trasformare l'assetto regionale.

il livello di integrazione teorica degli studi (il più importante). In tempi recenti, nel campo della geografia regionale, sono stati compiuti progressi nella costruzione di teorie generali sulla regionalizzazione e sono nati forti atteggiamenti critici, a tutto beneficio della riflessione concettuale.

la presenza di un apparato metodologico e la sua coerenza con il sistema di teorie su cui si fonda. Nel caso degli studi regionali, sempre di recente sono stati compiuti i maggiori progressi metodologici; questi offrono un buon insieme di procedure che rispondono in misura non trascurabile alla teologia della ricerca.

In conclusione, si può ritenere valida la tesi che stabilisce che, lo studio regionale, almeno al giorno d'oggi, possiede i requisiti necessari e sufficienti a farne una scienza.

CAUSALITÀ E IMPLICAZIONE - La geografia regionale mett 818j91i e in relazione un sistema causale (cioè un insieme di oggetti fisici, collegati da rapporti di causalità) con un sistema di implicazione (cioè di comportamenti sociali, collegati tra loro da interdipendenze complesse). In tempi recenti (seconda metà anni '60) si è manifestata la tendenza a instaurare un rapporto diretto tra il campo sociale e quello naturalista. Si ritiene che esistano, dentro certi limiti, analogie di comportamento tra i sistemi naturali e quelli sociali (isomorfismi scientifici) e che questo autorizzi ad applicare alcuni filtri interpretativi comuni. Questi isomorfismi sono ricercati e studiati dalla teoria generale dei sistemi, ma bisogna stare attenti perché, se il punto di partenza resta il mondo naturale, esiste il rischio che da questo vengano trasferiti punti di vista al campo umano anche al di là di quanto sarebbe lecito attendersi.

ITINERARIO LOGICO - Lo studio regionale è nato come un settore della geografia; rapidamente ha preso corpo una disciplina con una propria epistemologia interna. È per queste particolarità epistemologiche e per questo ampliamento di campo tematico che in parecchie sedi si parla di scienza regionale, sottolineando quale e quanta distanza corra rispetto alla geografia regionale tradizionale.

Cap. 2) LA REGIONE NATURALE, CATEGORIA DETERMINISTA

IL QUADRO CULTURALE - Nel 1780 la regione viene vista come una componente territoriale dello stato ed è individuata in base a discriminanti politiche o vagamente etniche; è nella seconda metà del secolo 18° , il BUACHE proponeva di superare questa dimensione intellettuale, sostenendo che la regione fosse naturalmente costituita dal bacino fluviale.

L'avvio e il successivo progresso della geografia regionale hanno tratto beneficio dal passaggio dall'atteggiamento descrittivo a quello interpretativo, e dal superamento delle concezioni che facevano coincidere la regione con uno spazio politico-amministrativo.

Tutto questo è nato insieme alla convinzione che spiegare significa trovare ed enunciare i nessi di causalità che intercorrono tra l'ambiente fisico e il corpo umano. Il primo punto è il prodotto tipico della cultura positivista in cui la geografia regionale è sorta e ha costruito le sue basi. Il secondo punto è l'espressione del determinismo ambientale, atteggiamento generato in gran parte dal positivismo. La fase positivista si delinea nella seconda metà del 18° secolo e si protrae fino agli inizi del 20° secolo. Per aiutarci ad inquadrare i concetti di regione di cui si parlerà, possiamo fare riferimento a due punti: i connotati fondamentali del positivismo e il livello di acquisizione di connotati positivisti da parte della geografia.

CANONI POSITIVISTI E DETERMINISMO GEOGRAFICO - Per quanto riguarda i connotati fondamentali del positivismo, possiamo dire che, nel 1978, vengono richiamati da GREGORY i cinque principi scritti da AUGUST COMPTE nel 1829, perché costituiscono il modo più incisivo per mettere a fuoco punti di riferimento anche per la geografia. I cinque principi sono:

Principio della realtà: la condizione scientifica della conoscenza deve trovare garanzie nell'esperienza diretta di una immediata realtà dove le relazioni causali portano a cogliere e piegare associazioni regolari di fenomeni, non escludendo che si considerino le interdipendenze  cioè le reciproche influenze tra i fenomeni.

Principio della certezza: la conoscenza scientifica deve essere confortata dalla comune esperienza della realtà e deve esprimersi attraverso apprendimenti accessibili garantendo che le osservazioni possano essere riprodotte.

Principio della precisione: la conoscenza deve dar luogo a teorie e a metodi le cui conseguenze possano essere verificate.

Principio dell'utilità: implica che la conoscenza scientifica  deve essere operativamente utilizzabile, è un mezzo, non un fine.

Principio della relatività: sostiene che la conoscenza sia sostanzialmente incompleta e relativa, e si avvia vero una graduale unificazione di teorie orientate a consolidare la consapevolezza umana delle leggi sociali.

L'acquisizione di canoni positivisti in geografia, invece, è passata da tre tappe costituite dalle opere di HUMBOLDT, che impone di studiare la distribuzione dei fenomeni naturali nello spazio in funzione delle interdipendenze da cui sono legati; RITTER, che estende l'attenzione del geografo al di là del campo naturalista, portando l'attenzione alle relazioni tra ambiente fisico e gruppi umani; e RATZEL. Con lui la geografia si avvale per intero delle potenzialità ideologiche insite nel positivismo: i fenomeni fisici vengono considerati con ordine, classificati, inquadrati in visioni d'assieme che costituiscono premesse indispensabili alla costruzione di una geografia completa. La geografia diventa scientifica espressa attraverso sintesi che riguardano natura e uomo; è una specie di scienza unificatrice, dato che si avvale degli apporti di più discipline. Secondo i canoni positivisti del Ratzel, gli elementi del comportamento umano e dell'ambiente fisico dovrebbero essere studiati in base alle sollecitazioni reciproche, ma l'atteggiamento dei geografi di questo periodo ritiene che il comportamento umano e quindi le forme di organizzazione del territorio siano il prodotto di condizioni fisiche (rapporto di causalità unidirezionale che muove dal fisico all'umano).

BACINI FLUVIALI E REGIONE NATURALE: IL SENSO DI UN DIBATTITO - La nascita delle riflessioni regionali può essere riferita all'opera di BUACHE del 1752. Nel tentativo di proporre criteri razionali per interpretare la divisione del territorio, propone di attribuire qualifica regionale ai bacini fluviali. La teoria era esposta in modo molto semplice e non era immune da errori, ma ebbe lo stesso notevole fortuna , primo perché trovava una corrispondenza nella coscienza popolare, e poi perché era agevolmente applicabile.

Nonostante l'influenza che esercita, questa teoria dà corpo ad un'intensa polemica, che contesta la validità del principio dei bacini fluviali, sostenendo che ad essi non può corrispondere la qualifica di regioni naturali perché occorre andare più a fondo nell'esame degli elementi fisici e considerare la natura del territorio; questo punto di vista porta a concludere che la regione naturale è uno spazio contraddistinto da una certa struttura geologica e dotato di un'unità di organizzazione umana.

A metà del 19° secolo, possiamo dire che la concezione regionale positivista è matura e definita. La teoria dei bacini fluviali ne ha costituito una stimolante premessa; l'affermazione della moderna geologia ha fornito le sollecitazioni necessarie; nell'idea di regione naturale si realizza il risultato ultimo. Si potrebbe quindi definire la regione naturale come un tratto di territorio identificato mediante discriminanti geologiche e geomorfologiche, le quali, in virtù dell'omogeneità fisica che producono, rendono organico l'assetto del territorio.

La tendenza ad impiegare criteri geologici per determinare la ripartizione regionale del territorio, provoca (nota il CLAVAL, 1968) una conseguenza di notevole portata: il territorio regionale essendo costituito da una ben definita struttura geologica, assume fattezze uguali in ogni sua parte; la regione non è solo distinguibile dai territori circostanti per la loro diversità, ma anche perché lo stesso territorio che la costituisce è omogeneo. È a partire da questo momento che si comincia a confondere le nozioni di regione naturale e di insieme omogeneo. (CLAVAL)

I NOMI TERRITORIALI: OCCASIONE DI FRATTURE IDEOLOGICHE - Il terzo punto coltivato dalla cultura positivista è quello legato ai nomi territoriali. Emerge nella seconda metà del 19° secolo, e fa si che si compiano i primi passi verso l'affermazione di una cultura geografica umanista. I nomi territoriali sono il punto di partenza di un cammino che porta a identificare o almeno a riconoscere gli spazi regionali; il procedimento si sposta attraverso alcuni momenti fondamentali legati da una rigorosa successione logica: a) identificazione dello spazio cui si riferisce il nome territoriale; b) delimitazione dell'unità fisica del territorio; c) verifica della coincidenza tra le due aree.

Con la teoria dei bacini fluviali la concezione positivista e determinista della regione, aveva trovato una prima significativa espressione; con la teoria della regione naturale aveva raggiunto definizione compiuta; l'indirizzo di ricerca dei nomi territoriali la conduce verso espressioni più ricche, ma anche verso una serie di contraddizioni che emergono in evidenza nell'opera di GALLOIS che compie una ricerca sulla corrispondenza con la realtà parigina.

La concezione regionale positivista si avvia verso un inarrestabile declino, e man mano che questo diventa sempre più evidente, lo stesso termine di regione naturale perde il significato originario per acquistare quello molto più ristretto di area dotata di omogeneità fisica, cioè di area di diffusione di certi elementi, di certe strutture, o di certi fenomeni del mondo naturale.

Cap. 3) LA REGIONE DELLA GEOGRAFIA VIDALIANA

RIBALTAMENTI DI POSIZIONE - Fino ad ora, tutte le ricerche regionali si erano dimostrate interessanti ma, tutto sommato, non avevano avuto una funzione centrale nel quadro complessivo del progresso della geografia. I grandi geografi dell'800 avevano dato maggiore importanza alla geografia generale. Con VIDAL de la Blanche le posizioni si invertono. Vidal preferisce innestare innovazioni piuttosto che distruggere, proporre nuovi punti di vista piuttosto che ribaltare radicalmente ottiche consolidate. Per introdurre la nuova idea di regione che emerge nella prima metà del nostro secolo, bisogna tener presenti due ordini di fattori: da un lato le trasformazioni della società in cui viveva Vidal; dall'altro le spinte al regionalismo prodottesi in Francia. Siamo nella fase più acuta della seconda rivoluzione industriale, che porta Vidal, ad attribuire sempre maggiore importanza al comportamento umano; egli cerca non solo di portare in evidenza le nuove manifestazioni ma anche di cogliere le radici storiche, consapevole che esse costituiscono la chiave per capire i modi di organizzazione del territorio. (vuole cogliere in concreto i rapporti tra uomo e ambiente fisico) Egli, però, non formulò mai una teoria regionale, né lo fecero i geografi che furono suoi allievi e collaboratori.

IL POSSIBILISMO - Al principio determinista, che interpreta la presenza umana in termini di causalità unidirezionale procedente dal fisico all'umano, Vidal sostituisce il principio di causalità complessa, dove i rapporti tra uomo e ambiente fisico, sono interpretati in termini di azione e di reazione. La geografia è la scienza dei luoghi, non degli uomini (Vidal) : questo tipo di affermazioni devono essere rapportate e confrontate con il determinismo di RATZEL che, circa 20 anni prima, aveva pubblicato un'ampia visione d'assieme della presenza umana sulla terra e dei suoi rapporti con la natura. Per Vidal, dunque, la geografia è le scienza specializzata nell'analisi dei rapporti tra uomo e ambiente naturale.

Più tardi, FEBVRE (1922) conia il termine possibilismo per mettere a fuoco il nucleo innovatore della concezione vidaliana e per opporlo polemicamente al determinismo. Ridotta all'essenziale la concezione possibilista può essere vista così: a) la natura non esprime vincoli ma varie possibilità di occupazione del suolo e di utilizzazione delle risorse fisiche; b) le comunità esercitano una scelta tra le possibilità offerte dall'ambiente fisico; c) la scelta è compiuta in base alla cultura e alla tecnologia e risente anche delle circostanze storiche; d) su questi ultimi aspetti, che fanno dell'uomo un fattore geografico, va messa a fuoco l'attenzione del geografiche che deve comunque restare sensibile per cogliere il substrato fisico dell'organizzazione del territorio

GENERE DI VITA: INCONTRO TRA CULTURA E TERRITORIO - L'insieme dei comportamenti sociali relativi al territorio, è considerato da Vidal come genere di vita; il concetto non è del tutto nuovo, ma lui lo arricchisce di profondi contenuti umanisti. Dall'incontro di fattori ambientali e dall'azione umana derivano le forze di organizzazione del territorio, attraverso cui si esprimono i generi di vita che, una volta creati, tendono a sopravvivere e costituiscono le cause di conservazione delle strutture sociali. PRACCHI (1965) definisce i generi di vita: esso può essere considerato un complesso di abitudini e concezioni organizzate e sistematiche, che implicano un'azione metodica e stabile, capace di assicurare l'esistenza dei gruppi umani autonomi che la praticano. In sintesi, dal pensiero vidaliano emergono, secondo Pracchi, alcune preposizioni:

1- il genere di vita è collettivo e il gruppo gode di autonomia; 2- il genere di vità, per essere tale, deve avere caratteristiche di stabilità e di sistematicità; 3- è suscettibile di forza propria senza essere in contraddizione con la stabilità; 4- può subire modifiche per interventi esterni.

Dopo la seconda guerra mondiale, il SORRE (1948) si chiede se non sia giunto il momento di aggiornare l'idea vidaliana per renderla adatta a interpretare culture complesse e fortemente dinamiche. Per far questo, allenta l'attenzione sui rapporti tra comportamento umano e ambiente fisico, per mettere a fuoco i complessi geografici sociali ed economici. Neppure lui definisce i generi di vita, ma individua i componenti che sono, a suo giudizio, materiali, spirituali e sociali, e producono le tecnologie di intervento nel territorio.

Le funzioni dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione, non evidenziati da Vidal, trovano adesso un certo rilievo, così come la circolazione, vista dal Sorre come supporto per l'esistenza stessa dei generi di vita e come causa di mutamento ed estinzione di generi di vita tradizionali, a vantaggio della creazione di generi urbani.

IL PAESAGGIO, INTRODUZIONE ALLA REGIONE - Il paesaggio viene sottoposto ad un'intensa revisione da parte dei geografi vidaliani che lo arricchiscono di contenuti umanistici, tanto che il paesaggio non tarda ad acquistare, nella geografia classica, un rilievo di gran lunga maggiore di quello del genere di vita, fino a diventare il perno della geografia.

Secondo JUILLARD (1962) il paesaggio può essere visto come una combinazione di tratti fisici e umani, che conferisce ad un territorio una propria fisionomia rendendolo un insieme uniforme, o almeno contraddistinto dalla ripetizione abituale di certi aspetti. Esso esprime lo stato momentaneo di determinati rapporti, di un equilibrio instabile tra condizioni fisiche, tecniche di trasformazione della natura, tipo di economia, e strutture demografiche e sociali del gruppo umano. In più, ogni paesaggio incorpora una quantità variabile di modi di organizzazione del territorio, ereditati da precedenti combinazioni. Al Congresso Geografico Internazionale del 1938 si era arrivati a sottolineare l'importanza e la necessità di studiare sistematicamente il paesaggio. SESTINI (1963) ritiene che al concetto di paesaggio geografico si può arrivare seguendo una progressione logica, che prende in esame "l'unità organica realizzata in virtù delle reciproche influenze tra i fenomeni", arrivando infine a parlare di paesaggio geografico razionale, ed è proprio raggruppando questi paesaggi razionali che si deducono i tipi di paesaggi.

COSTRUZIONE IDEOLOGICA DELLA REGIONE - Partendo dall'idea di paesaggio e di genere di vita, come si può arrivare all'idea di regione? Le prime basi le dà BIASUTTI (1947) che ricorre a due coppie di concetti: da un lato, il paesaggio naturale e la regione naturale; dall'altro il paesaggio geografico e la regione geografica. Per lui il paesaggio è la fisionomia di una regione, con una importante precisazione: la regione naturale è una realtà oggettiva, nel senso che esiste e che è scientificamente rilevabile; la regione geografica, invece, è un'astrazione nel senso che può essere vista soltanto attraverso alcune discriminanti e quindi soffre di un margine di convenzionalismo. Lungo un itinerario analogo si muove il SORRE che sostiene che le regioni sono porzioni di spazio dominate da un tipo di paesaggio umano o da una combinazione di tipi. Non sono d'accordo SESTINI e TOSCHI che sostengono che il paesaggio non esaurisce i temi della geografia umana, e in particolare Toschi sottolinea la necessità di non confondere il paesaggio con la regione, perché quest'ultima si riconosce dal suo o dai suoi paesaggi, e il paesaggio di conseguenza non è una regione.

Lo studio del paesaggio diventa necessario per lo studio regionale ma non si esaurisce in questo. Bisogna distinguere gli ambiti territoriali (le regioni) che costituiscono unità spaziali originali e irripetibili, dai paesaggi; questi ultimi sono propri di regioni diverse, o di parti di regioni diverse, e possono essere riportati, attraverso procedimenti comparativi, a determinati tipi fondamentali. I paesaggi geografici formano unità che si possono ripetere in più parti della superficie terrestre, al contrario le regioni sono individualità geografiche che non si ripetono. È quindi la presenza del genere di vita a imprimere unità ad un territorio, facendone una regione; il paesaggio ne costituisce solo la manifestazione.

La regione può quindi essere vista come un territorio formato da un determinato genere di vita, che si esprime attraverso un paesaggio o un insieme di paesaggi connessi fra loro.

Cap. 4) FUNZIONALISMO: BASE DELLE TEORIE CONTEMPORANEE

IMPOSTAZIONE DEL TEMA - Durante il positivismo, le teorie regionali furono appena abbozzate e non ebbero grande peso rispetto al quadro generale delle discipline geografiche; durante il possibilismo i livelli di teorizzazione si riducono, tanto che l'idea di regione che si ricava può essere costruita combinando vari concetti, non sempre formulati con esplicito riferimento alla geografia regionale; ora con il funzionalismo vengono formulate tante teorie che, ancora adesso, possono essere ritenute ancora valide. L'ultima parte degli anni '50 segna la divisione tra la geografia regionale classica con la nuova geografia regionale che richiamerà sempre più attenzioni, teoriche e metodologiche: di questo cambiamento l'idea funzionalista di regione è un concetto guida.

L'IDEA FUNZIONALISTA DI REGIONE - Un avvicinamento al concetto funzionalista lo si può vedere nel modo in cui lo studioso JUILLARD (1962) distingue i due principi di unità regionali: il primo impostato sulla uniformità ed espresso dal paesaggio (dalla geografia vidaliana), l'altro impostato sulla coesione ed espresso dallo spazio funzionale (che apre le porte alla concezione funzionalista). Il concetto di spazio funzionale (quasi contrapposto allo spazio omogeneo) trae spunto dall'intuizione di origine piuttosto remota, che il territorio possa intendersi, oltre che come complesso di forme, anche come sede di elementi eterogenei e in qualche modo collegati all'insediamento umano. Egli ritiene che l'assetto dello spazio funzionale, sia riconducibile a tre elementi: l'armatura urbana, il gioco dei fattori di mercato e di accessibilità, l'interdipendenza dei servizi. Coesione e centralità, sono le matrici dell'organizzazione del territorio che nella regione troverebbero la sua categoria fondamentale.

Uniformità Coesione


Paesaggio Spazio Funzionale


Regione Umana Regione Funzionale

La concezione funzionalista ha un grande contributo dalla Commissione dell'Unione Geografica Internazionale (1961-1967): "il concetto di spazio funzionale poggia su un'idea di divisione del lavoro e di proiezione territoriale della divisione del lavoro. Ecco che l'intera teoria della regione funzionale affonderebbe le radici in alcune fondamentali proposizioni della scienza economica, perché l'organizzazione del territorio "cresce" funzionalmente, in quanto è plasmata da concentrazioni delle attività economiche.

Alle concentrazioni di strutture vengono dedicate le teorie della polarizzazione in quanto la regione funzionale coincide con lo spazio investito dalla polarizzazione; possiamo evidenziare tre connotati fondamentali: 1- la polarizzazione è il prodotto della dominazione esercitata da un insieme di elementi interconnessi sul territorio circostante, esprimendosi attraverso fenomeni economici ma anche sociali; 2- le proiezioni territoriali generate da concentrazione di strutture possono essere "puntuali"(es. un polo industriale), "assiali" (lungo vie di comunicazione) e areali (agglomerazioni urbane); 3- più la polarizzazione è avanzata, più le interdipendenze tra gli elementi dell'organizzazione del territorio si intensificano (sia all'interno della struttura, sia tra la struttura e il territorio esterno che le gravita intorno.

Sinteticamente si può definire la regione come "l'area dominata da un centro di polarizzazione appartenente ad un elevato ordine gerarchico"

OMOGENEITÀ E POLARIZZAZIONE: CONCETTI COMPATIBILI? - Ma la regione vista in modo funzionale, si può qualificare omogenea? Un oggetto è uniforme quando possiede le stesse forme in ogni sua parte, mentre è omogeneo quando ha la stessa natura. Il termine uniforme, quindi, si adatta allo studio del paesaggio e di conseguenza al concetto di regione in senso possibilista, ma non è altrettanto logico attribuire omogeneità alla regione intesa in senso funzionalista. La regione, infatti, non va pensata solo come un oggetto avente la stessa natura in ogni sua parte (significato etimologico dell'omogeneità) ma come oggetto composto da parti che, pur avendo differente natura, hanno alla base una buona rete di interdipendenze.

Quindi è normale che alcuni autori non assimilano i caratteri omogenei con quelli funzionali, ma ne fanno quasi due categorie contrapposte. Recentemente, però, si è dedotto che non esistono due forme contrapposte di organizzazione del territorio (polarizzata e omogenea): a seconda della "scala" in base alla quale osserviamo il territorio, rileveremo i fenomeni di polarizzazione che definiscono la regione, oppure l'omogeneità che contraddistingue certe sue parti.

Lo studioso Philbrick, nel teorizzare l'interpretazione funzionale dell'organizzazione del territorio, ha identificato livelli in cui prevalgono "relazioni parallele della stessa natura" (e quindi è in evidenza l'omogeneità), e livelli in cui prevalgono relazioni di indipendenza tra periferia e centro (e quindi sono in evidenza i fenomeni di polarizzazione e di nodalità).

Insomma, per la concezione funzionalista della regione, l'attenzione è concentrata sugli elementi dell'organizzazione del territorio, sulle funzioni che essi esprimono e sulle interdipendenze da cui sono connessi.

LA BASE IDEOLOGICA DEL FUNZIONALISMO - Il funzionalismo poggia su alcune idee molto semplici: 1) ogni elemento produce effetti e subisce conseguenze; 2) gli elementi, in virtù delle funzioni che esprimono, entrano in relazione reciproca; 3) l'insieme degli elementi, proprio per le interdipendenze da cui è fatto, si comporta come una struttura.

Nel 1969, HARVEY scrive che, in sostanza, esiste una notevole analogia tra la concezione funzionalista della cultura e della società cui è approdata l'antropologia culturale e la concezione funzionalista della regione: nell'uno e nell'altro caso la regione è immaginata come un organismo. Lo strutturalismo ha quindi influenzato la concezione della regione vista in senso funzionalista, portando l'attenzione rivolta sempre di più agli effetti dei comportamenti sociali nel territorio.

Malgrado però tutto questo, i geografi non hanno finora dedicato molta attenzione a ricostruire i "percorsi paralleli" tra geografia e strutturalismo sociologico, né a cogliere quanto la prima sia stata non consapevolmente influenzata dal secondo.

PARADIGMI E MODELLI: INNESTI RIVOLUZIONARI - La concezione funzionalista di regione si avvale di aiuti innovatori, tratti dalla cosiddetta "nuova geografia" (fine anni 50); il passaggio dalla concezione possibilista a quella funzionalista è maggiormente comprensibile se lo si collega alla rivoluzione avvenuta nella geografia intesa complessivamente, nata a causa di due inneschi: di natura teorica (si è iniziato a discutere sui paradigmi e si sono elaborati modelli interpretativi) e di natura metodologica (massiccio ricorso alla logica formale e alle procedure matematiche). È da questo momento che si comincia a parlare di geografia quantitativa.


Che la geografia funzionalista sia il prodotto di un cambiamento paradigmatico è intuibile e si può capire (il paradigma ha per oggetto gli schemi di interpretazione della realtà piuttosto che la realtà stessa), ma non è facile formulare una sintesi del contenuto del nuovo paradigma. HAGGET e CHORLEY (1967) per far risaltare le differenze tra la geografia possibilista e quella funzionalista, hanno messo a confronto le matrici con cui esse si sono espresse, identificando alla base della nuova geografia un paradigma completamente diverso da quello classico: al posto della posizione assoluta degli elementi del territorio, viene messa la loro posizione relativa in rapporto ai punti in cui si concentrano funzioni qualificate (modelli di località centrali, della gravitazione, ecc.); alle proprietà dei luoghi, invece, si sostituiscono le proprietà astratte (tipo la posizione occupata nell'ordinamento gerarchico dei centri abitati, lo schema di utilizzo generale del suolo agricolo, ecc.). Si identificano così quelle strutture dell'organizzazione del territorio che costituiscono le regioni arrivando, nell'analisi più approfondita, ad una concezione sistemica regionale che costituisce un livello più avanzato di quello dato dalla concezione funzionalista.

In generale, l'affermazione dell'idea funzionalista di regione porta a dare più importanza ai momenti interpretativi che a quelli descrittivi; l'obbiettivo non è più quello di analizzare le regioni separatamente, ma quello di confrontare i risultati delle ricerche in modo da individuare le leggi che portano sia alla scomposizione del territorio in unità regionali, sia alla loro organizzazione interna.

UNA METODOLOGIA SINTAGMATICA - La rivoluzione quantitativa di cui si avvale la geografia funzionalista, prodiga sforzi nello studio delle interdipendenze, infatti è sul terreno della correlazione multipla che i geografi percorrono gli itinerari più impegnativi (le più suggestive esperienze vengono fatte nell'analisi fattoriale). Altro campo particolare, soprattutto nell'analisi regionale, è l'utilizzo combinato di matrici e di grafici per interpretare la rete delle comunicazioni e per dedurre dai casi concreti, gli schemi tipici, abbastanza circoscritti. Da questo momento è praticamente formata una nuova disciplina che non ha quasi più niente in comune con le impostazioni tradizionali.

È NEOPOSITIVISMO? - L'idea di regione dell'Ottocento è stata riferita al pensiero positivista; l'idea possibilista al pensiero neoidealista; la geografia funzionalista segna, per molti autori, l'avvio del neopositivismo in geografia. Se si vogliono individuare i canoni legati alla cultura positivista, occorre cercarli nello spirito sistemico con cui vengono compiute le ricerche, cioè occorre cercarli in una specifica atmosfera, culturale e metodologica.

Ma, in conclusione, a tutto questo si può attribuire una funzione introduttiva alla dimensione intellettuale neopositivista, che affiorerà più tardi con la concezione sistemica della regione.

Cap. 5) LA POLARIZZAZIONE

CONVERGENZA DI APPORTI E SINERGIA INTERPRETATIVA - Negli anni in cui si forma la concezione funzionalista della regione, i geografi parlano di regione funzionale, mentre gli economisti di regione polarizzata, ma i significati dei due termini sono coincidenti. L'affermazione dell'idea funzionalista di regione procede di pari passo con due innesti molto importanti: l'affermazione di impostazioni deduttive, e l'attingimento di modelli interpretativi da una fascia dell'economia politica (economia dello spazio).

L'espressione più elevata della geografia deduttiva è quella delle località centrali ad opera del CHRISTALLER, che si propone di interpretare, attraverso uno schema generalizzato, l'organizzazione funzionale delle reti urbane e i rapporti di gerarchia intercorrenti tra le città che le compongono. L'economia dello spazio aveva prodotto teorie che non avevano mancato di destare interesse nei geografi, ma solo quando sono intervenute inclinazioni funzionaliste, si è attribuita attenzione a questi schemi. Nelle ricerche regionali questo atteggiamento si riflette soprattutto sulla teoria weberiana della localizzazione industriale: le industrie si localizzano in base all'ubicazione di fattori produttivi quali le materie prime e il lavoro, e in base all'attrazione esercitata dai mercati di consumo.

Dal punto di vista dell'analisi regionale, il modello ha maggiore interesse nella parte in cui considera gli effetti agglomerativi prodotti dalle città sulle industrie, ed è proprio questa forza di agglomerazione il punto di collegamento tra la teoria di WEBER e le teorie sulla polarizzazione industriale che si formano a metà degli anni '50. Per questa nuova teoria, il punto di partenza non è il territorio o lo spazio, ma una teoria economica generale, dalla quale vengono tratti gli elementi concettuali per interpretare l'organizzazione del territorio. Nonostante tutto questo, però, non viene prodotta una teoria generale della polarizzazione da costituire un quadro completo e abbastanza generalizzato dell'organizzazione regionale.

ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE: UNA VISIONE D'ASSIEME - Il concetto che costituisce il legame logico tra geografia ed economia dello spazio è quello di spazio polarizzato. Il PERROUX (1964) sostiene che lo spazio economico è costituito da centri, ed ogni centro è compreso tra altri centri; un qualsiasi spazio banale, sotto questo aspetto, è un insieme di centri e punto di passaggio di forze.

Per quanto riguarda gli insediamenti umani, i fattori che influiscono di più sulla loro localizzazione sono la distanza e l'accessibilità, concentrandosi in previsione dei vantaggi reciproci ricavabili dalla coesione e dalla possibilità di interconnettersi funzionalmente. In base agli insediamenti produttivi di beni e servizi, i centri abitati si possono dividere in ordini, portando in una rete urbana più centri di ordine inferiore che superiore (per via delle distanze spesso minime); questo ci porta a ritenere che l'organizzazione gerarchica dei centri costituisce un elemento importante dell'assetto del territorio, un principio generale per interpretarlo. Conclusione, il principio di agglomerazione, di gerarchia e di interdipendenza forniscono il contenuto al principio fondamentale che è quello della polarizzazione.

LA POLARIZZAZIONE TERZIARIA - A far intravedere questo principio, nella geografia regionale, interviene per prima la teoria della polarizzazione terziaria; per capire bene, bisogna tenere presente che i modelli messi a punto dalla geografia funzionalista ruotano tutti intorno alla teoria sulle località centrali (CHRISTALLER), che ha consentito di interpretare la città non più come paesaggio, ma come un'agglomerato di funzioni, assumendo così, la forma di una teoria regionale. Il punto di partenza della teoria è costituito da una riflessione sul concetto di città, visto ora come punto centrale di un territorio, ecco perché si parla di località centrali, focalizzando l'attenzione sulle funzioni della città.

Per quanto riguarda l'analisi regionale, bisogna considerare soprattutto i beni e i servizi centrali, cioè quell'offerta che, per contenuto o per modalità, qualifica la centralità urbana proiettando le sue funzioni verso le popolazioni esterne, in poche parole, la possibilità di offrire beni e servizi ai ranghi inferiori; quindi bisogna considerare il rapporto diretto tra il contenuto dell'offerta, la frequenza con cui i punti dell'offerta vengono diffusi e l'estensione dell'ambito di diffusione. Quest'ultimo è molto importante perché, tramite esso, si determina la soglia, che è la quantità minima necessaria, nella produzione del bene, perché esso possa essere reso; poi c'è anche la soglia superiore, che è rappresentata dalla quantità massima che la località centrale può vendere. Per raggruppare beni e servizi in ranghi, bisogna considerare alla base i beni e i servizi meno qualificati, al vertice le funzioni di maggiore importanza agli effetti della centralità: si delinea così una piramide funzionale gerarchizzata, che esprime soltanto uno degli assetti delle funzioni centrali, infatti, ogni città è dotata di una propria suddivisione funzionale, e ogni rete di città di un proprio assetto complessivo di offerta. Quello che importa a noi è come le funzioni centrali tendano a disporsi secondo un ordine gerarchico, tenendo conto che le località centrali stesse possono essere ripartite in ordini; le località centrali di un certo ordine forniscono beni e servizi fino ad un certo rango, loro compresi, e per i beni e servizi di rango superiore, i consumatori si recano presso le località centrali di ordine superiore.

Attraverso tutta questa analisi, si arriva ad una visione di sintesi dell'intera rete urbana, cogliendo, allo stesso tempo, la vasta gamma delle funzioni svolte e il ruolo che ciascuna cellula ha in questo complesso disegno. Ecco che la regione può essere individuata ed analizzata attraverso uno studio pertinente delle funzioni urbane che sono, per la concezione funzionalista, i veri e propri generatori dell'organizzazione del territorio. Essa appare infatti costituita da unità urbane, produttrici di funzioni centrali, e da una stratificazione di intorni gravitazionali

LA RETE URBANA: ASSETTO PRIVILEGIATO DI ANALISI REGIONALE - Per capire altri elementi pertinenti la concezione funzionalista della regione nella teoria del CHRISTALLER, bisogna riprendere in esame i temi dell'accessibilità, cioè del fattore che condiziona sensibilmente l'estensione dell'area gravitazionale e influenza anche la dotazione funzionale delle località centrali. Secondo il Christaller, tra i vari ordini di località centrali esistono non solo rapporti gerarchici, ma anche rapporti di distanza, di consistenza demografica e di ampiezza di aree di gravitazione, intese soprattutto come aree di mercato (principio del mercato, dove si manifesta la regola di K=3); solo più tardi si è ampliata la teoria affiancando allo studio dei commerci quello delle attività extra-commerciali.

Accanto a questo principio, ne elaborò altri: quello del traffico e quello della pubblica amministrazione (rispettivamente con K=4 e K=3). Vent'anni più tardi (1954) il LOSCH riconsidera il modello e ne da i contributi più significativi: parte infatti dal presupposto che il Christaller abbia considerato solo casi particolari, mentre la realtà è molto più complessa, tanto da rendere opportuno costruire un modello più flessibile del precedente.






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